TAR Lombardia (MI) Sez. III n. 1792 del 12 luglio 2023
Rifiuti.Conglomerato bituminoso

Il d.m. n. 69 del 2018 stabilisce i criteri specifici in presenza dei quali il conglomerato bituminoso cessa di essere qualificato come rifiuto ai sensi e per gli effetti dell'articolo 184-ter del d.lgs. n. 152 del 2006. L’art. 4, primo comma, dello stesso d.m. attribuisce al produttore l’onere di attestare, mediante dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, la conformità del materiale prodotto alle caratteristiche tecniche sopra indicate. Il successivo art. 6 contiene poi una norma transitoria con la quale si è stabilito che lo stesso produttore avrebbe dovuto provvedere, entro il termine di centoventi giorni dall’entrata in vigore del decreto, a richiedere l’adeguamento dell’autorizzazione per conformarla ai nuovi criteri. Nelle more dell’aggiornamento, il materiale prodotto avrebbe comunque potuto essere commercializzato se in possesso delle caratteristiche previste. Il possesso di tali caratteristiche avrebbe dovuto essere attestato sempre dal produttore con sua dichiarazione. Come si vede, queste norme sono chiare nel prevedere, sia per il periodo a regime che per il periodo transitorio, che debba essere il produttore del materiale a dover attestare, mediante propria dichiarazione, la presenza delle caratteristiche indicate nel d.m. n. 69 del 2018. Nessun obbligo di questo tipo viene invece posto in capo all’amministrazione la quale deve, quindi, limitarsi a ricevere le suddette dichiarazioni ed effettuare gli eventuali successivi controlli.



Pubblicato il 12/07/2023

N. 01792/2023 REG.PROV.COLL.

N. 00920/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 920 del 2022, integrato da motivi aggiunti, proposto da
IMMOBILIARE CAVE SABBIA DI TREZZANO s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Maurizio Zoppolato e Massimiliano Napoli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il loro studio in Milano, Via Dante, n. 16;

contro

CITTÀ METROPOLITANA DI MILANO, in persona del Sindaco metropolitano pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Marialuisa Ferrari, Giorgio Giulio Grandesso, Nadia Marina Gabigliani e Maraluisa Bernardette Pozzi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso gli Uffici della propria Avvocatura in Milano, Via Vivaio, n. 1;

nei confronti

PARCO AGRICOLO SUD MILANO, in persona del legale rappresentante p.t., non costituito in giudizio;
AGENZIA REGIONALE PROTEZIONE AMBIENTE (ARPA)-LOMBARDIA, in persona del legale rappresentante p.t., non costituita in giudizio;
COMUNE DI MILANO, in persona del Sindaco p.t., non costituito in giudizio;
ATS MILANO CITTÀ METROPOLITANA, in persona del legale rappresentante p.t., non costituita in giudizio;

per quanto riguarda il ricorso introduttivo

per l'annullamento

della diffida del 23 febbraio 2022 n. 31517, con cui la Città Metropolitana di Milano ha ordinato di sospendere l’attività di recupero rifiuti non pericolosi presso l'insediamento di via Martirano n. 4/6 e ha dettato ulteriori prescrizioni a carico di Immobiliare Cave Sabbia di Trezzano s.r.l.;

di ogni altro atto ad essa presupposto, consequenziale e/o comunque connesso;

per quanto riguarda i motivi aggiunti

per l’annullamento

della nota prot. 157232 del 14 ottobre 2022 di riscontro alle proposte formulate dalla ricorrente e di integrazione della diffida 23 febbraio 2022, n. 31517;

di ogni altro atto ad essa presupposto, consequenziale e/o comunque connesso.


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della Città Metropolitana di Milano;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 maggio 2023 il dott. Stefano Celeste Cozzi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Immobiliare Cave Sabbia Trezzano s.r.l. è un’azienda che si occupa di messa in riserva e recupero di rifiuti non pericolosi (R3, R5 e R13). Il recupero è finalizzato alla produzione di materie prime secondarie per la formazione di rilevati e sottofondi stradali. L’impresa viene esercitata in via provvisoria in virtù di una comunicazione di esercizio attività presentata alla Provincia di Milano in data 26 settembre 2008 (aggiornata con successiva del 23 luglio 2009), ai sensi dell’art. 216 del d.lgs.152 del 2006, e si svolge presso un impianto collocato in una vasta aerea sita nel territorio del Comune di Milano (località Cascina Guascona), avente una superficie complessiva di 68.200 mq.

A seguito di sopralluogo effettuato in data 20 dicembre 2021 dai Carabinieri forestali, è emerso che l’attività svolta presso il suddetto impianto presenta alcune criticità. Si è riscontrato in particolare che: a) la ricorrente si avvale di un macchinario per la frantumazione ulteriore rispetto a quelli autorizzati (frantoio TEREX FINLAY mod. J-1170DD anno 2019-TRXII71APOMKA1634); b) i rifiuti, collocati presso l’area A3 dell’impianto, sono risultati essere di quantitativo notevolmente superiore rispetto a quello autorizzato, sono stati ivi stoccati in maniera indifferenziata (in modo tale da non consentirne la tracciabilità, in violazione di quanto previsto dall’allegato 5 al d.m. 5 febbraio 1998) e per un periodo superiore rispetto a quello annuale previsto dall’art. 6, quinto comma, dello stesso d.m. 5 febbraio 1998, tanto che si è ipotizzata l’integrazione del reato di deposito incontrollato di cui all’art. 256, commi 2 e 4, del d.lgs. n. 152 del 2006; c) le materie prime secondarie, collocate presso l’aera C dell’impianto, non sono state sperate adeguatamente dai rifiuti e sono state ivi stoccate in maniera indifferenziata, in violazione di quanto previsto dall’allegato 5 al d.m. 5 febbraio 1998; d) alla base dell’area di stoccaggio dei rifiuti, non è stata accertata la presenza di un fondo impermeabile dotato di adeguata canalizzazione dei reflui derivanti dal dilavamento delle precipitazioni.

Informata di queste criticità, la Città Metropolitana di Milano, con provvedimento emesso in data 23 febbraio 2022, ha intimato alla ricorrente, ai sensi dell’art. 216, quarto comma, del d.lgs. n. 152 del 2006, di conformarsi alla comunicazione di esercizio attività presentata in data 26 settembre 2008, provvedendo a: 1) sospendere immediatamente l’accettazione di nuovi conferimenti in ingresso; 2) allontanare con avvio a smaltimento tutti i rifiuti presenti all’interno del sito; 3) allontanare come rifiuto tutte le materie prime secondarie (MPS) presenti sul sito; 4) allontanare il frantoio TEREX FINLAY mod. J-1170DD anno 2019 - TRXII71APOMKA1634, non previsto nella Comunicazione agli atti; 5) attenersi al rispetto delle planimetrie agli atti, delle condizioni e delle prescrizioni contenute nelle norme tecniche e nella comunicazione agli atti; 6) adottare un opportuno sistema di tracciabilità dei lotti di MPS.

Il provvedimento del 23 febbraio 2022 è stato impugnato con il ricorso introduttivo da Immobiliare Cave Sabbia Trezzano s.r.l.

Si è costituita in giudizio, per opporsi alle domande avverse, la Città Metropolitana di Milano.

Successivamente alla proposizione del ricorso, Immobiliare Cave Sabbia Trezzano s.r.l. e la Città Metropolitana di Milano hanno avviato una interlocuzione culminata con la nota della stessa Città Metropolitana di Milano del 14 ottobre 2022.

Con tale nota, l’Amministrazione ha in parte accolto le richieste della ricorrente, confermando per il resto quanto già disposto con la diffida del 23 febbraio 2022. In particolare il nuovo atto, in parziale modifica del precedente, ha stabilito quanto segue: a) il materiale classificato con il codice FR. 85.2021 TR (calcestruzzo/conglomerato cementizio) potrà essere commercializzato come MPS; b) per il restante materiale si è stabilito che esso, invece di essere senz’altro smaltito in discarica, potrà essere eventualmente avviato a recupero previa idonea caratterizzazione. L’atto ha anche puntualizzato che le operazioni si sarebbero dovute concludere nel termine massimo di un anno “con aggiornamento mensile delle attività di verifica e di allontanamento dei cumuli, per valutazione dello stato di avanzamento”.

La nota del 14 ottobre 2022 è stata impugnata mediante la proposizione di motivi aggiunti.

Alla camera di consiglio del 17 gennaio 2023, parte ricorrente ha rinunciato all’istanza cautelare proposta con i motivi aggiunti.

In prossimità dell’udienza di discussione del merito, le parti costituite hanno depositato memorie insistendo nelle loro conclusioni.

La causa è stata trattenuta in decisione in esito alla pubblica udienza del 30 maggio 2023.

Con il primo motivo del ricorso introduttivo, l’interessata sostiene innanzitutto che la diffida del 23 febbraio 2022 sarebbe affetta dal vizio di eccesso di potere per difetto di istruttoria in quanto emanata sulla base dei rilievi emersi nel corso dell’ispezione effettuata dai Carabinieri forestali in data 20 dicembre 2021, senza tener conto degli interventi successivamente posti in essere che, secondo la stessa interessata, avrebbero comportato la rimozione di gran parte dei materiali depositati. Con lo stesso motivo, la ricorrente sostiene inoltre che l’atto impugnato sarebbe sorretto da motivazione inadeguata, non avendo l’Amministrazione tenuto conto degli atti da essa depositati nel corso del procedimento, nei quali sarebbero stati illustrati gli interventi effettuati successivamente al suddetto sopralluogo. Infine, parte ricorrente deduce l’illogicità dell’ordine di rimozione dei macchinari destinati al trattamento dei rifiuti, posto che, pur essendo tali macchinari effettivamente diversi da quelli autorizzati, essi verrebbero utilizzati in sostituzione di questi ultimi, divenuti ormai obsoleti.

Ritiene il Collegio che queste censure siano infondate per le ragioni di seguito esposte.

Come anticipato, la diffida del 23 febbraio 2022 è stata emessa sulla base di un verbale di sopralluogo effettuato dai Carabinieri forestali di Milano in data 20 dicembre 2023. Dal sopralluogo sono emerse una serie di criticità che riguardano il quantitativo del materiale stoccato, le modalità di stoccaggio (i rifiuti conferiti e stoccati non risultano adeguatamente separati in relazione alla diversa tipologia dei materiali che li compongono) e la presenza di un macchinario per la frantumazione dei rifiuti ulteriore rispetto a quelli oggetto di autorizzazione.

Prendendo le mosse da queste risultanze, la Città Metropolitana di Milano ha ordinato alla ricorrente di provvedere allo smaltimento del materiale rinvenuto in loco nonché di provvedere all’allontanamento del macchinario non autorizzato.

Parte ricorrente, con il motivo in esame, sostiene, come detto, che successivamente al sopralluogo sarebbero stati effettuati diversi interventi che hanno comportato la rimozione di gran parte dei materiali depositati; sostiene inoltre di aver formulato controdeduzioni che avrebbero illustrato tali lavorazioni, di cui l’Amministrazione non avrebbe però tenuto conto.

A questo proposito il Collegio, prescindendo per ora da ogni considerazione riguardo all’effettiva avvenuta rimozione di gran parte del materiale stoccato in loco, deve rilevare che la ricorrente non ha affatto dimostrato di aver prodotto, nel periodo intercorrente fra l’effettuazione del ridetto sopralluogo e l’emissione della diffida impugnata, alcuna memoria o documento alla Città Metropolitana di Milano finalizzati a rendere noti a quest’ultima le lavorazioni nel frattempo compiute.

Non si capisce dunque come la stessa Città Metropolitana di Milano potesse tener conto, ai fini dell’adozione del provvedimento, delle modifiche alla situazione di fatto occorse nel suddetto lasso temporale, non potendosi certo pretendere che l’Amministrazione effettui ripetuti sopralluoghi in tempi restretti al fine di verificare l’eventuale intervento della parte interessata.

A questo rilievo si deve poi aggiungere che, come si dimostrerà nel prosieguo, le attività poste in essere dalla ricorrente dopo il sopralluogo effettuato da Carabinieri forestali non sono state affatto decisive ai fini che qui interessano, posto che la quasi totalità del materiale rivenuto in quell’occasione è ancora presente in loco e che l’attività di separazione e cernita svolta non ha comunque consentito di superare le criticità rilevate. Si deve pertanto ritenere che la modifica alla situazione di fatto intervenuta rivesta carattere del tutto marginale e non sia perciò rilevante ai fini della valutazione della legittimità dell’atto impugnato.

La mancata dimostrazione della produzione di memorie nel corso del procedimento rende poi non condivisibile la censura con cui viene dedotto il difetto motivazionale, posto che l’obbligo di valutazione previsto dall’art. 10, lett. b), della legge n. 241 del 1990 che fa capo all’amministrazione presuppone ovviamente che vi sia stato un contributo procedimentale da parte dell’interessato.

Per quanto concerne infine l’ordine di rimozione del macchinario non autorizzato, va rilevato che, contrariamente da quanto sembra affermare la ricorrente, tale ordine riguarda solo il frantoio TEREX FINLAY mod. J-1170DD anno 2019 - TRXII71APOMKA1634 il quale non è contestato non essere contemplato nella comunicazione del 26 settembre 2008. Non è dunque rilevante il fatto che tale macchinario sia stato impiegato in sostituzione di altro divenuto obsoleto, essendo invece decisivo il fatto che esso non sia stato autorizzato e non possa perciò essere impiegato nell’attività di recupero rifiuti svolta dalla ricorrente. A questo proposito occorre rilevare che la comunicazione di inizio attività prevista dall’art. 216, primo comma, del d.lgs. n. 152 del 2006 sostituisce l’autorizzazione prevista dall’art. 208 dello stesso d.lgs., la quale deve essere rilasciata a seguito dell’esame di un progetto di gestione dell’impianto di smaltimento o recupero dei rifiuti presentato dall’interessato e deve individuare specificamente, in base a quanto previsto dal comma 11, lett. b), dello stesso articolo, le attrezzature che si intendono utilizzare. Non essendo stato individuato nell’atto autorizzativo, l’Amministrazione non poteva quindi far altro che inibire l’utilizzo del suddetto macchinario.

Per tutte queste ragioni deve essere ribadita l’infondatezza delle censure in esame.

Il secondo motivo del ricorso introduttivo è rivolto contro la parte del provvedimento impugnato che ordina lo smaltimento in discarica del materiale rinvenuto nell’impianto di cui è causa. A parere della ricorrente, il materiale, invece di essere smaltito, potrebbe essere recuperato e ciò consentirebbe un migliore bilanciamento dei vari interessi coinvolti. Viene dunque dedotto il vizio di eccesso di potere per violazione del principio di proporzionalità.

Ritiene il Collegio che l’interesse a proporre questa censura sia venuto meno a seguito della nota del 14 ottobre 2022 impugnata con i motivi aggiunti. Con questa nota infatti la Città metropolitana di Milano ha aperto alla possibilità di avvio a recupero previa idonea caratterizzazione del materiale.

Si può ora passare all’esame dei motivi aggiunti con i quali, come ripetuto, viene impugnata la nota del 14 ottobre 2022. Questa nota è stata emanata a seguito delle interlocuzioni intercorse fra la ricorrente e la Città Metropolitana di Milano dopo la diffida del 23 febbraio 2022, e prende specificamente posizione sul piano di conformazione presentato dalla medesima ricorrente in data 26 settembre 2022 per dare attuazione alla diffida stessa.

Prima di passare all’esame delle censure è pertanto necessario illustrare sinteticamente i contenuti di tale piano.

Quest’ultimo raggruppa tutto il materiale presente nell’impianto in tre macro categorie di cumuli: a) il cumulo denominato “cumulo di rifiuti inerti”, costituito da rifiuti misti da costruzione e demolizione, avente un volume complessivo pari 100.933 mc; b) i cumuli denominati “CER 170504”, “TE 01.22.TR” e “TE.02.22.TR”, costituiti da terre e rocce da scavo riconducibili al codice EER 170504, aventi un volume complessivo di circa 9.000 mc; c) i cumuli che risultano da lotti di rifiuti i quali, secondo quanto riportato nel piano stesso, avrebbero subito lavorazioni e analisi che li renderebbero idonei alla commercializzazione come MPS (oltre a quelli appena citati, sono presenti in loco anche i cumuli denominati FR 11.2022 TR, FR 05.2022 TR, FR 12.2022, FR 13.2022 TR per i quali si prevede il recupero come rifiuti).

Il piano si propone di allontanare dal sito tutto il materiale attualmente presente fino ad arrivare a giacenza zero, provvedendo alla commercializzazione dei cumuli di MPS/EoW e al recupero del restante materiale. Per quanto concernente specificamente le operazioni di recupero, si prevede che il materiale venga in parte inviato presso impianti di terzi e in parte lavorato in loco attraverso l’utilizzo di impianti mobili sempre di proprietà di terzi. Lo stesso piano propone inoltre di sostituire i rifiuti e le MPS attualmente utilizzati come base di una pista di passaggio degli automezzi con MPS/EoW certificata prodotta in loco.

Con la nota del 14 ottobre 2022, l’Amministrazione ha in sostanza accolto la richiesta di procedere al recupero del materiale (modificando quindi l’ordine impartito con la diffida del 23 febbraio 2022 che imponeva lo smaltimento), ma ha respinto la proposta di trattare in loco parte del materiale stesso mediante l’utilizzo di impianti mobili. La medesima nota ha poi respinto l’istanza di autorizzazione alla commercializzazione del materiale già trattato, accogliendola solamente per quello classificato con il codice FR. 85.2021 TR (calcestruzzo/conglomerato cementizio). L’atto ha inoltre puntualizzato che la sostituzione dei rifiuti e delle MPS attualmente utilizzati come base di una pista di passaggio degli automezzi con MPS/EoW certificata avrebbe potuto realizzarsi solo a seguito dell’ottenimento dell’autorizzazione paesaggistica, fermo l’obbligo di rimozione del materiale attualmente a tal fine impiegato. Da ultimo si è stabilito un termine per provvedere pari ad un anno.

Con una prima censura contenuta nel primo motivo dei motivi aggiunti, parte ricorrente – dopo aver stigmatizzato il fatto che l’Amministrazione avrebbe impiegato circa otto mesi a prendere

atto che disporre l’invio in discarica di tutto il materiale presente in sito sarebbe stato contrario ai principi generali sanciti dal d.lgs. n. 152 del 2006 ed al criterio della gerarchia dei rifiuti – sostiene che la nota del 14 ottobre 2022, analogamente alla diffida del 23 febbraio 2022, sarebbe affetta da vizio di difetto di istruttoria, avendo l’Amministrazione apoditticamente ritenuto che il materiale stoccato nel sito di cui è causa non sarebbe stato separato, e ciò senza tenere conto delle lavorazioni effettuate successivamente al sopralluogo del 20 dicembre 2022, le quali sarebbero state peraltro ben illustrate nel corso del procedimento.

Questa censura è analoga a quella, sempre contenuta nel primo motivo, con cui si contesta la decisione di imporre il recupero del materiale allocato nei cumuli denominati FR 09.2022 TR, FR 10.2022 TR e FR 04.2022 TR che, secondo la ricorrente, dovrebbe considerarsi MPS in quanto già adeguatamente separato e trattato, e che invece, secondo l’Amministrazione, dovrebbe considerarsi alla stregua di rifiuto in quanto ottenuto “dall’abbancamento senza distinzione”.

Ritiene il Collegio che queste censure siano infondate per le ragioni di seguito esposte.

Le norme tecniche che disciplinano la messa in riserva dei rifiuti non pericolosi sono contenute nell’allegato 5 al d.m. 2 febbraio 1998. Stabilisce tale allegato che negli impianti ove vengono messi in riserva i rifiuti destinati al recupero, devono essere distinte le aree di stoccaggio dei rifiuti stessi da quelle utilizzate per lo stoccaggio delle materie prime. Si precisa inoltre che il settore della messa in riserva deve essere organizzato in aree distinte ed opportunamente separate per ciascuna tipologia di rifiuto.

Queste norme hanno l’evidente finalità di assicurare l’adeguata separazione dei rifiuti e, quindi, la loro tracciabilità in modo da garantire la possibilità di risalire alla singola tipologia di rifiuto utilizzata per produrre materia prima attraverso l’operazione di recupero.

Ciò precisato, va ora rilevato che nel corso del sopralluogo effettuato in data 20 dicembre 2021, il rappresentante di parte ricorrente ha dichiarato ai Carabinieri forestali <<…di non essere a conoscenza della precisa collocazione dei quantitativi attualmente stoccati in messa in riserva per ciascun codice rifiuto né, ugualmente, dei quantitativi delle MPS decadenti dalle operazioni di recupero. Relativamente a queste non è conoscibile l'attuale giacenza, l’impresa conosce solamente il quantitativo pesato all'atto dello scarico nel momento in cui il mezzo viene caricato per

conferire il materiale al destino>>. I Carabinieri hanno altresì accertato che l’impianto dispone <<…di un sistema che consente la verifica dei quantitativi parziali, per codice rifiuto, e totali in giacenza, tuttavia espressi in tonnellate e non in metri cubi, il che non consente la verifica speditiva del rispetto dei limiti autorizzati i quali, nell' autorizzazione, sono espressi in metri cubi>>. Dal verbale di sopralluogo emerge inoltre che sull’ area A3 <<…sorge una vera e propria “montagna di rifiuti” la cui natura del tutto eterogenea non consente in alcun modo di discernere le diverse tipologie di rifiuto attualmente messe in riserva. Nei vari punti esaminati si osservano distintamente frammiste tra loro varie tipologie di rifiuti che invece dovrebbero risultare stoccate separatamente…>>.

Come si vede, sia dai riscontri oggettivi che dalle dichiarazioni rese dalla parte interessata, emerge chiaramente che i rifiuti e le MPS stoccate nell’impianto della ricorrente sono ivi depositati in maniera disordinata risultando mischiate le MPS con i rifiuti e le diverse tipologie di rifiuti fra loro, e ciò in evidente violazione delle disposizioni contenute nel citato Allegato 5 al d.m. 5 febbraio 1998.

Parte ricorrente, come detto, sostiene che, successivamente al sopralluogo, sarebbero state effettuate lavorazioni che avrebbero permesso di sanare tali criticità. Va tuttavia osservato che questa affermazione risulta del tutto indimostrata non avendo la parte depositato alcuna documentazione atta a dimostrare l’avvenuta separazione e le conseguenti tracciabilità e possibilità di collegamento tra le partite di rifiuti entrate in impianto, quelle trattate e le relative MPS prodotte.

Non è poi condivisibile la tesi secondo cui i rifiuti collocati nell’area A3 sarebbero tutti riconducibili all’unica tipologia di cui al codice 170904 “rifiuti misti da costruzione e demolizione” che ricomprenderebbe, per sua natura, materiali diversi al suo interno (quali cemento, asfalto, ghiaia, mattoni, mattonelle, terra, plastica, legno etc.). Va invero osservato che, come visto, dal sopralluogo effettuato in data 20 dicembre 2022, è emerso che i rifiuti allocati nella predetta area appartengono a tipologie diverse. Anche la nota del 14 ottobre 2022 chiarisce che nel sito risultano allocati tipologie di rifiuti ascrivibili a diversi codici. Appare dunque corretta la decisione di imporre la caratterizzazione del materiale e la sua riconduzione alle tipologie appropriate prima di dare avvio all’operazione di recupero.

Deve essere per queste ragioni ribadita l’infondatezza delle censure esaminate.

Con altra censura contenuta nel primo motivo, parte ricorrente sostiene che le prescrizioni imposte con l’atto impugnato sarebbero di difficoltosa attuazione e renderebbero perciò indeterminato il periodo di chiusura dell’impianto, con conseguente violazione del principio di proporzionalità. Del tutto impossibile sarebbe poi il rispetto del termine annuale stabilito dallo stesso provvedimento, con conseguente illogicità della relativa previsione.

Questa censura deve essere trattata congiuntamente con quella, sempre contenuta nel primo motivo, con cui viene dedotta l’illegittimità del divieto di avvalersi in loco di impianti mobili, soluzione questa che, secondo la ricorrente, sarebbe la sola a rendere di possibile attuazione l’intervento in tempi e costi ragionevoli.

Anche queste censure non possono essere condivise per le seguenti ragioni.

Innanzitutto, va precisato che, come detto, gli atti impugnati in questa sede non hanno disposto il divieto di prosecuzione dell’attività della ricorrente, ma il divieto di accettare nuovi rifiuti in entrata nonché il divieto di utilizzare il macchinario non autorizzato; hanno altresì imposto l’obbligo di provvedere all’allontanamento del materiale non autorizzato e stoccato in violazione di quanto previsto dall’atto autorizzativo e dalle previsioni contenute nel d.m. 2 febbraio 1998.

Ciò precisato, va subito chiarito che appare corretta la decisione dell’Amministrazione di vietare l’utilizzo in loco di impianti mobili. A questo proposito si osserva che la DGR n. 10098 del 2009 vieta espressamente la possibilità di utilizzare impianti mobili all’interno di impianti di smaltimento e/o recupero rifiuti.

Parte ricorrente sostiene che questo divieto avrebbe lo scopo di evitare il contemporaneo funzionamento dell’impianto mobile e dell’impianto fisso situato nel luogo ove vengono effettuate ordinarie operazioni di recupero e che, quindi, esso non dovrebbe trovare applicazione nel caso in esame posto che l’impianto di cui è causa non è al momento operativo. Questa tesi non è però condivisibile in quanto la funzione degli impianti mobili è esclusivamente quella di consentire, per limitati periodi di tempo, il recupero del rifiuto nel luogo ove questo viene prodotto; è per tale ragione che la delibera regionale impone il divieto di utilizzo degli impianti mobili nei luoghi ove vengono svolte le ordinarie operazioni di recupero, presso i quali vengono messi in riserva, per prolungati periodi di tempo che possono protrarsi sino ad un anno, rifiuti prodotti in altri luoghi.

Non è poi possibile ammettere, per le ragioni che si sono in precedenza illustrate, che il trattamento dei rifiuti venga svolto in loco per mezzo dell’impianto non autorizzato per il quale è stato, come detto, correttamente imposto l’obbligo di allontanamento.

Il fatto che l’attività della ricorrente sia attualmente bloccata dipende quindi da circostanze oggettive, in parte, ad essa stessa imputabili (l’indisponibilità di macchinari legittimamente utilizzabili) e, in parte, dipendenti da doverose disposizioni contenute negli atti impugnati i quali, considerati gli elementi della fattispecie concreta, non potevano far altro che dettare le prescrizioni illustrate. Non sono pertanto condivisibili le censure che deducono il vizio di eccesso potere per illogicità e violazione del principio di proporzionalità.

Indimostrata è infine l’affermazione secondo cui il termine annuale assegnato per potare a compimento gli interventi di adeguamento sarebbe insufficiente; e ciò senza contare che, come riconosciuto dalla difesa della Città Metropolitana di Milano, la nota dal 14 ottobre 2022, laddove prevede l’aggiornamento mensile delle attività di verifica e di allontanamento dei cumuli per la valutazione dello stato di avanzamento, prefigura già la possibilità di disporre le proroghe che si renderanno via via necessarie in relazione al concreto andamento dei lavori.

Va dunque ribadita l’infondatezza delle censure esaminate.

Un’ultima censura contenuta nel primo motivo dei motivi aggiunti è volta a contestare la decisione di imporre il recupero come rifiuto del conglomerato bituminoso allocato nel cumulo denominato FR 90.2021 TR. L’Amministrazione ha vietato la commercializzazione di questo materiale come MPS in quanto la ricorrente non avrebbe compiuto le formalità previste dal d.m. n. 69 del 2018. L’interessata sostiene che tale decisione sarebbe illegittima in quanto ciò che unicamente rileverebbe, ai fini della possibilità di commercializzazione del suddetto materiale, è che esso abbia caratteristiche conformi ai nuovi criteri determinati dal citato d.m. n. 69 del 2018, conformità che l’Amministrazione ben avrebbe potuto accertare d’ufficio.

In proposito si osserva quanto segue.

Il d.m. n. 69 del 2018 stabilisce i criteri specifici in presenza dei quali il conglomerato bituminoso cessa di essere qualificato come rifiuto ai sensi e per gli effetti dell'articolo 184-ter del d.lgs. n. 152 del 2006.

L’art. 4, primo comma, dello stesso d.m. attribuisce al produttore l’onere di attestare, mediante dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, la conformità del materiale prodotto alle caratteristiche tecniche sopra indicate. Il successivo art. 6 contiene poi una norma transitoria con la quale si è stabilito che lo stesso produttore avrebbe dovuto provvedere, entro il termine di centoventi giorni dall’entrata in vigore del decreto, a richiedere l’adeguamento dell’autorizzazione per conformarla ai nuovi criteri. Nelle more dell’aggiornamento, il materiale prodotto avrebbe comunque potuto essere commercializzato se in possesso delle caratteristiche previste. Il possesso di tali caratteristiche avrebbe dovuto essere attestato sempre dal produttore con sua dichiarazione.

Come si vede, queste norme sono chiare nel prevedere, sia per il periodo a regime che per il periodo transitorio, che debba essere il produttore del materiale a dover attestare, mediante propria dichiarazione, la presenza delle caratteristiche indicate nel d.m. n. 69 del 2018. Nessun obbligo di questo tipo viene invece posto in capo all’amministrazione la quale deve, quindi, limitarsi a ricevere le suddette dichiarazioni ed effettuare gli eventuali successivi controlli.

Nel caso di specie, non è contestato che la ricorrente non ha reso alcuna delle suddette dichiarazioni; manca quindi l’attestazione che il materiale stoccato presso il suo impianto possegga le caratteristiche necessarie per poter essere considerato alla stregua di MPS. Ne consegue che è da ritenersi corretta la decisione dell’Amministrazione di vietarne la commercializzazione.

Per queste ragioni anche la censura in esame è infondata.

Rimane ora da esaminare l’ultimo motivo di ricorso rivolto contro la parte del provvedimento impugnato con cui si è dato riscontro alla richiesta di utilizzo delle MPS prodotte in loco per sostituire il materiale attualmente impiegato come base della pista per il passaggio degli automezzi. Parte ricorrente sostiene che, in questa parte, la nota del 14 ottobre 2022 sarebbe illegittima in quanto essa opporrebbe un divieto basato su argomentazioni riguardanti la compatibilità paesaggistica dell’intervento, estranee al procedimento di cui è causa in cui verrebbero in rilievo esclusivamente interessi ambientali.

Ritiene il Collegio che questa censura non possa essere condivisa in quanto essa parte dall’errato presupposto che la nota del 14 ottobre 2022 abbia negato la possibilità di ricostruire la pista di transito mediante l’utilizzo di MPS certificate. Occorre infatti rilevare che l’Amministrazione, con tale atto, non ha affatto negato tale possibilità, ma si è limitata a constatare che – essendo incontestata la doverosità della rimozione dei rifiuti attualmente utilizzati, la quale comporterà lo smantellamento della pista in essere – per procedere al rifacimento di quest’ultima sarà necessario munirsi di autorizzazione paesaggistica, e ciò in quanto l’area su cui insiste l’impianto della ricorrente è assoggettata al relativo vincolo.

Per completezza si evidenzia comunque che la giurisprudenza ammette la possibilità di dare rilievo ad interessi diversi da quello ambientale al fine di valutare la possibilità di autorizzare l’esercizio di impianti di recupero rifiuti. Si è invero ad esempio affermato che la compatibilità urbanistica dell'impianto, benché non espressamente contemplata dall'art. 216 del d.lgs. n. 152 del 2006 e dal d.m. 5 febbraio 1998, non può non costituire presupposto per il legittimo esercizio dell'attività di recupero dei rifiuti, atteso che deve essere qualificato sicuramente pericoloso per la preservazione dell'ambiente circostante un impianto che, sebbene rispetti le specifiche tecniche del caso, si ponga in dissonanza con la destinazione urbanistica dell'area (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 24 settembre 2013, n. 4689).

Deve essere pertanto ribadita l’infondatezza della censura.

In conclusione, per tutte le ragioni illustrate, il ricorso e i motivi aggiunti vanno respinti.

Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso e sui motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, li respinge.

Condanna la ricorrente al rimborso delle spese di causa in favore della Città Metropolitana di Milano, che vengono liquidate in euro 4.000 (quattromila), oltre spese generali e accessori di legge se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 30 maggio 2023 con l'intervento dei magistrati:

Marco Bignami, Presidente

Stefano Celeste Cozzi, Consigliere, Estensore

Concetta Plantamura, Consigliere