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CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE DÁMASO RUIZ-JARABO COLOMER presentate il 30 maggio 2006 1 Causa C486/04

Commissione delle Comunità europee contro Repubblica italiana

«Ricorso per inadempimento – Repubblica italiana – Tutela dell’ambiente – Valutazione di impatto ambientale – Direttiva 85/337/CEE – Rifiuti – Direttiva 75/442/CEE – Impianti di recupero – Autorizzazione – Procedura semplificata – Impianto per la produzione di energia elettrica mediante incenerimento di combustibili derivati dai rifiuti e di biomasse in Massafra (Taranto) – Normativa italiana che esonera dalla valutazione di impatto ambientale i progetti di recupero di rifiuti autorizzati con la procedura semplificata»

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I –    Introduzione

1.     Nella presente causa, instaurata ai sensi dell’art. 226 CE, la Commissione delle Comunità europee chiede che la Corte constati l’inadempimento, da parte della Repubblica italiana, degli obblighi ad essa incombenti in forza degli artt. 2, n. 1, e 4, nn. 1‑3, della direttiva del Consiglio 27 giugno 1985, 85/337/CEE (2), concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, come modificata dalla direttiva del Consiglio 3 marzo 1997, 97/11/CE (3).

2.     Al detto Stato membro vengono addebitate due violazioni, consistenti nel permettere il funzionamento di impianti di riciclaggio senza previa valutazione del loro impatto ambientale. Una delle violazioni, a carattere astratto, trae origine dalla normativa nazionale, che esonera da tale valutazione gli impianti per il recupero (4) di rifiuti autorizzati mediante procedura semplificata. L’altra violazione, di natura specifica, si riferisce ad un impianto, sito in Massafra, provincia di Taranto, per la produzione di energia elettrica mediante incenerimento di combustibile derivato dai detti materiali e di biomasse.

3.     Ai fini della soluzione della controversia, occorre del pari tenere presente la direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/CEE (5), relativa ai rifiuti, modificata dalla direttiva del Consiglio 18 marzo 1991, 91/156/CEE (6).

II – Contesto normativo

A –    Diritto comunitario

1.      Direttiva 85/337

4.     Tale direttiva è intesa ad evitare il deterioramento dell’ambiente, attraverso una ponderazione preventiva delle conseguenze di qualunque attività (primo e sesto ‘considerando’; art. 1, n. 1).

5.     Per «progetto» si intende la realizzazione di lavori di costruzione o di altri impianti od opere, nonché gli altri interventi sull’ambiente naturale o sul paesaggio, compresi quelli destinati allo sfruttamento delle risorse del suolo. Viene designato come «committente» il soggetto che richiede l’autorizzazione relativa ad un progetto privato o la pubblica autorità che prende l’iniziativa relativa a un progetto pubblico. Infine, l’autorizzazione consiste nella decisione che conferisce al committente il diritto di realizzare i lavori (art. 1, n. 2).

6.     L’art. 2, n. 1 (7), dispone quanto segue:

«Gli Stati membri adottano le disposizioni necessarie affinché, prima del rilascio dell’autorizzazione, per i progetti per i quali si prevede un notevole impatto ambientale, in particolare per la loro natura, le loro dimensioni o la loro ubicazione, sia prevista un’autorizzazione e una valutazione del loro impatto. Detti progetti sono definiti nell’articolo 4».

7.     L’art. 4 (8) così dispone:

«1.   Fatto salvo il paragrafo 3 dell’articolo 2 (9) i progetti elencati nell’allegato I sono sottoposti a valutazione a norma degli articoli da 5 a 10.

2.     Fatto salvo il paragrafo 3 dell’articolo 2 per i progetti elencati nell’allegato II gli Stati membri determinano, mediante

a)     un esame del progetto caso per caso;

o

b)     soglie o criteri fissati dagli Stati membri,

se il progetto debba essere sottoposto a valutazione a norma degli articoli da 5 a 10.

Gli Stati membri possono decidere di applicare entrambe le procedure di cui alle lettere a) e b).

3.     Nell’esaminare caso per caso o nel fissare soglie o criteri ai fini del paragrafo 2 si tiene conto dei relativi criteri di selezione riportati nell’allegato III.

4. Gli Stati membri provvedono affinché le decisioni adottate dall’autorità competente di cui al paragrafo 2 siano messe a disposizione del pubblico».

8.     Nella sua versione originaria, l’allegato I della direttiva aveva ad oggetto, al punto 9, gli «[i]mpianti di eliminazione dei rifiuti tossici e pericolosi mediante incenerimento, trattamento chimico o stoccaggio a terra», mentre l’allegato II, al punto 11, lett. c), si occupava degli «[i]mpianti d’eliminazione di rifiuti industriali e domestici (se non compresi nell’allegato I)».

9.     A seguito della direttiva 97/11, il detto punto 9 dell’allegato I menziona gli «[i]mpianti di smaltimento dei rifiuti [pericolosi] (cioè rifiuti cui si applica la direttiva 91/689/CEE (10)) mediante incenerimento, trattamento chimico, quale definito nell’allegato II bis, punto D 9 della direttiva 75/442/CEE, o interramento di rifiuti pericolosi». Il punto 10 riguarda gli «[i]mpianti di smaltimento dei rifiuti mediante incenerimento o trattamento chimico di rifiuti non pericolosi, quali definiti nell’allegato II bis, punto D 9 della direttiva 75/442/CEE, con capacità superiore a 100 tonnellate al giorno».

10.   Il contenuto della lett. c) del punto 11 dell’allegato II è stato trasferito sotto la lett. b), così formulata: «[i]mpianti di smaltimento di rifiuti (progetti non compresi nell’allegato I)».

2.      Direttiva 75/442

11.   Tale direttiva, che, come si desume dal secondo, terzo, quarto, quinto e settimo ‘considerando’, si preoccupa della natura e della qualità della vita, promuove la prevenzione, il riciclaggio e la trasformazione dei rifiuti, al fine di ottenere materie prime ed energie (art. 3).

12.   L’art. 1 fornisce, alla lett. a), la nozione di «rifiuto» e, alla lett. b) del testo originario della direttiva, definisce il concetto di «smaltimento» [«gestión» nella versione spagnola – NdT] come segue:

«–     la raccolta, la cernita, il trasporto, il trattamento dei rifiuti nonché l’ammasso e il deposito dei medesimi sul suolo o nel suolo;

–       le operazioni di trasformazione necessarie per il riutilizzo, il ricupero o i riciclo dei medesimi».

13.   La direttiva 91/156 ha modificato la detta nozione di «gestione», includendo, ai sensi della nuova lett. d) dell’art. 1, «la raccolta, il trasporto, il recupero e lo smaltimento dei rifiuti (…)».

14.   Le lettere e) ed f) di tale art. 1 descrivono queste due ultime attività, rinviando agli allegati II A («operazioni di smaltimento») e II B («operazioni che comportano una possibilità di ricupero»). Entrambi gli allegati precisano che, ai sensi dell’art. 4, non si deve mettere in pericolo la salute umana né usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all’ambiente (11).

15.   Gli artt. 9 e 10 subordinano a previa autorizzazione le attività indicate nei due allegati, salvo la possibilità, conferita dall’art. 11, di esentare da tale presupposto le imprese che smaltiscono in loco i propri rifiuti e quelle che procedono al recupero dei medesimi, siano questi propri o di terzi. La dispensa è subordinata al fatto che l’autorità competente emani norme generali per ciascuna attività, determinando i tipi e le quantità ammissibili di rifiuti, e che siano rispettate le condizioni imposte dall’art. 4 della direttiva. Inoltre, tali imprese debbono registrarsi presso le autorità competenti.

B –    Diritto italiano

16.   La direttiva 85/377 è stata trasposta nell’ordinamento italiano mediante l’art. 6 della legge 8 luglio 1986, n. 349 (12), e le norme che vi hanno dato attuazione.

17.   Alcuni anni più tardi, la legge 22 febbraio 1994, n. 146 (13), ha conferito al governo, all’art. 40, primo comma, la delega a fissare, nei sessanta giorni successivi alla sua entrata in vigore, le condizioni, i criteri e le regole tecniche per misurare l’impatto ambientale delle attività indicate nell’allegato II della direttiva.

18.   Il decreto del Presidente della Repubblica del 12 aprile 1996 (14) ha attuato la delega e, all’art. 1, n. 3, ha assoggettato alla procedura di valutazione di impatto ambientale gli interventi di cui all’allegato A, tra i quali rientrano gli impianti di incenerimento e di trattamento di rifiuti urbani con capacità superiore a cento tonnellate al giorno [lett. i)].

19.   L’art. 3 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 3 settembre 1999 (15) ha modificato alcuni aspetti dell’allegato A; le lett. i) e l) hanno assunto il seguente tenore:

«i)   Impianti di smaltimento e recupero di rifiuti pericolosi, mediante operazioni di cui all’allegato B ed all’allegato C, lettere da R1 a R9 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 (16), ad esclusione degli impianti di recupero sottoposti alle procedure semplificate di cui agli articoli 31 e 33 del medesimo decreto legislativo n. 22/1997.

(...)

l)     Impianti di smaltimento e recupero di rifiuti non pericolosi, con capacità superiore a 100 t/giorno, mediante operazioni di incremento [recte: incenerimento] o di trattamento di cui all’allegato B, lettere D2 e da D8 a Dll, ed all’allegato C, lettere da Rl a R9, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, ad esclusione degli impianti di recupero sottoposti alle procedure semplificate di cui agli articoli 31 e 33 del medesimo decreto legislativo n. 22/1997».

20.   Gli articoli da ultimo citati, che descrivono le caratteristiche dei materiali e dei lavori per beneficiare della detta procedura semplificata, hanno ricevuto attuazione tramite il decreto del Ministero dell’ambiente del 5 febbraio 1998 (17). La sentenza della Corte di giustizia 7 ottobre 2004, Commissione/Italia (18), ha affermato che il detto Stato membro aveva violato gli obblighi ad esso incombenti in forza della direttiva 75/442, avendo omesso di fissare nel detto decreto le quantità massime ammissibili di rifiuti.

III – Procedimento amministrativo precontenzioso

21.   Il 22 agosto e il 12 novembre 2001 la Commissione ha chiesto alle autorità italiane informazioni in merito alla conformità alla direttiva 85/337 di due progetti di impianti nel comune di Massafra, destinati, uno alla preselezione dei rifiuti solidi urbani ed alla produzione di combustibile con i residui, e l’altro alla produzione di energia elettrica mediante incenerimento del detto combustibile e di biomassa.

22.   La prima richiesta, discussa in una riunione tenutasi a Roma il 24 e il 25 gennaio 2002, nonché in due lettere in data 30 gennaio e 20 febbraio 2002 dei delegati del governo italiano, ha portato la Direzione generale Ambiente della Commissione a ritenere che l’impianto di produzione di energia elettrica, con una produzione superiore alle cento tonnellate al giorno, non trattasse materiali pericolosi.

23.   In base ai chiarimenti forniti, è stata omessa la valutazione di impatto ambientale di entrambi gli impianti, in quanto questi sono stati considerati come rientranti nella deroga di cui all’allegato A, lett. l), del decreto del Presidente della Repubblica 12 aprile 1996, nella versione introdotta dall’art. 3, primo comma, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 3 settembre 1999, e si è ad essi applicata la procedura semplificata prevista dagli artt. 31 e 33 del decreto legislativo 5 febbraio 1997.

24.   In data 18 ottobre 2002 e 11 luglio 2003 la Commissione ha trasmesso due lettere di costituzione in mora alla Repubblica italiana, la quale ha risposto con chiarimenti reputati non convincenti. Per tale motivo, il 16 dicembre 2003 la Commissione ha inviato al detto Stato membro un parere motivato, con il quale gli è stata addebitata la violazione degli obblighi imposti dagli artt. 2, n. 1, e 4, nn. 1‑3, della direttiva 85/337 e gli è stato concesso un termine di due mesi per conformarsi al parere stesso.

IV – Procedimento dinanzi alla Corte di giustizia e osservazioni delle parti

25.   Il 25 novembre 2004 la Commissione ha proposto il presente ricorso, chiedendo alla Corte di dichiarare che la Repubblica italiana ha violato le disposizioni sopra menzionate, in quanto:

–       non ha valutato le conseguenze di un’attività compresa nell’allegato I della direttiva 85/337 (l’inceneritore di Massafra);

–       ha adottato una normativa [l’allegato A, lett. i) e l), del decreto del Presidente della Repubblica 12 aprile 1996, nel testo di cui all’art. 3, primo comma, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 3 settembre 1999], la quale:

–       esonera dalla valutazione suddetta alcuni progetti compresi nell’allegato I della direttiva 85/337 (recupero di rifiuti con una capacità superiore a cento tonnellate al giorno), qualora questi possano beneficiare della procedura semplificata di cui all’art. 11 della direttiva 75/442;

–       utilizza un criterio inadeguato per stabilire se debba misurarsi l’impatto di un progetto ricadente nell’allegato II della menzionata direttiva 85/337, con la conseguenza che possono restare esclusi dalla valutazione progetti aventi ripercussioni significative.

26.   Il governo italiano ha risposto con controricorso in data 3 marzo 2005; l’istituzione ricorrente e il detto Stato membro hanno presentato, rispettivamente, la replica in data 18 aprile 2005 e la controreplica in data 8 giugno 2005.

27.   All’udienza, svoltasi il 25 aprile 2006, i rappresentanti della Commissione e della Repubblica italiana hanno ribadito le proprie rispettive posizioni.

28.   Secondo la ricorrente, l’inceneritore di Massafra, dotato di una capacità superiore a cento tonnellate al giorno, rientra nell’allegato I, punto 10, della direttiva 85/337, mentre l’altro impianto ricade sotto l’allegato II, punto 11, lett. b), della medesima direttiva. In tali circostanze, l’autorizzazione del primo impianto avrebbe dovuto essere subordinata ad una valutazione del suo impatto ambientale, mentre quella del secondo impianto avrebbe dovuto essere sottoposta quanto meno ad una verifica ai sensi dell’art. 4, n. 2, della detta direttiva.

29.   Ad avviso della Commissione, la controversia trae origine dalla normativa italiana, che consente alle operazioni di recupero di sottrarsi alla direttiva con il pretesto che sono assoggettate alla speciale procedura di cui agli artt. 31 e 33 del decreto legislativo 5 febbraio 1997.

30.   La Commissione sostiene che la direttiva 85/337 si applica agli impianti di trattamento di rifiuti che possano pregiudicare seriamente l’ambiente, tanto che i detti impianti effettuino la distruzione dei rifiuti, quanto che procedano al loro recupero; la detta istituzione aggiunge che la direttiva 75/442, nella sua versione originaria, con il termine «smaltimento» si riferiva tanto all’eliminazione propriamente detta, quanto al riciclaggio, e sottolinea l’autonomia di tale nozione nell’ambito della direttiva 85/337, laddove essa comprende anche il «recupero».

31.   La Commissione richiama l’attenzione sulla direttiva 75/442, che è destinata a proteggere la salute e gli ecosistemi dinanzi allo «smaltimento» o al «recupero».

32.   Il governo italiano respinge gli addebiti e chiede il rigetto della domanda della ricorrente. Esso sostiene che le attività di «smaltimento» sono escluse dalla direttiva 85/337, e respinge, alla luce della direttiva 75/442, la loro assimilazione alle attività di «recupero». Per giustificare tale tesi, il detto governo si richiama al carattere tecnico di entrambe le direttive, e segnatamente dei loro allegati, ed al coordinamento linguistico tra le diverse norme comunitarie in materia ambientale.

33.   Il detto governo fa valere altresì che, quando le emissioni delle operazioni di recupero rispettano i limiti della disciplina comunitaria, non è necessaria una valutazione dei loro effetti sull’ambiente, in quanto la loro ragione di essere consiste, per l’appunto, nella protezione di quest’ultimo.

34.   Il governo italiano afferma che, mentre la disciplina uniforme comunitaria dispone che siano esenti da valutazione tutte le attività di recupero, il sistema italiano prevede un’eccezione soltanto per le attività autorizzabili con procedura abbreviata, mostrandosi così più restrittivo.

V –    Analisi delle violazioni contestate

35.   La controversia oggetto della presente causa va risolta esaminando le interazioni tra la direttiva sulla valutazione di impatto ambientale e quella sui rifiuti. Si tratta di stabilire se, come asserito dalla Repubblica italiana, la direttiva 85/337 non riguardi le operazioni di recupero, sicché gli Stati membri sarebbero liberi di escluderle da tale verifica preliminare.

36.   La controversia riguarda le due direttive sopra citate successivamente alla loro modifica; tuttavia, visti i termini della questione, non si può prescindere dal loro testo originario, che fornisce elementi per la soluzione nonché i criteri interpretativi pertinenti.

37.   L’analisi deve prendere le mosse dalla verifica delle finalità della direttiva 85/337, al fine di determinarne l’ambito di applicazione.

A –    Il fondamento della direttiva 85/337: la tutela dell’ambiente

38.   L’Atto Unico europeo ha posto la tutela dell’ambiente al centro delle competenze dell’Unione, che essa ispira ed armonizza (19), al punto di meritare di essere designata come «finalità essenziale dell’ordinamento comunitario» (20). Tale compito di tutela ha fatto sì che l’art. 174, n. 2, primo comma, CE riconosca principi che, come quelli di precauzione e di azione preventiva, valgono in ampi settori del diritto comunitario.

39.   La direttiva 85/337 attua entrambi i detti principi (21) laddove prescrive che, prima di poter essere autorizzate, le operazioni idonee a pregiudicare l’ambiente debbono essere sottoposte a valutazione (22), distinguendo due fasi. In una si accerta se i previsti interventi provochino conseguenze significative, mentre nell’altra si valuta tale incidenza (23).

40.   Nell’allegato I della direttiva sono comprese attività – alle quali fa riferimento l’art. 4, n. 1 – che, per presunzione ex lege, hanno ripercussioni notevoli sull’ambiente, ragione questa che rende necessario definire senza indugio la loro portata

41.   Al contrario, gli effetti di altre attività non si desumono così chiaramente, sicché spetta agli Stati membri stabilire se esse debbano soggiacere agli artt. 5‑10 della direttiva. È quanto accade con le attività elencate nell’allegato II, tra le quali gli Stati individuano quelle che debbono essere oggetto di valutazione, o mediante un esame caso per caso, oppure mediante soglie o criteri opportuni, oppure utilizzando entrambi i metodi, tenendo conto dei parametri menzionati nell’allegato III (art. 4, nn. 2 e 3). Gli Stati dispongono dunque di una certa autonomia per selezionare le attività di cui all’allegato II che meritano una valutazione del loro impatto ambientale, con speciale riguardo alle loro dimensioni, alla loro natura ed alla loro ubicazione (24).

42.   Ad ogni modo, tale facoltà incontra un limite nell’art. 2, n. 1, della citata direttiva 85/337, che specifica la finalità essenziale di quest’ultima, in termini tali per cui le azioni con notevole impatto sono sempre sottoposte ad una valutazione delle loro ripercussioni (25). Per tale motivo, quando l’individuazione delle attività da valutare viene effettuata preliminarmente, mediante soglie e criteri astratti, risulta necessario verificare, nella fase di esecuzione, se, per le sue caratteristiche, un progetto arrechi rilevanti conseguenze per l’ambiente. In tale contesto si torna dunque alla regola generale: dopo la pertinente verifica, occorre valutare le ripercussioni notevoli.

43.   In altre parole, l’effetto utile della direttiva 85/337 non esime dalla relativa valutazione alcuna operazione di questo tipo (26), sicché, per quanto ampia possa essere la discrezionalità riconosciuta alle autorità pubbliche nazionali, il diritto comunitario non ammette alcuna attività senza previo controllo e, se del caso, senza valutazione delle alterazioni che essa produce.

44.   Stante la così ampia finalità, evidenziata dalla giurisprudenza (27), occorre chiarire la questione sollevata, che, come ho segnalato, consiste nel stabilire se il recupero di rifiuti richieda una valutazione di impatto ambientale.

B –    L’evoluzione terminologica nelle direttive 85/337 e 75/442

45.   Nel loro testo originario, gli allegati della direttiva 85/337 impiegavano l’espressione «instalaciones de eliminación» riferita ai rifiuti, sostituita però, a seguito della riforma del 1997, con l’espressione equivalente «instalaciones para deshacerse» (28).

46.   A sua volta, il testo originario spagnolo della direttiva 75/442 utilizzava il termine «gestión» [art. 1, lett. b)] dei rifiuti, che comprendeva la raccolta, la cernita, il trasporto, il trattamento, l’ammasso e il deposito dei rifiuti stessi, nonché le operazioni di trasformazione necessarie per il riutilizzo, il ricupero o il riciclo dei medesimi. Tuttavia, altre versioni, quali quelle francese («élimination»), italiana («smaltimento»), inglese («disposal») e tedesca («Beseitigung»), rimandano a significati equivalenti al castigliano «eliminación». Tale circostanza viene utilizzata dallo Stato membro convenuto per sostenere che, quando la direttiva 85/337 utilizza l’espressione «impianti di eliminazione», lo fa in senso stretto, in quanto allude unicamente alle operazioni destinate alla soppressione dei rifiuti.

47.   Non condivido tale tesi. Anzitutto, un’interpretazione rigorosamente letterale delle norme in questione conduce alla soluzione opposta. Nella prima versione della direttiva 75/442, la «gestión» («élimination», «smaltimento», «disposal» o «Beseitigung») comprende azioni specifiche di eliminazione e altre di diversa natura, come il riutilizzo, il ricupero o il riciclo, che la direttiva 91/156 ha anni dopo qualificato come «recupero».

48.   La direttiva 75/442, modificata dalla direttiva 91/156 suddetta, riunisce nella nozione di «gestión» («gestion» in francese; «gestione» in italiano; «management» in inglese; «Bewirtschaftung» in tedesco) la raccolta, il trasporto, il «ricupero» e lo «smaltimento» («valorización» e «eliminación»; «valorisation» e «élimination»; «recovery» e «disposal»; «Verwertung» e «Beseitigung») e delimita queste due ultime attività mediante un rinvio agli allegati II A e II B, rispettivamente.

49.   Pertanto, non può condividersi la tesi del governo italiano che assembla sotto il profilo linguistico il testo originario delle due direttive, in quanto tale commistione porta ad un risultato contrario a quello perseguito, posto che lo «smaltimento» («gestión» nella versione spagnola) di cui alla direttiva 75/442 comprende anche operazioni di «recupero».

50.   Si potrebbe sostenere che, dopo aver distinto nella riforma del 1991 della direttiva sui rifiuti tra «smaltimento» e «recupero», la direttiva sulla valutazione di impatto ambientale, con la riforma del 1997, ha conservato soltanto il sostantivo «smaltimento», indizio del fatto che il legislatore ha inteso lasciare il «recupero» fuori del suo ambito.

51.   Nondimeno, ritengo che un tale intendimento, oltre ad ostacolare l’attuazione della direttiva 85/337, sulla cui portata ho già riferito, negherebbe l’essenza stessa della direttiva 75/442, così come interpretata dalla Corte di giustizia.

C –    «Recupero» contro «smaltimento»

52.   Tale binomio si incontra nel cuore della normativa comunitaria relativa a tale materia (29). Qualsiasi attività riguardante i rifiuti deve concettualmente essere classificata come «smaltimento» o come «recupero», nozioni queste definite negli allegati II A e II B, essendo usuale che una medesima operazione ricada logicamente in entrambi gli elenchi, pur non potendo dal punto di vista normativo ricevere simultaneamente entrambe le qualificazioni. È necessario un esame specifico di ciascuna ipotesi, alla luce delle finalità della direttiva, al fine di scegliere l’opzione corretta (30).

53.   Con il «recupero» si mira ad ottenere che i rifiuti assolvano una funzione utile e sostituiscano l’uso di altri materiali che avrebbero dovuto essere utilizzati per svolgere tale funzione, favorendo la conservazione delle risorse naturali (31). Lo «smaltimento» evoca l’idea di «rinunciare a», di «separarsi da» qualcosa, in modo ordinato, per non recuperarlo (32).

54.   È lo scopo, e non i mezzi, a segnare la differenza, motivo per cui va respinto uno schema semplicistico come quello proposto dal governo italiano, secondo cui le attività di recupero, in linea di principio meno nocive per l’ambiente, sono escluse dall’ambito di applicazione della direttiva 85/337. La semplice lettura dei detti allegati evidenzia l’inesattezza di tale tesi, in quanto, a titolo di esempio, vengono considerate come «recupero» tecniche, quali il riutilizzo o la rigenerazione di solventi, potenzialmente più lesive rispetto ad altre qualificabili come «smaltimento», quali certi trattamenti biologici o il deposito sul suolo o nel sottosuolo.

55.   La tutela ambientale costituisce la giustificazione della direttiva 75/442 e della sua modifica del 1991 (33), promuovendo il «recupero», più vantaggioso dello «smaltimento», ma non per la sua innocuità, bensì per il fatto che con il riciclaggio si proteggono meglio le risorse naturali (34).

56.   Pertanto, il «recupero», pur essendo probabilmente più rispettoso dell’ambiente rispetto allo «smaltimento», non è innocuo, sicché esige anch’esso cautele, quali quelle delineate nella direttiva 85/337.

57.   Nulla autorizza la tesi dello Stato membro convenuto, foriera di risultati non voluti dalla detta direttiva, in quanto lascia fuori dell’ambito di applicazione di quest’ultima una categoria di azioni eventualmente lesive, senza accertare, in forma individualizzata, la loro rilevanza, adducendo quale insufficiente motivazione il fatto che di norma le azioni suddette non pregiudicano la qualità della vita (35).

D –    L’inceneritore di Massafra

58.   Questo impianto genera energia elettrica a partire dalla combustione di biomassa e di combustibile derivato da rifiuti, con una capacità superiore alle cento tonnellate al giorno; esso risulta compreso nell’allegato I, punto 10, della direttiva 85/337, come modificata nel 1997, motivo per cui va assoggettato, ai sensi dell’art. 4, n. 1, ad una valutazione di impatto.

59.   Stanti tali premesse, reputo incontestabile la prima violazione denunciata dalla Commissione, in quanto le autorità italiane hanno consentito la costruzione ed il funzionamento di un impianto che necessitava di una valutazione del suo impatto ambientale.

E –    Gli impianti di recupero sottoposti a procedura semplificata

60.   La riforma della direttiva 75/442 realizzata nel 1991 ha introdotto una procedura speciale all’art. 11 ed ha esentato da autorizzazione tanto gli stabilimenti quanto le imprese «di recupero» (36), purché: 1°) siano state adottate per ciascun tipo di attività norme generali che fissano i tipi e le quantità di rifiuti e le condizioni alle quali l’attività può essere dispensata dall’autorizzazione; e 2°) sussistano le condizioni fissate dall’art. 4 della detta direttiva, vale a dire che non venga messa in pericolo la salute umana e non si rechi pregiudizio all’ambiente.

61.   Perché la deroga si applichi, debbono ricorrere entrambi i presupposti (37), sebbene solo il secondo rilevi ai fini della presente causa.

62.   La Commissione sostiene che la Repubblica italiana, esonerando da un’analisi delle ripercussioni o dalla valutazione gli impianti di recupero che beneficiano del procedimento abbreviato, viene meno agli obblighi imposti dalla direttiva 85/337.

63.   Tale procedura più semplice, disciplinata dagli artt. 31 e 33 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, costituisce la trasposizione nel diritto italiano dell’art. 11 della direttiva 75/442. Poco sopra ho evidenziato come le norme impongano che gli impianti non pregiudichino le risorse naturali e, in particolare, ai sensi del citato art. 4, che non creino rischi per l’acqua, l’aria, il suolo e per la fauna e la flora, che non causino inconvenienti da rumori od odori e che non danneggino il paesaggio e i siti di particolare interesse.

64.   Ad un primo esame, in assenza di una riflessione approfondita, sembrerebbe che, al riguardo, la ragione sia dalla parte dello Stato membro convenuto.

65.   Le operazioni effettuate sui rifiuti debbono essere autorizzate e, come presupposto, occorre verificare il relativo impatto, emettendo, se del caso, il corrispondente provvedimento (artt. 8 e 9 della direttiva 75/442, in relazione all’art. 2, n. 1, della direttiva 85/337, entrambe come modificate). Tuttavia, eccezionalmente (38), restano escluse da questo controllo preliminare alcune operazioni di recupero, predeterminate in via generale, che rispettino le soglie di rilevanza, anche astrattamente predefinite, e, al tempo stesso, soddisfino le condizioni stabilite, purché non pregiudichino l’ambiente.

66.   Sarebbe inutile sottoporre a verifica un’azione della quale già si conosce il carattere innocuo, giacché altrimenti non sarebbe possibile giovarsi della procedura speciale.

67.   Tuttavia, tale tesi trascura il fatto che in questa materia vengono in questione differenti categorie di autorizzazione: da un lato, le autorizzazioni di funzionamento, alle quali si riferiscono gli artt. 9 e 10 della direttiva 75/442 nonché l’art. 2, n. 1, parte finale, della direttiva 85/337; dall’altro lato, l’autorizzazione alla realizzazione del progetto, menzionata nella prima parte di quest’ultima disposizione e descritta all’art. 1, n. 2. La procedura semplificata rende superflue le autorizzazioni del primo tipo, ma non quest’ultima autorizzazione.

68.   In conformità del citato art. 2 della direttiva 85/337, prima di rilasciare l’autorizzazione alla realizzazione di un progetto idoneo ad avere ripercussioni significative sull’ambiente, occorre verificare gli effetti del medesimo ed ottenere la pertinente approvazione. La menzionata procedura speciale fa sì che, constando l’irrilevanza di tali effetti, non sia necessaria l’autorizzazione di funzionamento, ma lo stesso non accade riguardo all’autorizzazione alla realizzazione del progetto, qualora occorra una valutazione della sua incidenza in quanto la impongono «la (...) natura, le (...) dimensioni o la (...) ubicazione» del progetto stesso (39), direttamente, ove questo corrisponda all’allegato I, oppure una volta accertati i suoi effetti, se rientrante nell’allegato II (40).

69.   In altre parole, l’impianto nel quale viene effettuata un’attività «ambientalmente» vantaggiosa non è escluso dalla verifica se, per le sue dimensioni o la sua ubicazione, può influire negativamente sull’ambiente. Quand’anche si conosca l’innocuità del contenuto, occorre constatare caso per caso quella del contenitore. Nessuno discuterebbe la convenienza di una valutazione di impatto ambientale per installare un depuratore di acque in uno spazio naturale protetto.

70.   Ho indicato al paragrafo 42 di queste conclusioni che, quando si precisano ex ante le soglie e i criteri che obbligano ad una valutazione, nella fase di applicazione di tali parametri bisogna stabilire se le caratteristiche di un intervento concreto provochino conseguenze importanti.

71.   Ad ogni modo, anche considerando adeguato il sommario accertamento descritto ai paragrafi 64‑66 delle presenti conclusioni, è possibile che lo Stato membro commetta un errore, utilizzando criteri sbagliati o eludendo le prescrizioni dell’art. 11 della direttiva 75/442, permettendo che siano qualificate come innocue attività delle quali si ignorano le ripercussioni. Tale situazione risulta sussistente nel caso di specie, in quanto, come ha stabilito la citata sentenza Commissione/Italia nella causa C‑103/02 (41), la Repubblica italiana ha violato la detta disposizione, non avendo stabilito nel decreto 5 febbraio 1998, che dà attuazione agli artt. 31 e 33 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, quantità massime di rifiuti che possano essere oggetto di procedura semplificata, non rispettando così una delle garanzie che rendono possibile il ricorso a quest’ultima.

72.   In definitiva, in Italia esistono impianti di recupero di cui agli allegati I e II della direttiva 85/337 che vengono autorizzati senza valutazione del loro impatto ambientale, con conseguente violazione degli artt. 2, n. 1, e 4, nn. 1‑3, della detta direttiva, motivo per cui anche la seconda violazione contestata col ricorso risulta provata.

VI – Sulle spese

73.   Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se, come nel presente caso, ne è stata fatta domanda. Pertanto, essendo il ricorso della Commissione fondato, occorre condannare alle spese la parte convenuta.

VII – Conclusione

74.   Alla luce delle considerazioni che precedono, suggerisco che la Corte voglia:

1)         accogliere integralmente il ricorso della Commissione;

2)         dichiarare che la Repubblica italiana ha violato gli obblighi ad essa incombenti in forza degli artt. 2, n. 1, e 4, nn. 1‑3, della direttiva del Consiglio 27 giugno 1985, 85/337/CEE, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, come modificata dalla direttiva del Consiglio 3 marzo 1997, 97/11/CE, in quanto il detto Stato membro:

a)     ha esonerato dalla procedura di valutazione di impatto ambientale un impianto per l’incenerimento di combustibile derivato da rifiuti e di biomasse, avente una capacità superiore a cento tonnellate al giorno, sito in Massafra, provincia di Taranto, impianto compreso nel punto 10 dell’allegato I della detta direttiva;

b)     ha adottato una normativa [l’art. 3 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 3 settembre 1999, che modifica le lettere i) e l) dell’allegato A del decreto del Presidente della Repubblica 12 aprile 1996] che dispensa dalla detta valutazione talune attività comprese nell’allegato I della direttiva citata e utilizza criteri inadeguati per stabilire se un’attività ai sensi dell’allegato II della medesima direttiva possa essere esentata da tale valutazione;

3)         condannare alle spese la Repubblica italiana.


1 – Lingua originale: lo spagnolo.


2 – GU L 175, pag. 40; EE 15/06, pag. 9.


3 – GU L 73, pag. 5.


4 – Il termine «valorización» [recupero] descrive l'azione e l'effetto del «valorizar», che, secondo il Diccionario de la Real Academia Española de la Lengua, conosce soltanto tre accezioni, vale a dire indicare il prezzo delle cose, riconoscere il merito delle persone e aumentare il valore di qualcosa. Nel diritto comunitario il detto termine ha acquisito un altro significato in relazione ai rifiuti, per indicare tutte le operazioni dirette a far sì che i materiali residui svolgano una funzione utile e sostituiscano l'uso di altri materiali che dovrebbero impiegarsi a tale scopo, promuovendo la conservazione delle risorse naturali.


5 – GU L 194, pag. 39; EE 17/01, pag. 129.


6 – GU L 78, pag. 32.


7 – Modificato dalla direttiva 97/11.


8 – Anch'esso modificato nel 1997.


9 – Tale paragrafo consente, in casi eccezionali, di escludere l'applicazione della direttiva.


10 – Direttiva del Consiglio 12 dicembre 1991, relativa ai rifiuti pericolosi (GU L 377, pag. 20).


11 – La detta disposizione stabilisce che si dovrà evitare, in particolare, di «creare rischi per l'acqua, l'aria, il suolo e per la fauna e la flora», di «causare inconvenienti da rumori od odori» e di «danneggiare il paesaggio e i siti di particolare interesse».


12 – Legge intitolata Istituzione del Ministero dell'ambiente e norme in materia di danno ambientale [pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana (in prosieguo: la «GURI») del 15 luglio 1986, supplemento ordinario n. 59].


13  – Questa legge reca il titolo Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee – Legge comunitaria 1993 (GURI del 4 marzo 1994, supplemento ordinario, n. 52).


14  – Atto di indirizzo e coordinamento per l'attuazione dell'art. 40, comma 1, della legge 22 febbraio 1994, n. 146, concernente disposizioni in materia di valutazione di impatto ambientale (GURI del 7 settembre 1996, serie generale, n. 210, pag. 28).


15 – Atto di indirizzo e coordinamento che modifica ed integra il precedente atto di indirizzo e coordinamento per l'attuazione dell'art. 40, comma 1, della legge 22 febbraio 1994, n. 146, concernente disposizioni in materia di valutazione dell'impatto ambientale (GURI del 27 dicembre 1999, serie generale, n. 302).


16 – Attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio(DecretoRonchi). Testo coordinato (GURI del 15 febbraio 1997, supplemento ordinario al n. 33).


17 – Individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero ai sensi degli articoli 31 e 33 del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 (GURI del 16 aprile 1998, supplemento ordinario, n. 88).


18 – Causa C‑103/02 (Racc. pag. I‑9127).


19 – Come ha ricordato la sentenza 11 giugno 1991, causa C‑300/89, Commissione/Consiglio (Racc. pag. I‑2867, punti 22 e 24).


20 – Utilizzo tale espressione al paragrafo 59 delle conclusioni da me presentate il 26 maggio 2005 nella causa decisa dalla sentenza 13 settembre 2005, causa C‑176/03, Commissione/Consiglio (Racc. pag. I‑0000).


21 – Menzionati nel secondo ‘considerando’ della direttiva 97/11, come evidenziato dalla sentenza 16 marzo 2006, causa C‑332/04, Commissione/Spagna (non pubblicata, punto 57). Sorprende l'interpretazione «edulcorata» della direttiva 85/337 sostenuta all'udienza dal rappresentante del governo italiano, per il quale, a quanto pare, l'Atto Unico europeo, le conseguenti modificazioni del Trattato CE e la direttiva 97/11 sono meri aneddoti, privi di rilevanza.


22 – Questo è quanto si deduce dalle sentenze 16 settembre 1999, causa C‑435/97, WWF e a. (Racc. pag. I‑5613, punto 45), e 7 gennaio 2004, causa C‑201/02, Wells (Racc. pag. I‑723, punto 42).


23 – Espongo tali idee nelle conclusioni presentate l'8 gennaio 2004 e il 14 luglio 2005, rispettivamente, nella causa C‑87/02, Commissione/Italia (decisa con sentenza 10 giugno 2004, Racc. pag. I‑5975), e nella causa C‑98/04, Commissione/Regno Unito (decisa con sentenza 4 maggio 2006, Racc. pag. I‑0000).


24 – Sentenze 21 settembre 1999, causa C‑392/96, Commissione/Irlanda (Racc. pag. I‑5901, punti 65‑67); 13 giugno 2002, causa C‑474/99, Commissione/Spagna (Racc. pag. I‑5293, punto 31), e 16 marzo 2006, Comissione/Spagna, cit. alla nota 21 (punto 76).


25 – In tal senso si esprimono le sentenze 24 ottobre 1996, causa C‑72/95, Kraaijeveld e a. (Racc. pag. I‑5403, punto 50); 22 ottobre 1998, causa C‑301/95, Commissione/Germania (Racc. pag. I‑6135, punto 45); WWF e a., cit. (punti 36 e 45); 21 settembre 1999, causa C‑392/96, Commissione/Irlanda (Racc. pag. I‑5901, punto 64), e Commissione/Italia, cit. alla nota 23 (punto 44).


26 – Sentenze WWF e a., punto 45, e Commissione/Italia, punto 44, entrambe menzionate alla nota precedente.


27 – Le sentenze Kraaijeveld e a., cit. (punti 31 e 39), e 16 settembre 2004, causa C‑227/01, Commissione/Spagna (Racc. pag. I‑8253, punto 46), hanno sottolineato l'estensione dell'ambito di applicazione della detta direttiva.


28 – Nelle originarie versioni francese, inglese e tedesca figuravano le espressioni «installations d'élimination», «disposal installations» e «Abfallbeseitigungsanlagen», rispettivamente, che sono state mantenute nei vari testi del 1997. La versione italiana ha sostituito il sostantivo «eliminazione» con «smaltimento», avente uguale significato.


29 – L'avvocato generale Jacobs evidenzia tale circostanza nelle sue conclusioni presentate il 15 novembre 2001 nella causa C‑6/00, ASA, decisa dalla sentenza 27 febbraio 2002 (Racc. pag. I‑1961, paragrafi 5 e 77).


30 – La sentenza ASA si è espressa in termini analoghi (punti 63 e 64). Così anche la sentenza 3 aprile 2003, causa C‑116/01, SITA (Racc. pag. I‑2969, punti 40 e 41).


31 – Punto 69 della sentenza ASA. Nello stesso senso, sentenze 13 febbraio 2003, causa C‑228/00, Commissione/Germania (Racc. pag. I‑1439, punto 45), e causa C‑458/00, Commissione/Lussemburgo (Racc. pag. I‑1553, punto 36).


32 – Non bisogna confondere lo «smaltimento» con l'«abbandono», che l'art. 4, n. 2, della direttiva 75/442 menziona, per vietarlo, insieme con lo scarico e lo «smaltimento incontrollato». Al riguardo, v. sentenza 11 novembre 2004, causa C‑457/02, Niselli (Racc. pag. I‑10853, punti 38 e 39).


33 – La sentenza 18 aprile 2002, causa C‑9/00, Palin Granit e Vehmassalon kansanterveystyön kuntayhtymän hallitus (Racc. pag. I‑3533), ha sottolineato che l'obiettivo della direttiva 75/442 è «la tutela della salute umana e dell'ambiente contro gli effetti nocivi della raccolta, del trasporto, del trattamento, dell'ammasso e del deposito dei rifiuti», ricordando il testo dell'art. 174, n. 2, CE, che orienta la politica della Comunità verso un elevato livello di tutela degli ecosistemi, basandosi sui principi di precauzione e di prevenzione. In termini identici si è espressa la sentenza Niselli (punto 33).


34 – Per questi motivi, l'art. 3, n. 1, lett. b), della direttiva 75/442, nella versione del 1991, incoraggia gli Stati membri a promuovere «il ricupero dei rifiuti mediante riciclo, reimpiego, riutilizzo o ogni altra azione intesa a ottenere materie prime secondarie», nonché l'uso dei rifiuti stessi come fonte di energia.


35 – La sentenza 7 settembre 2004, causa C‑127/02, Landelijke Vereniging e a. (Racc. pag. I‑7405), fondandosi sul principio di precauzione, ha affermato che, ove sussistano dubbi circa l'entità delle conseguenze di un'attività, occorre valutarle (punto 44).


36 – Sono dispensate anche le imprese che smaltiscono i propri rifiuti nei luoghi di produzione.


37 – Sentenza Commissione/Italia, cit. alla nota 18, punto 27.


38 – La sentenza Commissione/Italia, menzionata alla nota precedente, ha chiarito la natura eccezionale di tale procedura semplificata (punto 31).


39 – Così recita l'art. 2, n. 1, della direttiva 85/337, come modificata.


40 – La sentenza 29 aprile 2004, causa C‑117/02, Commissione/Portogallo (Racc. pag. I‑5517), ha sottolineato che una determinata attività, pur non raggiungendo le soglie limite indicate dalla norma, può avere un impatto notevole sull'ambiente, in ragione «della sua natura, delle sue dimensioni o della sua ubicazione», dovendo realizzarsi i controlli pertinenti (punto 82).


41 – Il rappresentante della Commissione ha comunicato all'udienza che tale sentenza non è stata eseguita, motivo per cui è stato avviato un procedimento ai sensi dell'art. 228 CE.