TAR Piemonte, Sez. II, n. 205, del 14 febbraio 2013
Rifiuti. Principio comunitario "chi inquina paga" e responsabilità dei proprietari dell’area inquinata
Conformemente al principio comunitario "chi inquina paga" (art. 174, ex art. 130/R, Trattato CE), secondo cui chi fa correre un rischio di inquinamento o chi provoca un inquinamento è tenuto a sostenere i costi della prevenzione o della riparazione, l'amministrazione non può imporre ai privati che non hanno alcuna responsabilità diretta sull'origine del fenomeno contestato, ma che vengono individuati solo in quanto proprietari del bene, lo svolgimento di attività di recupero e di risanamento. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)
N. 00205/2013 REG.PROV.COLL.
N. 00303/2006 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 303 del 2006, proposto da:
Giustetto Maria e Giustetto Carla, entrambe rappresentate e difese dall'avv. Fabio Dell'Anna, con domicilio eletto presso lo studio del medesimo in Torino, corso G. Ferraris, 120;
contro
Comune Sanfre', in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avv. prof. Andrea Comba e dall’avv. Marco Coscia, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Torino, via Mercantini, 6;
Sindaco Comune Sanfre', quale Ufficiale di Governo, non costituito in giudizio;
per l'annullamento
- dell'ordinanza 26.01.2006, n. 1/2006, successivamente notificata a mezzo del servizio postale, limitatamente alla parte in cui il Sindaco del Comune di Sanfrè: - a) da un lato, ha ordinato alle signore Carla e Maria Giustetto, "nella loro qualità di comproprietarie degli immobili censiti nel Catasto Terreni nel Comune di Sanfrè, al foglio 12, particelle n. 249 e 250: - di provvedere con la massima urgenza ad adottare tutte le misure che si rendono necessarie per la messa in sicurezza d'emergenza dei terreni di loro rispettiva proprietà, ivi compresa la posa in opera di recinzione dei siti al fine di impedirne qualsivoglia uso e destinazione ... [dandone] comunicazione al Comune ... entro 48 ore dalla notificazione del presente provvedimento; - di presentare entro 30 giorni dalla data sopra indicata un piano di caratterizzazione dell'area inquinata"; b) dall'altro lato, ha avvertito che, "in caso di inosservanza dell'obbligo di adottare le necessarie misure di messa in sicurezza e di bonifica dei siti in questione, il Comune di Sanfrè provvederà d'ufficio all'esecuzione delle opere che si rendono necessarie, addebitando nei termini di legge le relative spese alle proprietà interessate";
- di ogni altro atto antecedente, preparatorio, consequenziale e comunque connesso con quello impugnato.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune Sanfre';
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 gennaio 2013 la dott.ssa Manuela Sinigoi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso notificato il 10 marzo 2006 e depositato il successivo 15 marzo, le signore Maria e Carla GIUSTETTO insorgevano innanzi a questo Tribunale Amministrativo Regionale avverso l’ordinanza del Sindaco del Comune di Sanfrè n. 1/2006 in data 26 gennaio 2006, con cui, ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 14 e 17 del d.lgs. n. 22/1997 e in considerazione dell’asserita indifferibilità ed urgenza di provvedere ad eseguire i necessari interventi di messa di sicurezza d’emergenza, di bonifica e ripristino ambientale e della sussistenza di motivi di salute pubblica per delimitare con recinzione l’area interessata, era stato loro ordinato, quali comproprietarie degli immobili censiti al Catasto terreni al foglio 12, particelle n. 249 e n. 250 ovvero di un terreno ubicato nell’ambito di in un’area localizzata presso il Cimitero Vecchio interessata da “rifiuti che affiorano in un campo di grano e dalla probabile contaminazione delle acque invasate nei laghetti di una ex cava”, “di provvedere con la massima urgenza ad adottare tutte le misure (…) necessarie per la messa in sicurezza d’emergenza dei terreni di loro (…) proprietà, ivi compresa la posa in opera di recinzione dei siti al fine di impedirne qualsivoglia uso e destinazione”, “di dare comunicazione al Comune dell’avvenuta adozione delle suddette misure entro quarantotto ore dalla notificazione del (…) provvedimento” e “di presentare entro 30 giorni dalla data sopra indicata un piano di caratterizzazione dell’area inquinata”.
Le interessate, nell’esporre che il terreno in questione, di circa 3754 mq, era condotto in affitto, per lo meno dall’anno 1997, dal signor Giovanni Porasso e da questi coltivato ad erba e foraggio e mai stato adibito a coltivazione di cava, contestavano recisamente la legittimità del provvedimento su indicato, invocandone l’annullamento, previa sospensione cautelare, per i seguenti motivi di diritto:
1. “Violazione di legge, con particolare riferimento agli artt. 7 e ss. della legge 7 agosto 1990, n. 241”, in quanto l’ordinanza non era stata preceduta dalla comunicazione di avvio del procedimento, la quale, laddove inviata, avrebbe potuto consentire loro di dedurre le illegittimità dell’ordinanza che poi sono state costrette a lamentare in sede giurisdizionale.
2. “Violazione di legge, con particolare riferimento all’art. 17 del d.lgs. 22/1997 e all’art. 107 del d.lgs. 267/2000. Incompetenza”, in quanto, a loro avviso, l’ordinanza impugnata, quale atto di carattere gestionale di competenza dirigenziale, avrebbe dovuto essere adottata dal dirigente comunale e non dal Sindaco.
3. “Eccesso di potere per difetto d’istruttoria, per erronea valutazione e per travisamento dei fatti. Difetto di motivazione” , in quanto la descrizione che era stata fatta nell’ordinanza dei terreni interessati dall’affioramento e dallo sversamento di rifiuti poco si attagliava a quelli di loro proprietà, dato che:
- non erano mai stati adibiti “a coltivazione di cava d’argilla”;
- non erano mai stati oggetto “di fenomeni di discariche negli invasi dell’ex cava”, né contenevano “acque invasate nei laghetti dell’ex cava”;
- non erano mai stati coltivati a grano
Ritenevano, conseguentemente, che il Comune non avesse svolto un’autonoma istruttoria e soprattutto un sopralluogo sul sito, ma si fosse solo avvalso della segnalazione della Provincia di Cuneo e delle risultanze storiche d’ufficio.
Evidenziavano, in ogni caso, che la segnalazione effettuata dalla Provincia si riferiva ad un sopralluogo presso un’area localizzata presso il Cimitero vecchio, di proprietà della ditta Vico di Cherasco e che faceva riferimento alla vecchia discarica del Comune di Sanfrè.
4. “Violazione di legge, con particolare riferimento ai presupposti necessari per l’emanazione delle ordinanze previste dagli artt. 14 e 17 del d.lgs. 22/1997 e dagli artt. 7 e 8 del d.m. 471/1999 (nonché dagli artt. 50-54 del d.lgs. 267/2000). Eccesso di potere per difetto d’istruttoria, per erronea valutazione e per travisamento dei fatti, per irragionevolezza. Violazione del principio di buon andamento e di imparzialità della P.A. (a norma dell’art. 97 Cost.), nonché del principio del cd. “minimo mezzo” e del principio di proporzionalità. Difetto di motivazione”, in quanto non sussistevano, nel caso di specie, i presupposti soggettivi ed oggettivi per l’applicazione delle norme invocate dal Comune a sostegno del provvedimento emanato (artt. 14 e 17 d.lgs. n. 22/1997 e 7 e 8 d.m. 471/1999).
Per quanto riguarda l’art. 14 del d.lgs. n. 22/1997, le ricorrenti erano state individuate quali destinatarie del provvedimento unicamente in virtù della loro qualità di proprietarie dei terreni asseritamente interessati dall’affioramento e dallo sversamento di rifiuti, ma nessun accertamento era stato svolto in ordine alla loro responsabilità, per lo meno a titolo di colpa, nella causazione dell’evento, né il Comune aveva indicato il motivo per cui le aveva ritenute comunque responsabili.
Analoghi profili di illegittimità sussistevano, in ogni caso, anche con riguardo all’art. 17 del d.lgs. 22/1997.
Non constava, inoltre, che, quanto all’ipotesi di cui all’art. 14, l’Amministrazione avesse effettivamente accertato un fenomeno di “abbandono e… deposito incontrollato di rifiuti sul suolo e nel suolo” o, quanto all’ipotesi di cui all’art. 17, il “superamento dei limiti di accettabilità della contaminazione dei suoli, delle acque superficiali e delle acque sotterranee” o di un “pericolo concreto e attuale di superamento dei limiti medesimi”
Mancavano anche i presupposti per imporre la recinzione del sito (motivi di salute pubblica e situazioni di pericolo e di rischio individuate dall’all. 3 del d.m. 471/1999) e, inoltre, non era stabilito un termine finale di tale “impedimento” e dunque la misura s’appalesava irragionevole e sproporzionata.
L’ordinanza in questione non poteva, del resto, configurarsi come contingibile ed urgente ex artt. 50 e 54 d.lgs. n. 267/2000, ma, se così fosse stata intesa, sarebbero difettati in ogni caso i presupposti di legge.
Il Comune di Sanfrè si costituiva in giudizio per resistere al ricorso e contestarne la fondatezza.
La Sezione, con ordinanza n. 181 in data 29 marzo 2006, accoglieva l’istanza incidentale di sospensione del provvedimento impugnato, ritenendo sussistenti apprezzabili elementi di fumus boni juris.
Le parti depositavano documenti e memorie, cui facevano seguito le relative repliche.
La causa veniva chiamata alla pubblica udienza del 30 gennaio 2013 e, quindi, trattenuta per la decisione.
DIRITTO
Il Collegio è chiamato a pronunciarsi sulla legittimità dell’ordinanza con cui il Sindaco del Comune di Sanfrè, in asserita applicazione degli artt. 14 e 17 del d.lgs. n. 22/1997, in allora vigente, e in considerazione dell’asserita indifferibilità ed urgenza di provvedere e della sussistenza di motivi di salute pubblica, ha ordinato alle ricorrenti, quali comproprietarie degli immobili censiti al Catasto terreni al foglio 12, particelle n. 249 e n. 250 ovvero di un terreno ubicato nell’ambito di in un’area localizzata presso il Cimitero Vecchio interessata da “rifiuti che affiorano in un campo di grano e dalla probabile contaminazione delle acque invasate nei laghetti di una ex cava”, “di provvedere con la massima urgenza ad adottare tutte le misure (…) necessarie per la messa in sicurezza d’emergenza dei terreni di loro (…) proprietà, ivi compresa la posa in opera di recinzione dei siti al fine di impedirne qualsivoglia uso e destinazione”, “di dare comunicazione al Comune dell’avvenuta adozione delle suddette misure entro quarantotto ore dalla notificazione del (…) provvedimento” e “di presentare entro 30 giorni dalla data sopra indicata un piano di caratterizzazione dell’area inquinata”.
Il ricorso è fondato.
In disparte ogni considerazione in ordine alla circostanza che il provvedimento impugnato si autoqualifica come “ordinanza di smaltimento rifiuti”, ma ha contenuto sostanziale di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale del sito, appare, invero, condivisibile la conclusione cui è giunta la Sezione all’esito dello scrutinio dell’istanza incidentale di sospensione del provvedimento impugnato ovvero che appaiono fondati i dedotti difetti di istruttoria e di motivazione, nonché indimostrata la responsabilità delle proprietarie dei terreni, quantomeno a titolo di colpa.
Per quanto riguarda, in particolare, tale ultimo profilo, il Collegio rammenta che l'art. 14, 3° comma, del D.Lgs. n. 22 del 1997, dispone che: "fatta salva l'applicazione delle sanzioni di cui agli articoli 50 e 51, chiunque viola i divieti di cui ai commi 1 (l’abbandono e il deposito incontrollati di rifiuti sul suolo e nel suolo sono vietati) e 2 (è altresì vietata l'immissione di rifiuti di qualsiasi genere, allo stato solido o liquido, nelle acque superficiali e sotterranee) è tenuto a procedere alla rimozione, all'avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull'area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa. Il sindaco dispone con ordinanza le operazioni a tal fine necessarie ed il termine entro cui provvedere, decorso il quale procede all'esecuzione in danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme anticipate".
La norma va intesa, come costantemente precisato dalla giurisprudenza amministrativa, nel senso che il proprietario dell'area è tenuto a provvedere allo smaltimento solo a condizione che ne sia dimostrata almeno la corresponsabilità con gli autori dell'illecito abbandono di rifiuti, per aver posto in essere un comportamento, omissivo o commissivo, a titolo doloso o colposo (ex plurimis: Cons. Stato, Sez. V, 25 agosto 2008, n. 4061 e 25 gennaio 2005, n. 136), escludendo, conseguentemente, che la norma possa configurare un'ipotesi legale di responsabilità oggettiva.
In particolare, viene affermata l'illegittimità degli ordini di smaltimento di rifiuti indiscriminatamente rivolti al proprietario di un fondo in ragione della sua sola qualità, ma in mancanza di adeguata dimostrazione da parte dell'amministrazione procedente, sulla base di un'istruttoria completa e di un'esauriente motivazione (quand'anche fondata su ragionevoli presunzioni o su condivisibili massime d'esperienza), dell'imputabilità soggettiva della condotta.
L’art. 17, comma 2, del medesimo decreto, ugualmente invocato dal Comune a sostegno del provvedimento impugnato, stabilisce, invece, che “ Chiunque cagiona, anche in maniera accidentale, il superamento dei limiti di cui al comma 1, lettera a), ovvero determina un pericolo concreto ed attuale di superamento dei limiti medesimi, è tenuto a procedere a proprie spese agli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale delle aree inquinate e degli impianti dai quali deriva il pericolo di inquinamento…”.
Anche tale norma impone, però, l'obbligo di adottare le misure, sia urgenti che definitive, idonee a fronteggiare la situazione di inquinamento solamente a carico di colui che di tale situazione sia responsabile, per avervi dato causa, postulando, pertanto, da un punto di vista soggettivo, il requisito del dolo o della colpa.
Da ciò la giurisprudenza quasi univoca, condivisa dal Collegio, deduce la mancanza di responsabilità, e quindi di obbligo a bonificare o di mettere in sicurezza, del proprietario incolpevole (cfr., Tar Toscana, II; 17 aprile 2009, n. 665; T.A.R. Veneto, sez. III, 25 maggio 2005, n. 2174; , T.A.R. Lombardia, Milano, sez. I, 8 ottobre 2004, n. 5473; T.A.R. Campania, sez. V, 28 settembre 1998, n. 2988).
Ne deriva che, conformemente al principio comunitario "chi inquina paga" (art. 174, ex art. 130/R, Trattato CE), secondo cui chi fa correre un rischio di inquinamento o chi provoca un inquinamento è tenuto a sostenere i costi della prevenzione o della riparazione, l'amministrazione non può imporre ai privati che non hanno alcuna responsabilità diretta sull'origine del fenomeno contestato, ma che vengono individuati solo in quanto proprietari del bene, lo svolgimento di attività di recupero e di risanamento (T.A.R. Veneto, sez. III, 2 febbraio 2002, n. 320).
Come lascia agevolmente intuire anche l’art. 8, comma 3, del “Regolamento recante criteri, procedure e modalità per la messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino ambientale dei siti inquinati, ai sensi dell'articolo 17 del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, e successive modificazioni e integrazioni”, adottato con D.M. 25 ottobre 1999, n. 471, a carico del proprietario dell'area inquinata, non responsabile della contaminazione, spetta, invero, unicamente la facoltà di eseguire gli interventi ambientali in questione, al fine di evitare l'espropriazione del terreno interessato gravato da onere reale, al pari delle spese sostenute per gli interventi di recupero ambientale assistite anche da privilegio speciale immobiliare.
La legge prevede, infatti, che, in caso di mancata esecuzione degli interventi in argomento da parte del responsabile dell'inquinamento ovvero in caso di mancata individuazione del predetto, le opere di recupero ambientale vanno eseguite dall'amministrazione competente la quale potrà rivalersi sul soggetto responsabile, nei limiti del valore dell'area bonificata, anche esercitando, nel caso in cui la rivalsa non vada a buon fine, le garanzie gravanti sul terreno oggetto dei suddetti interventi (T.A.R. Lombardia, Brescia, 16 marzo 2006, n. 291; T.A.R. Lombardia Milano, sez. II, 10 luglio 2007, n. 5355).
Nel caso di specie, l’Amministrazione ha, però, data apoditticamente per scontata la responsabilità delle ricorrenti, senza aver svolto al riguardo alcuna effettiva indagine, in grado di comprovarne l’effettiva sussistenza sotto il profilo del dolo o della colpa.
Nel provvedimento gravato non sono stati, infatti, in alcun modo evidenziati né la natura, né i contenuti della ritenuta responsabilità delle ricorrenti nella causazione dell’evento.
L’Amministrazione s’è, invero, limitata ad individuarle quali destinatarie dell’ordine di messa in sicurezza d’emergenza dei terreni e misure correlate e/o connesse unicamente in virtù della loro titolarità dei terreni asseritamente interessati dall’affioramento e dallo sversamento dei rifiuti e dalla probabile contaminazione delle acque invasate nei laghetti di una ex cava, senza pur tuttavia correlare e/o allegare in alcun modo alla detta qualità alcuna effettiva responsabilità, nemmeno, in ipotesi, a titolo di omessa vigilanza, circostanza che, laddove ritenuta sussistente, avrebbe dovuto essere, comunque, dimostrata e non meramente affermata in questa sede dalla difesa dell’Amministrazione nel tentativo di offrire una motivazione postuma al provvedimento, dato, da un lato, che i terreni in questione sono affittati al signor Porasso e, come in caso di locazione, non è configurabile un rapporto di dipendenza o subordinazione del conduttore al locatore, che è così privo dei correlati poteri di vigilanza sul conduttore (in tal senso Cass. Civ. 28 maggio 1992, n. 6443), e, dall’altro, che le risultanze della “ricerca storica d’archivio” invocate dall’ente civico si arrestano all’anno 1991 ovvero ad un’epoca assai risalente rispetto all’evento accertato dalla Provincia di Cuneo nel mese di novembre dell’anno 2005.
Ne deriva, pertanto, che l’ordinanza emessa nei confronti delle ricorrenti senza accertare se esse abbiano posto in essere le condotte incriminate dalle norme dianzi indicate ovvero senza verificare se esse abbiano concorso, moralmente o materialmente, alla causazione dell’evento foriero di danno ambientale a cui l’Amministrazione comunale ha inteso reagire, è anche per ciò solo illegittima e in grado di esimere il Collegio dall’indagare la fondatezza o meno delle ulteriori censure dedotte, incluse quelle favorevolmente apprezzate in sede cautelare, che possono conseguentemente ritenersi assorbite.
Per le considerazioni che precedono e in accoglimento delle doglianze contenute nel IV motivo dedotto dalle ricorrenti, il gravame, va, dunque, accolto e, per l’effetto, annullata l’ordinanza impugnata.
Sussistono, in ogni caso, giustificati motivi per compensare tra le parti le spese e le competenze del giudizio. Il Collegio è chiamato a pronunciarsi sulla legittimità dell’ordinanza con cui il Sindaco del Comune di Sanfrè, in asserita applicazione degli artt. 14 e 17 del d.lgs. n. 22/1997, in allora vigente, e in considerazione dell’asserita indifferibilità ed urgenza di provvedere e della sussistenza di motivi di salute pubblica, ha ordinato alle ricorrenti, quali comproprietarie degli immobili censiti al Catasto terreni al foglio 12, particelle n. 249 e n. 250 ovvero di un terreno ubicato nell’ambito di in un’area localizzata presso il Cimitero Vecchio interessata da “rifiuti che affiorano in un campo di grano e dalla probabile contaminazione delle acque invasate nei laghetti di una ex cava”, “di provvedere con la massima urgenza ad adottare tutte le misure (…) necessarie per la messa in sicurezza d’emergenza dei terreni di loro (…) proprietà, ivi compresa la posa in opera di recinzione dei siti al fine di impedirne qualsivoglia uso e destinazione”, “di dare comunicazione al Comune dell’avvenuta adozione delle suddette misure entro quarantotto ore dalla notificazione del (…) provvedimento” e “di presentare entro 30 giorni dalla data sopra indicata un piano di caratterizzazione dell’area inquinata”.
Il ricorso è fondato.
In disparte ogni considerazione in ordine alla circostanza che il provvedimento impugnato si autoqualifica come “ordinanza di smaltimento rifiuti”, ma ha contenuto sostanziale di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale del sito, appare, invero, condivisibile la conclusione cui è giunta la Sezione all’esito dello scrutinio dell’istanza incidentale di sospensione del provvedimento impugnato ovvero che appaiono fondati i dedotti difetti di istruttoria e di motivazione, nonché indimostrata la responsabilità delle proprietarie dei terreni, quantomeno a titolo di colpa.
Per quanto riguarda, in particolare, tale ultimo profilo, il Collegio rammenta che l'art. 14, 3° comma, del D.Lgs. n. 22 del 1997, dispone che: "fatta salva l'applicazione delle sanzioni di cui agli articoli 50 e 51, chiunque viola i divieti di cui ai commi 1 (l’abbandono e il deposito incontrollati di rifiuti sul suolo e nel suolo sono vietati) e 2 (è altresì vietata l'immissione di rifiuti di qualsiasi genere, allo stato solido o liquido, nelle acque superficiali e sotterranee) è tenuto a procedere alla rimozione, all'avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull'area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa. Il sindaco dispone con ordinanza le operazioni a tal fine necessarie ed il termine entro cui provvedere, decorso il quale procede all'esecuzione in danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme anticipate".
La norma va intesa, come costantemente precisato dalla giurisprudenza amministrativa, nel senso che il proprietario dell'area è tenuto a provvedere allo smaltimento solo a condizione che ne sia dimostrata almeno la corresponsabilità con gli autori dell'illecito abbandono di rifiuti, per aver posto in essere un comportamento, omissivo o commissivo, a titolo doloso o colposo (ex plurimis: Cons. Stato, Sez. V, 25 agosto 2008, n. 4061 e 25 gennaio 2005, n. 136), escludendo, conseguentemente, che la norma possa configurare un'ipotesi legale di responsabilità oggettiva.
In particolare, viene affermata l'illegittimità degli ordini di smaltimento di rifiuti indiscriminatamente rivolti al proprietario di un fondo in ragione della sua sola qualità, ma in mancanza di adeguata dimostrazione da parte dell'amministrazione procedente, sulla base di un'istruttoria completa e di un'esauriente motivazione (quand'anche fondata su ragionevoli presunzioni o su condivisibili massime d'esperienza), dell'imputabilità soggettiva della condotta.
L’art. 17, comma 2, del medesimo decreto, ugualmente invocato dal Comune a sostegno del provvedimento impugnato, stabilisce, invece, che “ Chiunque cagiona, anche in maniera accidentale, il superamento dei limiti di cui al comma 1, lettera a), ovvero determina un pericolo concreto ed attuale di superamento dei limiti medesimi, è tenuto a procedere a proprie spese agli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale delle aree inquinate e degli impianti dai quali deriva il pericolo di inquinamento…”.
Anche tale norma impone, però, l'obbligo di adottare le misure, sia urgenti che definitive, idonee a fronteggiare la situazione di inquinamento solamente a carico di colui che di tale situazione sia responsabile, per avervi dato causa, postulando, pertanto, da un punto di vista soggettivo, il requisito del dolo o della colpa.
Da ciò la giurisprudenza quasi univoca, condivisa dal Collegio, deduce la mancanza di responsabilità, e quindi di obbligo a bonificare o di mettere in sicurezza, del proprietario incolpevole (cfr., Tar Toscana, II; 17 aprile 2009, n. 665; T.A.R. Veneto, sez. III, 25 maggio 2005, n. 2174; , T.A.R. Lombardia, Milano, sez. I, 8 ottobre 2004, n. 5473; T.A.R. Campania, sez. V, 28 settembre 1998, n. 2988).
Ne deriva che, conformemente al principio comunitario "chi inquina paga" (art. 174, ex art. 130/R, Trattato CE), secondo cui chi fa correre un rischio di inquinamento o chi provoca un inquinamento è tenuto a sostenere i costi della prevenzione o della riparazione, l'amministrazione non può imporre ai privati che non hanno alcuna responsabilità diretta sull'origine del fenomeno contestato, ma che vengono individuati solo in quanto proprietari del bene, lo svolgimento di attività di recupero e di risanamento (T.A.R. Veneto, sez. III, 2 febbraio 2002, n. 320).
Come lascia agevolmente intuire anche l’art. 8, comma 3, del “Regolamento recante criteri, procedure e modalità per la messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino ambientale dei siti inquinati, ai sensi dell'articolo 17 del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, e successive modificazioni e integrazioni”, adottato con D.M. 25 ottobre 1999, n. 471, a carico del proprietario dell'area inquinata, non responsabile della contaminazione, spetta, invero, unicamente la facoltà di eseguire gli interventi ambientali in questione, al fine di evitare l'espropriazione del terreno interessato gravato da onere reale, al pari delle spese sostenute per gli interventi di recupero ambientale assistite anche da privilegio speciale immobiliare.
La legge prevede, infatti, che, in caso di mancata esecuzione degli interventi in argomento da parte del responsabile dell'inquinamento ovvero in caso di mancata individuazione del predetto, le opere di recupero ambientale vanno eseguite dall'amministrazione competente la quale potrà rivalersi sul soggetto responsabile, nei limiti del valore dell'area bonificata, anche esercitando, nel caso in cui la rivalsa non vada a buon fine, le garanzie gravanti sul terreno oggetto dei suddetti interventi (T.A.R. Lombardia, Brescia, 16 marzo 2006, n. 291; T.A.R. Lombardia Milano, sez. II, 10 luglio 2007, n. 5355).
Nel caso di specie, l’Amministrazione ha, però, data apoditticamente per scontata la responsabilità delle ricorrenti, senza aver svolto al riguardo alcuna effettiva indagine, in grado di comprovarne l’effettiva sussistenza sotto il profilo del dolo o della colpa.
Nel provvedimento gravato non sono stati, infatti, in alcun modo evidenziati né la natura, né i contenuti della ritenuta responsabilità delle ricorrenti nella causazione dell’evento.
L’Amministrazione s’è, invero, limitata ad individuarle quali destinatarie dell’ordine di messa in sicurezza d’emergenza dei terreni e misure correlate e/o connesse unicamente in virtù della loro titolarità dei terreni asseritamente interessati dall’affioramento e dallo sversamento dei rifiuti e dalla probabile contaminazione delle acque invasate nei laghetti di una ex cava, senza pur tuttavia correlare e/o allegare in alcun modo alla detta qualità alcuna effettiva responsabilità, nemmeno, in ipotesi, a titolo di omessa vigilanza, circostanza che, laddove ritenuta sussistente, avrebbe dovuto essere, comunque, dimostrata e non meramente affermata in questa sede dalla difesa dell’Amministrazione nel tentativo di offrire una motivazione postuma al provvedimento, dato, da un lato, che i terreni in questione sono affittati al signor Porasso e, come in caso di locazione, non è configurabile un rapporto di dipendenza o subordinazione del conduttore al locatore, che è così privo dei correlati poteri di vigilanza sul conduttore (in tal senso Cass. Civ. 28 maggio 1992, n. 6443), e, dall’altro, che le risultanze della “ricerca storica d’archivio” invocate dall’ente civico si arrestano all’anno 1991 ovvero ad un’epoca assai risalente rispetto all’evento accertato dalla Provincia di Cuneo nel mese di novembre dell’anno 2005.
Ne deriva, pertanto, che l’ordinanza emessa nei confronti delle ricorrenti senza accertare se esse abbiano posto in essere le condotte incriminate dalle norme dianzi indicate ovvero senza verificare se esse abbiano concorso, moralmente o materialmente, alla causazione dell’evento foriero di danno ambientale a cui l’Amministrazione comunale ha inteso reagire, è anche per ciò solo illegittima e in grado di esimere il Collegio dall’indagare la fondatezza o meno delle ulteriori censure dedotte, incluse quelle favorevolmente apprezzate in sede cautelare, che possono conseguentemente ritenersi assorbite.
Per le considerazioni che precedono e in accoglimento delle doglianze contenute nel IV motivo dedotto dalle ricorrenti, il gravame, va, dunque, accolto e, per l’effetto, annullata l’ordinanza impugnata.
Sussistono, in ogni caso, giustificati motivi per compensare tra le parti le spese e le competenze del giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, Sezione II, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla in parte qua l’ordinanza del Sindaco del Comune di Sanfrè n. 1/2006 in data 26 gennaio 2006.
Compensa tra le parti le spese e le competenze del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 30 gennaio 2013 con l'intervento dei magistrati:
Vincenzo Salamone, Presidente
Manuela Sinigoi, Referendario, Estensore
Antonino Masaracchia, Referendario
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 14/02/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)