TAR Marche Sez. I n. 207 del 12 marzo 2021
Rifiuti.Curatela fallimentare

La curatela fallimentare non può essere destinataria, a titolo di responsabilità di posizione, di ordinanze sindacali dirette alla tutela dell’ambiente e alla messa in sicurezza di siti contaminati, per effetto del precedente comportamento omissivo o commissivo dell'impresa fallita, non subentrando la curatela negli obblighi strettamente correlati alla responsabilità del fallito e non sussistendo, per tal via, alcun dovere del curatore di adottare particolari comportamenti attivi, finalizzati alla tutela sanitaria degli immobili destinati alla bonifica da fattori inquinanti. E’ pertanto esclusa una responsabilità del curatore del fallimento quale soggetto obbligato allo smaltimento dei rifiuti prodotti dal fallito, o quale destinatario degli obblighi ripristinatori di cui al T.U.A., non essendo il curatore né l’autore della condotta di abbandono incontrollato dei rifiuto, né l’avente causa a titolo universale del soggetto inquinatore. Né si può sostenere che, escludendo qualsiasi coinvolgimento della curatela, si finirebbe per trasferire direttamente sulla collettività gli oneri connessi alla gestione dei rifiuti prodotti dall’attività di impresa. Infatti, secondo una giurisprudenza consolidata, se si ammettesse la legittimazione passiva del curatore si determinerebbe un sovvertimento del principio “chi inquina paga”, scaricando i costi su soggetti - i creditori - che non hanno alcun legame con l’inquinamento. Pertanto, quando gli obblighi di bonifica ambientale derivano dallo svolgimento dell’attività di impresa nel periodo antecedente al fallimento, senza che vi sia stata una continuazione dell’attività, un’eventuale ed ipotetica responsabilità della curatela si tradurrebbe in una responsabilità di mera posizione, il che non è conforme al principio “chi inquina paga”. In sostanza, si finirebbe per scaricare i costi connessi alla produzione dei rifiuti e della loro permanenza impropria in loco, su soggetti, quali i creditori, che con l’inquinamento stesso non hanno alcun collegamento, che non hanno concorso alla produzione dei rifiuti e al conseguente inquinamento e che pertanto non possono farsi carico dell’interesse della collettività al loro trattamento e smaltimento.



Pubblicato il 12/03/2021

N. 00207/2021 REG.PROV.COLL.

N. 00160/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 160 del 2019, proposto da
Fallimento M.D. S.r.l. in Liquidazione, in persona del curatore fallimentare pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Andrea Galvani, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio, in Ancona, corso G. Mazzini, 156;

contro

Regione Marche, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Pasquale De Bellis, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso l’Avvocatura Regionale, in Ancona, piazza Cavour, n. 23;
Regione Marche - Dirigente P.F. Valutazioni e Autorizzazioni Ambientali Qualità dell'Aria e Protezione Naturalistica, Agenzia Regionale Protezione Ambiente Marche (ARPAM) - Dipartimento Provinciale Ancona, Agenzia Regionale Protezione Ambiente Marche (ARPAM), non costituiti in giudizio;
Comune di Loreto, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Leonardo Filippucci, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio, in Macerata, via Velluti n. 19;

nei confronti

Fraer Leasing S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Antonio Manuzzi, Silvia Manuzzi, Fabrizio Scortechini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Fabrizio Scortechini, in Ancona, Corso Mazzini, 156;
Emanuela Pietrella, rappresentata e difesa dagli avvocati Stefano Orena, Francesca Lumachini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Soc. Coface Italia - Rappresentanza Generale per l'Italia, Soc. Coface Italia – Rappresentanza Generale per l'Italia - Agenzia Generale Ancona, non costituite in giudizio;
Fallimento Bipiemme PCB S.r.l. in liquidazione, in persona del curatore fallimentare pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Daniele Valeri, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per l'annullamento

previa sospensiva

- del decreto n. 26 del 4/2/2019 con il quale il Dirigente della P.F. Valutazioni ed Autorizzazioni Ambientali Qualità dell'Area e Protezione Naturalistica della Regione Marche ha diffidato, ai sensi dell'art. 29-decies, comma 9, let. a), del D.Lgs. n. 152/2006, la dott.ssa Caterina del Gobbo, in qualità di Curatore Fallimentare della Soc. M.D. S.r.l. in liquidazione ad effettuare, con decorrenza immediata, le attività di messa in sicurezza ivi indicate presso il sito industriale di Loreto, Via Brecce n. 78, Località Villa Musone, nonché ad effettuare sullo stesso sito ulteriori attività sempre descritte nel decreto, con le tempistiche anch'esse indicate;

- del verbale ispettivo dell'ARPAM – Dipartimento Provinciale di Ancona ai sensi dell'art. 29-decies, comma 3, del D.Lgs. n. 152/2006 del 25/9/2018;

- dei verbali di accertamento e contestazione violazione amministrativa n. 5/2017 e n. 19/2017 della Regione Marche ai sensi dell'art. 14 L. 689/1981;

- del decreto di diffida ad adempiere n. 49 del 26/7/2017 del Dirigente della P.F. Valutazioni e Autorizzazioni Ambientali e Protezione Naturalistica della Regione Marche;

- della nota della Regione Marche del 14/6/2017 prot. 564972;

- della nota del Comune di Loreto del 6/2/2019 prot. 3830 avente ad oggetto “diffida ad adempiere il decreto n. 26 del 24/2/2019 della Regione Marche”;

- della nota ARPAM – Dipartimento Provinciale di Ancona del 12/2/2019 prot. 4590 ad oggetto: “D.Lvo 152/06 Parte VI bis art. 318-ter”;

- della nota della Regione Marche – Servizio Tutela Gestione e Assetto del Territorio – P.F. Valutazioni e Autorizzazioni Ambientali del 22/3/2019 avente ad oggetto: “richiesta escussione polizza fideiussoria”;

nonché

di tutti gli atti presupposti, connessi e conseguenti.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Marche, del Comune di Loreto, di Fraer Leasing S.p.A., di Emanuela Pietrella e della curatela del fallimento Bipiemme PCB S.r.l. in liquidazione;

Visti tutti gli atti della causa;

Vista la sentenza parziale 24 gennaio 2020, n. 56;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 febbraio 2021 il dott. Tommaso Capitanio e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. La dott.ssa Caterina del Gobbo, in qualità di curatore fallimentare della società M.D. S.r.l. in liquidazione, impugna:

- il decreto n. 26 del 4 febbraio 2019, con il quale il dirigente della P.F. Valutazioni ed Autorizzazioni Ambientali Qualità dell’Area e Protezione Naturalistica della Regione Marche l’ha diffidata, ai sensi dell’art. 29-decies, comma 9, let. a), del D.Lgs. n. 152/2006, ad effettuare, con decorrenza immediata, le attività di messa in sicurezza ivi indicate presso il sito industriale di Loreto, Via Brecce n. 78, nonché ad effettuare sullo stesso sito, con le tempistiche indicate, ulteriori attività descritte nel decreto;

- il verbale ispettivo dell’ARPAM - Dipartimento Provinciale di Ancona del 25 settembre 2018, redatto ai sensi dell’art. 29-decies, comma 3, del D.Lgs. n. 152/2006;

- i verbali di accertamento e contestazione di violazione amministrativa n. 5/2017 e n. 19/2017 della Regione Marche, redatti ai sensi dell’art. 14 L. n. 689/1981;

- il decreto di diffida ad adempiere n. 49 del 26 luglio 2017 del dirigente della P.F. Valutazioni e Autorizzazioni Ambientali e Protezione Naturalistica della Regione Marche;

- la nota della Regione Marche del 14 giugno 2017, prot. n. 564972;

- la nota del Comune di Loreto del 6 febbraio 2019, prot. n. 3830, avente ad oggetto “Diffida ad adempiere il decreto n. 26 del 24/2/2019 della Regione Marche”;

- la nota ARPAM - Dipartimento Provinciale di Ancona del 12 febbraio 2019, prot. n. 4590 ad oggetto: “D.Lvo 152/06 Parte VI bis art. 318 ter”;

- la nota della Regione Marche - Servizio Tutela Gestione e Assetto del Territorio - P.F. Valutazioni e Autorizzazioni Ambientali del 22 marzo 2019, avente ad oggetto: “richiesta escussione polizza fideiussoria”;

- nonché tutti gli atti presupposti, connessi e conseguenti.

2. In punto di fatto, parte ricorrente espone quanto segue.

2.1. In data 23 ottobre 2008 la società Bipiemme PCB S.r.l. ha venduto alla Società Fraer Leasing il fabbricato artigianale sito in Loreto, Via Brecce n. 78. In pari data, con contratto di leasing immobiliare n. 44959 Fraer Leasing ha concesso in locazione finanziaria all’utilizzatore Bipiemme PCB il suddetto fabbricato, per la durata di 216 mesi, alle condizioni ivi previste.

Successivamente, in data 28 marzo 2012 Bipiemme ha stipulato con la società M.D. un contratto di affitto di azienda, avente ad oggetto l’attività, i macchinari e gli impianti, nonché l’immobile summenzionato; le due società, in data 26 luglio 2013, hanno comunicato a Fraer Leasing la cessione del contratto di locazione finanziaria.

Fraer Leasing e M.D. hanno poi sottoscritto un primo ed un secondo atto aggiuntivo al contratto di locazione finanziaria, finalizzati alla rimodulazione dei canoni periodici e della tempistica contrattuale.

Per problematiche di natura societaria, M.D. ha cessato la propria attività produttiva presso il suddetto stabilimento nel secondo semestre del 2016, come da visura della società allegata al ricorso e dichiarazioni del liquidatore.

M.D. S.r.l. è stata posta in liquidazione in data 21 novembre 2016, per poi essere dichiarata fallita dal Tribunale di Ancona con sentenza n. 8/17 del 27 gennaio 2017, con cui è stata disposta la nomina, quale curatore, della dott.ssa Caterina del Gobbo.

2.2. M.D. era titolare di autorizzazione integrata ambientale n. 1/VAA08 del 7 gennaio 2008, inizialmente rilasciata a Bipiemme PCB S.r.l. e successivamente volturata a favore di M.D. con decreto n. 82 del 25 luglio 2012.

M.D. ha presentato domanda di rinnovo della citata autorizzazione integrata ambientale, evasa favorevolmente dalla Regione Marche con decreto n. 28/VAA del 4 marzo 2014. L’A.I.A. riguarda l’attività di cui al punto 2.6 dell’allegato VIII alla parte II del D.Lgs. n. 152/2006 (“trattamento delle superfici di metalli e materie plastiche mediante processi elettrolitici o chimici”).

Al riguardo parte ricorrente evidenzia sin d’ora che la curatela non ha chiesto né è stata autorizzata all’esercizio provvisorio dell’attività, ha sospeso l’esecuzione dei contratti in essere per poi procedere, in data 28 marzo 2017, alla comunicazione di recesso dal contratto di affitto d’azienda e, in data 10 ottobre 2017, alla riconsegna dell’azienda medesima nonché di un appezzamento pertinenziale dell’immobile alla curatela del fallimento Bipiemme (infatti anche Bipiemme, nel frattempo, era stata dichiarata fallita). Il Giudice Delegato ha anche accolto, in data 3 ottobre 2017, la domanda di rivendica e restituzione dell’immobile proposta da Fraer Leasing nei riguardi della curatela del fallimento M.D.

2.3. Con decreto n. 49 del 26 luglio 2017, il dirigente della P.F. Valutazioni ed Autorizzazioni Ambientali e Protezione Naturalistica della Regione Marche ha diffidato la società M.D. in liquidazione, il curatore fallimentare e il liquidatore della società, sig.ra Emanuela Pietrella, alla trasmissione all’autorità competente, al Comune di Loreto e all’ARPAM degli esiti degli autocontrolli effettuati nel corso dell’anno 2016, secondo quanto disposto con il decreto A.I.A. n. 28/2014.

In data 31 luglio 2017, il curatore trasmetteva alla Regione un estratto della sentenza di fallimento e la comunicazione relativa al MUD 2017, evidenziando già in quell’occasione l’insussistenza di oneri a suo carico. Con mail del 3 agosto 2017 il liquidatore della società rendeva noto alla Regione che altri dati relativi alle attività di controllo erano inseriti nel link dropbox, al quale l’autorità competente era autorizzata ad accedere.

Ritenendo non completa la documentazione relativa agli autocontrolli previsti dall’A.I.A., la Regione Marche ha notificato i verbali di accertamento e constatazione di violazioni amministrative n. 5/17 e n. 19/17.

Il 12 febbraio 2018 si è tenuto presso il Comune di Loreto un tavolo tecnico tra tutte le parti interessate. In particolare, come risulta dal relativo verbale, il curatore fallimentare faceva presente di essersi adoperata, con la collaborazione del liquidatore sig.ra Pietrella, sin dalle prime richieste del luglio 2017 per fornire alla Regione Marche tutta la documentazione relativa agli autocontrolli, ma evidenziava nel contempo come “…la Curatela Fallimentare non possa essere destinataria, a titolo di responsabilità di posizione, di diffide ed ordinanze dirette alla tutela dell’ambiente per effetto del precedente comportamento omissivo o commissivo dell’impresa fallita. Ciò in quanto il Curatore non è né un rappresentante né un sostituto del fallito né subentra nella sua posizione giuridica…”.

In data 25 settembre 2018 l’ARPAM - Dipartimento Provinciale di Ancona ha dato corso ad una visita ispettiva presso l’azienda, redigendo alla fine il relativo verbale di ispezione. In quella occasione, la sig.ra Pietrella, in qualità di liquidatore della società M.D., ha dichiarato che tutti gli impianti e i macchinari relativi all’azienda erano stati riconsegnati a Bipiemme, nella persona del curatore fallimentare dott.ssa Giancarla Magnaterra, e da quest’ultima rimossi. Si è anche verbalizzato l’impegno delle parti intervenute a trasmettere la documentazione sul punto e a fornire quella relativa allo smaltimento dei rifiuti.

2.4. Si giunge così all’impugnato decreto n. 26/2019, con il quale la Regione Marche ha diffidato (esclusivamente) la dott.ssa Del Gobbo, in qualità di curatore del fallimento della società M.D. S.r.l. in liquidazione, ad effettuare, ex art. 29-decies, comma 9, let. a), del D.Lgs. n. 152/2006, le attività di messa in sicurezza del sito indicate nel provvedimento.

Sempre ai sensi della citata noma del T.U.A., la dott.ssa Del Gobbo è stata anche invitata a smaltire i materiali presenti nelle vasche interrate di depurazione e nelle vasche A), B) e C) site nelle aree di stoccaggio e di smaltire i rifiuti stoccati all’interno del capannone, con le tempistiche ivi indicate e dando completa attuazione, entro il 30 giugno 2019, alle attività di messa in sicurezza e ripristino ambientale approvate con decreto n. 28 del 4 marzo 2014.

Con nota del 6 febbraio 2019, il Comune di Loreto, visto il decreto regionale n. 26/2019, ha diffidato il curatore, per le stesse motivazioni esposte nel provvedimento regionale, “…ad effettuare con decorrenza immediata tutte le attività di messa in sicurezza ivi contenute…”.

Quindi, l’ARPAM - Dipartimento Provinciale di Ancona, con nota del 12 febbraio 2019, nel riportare il contenuto del verbale di sopralluogo del 25 settembre 2018, ha riassunto le violazioni e le ipotesi di reato riscontrate, con le relative motivazioni e con l’indicazione del curatore dott.ssa Del Gobbo come persona cui risulterebbe attribuibile il fatto, ha ipotizzato il reato di cui all’art. 192, comma 1, e all’art. 183 del D.Lgs. n. 152/2006 e, “…allo scopo di eliminare la contravvenzione accertata e far cessare eventuali situazioni di pericolo ovvero la prosecuzione di attività potenzialmente pericolose ai sensi dell’art. 318 ter D.Lvo 152/06…”, ha inviato, in allegato, alla Procura della Repubblica di Ancona e al curatore, il verbale di prescrizione n. 2019-02 STER.

Da ultimo, la Regione Marche, con nota del 22 marzo 2019, ha tentato l’escussione della polizza fideiussoria a suo tempo costituita da M.D. a garanzia degli obblighi assunti in sede di rilascio dell’A.I.A.

3. La curatela fallimentare di M.D. censura gli atti e provvedimenti riepilogati al precedente § 1 per i seguenti motivi:

a) illegittimità per violazione di legge ed eccesso di potere. Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 152/2006 (artt. 5, 29-decies, 188, 191, 192, 193, 242 e ss., 318-bis e ter) e degli artt. 31, 42, 44 del R.D. n. 267/1942 (l.fall.). Eccesso di potere per travisamento ed erroneità dei presupposti. Sviamento. Ingiustizia ed illogicità manifesta. Irrazionalità. Violazione art. 97 Cost. Difetto di istruttoria e di motivazione. Difetto di legittimazione passiva. Illegittimità propria e derivata.

Con questo unico ed articolato motivo, parte ricorrente evidenzia quanto segue.

a.1). La Regione, come emerge dal documento istruttorio allegato al decreto n. 26/2019, ha ritenuto di individuare esclusivamente nella curatela fallimentare di M.D. il destinatario degli ordini ivi impartiti ex art. 29-decies, comma 9, let. a), del D.Lgs. n. 152/2006, “…perché il Curatore del fallimento ha l’amministrazione del patrimonio fallimentare come previsto dall’art. 31 della Legge Fallimentare”. A supporto di tale assunto si richiama la sentenza del Consiglio di Stato n. 3672/2017 (recante la conferma della sentenza del TAR Marche n. 290/2016), laddove si afferma che “…la Curatela è nominalmente titolare dell’autorizzazione AIA rilasciata alla società e sono ancora valide le prescrizioni di questa, che prima del fallimento valevano nei confronti dei liquidatori giudiziali; di conseguenza la Curatela è obbligata a quanto stabilito nell’impugnata diffida regionale…”.

Tali assunti sono però infondati, visto che nella specie: la titolarità dell’A.I.A. era ed è sempre rimasta in capo ad M.D.; l’attività di quest’ultima è cessata in epoca antecedente alla declaratoria del fallimento e non è mai più ripresa; il curatore non è stato autorizzato all’esercizio provvisorio dell’impresa; i rifiuti per cui è causa erano presenti sul sito ben prima della dichiarazione del fallimento di M.D. (né la Regione afferma che altri se ne siano potuti aggiungere successivamente alla dichiarazione di fallimento, il che, peraltro, sarebbe stato impossibile vista la cessazione dell’attività); l’azienda, i beni e quanto ivi presente sono stati restituiti ai legittimi proprietari.

a.2.) L’art. 29-decies del T.U. n. 152/2006, al comma 9, let. a), prevede che “In caso di inosservanza delle prescrizioni autorizzatorie o di esercizio in assenza di autorizzazione, ferma restando l'applicazione delle sanzioni e delle misure di sicurezza di cui all'articolo 29-quattuordecies, l’autorità competente procede secondo la gravità delle infrazioni:

a) alla diffida, assegnando un termine entro il quale devono essere eliminate le inosservanze, nonchè un termine entro cui, fermi restando gli obblighi del gestore in materia di autonoma adozione di misure di salvaguardia, devono essere applicate tutte le appropriate misure provvisorie o complementari che l’autorità competente ritenga necessarie per ripristinare o garantire provvisoriamente la conformità”.

Tale disposizione nonché tutto l’impianto dell’art. 29-decies individuano dunque il “gestore” quale soggetto tenuto all’adozione delle misure necessarie a ripristinare la conformità dell’impianto alle prescrizioni degli atti autorizzatori. Questo perché è il gestore che detiene o gestisce nella sua totalità o in parte l’installazione o l’impianto ovvero che dispone di un potere economico determinante sull’esercizio tecnico dei medesimi, in particolare ai sensi dell’art. 5, comma 1, lett. r-bis), del T.U.A.

a.3.) Secondo la Regione, nella specie la qualifica di “gestore” spetterebbe al curatore fallimentare in quanto egli sarebbe il titolare nominale dell’A.I.A. rilasciata a suo tempo alla società fallita. Questo presupposto è però fallace, visto che l’A.I.A. non è entrata nella titolarità della curatela fallimentare. Infatti, come risulta dagli atti di causa, con decreto n. 28/2014 l’A.I.A. è stata rinnovata, con aggiornamenti, a nome della richiedente M.D., che è quindi titolare dell’autorizzazione e soggetto gestore dell’impianto. La scansione temporale delle vicende che hanno dapprima portato alla messa in liquidazione della società e in seguito al suo fallimento consentono di affermare che il curatore non è mai subentrato ai legali rappresentanti di M.D. nell’esercizio dell’attività oggetto di A.I.A., perché la cessazione dell’attività di impresa è intervenuta in epoca precedente alla declaratoria di fallimento e non è mai stato né richiesto né tantomeno autorizzato l’esercizio provvisorio. Da ciò consegue l’impossibilità di configurare il curatore fallimentare quale successore nella titolarità dell’A.I.A.

a.4.) La responsabilità del curatore è stata affermata dalla Regione anche per il fatto che questi avrebbe l’amministrazione del patrimonio societario (e quindi anche dell’impianto sito in Loreto, ove si svolgeva l’attività in questione) in quanto subentrato al fallito. Anche questo presupposto è però errato, visto che l’azienda e l’impianto produttivo non erano (e quindi non sono) di proprietà della società fallita ma di soggetti terzi, e precisamente di Bipiemme PCB (poi anch’essa fallita) per quanto attiene l’azienda ed alcune aree pertinenziali (distinte al catasto al foglio 10, particelle 11, 138 e 143), e di Fraer Leasing S.p.A. per quanto riguarda l’immobile (identificato al foglio 10, particelle 139, 140 e 145).

Sia il contratto di affitto d’azienda sia il contratto di leasing, ai sensi dell’art. 72 l. fall., sono stati sospesi a seguito della sentenza di fallimento e il curatore non ha mai dichiarato la volontà di subentrare in detti rapporti contrattuali (al contrario, in data 28 marzo 2017 ha comunicato il recesso dal contratto di affitto d’azienda). L’azienda è stata poi restituita dalla curatela odierna ricorrente alla curatela del fallimento Bipiemme PCB.

Ne discende che il sito contaminato non è entrato mai a far parte dell’attivo fallimentare e non rappresenta quindi, a differenza di quanto sostenuto dalla Regione Marche, un bene appartenente al patrimonio fallimentare, proprio perché non è nella titolarità della società fallita. Questo è tanto vero che l’immobile non è stato mai inserito né nell’inventario né nel programma di liquidazione, e che la sentenza di fallimento non è stata trascritta proprio perché non riguardava beni immobili.

a.5.) Né si può ritenere (in assenza di condotte attive poste in essere dal curatore del fallimento che lo qualifichino quale produttore iniziale dei rifiuti) che il curatore possa essere astrattamente chiamato a rispondere di abbandono di rifiuti in quanto “successore” del fallito che quei rifiuti aveva prodotto. Il curatore del fallimento non è infatti un rappresentante ovvero un successore del fallito, ma un terzo che subentra nell’amministrazione del patrimonio di quest’ultimo per l’esercizio di poteri che gli sono conferiti dalla legge.

La società dichiarata fallita conserva infatti la propria soggettività giuridica e rimane titolare del proprio patrimonio, perdendone la facoltà di disposizione e subendo la caratteristica vicenda dello spossessamento.

Il curatore, quale ausiliario del Giudice Delegato, è chiamato a svolgere un munus pubblico a tutela soprattutto della par condicio creditorum, ma non subentra negli obblighi facenti capo all’impresa fallita e non è tenuto all’adempimento dei doveri derivanti dalla responsabilità dell’impresa medesima. Diversamente opinando, si affermerebbe una legittimazione passiva della curatela oltre i limiti che contraddistinguono l’assolvimento degli obblighi che la connotano.

a.6.) Pertanto, il richiamo operato dalla Regione all’art. 31 l.fall., e cioè al fatto che alla curatela sia affidata l’amministrazione del patrimonio del fallito, non può certo comportare che sul curatore incomba l’adempimento di obblighi facenti carico originariamente all’imprenditore poi fallito. Se il curatore “ereditasse” la posizione del fallito succedendovi, allora allo stesso dovrebbe applicarsi lo stesso “statuto” che la legge riserva al proprietario.

Ma se il curatore non succede nella posizione del fallito, come è indubbio, allora la posizione del primo va valutata sulla scorta di ciò che prescrive la legge quanto alla posizione del medesimo. E in materia opera il consolidato principio secondo il quale il curatore del fallimento, pur potendo subentrare in specifiche posizioni negoziali del fallito (art. 72 l.fall.), in via generale non è rappresentante, né successore del fallito, ma soggetto terzo che amministra il patrimonio per l’esercizio di poteri conferitigli dalla legge.

a.7.) Il curatore del fallimento, poi, non può nemmeno essere qualificato come “produttore-proprietario” dei rifiuti, o come “detentore qualificato” (in caso di mancata inventariazione o abbandono dei rifiuti) ai sensi dell’art. 188 T.U.A., né come “altro detentore”.

La qualifica di “produttore-proprietario” va esclusa alla luce delle considerazioni di ordine temporale riferite all’epoca in cui M.D. ha cessato definitivamente l’attività, nonché del fatto che il curatore non è mai stato autorizzato all’esercizio dell’attività.

Ma nemmeno si può qualificare il curatore come “detentore” dei rifiuti, visto che, ai sensi della direttiva 2008/98/CE: il “detentore” di rifiuti è “il produttore dei rifiuti o la persona fisica o giuridica che ne è in possesso”; ai sensi dell’art. 14, paragrafo 1, “Secondo il principio «chi inquina paga», i costi della gestione dei rifiuti sono sostenuti dal produttore iniziale o dai detentori del momento o dai detentori precedenti dei rifiuti”; gli Stati membri sono stati obbligati ad adottare “…le misure necessarie per garantire che ogni produttore iniziale o altro detentore di rifiuti provveda personalmente al loro trattamento oppure li consegni ad un commerciante o ad un ente o a un’impresa che effettua le operazioni di trattamento dei rifiuti o ad un soggetto addetto alla raccolta dei rifiuti pubblico o privato in conformità degli articoli 4 e 13”.

Analoghe previsioni sono contenute nel T.U. n. 152/2006.

L’art. 31, comma 1, del R.D. n. 267/1942 dispone che il curatore fallimentare “…ha l’amministrazione del patrimonio fallimentare e compie tutte le operazioni della procedura sotto la vigilanza del giudice delegato e del comitato dei creditori, nell’ambito delle funzioni ad esso attribuite”.

Alla luce di tali disposizioni si potrebbe ritenere che il curatore fallimentare, essendo in possesso dei rifiuti, è il “detentore dei rifiuti” come definito dalla normativa europea; quindi, il curatore potrebbe essere chiamato a rispondere di abbandono di rifiuti prodotti (non da lui ma) dal fallito.

a.8.) Tale prospettazione, però, non si attaglia al caso di specie, visto che:

- in primo luogo, manca l’elemento fattuale decisivo, ossia la materiale detenzione dei rifiuti (visto che il compendio aziendale di M.D. non è mai entrato nella disponibilità del curatore);

- l’argomento non è nemmeno condivisibile in punto di diritto. Infatti, conformemente a quanto ritenuto da recente giurisprudenza, il curatore, pur avendo l’amministrazione del patrimonio fallimentare, non può tuttavia essere considerato un “detentore di rifiuti” ai sensi dell’art. 3, paragrafo 1, n. 6), della direttiva 2008/98/CE e dell’art. 183, comma 1, let. h), D.Lgs. n. 152/2006. Infatti, come osservato dalla Corte di Giustizia U.E. nella sentenza n. 534 del 4 marzo 2015, il principio “chi inquina paga” osta ad una normativa nazionale che imponga ai singoli costi per lo smaltimento dei rifiuti che non si fondino su un ragionevole legame con la produzione dei rifiuti medesimi e quindi a soggetti estranei alla stessa produzione.

a.9.) I rifiuti, peraltro, sono, per le loro qualità intrinseche, beni di “valore negativo”, ossia beni che non attribuiscono alcuna utilità alla massa dei creditori e che, al contrario, onerano la curatela del fallimento dei costi di stoccaggio, trattamento e smaltimento, previo conferimento a titolo oneroso a soggetto a ciò abilitato. E infatti la giurisprudenza amministrativa esclude che i rifiuti prodotti dall’imprenditore fallito costituiscano beni da acquisire alla procedura fallimentare per cui, a fronte dell’abbandono degli stessi, nessun ordine di ripristino può essere imposto alla curatela fallimentare.

La sentenza del Consiglio di Stato n. 3672/2017, richiamata dalla Regione, si riferisce a vicenda differente da quella che odiernamente è sottoposta all’esame del T.A.R., visto che in quel caso la titolarità del sito inquinato era in capo alla società fallita e che erano disponibili in bilancio le somme necessarie per l’esecuzione degli interventi di ripristino e messa in sicurezza. La decisione peraltro è stata superata dalla successiva sentenza Consiglio di Stato n. 5668/2017, relativa a vicenda esattamente sovrapponibile a quella odierna.

a.10) Da tutto quanto sopra esposto discende che la curatela fallimentare non può essere destinataria, a titolo di responsabilità di posizione, di ordinanze sindacali dirette alla tutela dell’ambiente e alla messa in sicurezza di siti contaminati, per effetto del precedente comportamento omissivo o commissivo dell'impresa fallita, non subentrando la curatela negli obblighi strettamente correlati alla responsabilità del fallito e non sussistendo, per tal via, alcun dovere del curatore di adottare particolari comportamenti attivi, finalizzati alla tutela sanitaria degli immobili destinati alla bonifica da fattori inquinanti. E’ pertanto esclusa una responsabilità del curatore del fallimento quale soggetto obbligato allo smaltimento dei rifiuti prodotti dal fallito, o quale destinatario degli obblighi ripristinatori di cui al T.U.A., non essendo il curatore né l’autore della condotta di abbandono incontrollato dei rifiuto, né l’avente causa a titolo universale del soggetto inquinatore.

a.11.) Né si può sostenere che, escludendo qualsiasi coinvolgimento della curatela, si finirebbe per trasferire direttamente sulla collettività gli oneri connessi alla gestione dei rifiuti prodotti dall’attività di impresa. Infatti, secondo una giurisprudenza consolidata, se si ammettesse la legittimazione passiva del curatore si determinerebbe un sovvertimento del principio “chi inquina paga”, scaricando i costi su soggetti - i creditori - che non hanno alcun legame con l’inquinamento. Pertanto, quando gli obblighi di bonifica ambientale derivano dallo svolgimento dell’attività di impresa nel periodo antecedente al fallimento, senza che vi sia stata una continuazione dell’attività, un’eventuale ed ipotetica responsabilità della curatela si tradurrebbe in una responsabilità di mera posizione, il che non è conforme al principio “chi inquina paga”. In sostanza, si finirebbe per scaricare i costi connessi alla produzione dei rifiuti e della loro permanenza impropria in loco, su soggetti, quali i creditori, che con l’inquinamento stesso non hanno alcun collegamento, che non hanno concorso alla produzione dei rifiuti e al conseguente inquinamento e che pertanto non possono farsi carico dell’interesse della collettività al loro trattamento e smaltimento.

a.12.) L’ordinanza del 6 febbraio 2019 con la quale il Sindaco di Loreto, per le ragioni contenute nel decreto regionale, ha ordinato al curatore di provvedere alla bonifica si appalesa illegittima anzitutto in via derivata, e in secondo luogo per violazione dell’art. 192 T.U.A. (non avendo il Comune svolto alcuna istruttoria finalizzata ad individuare il responsabile dell’inquinamento).

Né sono state rappresentate situazioni di pericolo o di danno per la salute tali da giustificare, ai sensi dell’art. 29-decies, comma 10, del T.U.A., l’adozione di misure di salvaguardia ai sensi dell'articolo 217 del R.D. n. 1265/1934.

a.13.) Stesse considerazioni valgono nei confronti della nota adottata dall’ARPAM ai sensi degli artt. 318 e ss. del T.U.A., la quale si appalesa illegittima tanto in via propria quanto in via derivata.

a.14.) Illegittima è anche la nota del 22 marzo 2019 con la quale la P.F. Valutazioni e Autorizzazioni Ambientali della Regione Marche ha azionato l’escussione della polizza fideiussoria stipulata a suo tempo da Bipiemme PCB S.r.l. (e poi volturata in favore di M.D.) a garanzia del corretto assolvimento degli obblighi previsti nell’A.I.A. L’illegittimità risiede nel fatto che anche l’escussione presuppone la legittimazione passiva del curatore del fallimento M.D., per cui, essendo errato il presupposto, l’atto conseguenziale è illegittimo in via derivata.

4. Si sono costituiti in giudizio la Regione Marche, il Comune di Loreto, la curatela del Fallimento Bipiemme, la sig.ra Emanuela Pietrella e Fraer Leasing, i quali hanno assunto posizioni diversificate rispetto alle tesi di parte ricorrente.

Nello specifico, mentre le amministrazioni pubbliche resistenti hanno chiesto il rigetto del ricorso, le parti private hanno così argomentato:

- la curatela del fallimento Bipiemme si è associata alle tesi di parte ricorrente, evidenziando l’assimilabilità della propria posizione a quella della curatela del fallimento M.D.;

- Fraer Leasing ha invece evidenziato la propria estraneità a qualsiasi addebito, visto che essa è proprietaria solo di una parte del compendio immobiliare de quo e non ha ovviamente mai svolto alcuna attività nel sito. Fraer Leasing ritiene comunque legittima la pretesa della Regione di escutere la cauzione costituita da M.D. ai fini del rilascio dell’AIA;

- la sig.ra Pietrella, nella sua qualità di liquidatore di M.D., dopo aver ripercorso gli eventi che hanno portato alla dichiarazione di fallimento della società e rimarcato le attività poste in essere nella fase della liquidazione, chiede invece il rigetto del ricorso.

5. Con sentenza “breve” parziale n. 56/2020 il Tribunale ha dichiarato il ricorso inammissibile per difetto di giurisdizione nella parte in cui la curatela ha impugnato le prescrizioni impostele dall’ARPAM ai sensi dell’art. 318-ter del T.U.A., fissando per la trattazione delle altre domande la pubblica udienza del 21 ottobre 2020.

In quella sede, poiché era imminente la pubblicazione della decisione dell’Adunanza Plenaria sull’ordinanza di rimessione adottata dalla Sez. IV (n. 5454/2020, relativa alla odierna problematica), il Collegio aveva suggerito alle parti l’utilità di differire la trattazione della causa ad un’udienza successiva, non riscontrando obiezioni o riserve.

La trattazione del ricorso era stata dunque differita alla pubblica udienza del 10 febbraio 2021. In vista di tale udienza solo la curatela del fallimento Bipiemme e la Regione Marche hanno ritenuto di depositare una memoria difensiva. In particolare, la curatela Bipiemme, con la memoria del 4 febbraio 2021, ha preso posizione sulla sentenza n. 3 del 2021 dell’Adunanza Plenaria (della quale si darà conto amplius nei paragrafi successivi), illustrando le ragioni per le quali le conclusioni del massimo organo della Giustizia Amministrativa non sarebbero nella specie applicabili a sfavore della curatela del fallimento M.D.

Le altre parti hanno rinviato alla discussione orale le rispettive difese.

DIRITTO

6. Tutto ciò premesso, per la parte non definita con la sentenza parziale n. 56/2020 il ricorso va respinto.

Al riguardo si deve anzitutto precisare che, a prescindere dalla palese tardività in parte qua della domanda impugnatoria, il rigetto si estende anche agli analoghi provvedimenti adottati dalla Regione nel 2017 a carico della curatela M.D., visto che essi hanno il medesimo contenuto dispositivo del decreto n. 26/2019.

7. Prima di passare a trattare il merito del ricorso, il Collegio ritiene di dover operare alcune premesse, anche di natura processuale.

7.1. In primo luogo va evidenziata l’irrilevanza ai fini della presente decisione dei provvedimenti adottati medio tempore dal Giudice Delegato del fallimento M.D. e/o dal Tribunale Fallimentare di Ancona con i quali al curatore dott.ssa Del Gobbo è stato vietato di dare attuazione alle prescrizioni imposte dalla Regione e/o dal Comune di Loreto e/o dall’ARPAM con gli atti impugnati (o, comunque, non è stata concessa l’autorizzazione ad operare).

In effetti, la vis espansiva che caratterizza gli istituti concorsuali non può dare luogo ad una situazione in cui il G.D. e/o il Tribunale Fallimentare si ingeriscano in contenziosi pendenti davanti ad altro plesso giurisdizionale (sul punto si veda la sentenza di questo Tribunale n. 419/2020) o, addirittura, vengano di fatto a svolgere un ruolo di amministrazione attiva.

Se è vero, infatti, che il giudice civile e quello penale sono abilitati a disapplicare provvedimenti amministrativi che vengano in rilievo nel processo che si sta celebrando davanti ad essi, è altrettanto vero che i predetti giudici tanto possono fare ai soli fini della decisione della causa civile o del giudizio penale e non già adottando decisioni di natura costitutiva aventi ad oggetto i provvedimenti medesimi (salvo che non si tratti di fattispecie in cui la legge attribuisce al giudice ordinario una giurisdizione esclusiva). In sede penale, ad esempio, l’illegittimità di un provvedimento amministrativo può essere accertata incidentalmente dal giudice per stabilire se è stato commesso il reato di cui all’art. 650 c.p.

Pertanto, i provvedimenti del G.D. e/o del Tribunale fallimentare di cui ha dato conto parte ricorrente rilevano certamente al fine di mandare esente il curatore da responsabilità civile, penale o funzionale, ma non anche per esonerarlo automaticamente dall’obbligo di dare esecuzione a provvedimenti amministrativi che il giudice munito di giurisdizione abbia ritenuto legittimi. D’altro canto, a voler opinare diversamente non si comprenderebbe nemmeno la ragione per la quale il curatore abbia proposto il presente ricorso, visto che sarebbe stato molto più agevole contestare incidentalmente gli atti di cui al § 1 davanti al Giudice fallimentare.

7.2. Da un punto di vista generale, va poi operata una riflessione più profonda (che in fondo permea anche la sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 3 del 2021) circa la supposta primazia del diritto fallimentare su tutti gli altri settori e istituti dell’ordinamento.

In effetti, le disposizioni di cui al R.D. n. 267/1942 e s.m.i. sono finalizzate, nel loro complesso, a garantire principalmente la par condicio creditorum, ossia a tutelare - ma unicamente sotto il profilo della parità di trattamento e tenendo anche conto delle cause di prelazione legale previste in favore di alcune categorie di creditori - interessi di soggetti che agiscono iure privatorum, ma dei quali il legislatore ha ritenuto di doversi occupare in ragione della rilevanza generale che assumono le situazione di crisi delle imprese che sfociano nel fallimento o negli altri istituti concorsuali, nonché al fine di inibire condotte predatorie o elusive da parte del fallito nei confronti dei creditori e/o di alcuni creditori a danno degli altri. Negli ultimi anni, poi, l’attenzione del legislatore nazionale è aumentata anche in relazione agli indirizzi assunti dalle istituzioni comunitarie, improntati ad un chiaro favor per l’applicazione di misure quanto più possibile “conservative” nei riguardi delle imprese che versano in situazione di crisi ma che dimostrano di possedere concrete potenzialità di ripresa (sul punto si veda l’ordinanza di rinvio pregiudiziale n. 188/2016 di questo Tribunale).

Ma ciò non implica che, per tutto quanto concerne il rispetto e l’osservanza di leggi, regolamenti e atti amministrativi, l’impresa dichiarata fallita (e per essa la curatela che ex lege è deputata alla gestione della fase liquidatoria) benefici di una sostanziale “immunità”, la quale non sarebbe in alcun modo giustificata.

Analogo discorso è a farsi, in generale, per tutti gli istituti privatistici che vengono in rilievo nel presente giudizio.

In effetti, come si è visto nell’esposizione in fatto, nella specie esistono ulteriori complicazioni dovute alla circostanza per cui tanto Bipiemme quanto M.D. non erano proprietarie degli immobili in cui veniva svolta l’attività di impresa, e questo in ragione dell’avvenuta stipula di contratti di leasing con Fraer Leasing e REV-Gestione Crediti S.p.A. Ora, è noto che il leasing costituisce ormai da molti decenni uno strumento - alternativo al tradizionale mutuo fondiario - ampiamente utilizzato dagli imprenditori per acquisire la disponibilità degli immobili aziendali, ma anche in questo caso va evidenziata l’irrilevanza, rispetto agli obblighi previsti dal T.U. n. 152/2006 e dai provvedimenti autorizzativi da esso discendenti, dei meccanismi privatistici che disciplinano i rapporti fra l’imprenditore-utilizzatore e il concedente-finanziatore. A voler opinare diversamente si consentirebbe la facile elusione degli obblighi previsti dal T.U.A. e/o dall’A.I.A., in quanto:

- l’imprenditore (o, dopo la dichiarazione di fallimento, la curatela) non risponderebbe in quanto non proprietario degli immobili oggetto degli interventi di messa in sicurezza, ripristino, bonifica, etc.;

- il concedente non risponderebbe in quanto non ha concorso a determinare l’inquinamento e/o l’abbandono di rifiuti, né ha assunto tutti gli altri impegni connessi indicati nell’A.I.A.

In realtà, spetterebbe al legislatore farsi carico di prevedere ben precise modalità di raccordo fra le indiscutibili esigenze avute presenti dalla normativa speciale sulla c.d. crisi di impresa e le altrettanto rilevanti esigenze di natura pubblicistica sottese al D.Lgs. n. 152/2006, e ciò anche in ragione del fatto che tutte le norme della Parte Seconda, Titolo III-bis, e molte di quelle della Parte Quarta, Titolo I, Capo I, del T.U.A. riguardano le imprese industriali. Nell’attesa di tale intervento, il giudice amministrativo non può che limitarsi a conoscere della legittimità dei provvedimenti amministrativi che in qualche modo “interferiscono” con le procedure concorsuali in atto applicando le norme e i principi che disciplinano l’attività della P.A.

7.3. Da ultimo, è necessario ricordare che la legittimità di un provvedimento deve essere valutata in base allo stato di fatto e di diritto esistenti al momento della sua adozione, di talché non rilevano le vicende relative alla sorte del compendio aziendale nel quale M.D. svolgeva l’attività di impresa di cui le parti private hanno dato ampio conto con le produzioni documentali del 29 novembre 2019, del 14 gennaio 2020, del 16 gennaio 2020 e del 22 settembre 2020. A tal riguardo va anche evidenziato che alcuni degli atti intervenuti medio tempore risentono in maniera evidente delle questioni dibattute in questo giudizio (si vedano, ad esempio, il verbale di riconsegna del 28 novembre 2019, nel quale tutte le parti intervenute hanno tenuto ad evidenziare la propria estraneità agli obblighi discendenti dall’A.I.A. di cui era titolare M.D. oppure la rinuncia del curatore a vendere alcuni beni del fallimento M.D. e la successiva restituzione al debitore - si tratta, rispettivamente, del documento allegato A al deposito Bipiemme del 29 novembre 2019 e dei documenti depositati dalla curatela M.D. l’8 settembre 2020) e in questo senso non sono “genuini”.

Ad ogni modo, tali vicende potrebbero semmai assumere rilevanza in sede di esecuzione dei provvedimenti impugnati (anche alla luce del noto broccardo factum infectum fieri nequit), ma si tratta di un problema che non è necessario affrontare in questa sede.

Al riguardo va aggiunto che, come condivisibilmente statuito dal Consiglio di Stato (si veda il § 2.2.1. della sentenza n. 5668/2017), nel caso in cui le condotte rilevanti ai sensi del T.U.A. siano astrattamente ascrivibili a più soggetti, non è di per sé illegittima la decisione dell’amministrazione competente di agire separatamente e in tempi diversi nei riguardi di ciascuno dei responsabili (i quali, laddove sopportino costi superiori a quelli che discendono dalla rispettiva porzione di responsabilità, hanno peraltro la facoltà di agire in regresso verso gli altri coobbligati).

8. Passando invece a trattare del profilo centrale della controversia, il Collegio evidenzia quanto segue.

8.1. Si già accennato supra al fatto che, in data 26 gennaio 2021, è stata pubblicata la sentenza n. 3/2021 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, la quale ha affermato il seguente principio di diritto “…ricade sulla curatela fallimentare l’onere di ripristino e di smaltimento dei rifiuti di cui all’art. 192 d.lgs. n. 152-2006 e i relativi costi gravano sulla massa fallimentare…”, e questo ha fatto dopo aver precisato che:

“…deve escludersi che il curatore possa qualificarsi come avente causa del fallito nel trattamento di rifiuti, salve, ovviamente le ipotesi in cui la produzione dei rifiuti sia ascrivibile specificamente all’operato del curatore, non dando vita il Fallimento ad alcun fenomeno successorio sul piano giuridico.

Sempre in via preliminare va evidenziato che, per risolvere la questione in esame, non appare pertinente il richiamo al principio di diritto enunciato dalla sentenza di questa Adunanza plenaria n. 10 del 2019 […]

Sotto i profili appena evidenziati deve ritenersi, pertanto, esclusa una responsabilità del curatore del fallimento, non essendo il curatore né l’autore della condotta di abbandono incontrollato dei rifiuti, né l’avente causa a titolo universale del soggetto inquinatore, posto che la società dichiarata fallita conserva la propria soggettività giuridica e rimane titolare del proprio patrimonio, attribuendosene la facoltà di gestione e di disposizione al medesimo curatore…”;

- “…La questione posta all’esame di questa Adunanza plenaria consiste nello stabilire se, a seguito della dichiarazione di fallimento, perdano giuridica rilevanza gli obblighi cui era tenuta la società fallita ai sensi dell’art. 192 sopra riportato.

Ritiene l’Adunanza che la presenza dei rifiuti in un sito industriale e la posizione di detentore degli stessi, acquisita dal curatore dal momento della dichiarazione del fallimento dell’impresa, tramite l’inventario dei beni dell’impresa medesima ex artt. 87 e ss. L.F., comportino la sua legittimazione passiva all’ordine di rimozione.

Nella predetta situazione, infatti, la responsabilità alla rimozione è connessa alla qualifica di detentore acquisita dal curatore fallimentare non in riferimento ai rifiuti (che sotto il profilo economico a seconda dei casi talvolta si possono considerare ‘beni negativi’), ma in virtù della detenzione del bene immobile inquinato (normalmente un fondo già di proprietà dell’imprenditore su cui i rifiuti insistono e che, per esigenze di tutela ambientale e di rispetto della normativa nazionale e comunitaria, devono essere smaltiti).

Conseguentemente, ad avviso dell’Adunanza, l'unica lettura del decreto legislativo n. 152 del 2006 compatibile con il diritto europeo, ispirati entrambi ai principi di prevenzione e di responsabilità, è quella che consente all’Amministrazione di disporre misure appropriate nei confronti dei curatori che gestiscono i beni immobili su cui i rifiuti prodotti dall'impresa cessata sono collocati e necessitano di smaltimento…”.

Nei successivi passaggi della sentenza, l’Adunanza Plenaria:

- illustra le ragioni per le quali “…appare giustificato e coerente con tale impostazione ritenere che i costi derivanti da tali esternalità di impresa ricadano sulla massa dei creditori dell’imprenditore stesso che, per contro, beneficiano degli effetti dell’ufficio fallimentare della curatela in termini di ripartizione degli eventuali utili del fallimento…”;

- considera irrilevanti, ai fini dell’affermazione della legittimazione passiva della curatela, circostanze di fatto, quali ad esempio la situazione di incapienza dell’attivo fallimentare (profilo che è emerso anche nel presente giudizio);

- ritiene ugualmente irrilevante il fatto che il curatore si avvalga eventualmente del disposto dell’art. 42, comma 3, l.fall.

8.2. Come si può vedere, l’Adunanza Plenaria, superando un automatismo spesso applicato in maniera tralatizia dalla giurisprudenza, ha chiarito che il principio “chi inquina paga” (il quale, per la verità, esprime un concetto persino banale) non equivale ad escludere sempre e comunque la legittimazione passiva rispetto agli obblighi di ripristino, bonifica, etc. di siti inquinati dei soggetti che in qualche modo “succedono” all’autore dell’inquinamento, ed in particolare, per quanto di interesse nel presente giudizio, della curatela fallimentare. La decisione dell’Adunanza Plenaria, come si è visto, riguarda specificamente gli obblighi imposti dal Sindaco con ordinanza adottata ai sensi dell’art. 50 T.U.E.L. e dell’art. 192 T.U.A., ma il principio di diritto affermato nella sentenza n. 3 del 2021 si applica a fortiori nell’ipotesi in cui l’autorità competente diffidi la curatela fallimentare a porre in essere le misure di prevenzione, ripristino e bonifica indicate nell’A.I.A., visto che in tal caso già nel momento in cui assume il proprio munus il curatore è tenuto a prendere contezza del contenuto di tutti i provvedimenti amministrativi che legittimavano l’attività svolta dall’imprenditore fallito e ad attenersi alle relative prescrizioni.

Questo Tribunale, come risulta dagli atti di causa, era del resto già approdato a tale conclusione nella sentenza n. 290/2016, confermata dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 3672/2017, per cui sul punto non si ritiene di dover aggiungere ulteriori considerazioni di ordine giuridico, essendo sufficiente, ai sensi dell’art. 74 c.p.a., rimandare alla motivazione delle due sentenze.

8.3. E’ invece necessario spendere qualche parola sulle puntualizzazioni svolte in particolare dalla curatela del fallimento Bipiemme nella citata memoria conclusionale del 4 febbraio 2021, laddove si evidenzia che, nella specie, non ricorrono i due presupposti di fatto valorizzati dall’Adunanza Plenaria, ossia i) l’acquisizione dei materiali presenti nel sito M.D. nell’inventario dei beni redatto dal curatore ai sensi dell’art. 87 l.fall. e ii) la detenzione da parte della curatela del capannone che ospitava l’attività di impresa.

Queste argomentazioni, seppur apparentemente suggestive, non appaiono però dirimenti, sia alla luce delle considerazioni generali esposte al precedente § 7.2., sia in ragione dei seguenti elementi:

- come risulta per tabulas (si vedano, ancora una volta, i documenti relativi alla mancata vendita di alcuni beni acquisiti all’attivo del fallimento - deposito di parte ricorrente dell’8 settembre 2020), nel sito di Via Brecce non erano presenti solo materiali all’epoca classificabili come rifiuti, bensì anche (e soprattutto) beni mobili registrati (ad esempio, l’autoveicolo Renault Kangoo) e non registrati (costituiti, questi ultimi, sia da materie prime residue non ancora impiegate nel ciclo produttivo, sia da macchinari dell’impresa) ancora utilizzabili;

- pertanto, seppure formalmente la curatela non ha mai acquisito all’attivo fallimentare gli immobili sede della ditta fallita, è innegabile che il curatore ha materialmente detenuto gli immobili de quibus e disposto dei materiali ivi collocati (i quali risultano essere stati in varie occasione movimentati all’interno del compendio aziendale). In effetti, come correttamente evidenziato dal Comune di Loreto nella memoria difensiva del 7 giugno 2019, la detenzione è uno stato di fatto e non di diritto, rispetto al quale non rileva nemmeno la circostanza che Fraer Leasing abbia proposto con successo in sede concorsuale la domanda di rivendica del bene. Infatti (e premesso che tale accadimento conferma vieppiù che la detenzione era in capo alla curatela, altrimenti la società concedente non sarebbe stata onerata di proporre la domanda di rivendica) anche in questo caso si deve rilevare come le vicende civilistiche non abbiano rilievo rispetto ai profili pubblicistici. Fraer Leasing ha azionato il suddetto rimedio al solo fine di tutelare i propri diritti in sede concorsuale, ma (e in disparte il fatto che la materiale restituzione dell’immobile è avvenuta solo il 12 dicembre 2019 - si veda il doc. allegato n. 32 al deposito di parte ricorrente del 16 gennaio 2020) la società non ha in ragione di ciò acquisito la legittimazione passiva rispetto agli obblighi nascenti dall’A.I.A.

Ne consegue dunque che, per ciò che rileva nel presente giudizio, la Regione ha correttamente individuato quale legittimato passivo rispetto a tali obblighi la curatela del fallimento M.D., avendo essa “ereditato” l’A.I.A. di cui era titolare la stessa M.D. (mentre Bipiemme non era più coinvolta nella vicenda, visto che l’A.I.A. era stata volturata nel 2012 a favore di M.D. e da quest’ultima rinnovata nel 2014).

L’unico articolato motivo di ricorso va dunque dichiarato infondato, in relazione a tutti i profili dedotti.

Con specifico riguardo alla posizione del Comune di Loreto va aggiunto che lo stesso, con l’impugnata nota del 6 febbraio 2019, prot. n. 3830, si è limitato a diffidare la curatela ad adempiere al decreto regionale n. 26/2019, per cui si tratta di un atto che non ha autonoma portata lesiva.

Non è stata invece impugnata in questa sede l’ordinanza sindacale n. 7 del 4 febbraio 2021, depositata in giudizio in pari data dalla difesa comunale, per cui il Tribunale non può tenere conto di quanto con essa è stato disposto.

Peraltro, come si è già accennato in precedenza, il fatto che la curatela del fallimento M.D. sia da ritenere legittimata passiva rispetto agli obblighi nascenti dall’A.I.A. non implica che altri soggetti non possano essere motivatamente individuati dalle autorità competenti quali coobbligati oppure come obbligati a diverso titolo.

9. Il Collegio ritiene di dover aggiungere qualche considerazione in merito alla questione dell’escussione della cauzione, e ciò anche al fine di chiarire le ragioni per le quali non si ravvisano a danno dei funzionari regionali competenti pro tempore condotte meritevoli di essere eventualmente segnalate al Giudice contabile.

Come emerge dalla nota a firma dell’avv. Barile del 4 giugno 2019 (doc. allegato n. 20 al deposito della Regione del 13 settembre 2019), la compagnia di assicurazioni destinataria della richiesta di escussione formulata dalla Regione ha opposto un diniego fondato sul fatto che la richiesta era stata formulata ampiamente oltre il termine decadenziale di due mesi decorrenti dalla data di scadenza della polizza stessa (10 marzo 2015).

Orbene, alla data del 10 marzo 2015 non sussisteva alcuna avvisaglia circa l’esistenza delle problematiche aziendali che nel breve volgere di un anno e mezzo hanno portato al fallimento di M.D., per cui la Regione non avrebbe mai potuto fondatamente formulare la richiesta di escussione nel termine di decadenza di cui sopra.

Si potrebbe obiettare che la Regione aveva comunque l’onere di chiedere a M.D. di rinnovare la cauzione, ma al riguardo va rilevato che:

- l’amministrazione che rilascia l’A.I.A. dispone certamente di un potere contrattuale molto forte nella fase che precede l’avvio dell’attività nel sito soggetto ad autorizzazione integrata ambientale (in quanto fino a che la cauzione non è costituita l’attività non può essere avviata);

- successivamente, e cioè nella fase di rinnovo dell’autorizzazione o nella fase di dismissione e post-gestione del sito, un medesimo potere negoziale esiste solo se l’impresa è in bonis (in quanto solo in questo caso essa ha interesse a vedersi rinnovata l’A.I.A. oppure a dismettere l’impianto in condizioni di “normalità”, ossia senza subire sanzioni di natura penale e/o amministrativa e/o civile e potendo altresì commercializzare proficuamente gli immobili aziendali e gli altri beni che residuano dalla cessazione dell’attività);

- ma quando l’azienda, come nella specie, inizia a trovarsi in situazione prossima alla decozione, l’amministrazione non dispone del medesimo potere negoziale, visto che la “sanzione” per il mancato rinnovo della garanzia fideiussoria sarebbe la chiusura, temporanea o definitiva, dell’impianto, ossia una conseguenza di fatto identica a quella che sarà inevitabilmente determinata dallo stato di crisi irreversibile in cui versa l’imprenditore.

Per cui, e fermo restando che il titolare dell’A.I.A. ha l’onere di rinnovare spontaneamente la polizza fideiussoria in scadenza, un eventuale sollecito in tal senso della Regione sarebbe rimasto lettera morta.

In ogni caso, non si comprende l’interesse della curatela ad impugnare l’atto con cui la Regione ha azionato la garanzia, visto che l’eventuale esito favorevole dell’atto di escussione avrebbe reso disponibile una somma ulteriore da impiegare per il ripristino del sito.

10. In conclusione, il ricorso va respinto.

Le spese del giudizio, in ragione della complessità delle questioni trattate, si possono compensare integralmente.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

- per la parte non definita con la sentenza parziale n. 56/2020, lo respinge;

- compensa integralmente fra le parti le spese del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso nella camera di consiglio del giorno 10 febbraio 2021 con l'intervento dei sottoindicati magistrati (collegati da remoto):

Sergio Conti, Presidente

Tommaso Capitanio, Consigliere, Estensore

Giovanni Ruiu, Consigliere