Cass. Sez. III n. 19332 del 8 maggio 2009 (Ud.11 mar. 2009)
Pres. Onorato Est. Teresi Ric. Soria
Rifiuti. Responsabilità rappresentante impresa edile per fatto dei dipendenti

In tema di rifiuti la responsabilità per l’attività di gestione non autorizzata non attiene necessariamente al profilo della consapevolezza e volontarietà della condotta, potendo scaturire da comportamenti che violino i doveri di diligenza, per la mancata adozione di tutte le misure necessarie per evitare illeciti nella predetta gestione, e che legittimamente si richiedono ai soggetti preposti alla direzione dell’azienda. Pertanto, in applicazione di tali principi, correttamente è stata ritenuta la responsabilità del legale rappresentante dell’impresa edile produttrice di rifiuti, tenuto a vigilare che propri dipendenti o altri sottoposti o delegati osservassero le norme ambientalistiche in terna di formazione di un deposito incontrollato in assenza delle prescritte autorizzazioni.

Con sentenza in data 11 marzo 2008 il Tribunale condannava alla pena dell’ammenda Maurizio Soria, quale legale rappresentante della SIPA s.p.a. esercente la produzione di pannelli di legno,
 per non avere effettuato gli autocontrolli per l’impianto di recupero di rifiuti non pericolosi di cui all’autorizzazione provinciale n. 85873/2002;
 per non avere comunicato la messa in esercizio dell’impianto;
 per non avere rispettato la prescrizione sulle rilevazioni in continuo di ossigeno, CO e temperatura;
 per avere superato i limiti di emissione indicati nell’autorizzazione e nel DM 5 febbraio 1998 per il parametro delle polveri totali;
 per avere effettuato attività di recupero di rifiuti in assenza della necessaria comunicazione alla Provincia ai sensi dell’art. 33 del d.lgs. n. 22/1997.
Proponeva ricorso per cassazione l’imputato eccependo la nullità della notifica dell’avviso di deposito della sentenza e dell’estratto contumaciale presso lo studio del difensore di fiducia anziché presso il domicilio eletto e denunciando violazione di legge
• sull’affermazione di responsabilità in mancanza di prova che egli fosse stato delegato dal CdA di curare gli adempimenti della normativa ambientale;
• sull’omessa verifica, al fine della continuità dell’illecito, della corrispondenza tra le norme contestategli, abrogate dall’art. 280 del d.lgs. n. 152/2006, e quelle introdotte dallo stesso decreto.
Chiedeva l’annullamento della sentenza.
L’eccezione procedurale non è puntuale perché la notifica dell’estratto contumaciale e del deposito della sentenza presso il difensore di fiducia e non presso il domicilio eletto non ha leso il diritto di difesa, avendo l’imputato proposto rituale impugnazione.
Il ricorso è manifestamente infondato e deve essere rigettato con le conseguenze di legge.
Sul motivo relativo alla mancanza di delega ‘al rispetto della normativa ambientale” va osservato che il ricorrente non ha contestato la qualità di legale rappresentante della società, e che, in materia di smaltimento di rifiuti, l’amministratore di una società che gestisce un impianto produttivo è destinatario degli obblighi previsti dalle norme di settore.
E’, infatti, configurabile una posizione di garanzia nei confronti del produttore dei rifiuti il quale è tenuto a vigilare che propri dipendenti o altri sottoposti o delegati osservino le norme ambientalistiche, dovendosi intendere produttore di rifiuti, ai sensi dell’art. 6, comma 1, lett. b), del d.lgs. 5 febbraio 1997 n. 22, non soltanto il soggetto dalla cui attività materiale sia derivata la produzione dei rifiuti, ma anche il soggetto al quale sia giuridicamente riferibile detta produzione.
L’osservanza delle norme in questione consegue, quindi, ope legis e chi è destinatario di esse, legale rappresentante di una società per azione, è tenuto a osservarle non occorrendo che a ciò sia delegato dal Consiglio di amministrazione.
Peraltro, in tema di rifiuti, la responsabilità per l’attività di gestione non autorizzata non attiene necessariamente al profilo della consapevolezza e volontarietà della condotta, potendo scaturire da comportamenti che violino i doveri di diligenza, per la mancata adozione di tutte le misure necessarie per evitare illeciti nella predetta gestione, e che legittimamente si richiedono ai soggetti preposti alla direzione dell’azienda [cfr. Cassazione Sezione III n. 47432/2003 RV. 226868].
Pertanto, in applicazione di tali principi correttamente è stata ritenuta la responsabilità del legale rappresentante dell’impresa edile produttrice di rifiuti, tenuto a vigilare che propri dipendenti o altri sottoposti o delegati osservassero le norme ambientalistiche in tema di formazione di un deposito incontrollato in assenza delle prescritte autorizzazioni.
Sebbene il motivo sull’abrogazione del reato d’inquinamento atmosferico sia viziato di genericità, va comunque osservato che sussiste continuità normativa tra le disposizioni di cui all’art. 24 del d.P.R. n. 203/1988 e quelle di cui all’art. 279 d.lgs. n. 152/2006, atteso che in entrambe le disposizioni è previsto il rispetto dei limiti di emissione, l’obbligo di comunicare la messa in esercizio dell’impianto, l’obbligo di comunicare all’autorità competente i dati relativi alle emissioni.
Pertanto “in tema dl gestione dei rifiuti, gli impianti per il trattamento degli stessi che comportano emissioni nell’atmosfera sono soggetti sia alle disposizioni di cui al d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, sia a quelle di cui al d.P.R. 24 maggio 1988 n. 203, entrambi sostituiti dal d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152” (Cassazione 08051/2007 RV. 236079].
La manifesta infondatezza del ricorso preclude l’applicazione di eventuali sopravvenute cause di estinzione del reato [Cassazione SU n. 32/2000, De Luca], sicché grava sul ricorrente l’onere delle spese del procedimento e del versamento alla cassa delle ammende di una somma che va equitativamente fissata in €. 1.000.