Cass. Sez. III n. 12967 del 26 marzo 2015 (Cc 17 dic 2014)
Pres. Fiale Est. Andronio Ric. Bertotto ed altro
Rumore. Responsabilità del gestore di un esercizio commerciale per rumori provocati dagli avventori

Laddove gli schiamazzi o i rumori avvengano all'interno di un esercizio, non c'è dubbio che il gestore abbia la possibilità di assolvere l'obbligo di controllo degli avventori, impedendo loro comportamenti che si pongano in contrasto con le norme di polizia di sicurezza. Si è così ritenuto che risponda del reato di cui all'art. 659 cod. pen., il gestore di un locale pubblico che ometta di ricorrere ai vari mezzi offerti dall'ordinamento (come l'attuazione dello ius excludendi o il ricorso all'autorità) per evitare che la frequentazione del locale da parte degli utenti sfoci in condotte contrastanti con le norme poste a tutela dell'ordine e della tranquillità pubblica. Se, invece, il disturbo del riposo e delle occupazioni da parte degli avventori dell'esercizio pubblico avvenga all'esterno del locale, per poter configurare la responsabilità del gestore è necessario provare che egli non abbia esercitato il potere di controllo e che a tale omissione sia riconducibile la verificazione dell'evento.

RITENUTO IN FATTO

1. - Con sentenza del 7 marzo 2013, il Tribunale di Torino ha condannato l'imputata alla pena della ammenda, oltre che al risarcimento del danno nei confronti delle parti civili, con assegnazione di provvisionali, per il reato di cui all'art. 659 c.p., comma 1, per avere, quale legale rappresentante di una società che gestiva un locale, provocato schiamazzi e rumori, utilizzando lo spazio pubblico prospiciente al locale per le consumazioni all'aperto degli avventori, con le porte del locale costantemente aperte, e diffondendo musica ad alto volume.

2. - Avverso la sentenza l'imputata ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, chiedendone l'annullamento.

2.1. - Con un primo motivo di doglianza, si deducono la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione in relazione al riconoscimento dell'idoneità dei rumori provenienti dal locale e dagli avventori a disturbare una pluralità indeterminata di persone. Si contesta, in linea di principio, la sussistenza di una responsabilità del gestore del locale per i rumori fatti dagli avventori. Si afferma, inoltre, che vi erano stati accertamenti della polizia municipale in un periodo antecedente a quello oggetto di contestazione, così che tali accertamenti non avrebbero potuto essere presi in considerazione a fini di prova. Il Tribunale avrebbe, invece, utilizzato una massima di esperienza del tutto congetturale, affermando che il locale aveva continuato ad esercitare la propria attività dopo tali accertamenti, verosimilmente negli stessi termini, e che il periodo estivo non poteva che avere causato un maggiore afflusso di clienti. Tale massima sarebbe smentita - secondo la prospettazione difensiva - dalla considerazione che il locale si trova in città e non in una zona di vacanza e, dunque, proprio in estate sconta il deflusso della clientela verso le località turistiche.

2.2. - In secondo luogo, si deducono la mancanza e la contraddittorietà della motivazione, con riferimento alle deposizioni dei testi Z., della polizia municipale, e Pe., dei carabinieri. Quanto al primo, si sarebbe trascurato di considerare che egli aveva precisato che nel periodo estivo il locale era meno frequentato; quanto al secondo, non si sarebbe considerato che egli non era stato in grado di distinguere quali fossero gli avventori del locale e quali i semplici passanti o avventori di altri locali ed aveva precisato che il gestore di fatto del locale cercava di invitare i gruppi di clienti più rumorosi a calmarsi.

2.3. - Con un terzo motivo di doglianza, si deduce la violazione della disposizione incriminatrice, perchè la stessa non dovrebbe trovare applicazione a carico del gestore del locale in riferimento alle condotte poste in essere dagli avventori fuori dal locale stesso. E del resto, non vi sarebbero riscontri della diffusività dei rumori, se non con riferimento alle sole abitazioni delle parti civili.

2.4. - Si rileva, infine, la carenza di motivazione in ordine al danno subito dalle costituite parte civili, per la mancata identificazione della relazione causale fra offesa e danno.


CONSIDERATO IN DIRITTO

3. - Il ricorso è infondato.

3.1. - Deve essere preliminarmente esaminata la censura - proposta con il primo e il terzo motivo di doglianza - relativa alla configurabilità di una responsabilità del gestore del locale ex art. 659 c.p., comma 1, per gli schiamazzi posti in essere dagli avventori del locale stesso, con disturbo delle persone.

3.1.1. - Va premesso che l'elemento che differenzia tra loro le due autonome fattispecie configurate dall'art. 659 cod. pen. è rappresentato dalla fonte del rumore prodotto: ove esso provenga dall'esercizio di una professione o di un mestiere rumorosi, la condotta rientra nella previsione del secondo comma, del citato articolo per il semplice fatto della esorbitanza rispetto alle disposizioni di legge o alle prescrizioni dell'autorità, presumendosi la turbativa della pubblica tranquillità; qualora, invece, le vibrazioni sonore non siano causate dall'esercizio dell'attività lavorativa, ricorre l'ipotesi di cui all'art. 659 cod. pen., comma 1, per la quale occorre che i rumori superino la normale tollerabilità e investano un numero indeterminato di persone, disturbando le loro occupazioni o il loro riposo (ex plurimis, Cass. pen. sez. 3, 3 luglio 2014, n. 37196). Perchè sussista la rilevanza penale ex art. 659 c.p., della condotta produttiva di rumori, censurati come fonte di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone, è richiesta l'incidenza sulla tranquillità pubblica, in quanto l'interesse tutelato dal legislatore è la pubblica quiete, sicchè i rumori debbono avere una tale diffusività che l'evento disturbo sia potenzialmente idoneo ad essere risentito da un numero indeterminato di persone, pur se poi concretamente solo taluna se ne possa lamentare (ex plurimis, sez. 1, 29 novembre 2011, n. 47298).

3.1.2. - La giurisprudenza di questa Corte ha inoltre affermato che il gestore di un esercizio commerciale è responsabile del reato di cui all'art. 659 c.p., comma 1, per i continui schiamazzi e rumori provocati dagli avventori dello stesso, con disturbo delle persone.

Infatti la qualità di titolare della gestione dell'esercizio pubblico comporta l'assunzione dell'obbligo giuridico di controllare che la frequentazione del locale da parte dei clienti non sfoci in condotte contrastanti con le norme concernenti la polizia di sicurezza (sez. 1, 28 febbraio 2003, n. 16886; sez. 1, 27 marzo 2008, n. 17779; sez. 1, 30 settembre 2009, n. 40004). E perchè l'evento possa essere addebitato al gestore dell'esercizio commerciale è necessario che esso sia riconducibile al mancato esercizio del potere di controllo e sia quindi collegato da nesso di causalità con tale omissione. In altri termini, laddove gli schiamazzi o i rumori avvengano all'interno dell'esercizio, non c'è dubbio che il gestore abbia la possibilità di assolvere l'obbligo di controllo degli avventori, impedendo loro comportamenti che si pongano in contrasto con le norme di polizia di sicurezza. Si è cosi ritenuto che risponda del reato di cui all'art. 659 cod. pen., il gestore di un locale pubblico che ometta di ricorrere ai vari mezzi offerti dall'ordinamento (come l'attuazione dello ius excludendi o il ricorso all'autorità) per evitare che la frequentazione del locale da parte degli utenti sfoci in condotte contrastanti con le norme poste a tutela dell'ordine e della tranquillità pubblica (sez. 6, 24 maggio 1993, n. 7980; sez. 1, 3 dicembre 2008, n. 48122). Se, invece, il disturbo del riposo e delle occupazioni da parte degli avventori dell'esercizio pubblico avvenga all'esterno del locale, per poter configurare la responsabilità del gestore è necessario provare che egli non abbia esercitato il potere di controllo e che a tale omissione sia riconducibile la verificazione dell'evento.

3.1.3. - Tali principi sono stati correttamente applicati dal Tribunale anche nel caso di specie, in cui - come si vedrà più analiticamente infra, sub 3.2. - vi era musica ad altissimo volume diffusa dal locale, le cui porte venivano tenute costantemente aperte, e vi era il rumore degli avventori, proveniente sia dall'interno del locale stesso sia dall'esterno. E quanto a quest'ultimo profilo, il Tribunale ha evidenziato che si trattava di schiamazzi che, oltre a non essere riconducibili neanche in astratto al rumore connaturato all'attività di bar, erano provocati dai clienti del locale e non da altri soggetti, proprio perchè il fatto che le porte fossero costantemente aperte creava una continuità fra l'interno del locale e il marciapiede della via pubblica, utilizzato in modo prevalente per le consumazioni all'aperto degli avventori, senza che tali schiamazzi fossero in concreto impediti.

Ne deriva l'infondatezza della censura sub 3.1.

3.2. - Quanto ai profili di fatto - oggetto di doglianze contenute nei primi tre motivi del ricorso - deve rilevarsi che la motivazione della sentenza impugnata risulta pienamente sufficiente e logicamente coerente in ogni sua parte.

Con particolare riferimento al riconoscimento dell'idoneità dei rumori provenienti dal locale e dagli avventori a disturbare una pluralità indeterminata di persone, il Tribunale evidenzia, infatti, che la prova è costituita dalle convergenti dichiarazioni dei soggetti che abitano in zona, suffragate dai riscontri costituiti, in particolare, dalla constatazione personale effettuata - proprio nel periodo oggetto dell'imputazione - dal commissario Z., il quale aveva riferito che gli schiamazzi e i rumori si sentivano molto forte in almeno una delle abitazioni dei denuncianti. E -contrariamente a quanto ritenuto dalla difesa del ricorrente - la circostanza che vi fossero stati testi fonometrici e ulteriori riscontri dai quali era risultato l'ampio superamento dei valori limite nel periodo precedente a quello oggetto dell'imputazione è correttamente valorizzata dallo stesso Tribunale non come prova diretta del fatto, ma semplicemente come ulteriore indizio. Quanto, poi, all'affermazione del Tribunale secondo cui la zona sarebbe stata comunque affollata anche nel periodo estivo, tanto da portare alla produzione di rumori molesti, questa ha trovato conferma diretta proprio nelle testimonianze raccolte.

E la chiarezza complessiva del quadro istruttorio consente di superare logicamente le deduzioni difensive relative alle incertezze e alle contraddizioni nelle deposizioni dei testi Z. e Pe., relativamente alla provenienza del rumore dal locale dell'imputata e al fatto che il gestore del locale stesso tentasse di calmare i gruppi "più facinorosi". Con valutazione del tutto logica e coerente e, dunque, insindacabile in sede di legittimità, il Tribunale ha, infatti, ritenuto i rumori - che, lo si ripete, non consistevano solo negli schiamazzi dei clienti all'esterno del locale, ma anche nei rumori prodotti all'interno e nella musica ad alto volume - fossero riconducibili alla condotta dell'imputata e non ha attribuito rilievo ai tentativi, evidentemente ritenuti insufficienti, di calmare la clientela più rumorosa.

Ne deriva l'infondatezza delle restanti doglianze proposte con i motivi sub 2.1., 2.2., 2.3.

3.3. - L'ultimo motivo di doglianza - con cui si rileva la carenza di motivazione in ordine al danno subito dalle costituite parte civili, per la mancata identificazione della relazione causale fra offesa e danno - è manifestamente infondato.

Secondo la giurisprudenza dominante di legittimità (ex plurimis, Cass. pen. sez. 5, 23 aprile 2013, n. 45118, rv. 257551; sez. 6, 26 febbraio 2009, n. 14377, rv. 243310) la condanna generica non è subordinata ad una delibazione in ordine alla concreta sussistenza di un effettivo danno, ma semplicemente all'accertamento della astratta capacità lesiva della condotta dell'imputato e dell'esistenza del nesso di causalità fra il fatto illecito e la lesione. Secondo altro orientamento, addirittura, ai fini della pronuncia di condanna generica al risarcimento dei danni in favore della parte civile non è necessario che il danneggiato provi l'effettiva sussistenza dei danni ed il nesso di causalità tra questi e l'azione dell'autore dell'illecito, essendo sufficiente l'accertamento di un fatto potenzialmente produttivo di conseguenze dannose: la suddetta pronuncia infatti costituisce una mera "declaratoria juris" da cui esula ogni accertamento relativo sia alla misura sia alla stessa esistenza del danno, il quale è rimesso al giudice della liquidazione (Cass. pen., sez. 6, 11 marzo 2005, n. 12199, rv. 231044).

Quanto al caso di specie, deve rilevarsi che il Tribunale ha accertato compiutamente l'illecito, la lesione, il nesso di causalità, perchè ha evidenziato, da un lato, la responsabilità penale dell'imputata per i rumori provenienti dal suo locale, anche con riferimento alla loro idoneità a disturbare la quiete pubblica e, dall'altro, il concreto disturbo arrecato alle parti civili (puntualmente descritto alla pagina 5 della sentenza).

4. - Il ricorso deve perciò essere rigettato, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali. In considerazione della sua soccombenza, la ricorrente deve essere anche condannata alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalle parti civili P.R., S.E., T.A., da liquidarsi in complessivi Euro 2500,00, oltre spese generali e accessori di legge.


P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalle parti civili P.R., S.E., T.A., che liquida in complessivi Euro 2500,00, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2014.
Depositato in Cancelleria il 26 marzo 2015