TAR Lombardia (BS) Sez. I n. 38 del 9 gennaio 2017
Rifiuti. Bonifica e curatela fallimentare

Se vale nel nostro ordinamento il principio “chi inquina paga”, da intendersi, secondo l’orientamento costante della Corte di Giustizia, nel senso che colui che deve sostenere le spese (comprese quelle delle indagini) connesse alla messa in sicurezza e alla rimozione dell’inquinamento è colui che, con il proprio comportamento, abbia concretamente partecipato all’inquinamento o omesso di impedire il suo verificarsi, allora nemmeno il piano di caratterizzazione, che si presuppone debba essere redatto dal responsabile dell’inquinamento può essere imposto al curatore fallimentare, al quale non siano imputabili condotte causative dell’inquinamento.



Pubblicato il 09/01/2017

N. 00038/2017 REG.PROV.COLL.

N. 01896/2015 REG.RIC.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1896 del 2015, proposto da:
Fallimento Imo Ronchi di Ilenia Ronchi e C. Sas, in persona del legale rappresentante p.t. e Ilenia Ronchi quale socio in proprio, rappresentati e difesi dall'avvocato Erika Fantoni, domiciliato in Brescia, ex art. 25 cpa, presso la Segreteria del T.A.R., via Carlo Zima, 3;

contro

Comune di Bozzolo, rappresentato e difeso dall'avvocato Antonino M. Rizzo, domiciliato in Brescia, ex art. 25 cpa, presso la Segreteria del T.A.R., via Carlo Zima, 3;

nei confronti di

Asl 307 - A.S.L. della Provincia di Mantova, Agenzia Regionale Protezione Ambiente (Arpa) - Lombardia - Dipartimento di Mantova non costituiti in giudizio;

per l'annullamento

- dell'ordinanza dell'8 giugno 2015, con cui il Comune di Bozzolo ha ordinato al Fallimento ricorrente di procedere a redigere, entro 30 giorni, un piano dettagliato di indagini preliminari investigative dirette, da eseguirsi ai sensi del titolo V del d. lsg. 152/2006 e s.m., comprensivo di cronoprogramma, finalizzate alla verifica delle anomalie rilevate con le indagini georadar.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Bozzolo;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 dicembre 2016 la dott.ssa Mara Bertagnolli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Nel marzo 2014, la ditta odierna ricorrente è stata dichiarata fallita. Il 7 novembre 2014, il Comune ha chiesto la possibilità di accedere ai fondi di proprietà della stessa, nel sottosuolo dei quali, secondo una lettera anonima, sarebbero stati sotterrati rifiuti pericolosi.

Il curatore fallimentare assentiva, ma invitava a contenere i tempi della verifica, in modo da non determinare conseguenze negative per la messa all’asta dei beni.

Nel marzo 2015, nel silenzio del Comune, il curatore dava avvio al procedimento per la vendita all’asta dei beni: procedura che veniva poi sospesa a seguito dell’invito in tal senso formulato dal Comune.

In esito alle indagini compiute è emerso che esse hanno prodotto, in alcuni punti, risultati inaspettati (anomalie di resistività), che hanno indotto i tecnici a ravvisare l’opportunità di procedere a più complesse verifiche.

Conseguentemente, il Comune ha ordinato al fallimento di procedere a redigere, entro 30 giorni, “un piano dettagliato di indagini preliminari investigative dirette, da eseguirsi ai sensi del titolo V del d. lsg. 152/2006 e s.m., comprensivo di cronoprogramma, finalizzate alla verifica delle anomalie rilevate con le indagini georadar”. In assenza di ulteriore specificazione, secondo il ricorrente il riferimento dovrebbe intendersi come avente ad oggetto la parte IV del titolo V e in particolare l’art. 242, che presupporrebbe l’esatta individuazione del possibile agente inquinante di cui dovrebbe essere ricercata la concentrazione e l’effettuazione delle indagini preliminari da parte dell’ente pubblico competente.

Ne risulterebbe la violazione dell’art. 239 del suddetto d. lgs. 152/2006.

Inoltre, in base all’art. 192, secondo parte ricorrente, il controllo avrebbe dovuto essere effettuato dal Comune, in contradditorio con il proprietario.

In ogni caso, sarebbero violati gli artt. 192 e 239, in quanto il fallimento non potrebbe comunque essere tenuto alla verifica: esso, infatti, non acquista la proprietà dei beni, ma solo li amministra al fine di procedere alla loro liquidazione, con la conseguenza che non gli potrebbe essere imputata alcuna responsabilità per l’inquinamento.

Il Comune, al contrario, ha sostenuto di aver correttamente applicato l’art. 242 del d. lgs. 152/2006, finalizzato ad accertare l’effettivo livello di inquinamento del terreno, con oneri a carico dell’eventuale responsabile di esso e cioè il proprietario.

Non sarebbe riscontrabile alcuna violazione dell’art. 192, perché il provvedimento non avrebbe natura sanzionatoria, ma solo di ordine di sgombro e ripristino.

In sede cautelare si è ritenuto, invece, che il ricorso fosse assistito da elementi di fumus boni iuris nella parte in cui ha dedotto la non imputabilità al curatore fallimentare delle condotte di inquinamento che si intendono indagare, in quanto risalenti a periodo anteriore alla dichiarazione del fallimento.

In vista della pubblica udienza, parte ricorrente si è limitata a condividere l’orientamento giurisprudenziale di cui è stata fatta applicazione in sede cautelare, richiamando, a tal proposito, anche la recente sentenza del TAR Milano n. 1 del 2016.

Il Comune resistente ha, invece, evidenziato come la questione della conformità all’orientamento comunitario di una disposizione che imputi al proprietario una responsabilità oggettiva, limitatamente al valore del fondo, senza obbligo di attuare interventi di riparazione, sarebbe stata di nuovo recentemente sollevata dal Consiglio di Stato con la ordinanza n. 21 del 2013. In linea con tale orientamento, ricorda il Comune, questa stessa sezione del TAR Brescia ha, con sentenza n. 669 del 2016, affermato che la curatela fallimentare, che assume la custodia dei beni del fallito, anche quando non prosegue l’attività imprenditoriale, non può evidentemente avvantaggiarsi dell’esenzione dell’art. 192 comma 3 del d. lgs. 152/2006, lasciando abbandonati i rifiuti. Essa sarebbe, dunque, titolare di un obbligo di smaltimento o recupero non attuabile se non previa redazione del piano richiesto dal Comune, ferma restando la facoltà di dimostrare che il peso economico non deve essere sopportato, in tutto o in parte, dall’attivo fallimentare, e di agire in regresso nei confronti dei produttori dei rifiuti o dei detentori precedenti, a tutela delle ragioni dei creditori.

Nella propria memoria di replica, però, parte ricorrente ha sottolineato come, nel precedente di questo Tribunale ricordato dal Comune, la curatela fallimentare era ben consapevole dell’inquinamento e, anzi, aveva contribuito a determinarlo con il proprio comportamento. Nel caso di specie, invece, non vi sarebbe nemmeno contezza dell’effettiva esistenza dei rifiuti, affermata in una lettera anonima, che non ha trovato riscontro nell’indagine condotta dal Comune.

I costi dell’indagine non potrebbero, dunque, essere imputati al fallimento.

Alla pubblica udienza del 14 dicembre 2016, la causa, su conforme richiesta dei procuratori delle parti, è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

Il ricorso può trovare positivo apprezzamento, in quanto della redazione del piano di indagine non poteva essere onerato il Curatore del fallimento della società proprietaria dei terreni.

Il piano delle indagini è espressamente definito, infatti, (come uno strumento la cui redazione rappresenta uno step essenziale per la caratterizzazione dei siti contaminati) dall’allegato 2 al titolo V della parte Quarta del d. lgs. 152/2006, che così prevede: “Il piano di indagini dovrà contenere la dettagliata descrizione delle attività che saranno svolte in campo ed in laboratorio per la caratterizzazione ambientale del sito. Il Proponente dovrà includere in tale documento le specifiche tecniche per l'esecuzione delle attività (procedure di campionamento, le misure di campo, modalità di identificazione, conservazione e trasporto dei campioni, metodiche analitiche, ecc. ) che una volta approvate dalle Autorità Competenti, prima dell'inizio dei lavori, costituiranno il protocollo applicabile per la caratterizzazione del sito”.

Le fonti potenziali di inquinamento sono definite sulla base del Modello Concettuale Preliminare del sito e comprendono: luoghi di accumulo e stoccaggio di rifiuti e materiali, vasche e serbatoi interrati e fuori terra, pozzi disperdenti, cumuli di rifiuti in contenitori o dispersi, tubazioni e fognature, ecc.. Le indagini avranno l'obiettivo di:

- verificare l'esistenza di inquinamento di suolo, sottosuolo e acque sotterranee; definire il grado, l'estensione volumetrica dell'inquinamento; delimitare il volume delle aree di interramento di rifiuti;

- individuare le possibili vie di dispersione e migrazione degli inquinanti dalle fonti verso i potenziali ricettori;

- ricostruire le caratteristiche geologiche ed idrogeologiche dell'area al fine di sviluppare il modello concettuale definitivo del sito;

- ottenere i parametri necessari a condurre nel dettaglio l'analisi di rischio sito specifica;

- individuare i possibili ricettori.”.

Dato atto di ciò, in sede cautelare, precisato che, come chiarito anche nella memoria del Comune, questi ha inteso dare applicazione all’art. 242 del d. lgs. 152/2006, adottando un provvedimento finalizzato ad accertare l’effettivo livello di inquinamento del terreno, con oneri a carico dell’eventuale responsabile di esso e cioè del proprietario, privo di carattere sanzionatorio e, dunque, pienamente rispettoso dell’art. 192 del medesimo Testo Unico, si è, però, valorizzato il fatto che la redazione del piano in questione rappresenta un’attività propedeutica e comunque logicamente preordinata rispetto alla successiva bonifica dei luoghi.

Proprio per tale ragione deve escludersi la legittimazione del curatore fallimentare, come rispetto agli obblighi connessi alla bonifica di eventuali inquinamenti ambientali, così anche per la redazione del piano a ciò preordinato. Già in sede cautelare si è affermato di condividere l’orientamento giurisprudenziale attualmente consolidatosi, come sintetizzato nella sentenza del TAR Napoli, n. 4547 del 2015, il quale prende le mosse dalla considerazione che, in sede di applicazione dell'art. 192 del d.lgs. n. 152 del 2006, in assenza dell'individuazione di una univoca, autonoma e chiara responsabilità del curatore stesso sull'abbandono dei rifiuti, nessun ordine di ripristino può essere imposto dal Comune alla curatela fallimentare quale mera responsabilità di posizione. Il curatore non sostituisce, infatti, il fallito, atteso che la procedura fallimentare ha uno scopo liquidativo e non già amministrativo o continuativo dell'impresa fallita (T.A.R. Liguria, Genova, sez. II, 27 maggio 2010 n. 3543; T.A.R. Campania, Salerno, sez. I, 18 ottobre 2010, n. 11823; T.A.R. Toscana, Firenze, sez. II, 17 aprile 2009 n. 663).

In linea di principio, dunque, “quando è il fallito ad aver prodotto i rifiuti e cagionato un danno all'ambiente, non viene meno il suo obbligo di ripristino verso la collettività, anche se il relativo smaltimento deve attuarsi (in mancanza di altri soggetti individuabili che abbiano dolosamente o colposamente concorso nell'evento, come statuito dalla normativa di settore) con l'insinuazione al passivo fallimentare del credito sorto in capo alla P.A., che anticipa le relative spese” (T.A.R. Abruzzo, L'Aquila, sez. I, 17 giugno 2014, n. 564). “L'obbligazione derivante dalla necessità di bonificare tale area, deve pertanto considerarsi concorsuale e sarà l'ente pubblico a dover provvedere all'esecuzione della stessa, salvo poi il diritto di chiedere l'insinuazione al passivo secondo gli art. 93 e 101 l. fall.” (Tribunale di Mantova, 6 marzo 2003).

Ciò trova le uniche eccezione nelle ipotesi:

a) che emergano condotte quali l'abbandono dei rifiuti e nell'inquinamento dei siti di cui trattasi, imputabili direttamente al curatore, le quali sono, però, ex sé escluse quando, come nel caso di specie, il fatto si sia verificato in epoca antecedente all'apertura della procedura fallimentare;

b) che il Tribunale Fallimentare competente abbia ritenuto di autorizzare il Curatore all'esercizio provvisorio, ai sensi dell'art. 90 L.F., ipotesi che consentirebbe di superare le finalità solo liquidatorie delle operazioni affidate al Curatore: ipotesi non ricorrente nel caso di specie.

In ragione di ciò, l’istanza cautelare è stata accolta o ora il ricorso può trovare accoglimento.

Se, infatti, vale nel nostro ordinamento il principio “chi inquina paga”, da intendersi, secondo l’orientamento costante della Corte di Giustizia, nel senso che colui che deve sostenere le spese (comprese quelle delle indagini) connesse alla messa in sicurezza e alla rimozione dell’inquinamento è colui che, con il proprio comportamento, abbia concretamente partecipato all’inquinamento o omesso di impedire il suo verificarsi, allora nemmeno il piano di caratterizzazione, che si presuppone debba essere redatto dal responsabile dell’inquinamento può essere imposto al curatore fallimentare, al quale non siano imputabili condotte causative dell’inquinamento.

Le spese del giudizio possono, però, trovare compensazione tra le parti in causa, attesa la natura prettamente interpretativa della questione dedotta.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla l’atto impugnato, fatti salvi gli ulteriori provvedimenti che l’Amministrazione intenderà adottare.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 14 dicembre 2016 con l'intervento dei magistrati:

Giorgio Calderoni, Presidente

Mauro Pedron, Consigliere

Mara Bertagnolli, Consigliere, Estensore

         
         
L'ESTENSORE        IL PRESIDENTE
Mara Bertagnolli        Giorgio Calderoni