OGM e MOGM: la partecipazione di enti esponenziali alle procedure di autorizzazione[1]. di Serenella Beltrame. OGM e MOGM

 

Da più parti, sia nella letteratura scientifica che sulla stampa in generale, sono state evidenziate le preoccupazioni relative all’impatto sull’ambiente degli organismi geneticamente modificati (OGM) e dei microrganismi geneticamente modificati (MOGM) e, senza voler destare falsi allarmismi o trarre affrettate conclusioni relativamente a problematiche scientifiche in cui le informazioni a disposizione degli utenti sono carenti, è parso opportuno analizzare, seppur nei termini sintetici della presente indagine, le possibilità conferite agli enti esponenziali di partecipare alle procedure amministrative afferenti l’autorizzazione all’immissione in ambito comunitario degli OGM[2] ed all’impiego confinato dei MOGM, nonché ai procedimenti connessi ai fenomeni di inquinamento.

 

Gli atti di assenso all’emissione deliberata di OGM nell’ambiente ed all’immissione sul mercato di prodotti contenenti OGM costituiscono l’esito positivo di un procedimento amministrativo instaurato su impulso della parte interessata richiedente l’autorizzazione. L’atto introduttivo è costituito dalla <> al Ministero della sanità, che  comprende diverse informazioni (e documentazione tecnica)[3] tra le quali va segnalata la valutazione del rischio per la salute umana e per l’ambiente collegato con l’OGM o una combinazione di OGM contenuti nel prodotto, incluse le informazioni ottenute nel corso della fase di ricerca e sviluppo relative alle ripercussioni dell’emissione sulla salute umana e sull’ambiente.

 

L’iter delineato dalle norme comunitarie[4] e nazionali si può suddividere, in estrema sintesi, in due fasi di cui la prima si svolge all’interno dello Stato membro e può concludersi: a) con il rigetto dell’istanza in quanto l’emissione progettata non è conforme alle disposizioni vigenti, oppure b) con la trasmissione del fascicolo alla Commissione delle Comunità europee con parere favorevole all’emissione; in quest’ultimo caso, la Commissione CE invia agli altri Stati membri la <> ricevuta in ordine alla quale i predetti possono proporre obiezioni ed osservazioni[5]. Alla Commissione compete la decisione relativamente a dette obiezione nonché relativamente all’emissione progettata e, nel caso in cui quest’ultima sia favorevole, lo Stato membro adotta il provvedimento formale di assenso all’emissione richiesta.

 

Partecipazione delle associazioni all’emissione progettata di OGM e diritto di accesso alle informazioni.

 

Relativamente alla procedura amministrativa che si svolge nel nostro Stato, dopo aver ricevuto la notifica il Ministero della sanità in collaborazione con l’Istituto superiore di sanità esperisce un’istruttoria preliminare alla quale partecipano esperti tecnici designati dai Ministeri dell’ambiente e dell’agricoltura, e sottopone la notifica all’esame della Commissione interministeriale di valutazione[6] cui compete l’adozione di un parere al quale deve attenersi il dicastero investito della decisione[7], salva la valutazione di “eventuali specifiche esigenze di prevenzione ambientale manifestate dal Ministero dell’ambiente”.  

 

Detta Commissione, che ha il compito di verificare la conformità della notifica alle prescrizioni normative, di valutare i rischi dell’emissione, di esaminare le osservazioni presentate dagli Stati membri[8], “può disporre la consultazione di gruppi e del pubblico su ogni aspetto dell’emissione progettata”.

E’ dunque rimessa all’esercizio discrezionale di questa facoltà attribuita alla Commissione interministeriale l’eventuale partecipazione endoprocedimentale  delle associazioni ambientaliste e di tutela dei consumatori all’<> degli OGM, seppur nei limiti di una <>.

Gli enti esponenziali  possono, comunque, sempre richiedere alla Commissione di essere consultati e, in proposito, non va dimenticato che gli stessi hanno diritto di accesso alle informazioni che ex lege “non possono considerarsi riservate” quali:

a)  la descrizione dell'OGM o degli OGM, il nome e l'indirizzo del notificante, lo scopo dell'emissione e la località dell'emissione;

b)  i metodi e i piani per la sorveglianza dell'OGM o degli OGM e per gli interventi di emergenza;

c)        la valutazione degli effetti prevedibili, in particolare degli effetti patogeni e/o perturbatori dell'ambiente[9].

 

La recente direttiva 2001/18/CE del 12.03.2001 emanata in materia[10] dedica espressamente una disposizione alla “Consultazione e informazione del pubblico”  e stabilisce, salve alcune ipotesi specifiche[11], che “gli Stati membri consultano il pubblico e, se opportuno, determinati gruppi in merito all’emissione deliberata proposta. Gli Stati membri prevedono a tal fine modalità per la consultazione, compreso un periodo di tempo ragionevole, per dare al pubblico o ai gruppi la possibilità di esprimere un parere”. Ad eccezione delle informazioni “riservate”, gli Stati membri hanno l’obbligo di rendere “accessibili al pubblico informazioni su tutte le emissioni di OGM sul loro territorio” per fine diverso dall’immissione in commercio; viene altresì imposto alla Commissione, che ha il compito di istituire un sistema di scambio delle informazioni contenute nelle notifiche tra le autorità competenti e la Commissione, di  rendere accessibili al pubblico dette notizie.

 

Tale direttiva, preso atto evidentemente che le informazioni di carattere scientifico sono attinte pressochè esclusivamente da quelle fornite dal notificante e, quindi, del dubbio che può porsi circa (quanto meno) la completezza delle stesse, amplia significativamente i poteri istruttori assegnati in proposito sia agli Stati membri che alla Commissione affinchè sia realizzata una ricerca sistematica e indipendente sui rischi potenziali inerenti all’emissione deliberata o all’immissione sul mercato di OGM. Onde assicurare l’effettività di tale ricerca prescrive che “gli Stati membri e la Comunità dovrebbero stanziare le risorse necessarie secondo rispettive procedure di bilancio e i ricercatori indipendenti dovrebbero poter accedere a tutto il materiale pertinente, nel rispetto dei diritti di proprietà intellettuale”[12].

 

Relativamente alla possibilità di uno Stato membro, dopo la decisione favorevole della Commissione CE, di non rilasciare l’assenso all’immissione in commercio di un OGM nel caso in cui sia entrato in possesso successivamente di nuove informazioni afferenti la nocività del prodotto

la Corte di giustizia, proprio su ricorso di un ente esponenziale (che come si arguisce facilmente dalla lettura della sentenza <> le informazioni utili riuscendo a portarle all’attenzione dell’autorità governativa competente solo  a <>,  per vedersi poi negata l’ultima possibilità di interloquire nel procedimento), ha stabilito che “La direttiva del Consiglio 23 aprile 1990, 90/220/CEE, sull'emissione deliberata nell'ambiente di organismi geneticamente modificati, come modificata dalla direttiva della Commissione 18 giugno 1997, 97/35/CE, recante secondo adeguamento al progresso tecnico della direttiva 90/220, dev'essere interpretata nel senso che, qualora, a seguito della trasmissione alla Commissione di una domanda d'immissione in commercio di un OGM, nessuno Stato membro abbia sollevato obiezioni, in conformità all'art. 13, n. 2, della detta direttiva, o qualora la Commissione abbia adottato una «decisione favorevole» ai sensi del n. 4 della stessa norma, l'autorità competente che ha trasmesso alla Commissione la domanda con parere favorevole è tenuta a rilasciare il «consenso scritto» che permette l'immissione in commercio del prodotto. Tuttavia, ove lo Stato membro interessato nel frattempo sia entrato in possesso di nuove informazioni che lo inducono a ritenere che il prodotto oggetto della notifica possa essere pericoloso per la salute e l'ambiente, esso non sarà tenuto a dare il proprio consenso, a condizione che ne informi immediatamente la Commissione e gli altri Stati membri affinché, entro il termine prescritto dall'art. 16, n. 2, della direttiva 90/220, sia adottata una decisione in materia secondo il procedimento previsto dall'art. 21 della detta direttiva”[13].

Inoltre, “Qualora il giudice nazionale accerti che, in ragione di irregolarità nello svolgimento dell'esame della notifica da parte dell'autorità nazionale competente previsto dall'art. 12, n. 1, della direttiva 90/220, quest'ultima non ha validamente trasmesso alla Commissione il fascicolo con parere favorevole ai sensi del n. 2 di tale norma, il detto giudice è tenuto ad adire la Corte in via pregiudiziale ove ritenga che tali irregolarità siano idonee a pregiudicare la validità della decisione favorevole della Commissione, eventualmente disponendo la sospensione dell'esecuzione dei provvedimenti di attuazione della detta decisione fino a che la Corte non abbia statuito sulla questione della validità”[14].

Relativamente all’osservanza del principio di precauzione nell’ambito della direttiva citata, il giudice sovranazionale rileva che “ il rispetto del principio di precauzione si traduce, da una parte, nell'obbligo, imposto al notificante dall'art. 11, n. 6, della direttiva 90/220, di comunicare immediatamente all'autorità competente ogni nuova informazione in merito ai rischi che il prodotto comporta per la salute o l'ambiente, nonché nell'obbligo, imposto all'autorità competente dall'art. 12, n. 4, d'informarne immediatamente la Commissione e gli altri Stati membri e, d'altra parte, nella facoltà, attribuita ad ogni Stato membro dall'art. 16 della direttiva, di limitare o vietare provvisoriamente l'uso e/o la vendita sul proprio territorio del prodotto per il quale - benché sia stato oggetto di un consenso - vi sono valide ragioni di ritenere che presenti un rischio per la salute o l'ambiente”[15].

 

La (mancata) partecipazione delle associazioni alla procedura afferente i MOGM e diritto di accesso alle informazioni.

 

L’istruttoria afferente l’impiego confinato dei microorganismi geneticamente modificati[16] per quanto riguarda competenze e fasi procedimentali  corrisponde, in linea generale, a quella stabilita per gli OGM anche se rispetto a quest’ultima, si caratterizza per essere più approfondita  in connessione ai più ampi poteri di indagine conferiti al Ministero della sanità[17].

Per i profili che qui interessano, va evidenziato che alla Commissione interministeriale di valutazione[18], di cui si è già accennato più sopra, non è conferito alcun potere consultivo del pubblico o dei gruppi e l’unico <> in tale senso, riferito peraltro alle competenze del dicastero della sanità,  è desumibile dalla disposizione di cui al comma 6, dell’art. 11, D. Lgs. n. 206/2001, per cui “La popolazione interessata deve essere messa in grado di esprimere il proprio parere in merito alla richiesta di autorizzazione relativa agli impianti destinati ad impieghi confinati della classe 4”.

Gli impianti destinati ad impieghi confinati della classe 4 riguardano “gli impieghi confinati ad alto rischio, ovvero operazioni per le quali un livello 4 di contenimento è adeguato a proteggere la salute umana e l'ambiente”[19].

Onde porre in grado la popolazione interessata dall’impianto di esprimere il proprio parere è previsto che contestualmente alla presentazione della notifica “il notificante a proprie spese:

a)  deposita copia della notifica, contenente almeno le informazioni di cui all'allegato V, parte A, nella sede del Comune ove è prevista l'installazione dell'impianto;

b)  provvede, lo stesso giorno, a pubblicare un avviso dell'avvenuto deposito della predetta documentazione sui due quotidiani aventi maggior diffusione nel territorio interessato, con l'indicazione del luogo ove è possibile prendere visione della stessa”[20].

A “chiunque intende fornire elementi conoscitivi e valutativi che ritenga ostativi al rilascio dell'autorizzazione all'impianto” è attribuita la facoltà di presentare in forma scritta osservazioni al Ministero della sanità e alle Autorità locali interessate, entro 30 giorni dalla pubblicazione dell'avviso anzi indicato. Tali osservazioni sono oggetto di valutazione in sede istruttoria[21] e gli interessati in virtù di detta facoltà (e connessi obblighi del notificante) possono adire la giurisdizione amministrativa avverso il provvedimento definitivo di assenso all’impiego confinato dell’MOGM, sia per l’inosservanza dei profili procedurali sopra descritti, sia per gli altri eventuali vizi dell’atto amministrativo.

Per quanto riguarda in generale  la possibilità di accesso ai dati ed alle informazioni contenuti nelle notifiche, il comma 3, dell’art. 13, D. Lgs. n. 206/2001 stabilisce che “In nessun caso possono essere trattate come riservate le seguenti informazioni:

a)  le caratteristiche generali degli MOGM, il nome dell'utilizzatore e del titolare dell'impianto quando le due figure non coincidono e la località dell'impiego;

b)  la classe dell'impiego confinato e le misure di contenimento in concreto adottate;

c)  la valutazione degli effetti potenzialmente nocivi del MOGM, in particolare per la salute umana e per l'ambiente”.

 

L’intervento degli enti esponenziali nei giudizi per danno all’ambiente.

 

La legge n. 349/1986[22], istitutiva del Ministero dell’ambiente, accorda allo Stato nonchè agli enti territoriali sui quali incidano i beni oggetto del fatto lesivo, la legitimatio ad causam per l'azione di risarcimento del danno ambientale, anche se esercitata in sede penale (art. 18, commi 1 e 3).

Alle associazioni ambientaliste e di tutela dei consumatori giuridicamente riconosciute[23], per effetto del combinato disposto di cui agli artt. 13 e 18, comma 5, L. n. 349/1986 compete il diritto di “intervenire nei giudizi per danno ambientale e ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa per l'annullamento di atti illegittimi”[24].

Tale facoltà va collegata e coordinata con il disposto del comma 4, dell’art. 18, che conferisce alle associazioni ed ai cittadini il potere di “denunciare i fatti lesivi di beni ambientali dei quali siano a conoscenza” al fine “di sollecitare l'esercizio dell'azione da parte dei soggetti legittimati”.

Il comma 1, dell’art. 18, L. n. 349/1986, configura il danno che l’ecosistema può subire come “compromissione (dell’ ambiente) e, cioè, alterazione, deterioramento o distruzione, cagionata da fatti commissivi o omissivi, dolosi o colposi, violatori delle leggi di protezione e di tutela e dei provvedimenti adottati in base ad esse”[25], secondo lo schema della tutela aquiliana; l’ autore del danno è espressamente obbligato “al risarcimento nei confronti dello Stato”, ed il giudice con la sentenza di condanna dispone “ove possibile, il ripristino dello stato dei luoghi a spese del responsabile” (art. 18, commi 1 e 7, L. cit.).

Sotto il profilo soggettivo, ai fini dell’integrazione dell’illecito di cui all’ art. 18, L. n. 349/86, non è sufficiente la modificazione, alterazione o distruzione dell’ambiente naturale considerata da un mero punto di vista obiettivo, nella sua materialità, ma occorre l’elemento intenzionale, ovvero una condotta dolosa o colposa, qualificata dalla <>[26].

Il giudice di legittimità ha chiarito che “la configurabilità dell’ambiente come bene giuridico non trova la sua fonte genetica nella citata legge del 1986 (che si occupa piuttosto della ripartizione della tutela tra Stato, enti territoriali e associazione protezionistiche), ma direttamente nella Costituzione, considerata dinamicamente, come diritto vigente e vivente, attraverso il combinato disposto di quelle disposizioni (art. 2, 3, 9, 41 e 42) che concernono l’individuo e la collettività nel suo habitat  economico, sociale, ambientale. Tali disposizioni primarie elevano l’ambiente ad interesse pubblico fondamentale, primario e assoluto, imponendo allo Stato un’adeguata predisposizione di mezzi di tutela, per le vie legali, amministrative e giudiziarie.

Pertanto, anche prima della legge cit. (ma di ciò la Corte d’appello non si è avveduta) la Costituzione e la norma generale dell’art. 2043 c.c. apprestavano all’ambiente (…) una tutela organica e piena, di cui era già allora espressione la legittimazione attiva degli enti territoriali direttamente danneggiati, rappresentativi della collettività organizzata lesa in un suo bene primario ed assoluto”[27].

Sotto l’aspetto obiettivo, non è sufficiente la violazione puramente formale della normativa in materia di inquinamento, ma occorre che lo Stato, o gli enti territoriali, sui cui incidono i beni oggetto del fatto lesivo, deducano l’avvenuta compromissione dell’ambiente.

Secondo la previsione dell’ art. 2043 c.c. dell’illecito civile si risponde a titolo di dolo o di colpa e l’ onere della prova, secondo i principi generali, grava sul danneggiato.

Com’è noto il regime tradizionale della responsabilità civile per danno all’ambiente viene completato dalle regole di cui agli  artt. 2050 (Responsabilità per l’ esercizio di attività pericolose) e 2051 (Danno cagionato da cosa in custodia) cod. civ., che fissano una presunzione di colpa, ovvero una responsabilità oggettiva, per chi trae giovamento dalla situazione  di fatto da cui può essere derivato il danno e, nel primo caso, viene posto a carico di chi esercita un’attività pericolosa ogni possibile conseguenza a danno dei terzi salvo che provi di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno e, nella seconda ipotesi, il custode è sempre responsabile del danno qualora non provi il caso fortuito[28].

     Sul punto, va ricordato che in materia ambientale le ragioni hanno determinato la preferenza per “un regime comunitario fondato come regola generale sulla responsabilità oggettiva” sono state, da un lato, le difficoltà per l’attore di dimostrare la colpa del convenuto in sede giurisdizionale, dall’altro la considerazione  che se qualcuno esercita attività intrinsecamente pericolose, sia lui in prima persona a doversi assumere il rischio in caso di danno, e non la vittima o la società in senso lato[29].

     Relativamente alla configurazione del potere di intervento nel giudizio penale delle associazioni riconosciute ex art. 13, L. n. 349/86, la dottrina e la giurisprudenza hanno espresso orientamenti non sempre univoci.

Secondo un’opinione il quadro normativo emergente dalla legge n. 349/1986 pare aver codificato a favore delle associazioni in esame una particolare forma di risarcimento per danno indiretto.

In proposito “esso si verifica quando un soggetto, non titolare del bene diretta­mente danneggiato, subisce a sua volta pregiudizio dalla lesione del bene altrui (alcuni esempi sono rinvenibili nel risarcimento per lesione del credito, cfr. Cass. Civ., S.U. n. 6008/1980;  nella responsabilità amministrativa per fatto del dipen­dente, cfr. Corte Conti, Il, 221/1986). La sfera giuridica delle associazioni ambientaliste che viene ad essere lesa dall’illecito ambientale è quella, determinata nello statuto e nei fini sociali, di concorrere alla salvaguardia del patrimonio ambientale italiano. Tali finalità sono state riconosciute non solo meritevoli di tutela giuridica generica da parte dell’ordinamento (mediante il rico­noscimento della qualitas di ente morale), ma di tutela specifica, nel momento in cui la 1. 349/1986 ha previsto: 1) l’individuazione delle associazioni ambientaliste più rappresentative con decreto ministeriale (art. 13, c. 1); 2) il loro inserimento — tramite qualificate rappre­sentanze —  nell’organo di indirizzo e di alta consulenza del Ministero, cioè nel Consiglio Nazionale dell’Ambiente (art. 13, c. 2); 3) il loro finanziamento da parte dello Stato, sia per programmi finalizzati, sia per le spese sostenute per l’esercizio delle facoltà di intervento proces­suale (art. 6, 1. 59/1987).

Tale fenomeno è stato ascritto dalla dottrina  alla tendenza di affidamento ai privati di funzioni aventi una oggettiva connotazione pubblicistica, quali quelle previste in materia di concessione di opere pubbliche, di convenzioni sanitarie e di riconoscimento alla legittima­zione processuale.

Il bene danneggiato, cioè l’ambiente nel suo insieme o una sua componente come si è detto, di per sè non appartiene ad un partico­lare soggetto, e neanche allo Stato; quest’ultimo, tuttavia, è titolare di un diritto prioritario al risarcimento del danno, che si inquadra come interfaccia dei suoi poteri di «polizia del bene», volti a garantire la frui­zione collettiva e la conservazione delle risorse ambientali, nel loro valore globale a cui si è accennato in precedenza.

      La legittimazione attiva delle associazioni ambientaliste nazionali non può quindi essere limitata al solo potere di promuovere o di inter­venire nei giudizi civili e di ricorrere in via autonoma nei processi  amministrativi (come sostiene la tesi restrittiva di una parte della giurisprudenza: cfr. Trib. Vallo d. Lucania, 20.11.1986 n. 131; Pret. Massa, 23.4.1988 n. 316; Pret. Roma, Sez. III, 4.5.1988 n. 5412; Pret. Roma, Sez. V, 17.12.1988 n. 12659; e della prevalente dottrina), ma certamente si estende all’intervento, in qualità di parte civile, anche nel processo penale”[30].        

L’autore citato evidenzia condivisibilmente ed in stretta aderenza al dettato normativo che non appare sostenibile la tesi per cui la legittimazione processuale alla costituzione di parte civile nei giudizi penali spetta esclusivamente allo Stato, in quanto tale assunto non spiega la concorrente legittimazione processuale accordata agli enti territoriali.

Seppur appare pacifico che il diritto al risarcimento del danno ambientale è riservato dalla legge solo allo Stato tuttavia “l’intervento previsto per gli enti e per le associazioni dal nuovo codice di procedura penale non esclude che essi, in base ai principi generali, possano costituirsi parte civile quando da un reato abbiano subito un danno a un interesse come proprio del sodalizio, divenuto lo scopo dell’ente e perciò elemento costitutivo di questo”[31].

A conferma dell’esegesi normativa anzi illustrata, va segnalato che la legittimazione sostanziale e processuale delle associazioni di protezione ambientale di cui all’art. 13 L. n. 349/1986 è stata ulteriormente arricchita dalla previsione che conferisce a tali enti la facoltà di “proporre le azioni risarcitorie di competenza del giudice ordinario che spettino al Comune e alla Provincia, conseguenti a danno ambientale. L’eventuale risarcimento è liquidato in favore dell’ente sostituito e le spese processuali sono liquidate in favore o a carico dell’associazione”[32].

            Detta azione si prospetta come surrogatoria a quella degli enti locali rimasti inerti, e si configura come  espressione di una posizione giuridica soggettiva distinta rispetto a quella attribuita alle associazioni di protezione dell’ambiente sulla base dell’art. 18, comma 5, L. n. 349/1986.

            L’attribuzione di tale potere di surroga sottende il riconoscimento in capo all’associazione di tutela ambientale di un interesse pubblicistico alla protezione dell’ecosistema coincidente a quello dello Stato, inteso quest’ultimo come Stato – Comunità. Lo Stato è l’ente rappresentativo per eccellenza dei soggetti titolari del diritto soggettivo all’ambiente salubre (ovvero di tutti i cittadini), soggetti che a loro volta trovano l’espressione organizzata delle loro istanze dirette a far valere tale diritto nelle associazioni di cui si discute, come avvalorato dall’interpretazione dell’autorevole dottrina anzi citata e dal recente disposto in esame.

Da tali considerazione ne consegue che la menzionata disposizione di cui all’art. art. 9, comma 3, D. Lgs. n. 267/2000, non rappresenta altro che la riprova della persistente e rinnovata volontà legislativa di investire gli enti esponenziali di ulteriori funzioni pubblicistiche, perfettamente sovrapponibili a quelle dello Stato nell’azione di tutela dell’ambiente, anche in sede giurisdizionale[33].

Da ultimo, non va dimenticato che le Sezioni Unite Civili della Cassazione hanno riconosciuto il diritto al risarcimento del danno anche per la violazione degli interessi legittimi, sino a quel momento riservata alla sola lesione dei diritti soggettivi[34].

Tale trend normativo riflette l’attuale prospettiva comunitaria e, in particolare, i contenuti della Convenzione di Århus[35]. Come rilevato nel Libro bianco sulla responsabilitià ambientale, detta Convenzioneinclude disposizioni specifiche in materia di accesso alla giustizia che costituiscono la base per varie azioni da parte di singoli e di gruppi costituiti per la difesa dell’interesse pubblico. Tali azioni comprendono il diritto di impugnare le decisioni delle autorità pubbliche davanti al giudice o ad altro organismo indipendente ed imparziale istituito dalla legge (il diritto a ricorrere in via amministrativa e giurisdizionale), di chiedere riparazioni adeguate ed efficaci, compresi i provvedimenti di urgenza, di impugnare atti e omissioni di soggetti privati o autorità pubbliche che violano norme di diritto ambientale[36].

 

Il danno da inquinamento transgenico.

 

A livello comunitario, per quanto riguarda le attività relative agli OGM è stata ravvisata la necessità di includere le stesse nel campo di applicazione di un regime di responsabilità su scala comunitaria.

I motivi di tale scelta ineriscono al fatto che dette attività “non sono pericolose di per sé, ma possono in talune circostanze causare danni alla salute o notevoli danni all'ambiente. Ciò potrebbe avvenire per esempio in caso di fuga da un impianto di massimo contenimento o come conseguenza imprevista di un rilascio deliberato ……. In tali casi, la definizione precisa del regime, ad esempio l'attività di difesa ammissibile, potrebbe non essere la stessa per tutte le attività concernenti gli OGM, ma potrebbe essere differenziata in funzione della legislazione di riferimento e delle attività interessate”[37].

 

La disciplina di cui al D. Lgs. n. 206/2001 stabilisce espressamente sia cautele di ordine generale che obblighi specifici nei confronti dell’utilizzatore e del titolare dell’impianto destinato all’impiego confinato di MOGM, prescrivendo come criterio generale che nell’esercizio di detta attività “devono essere adottate tutte le misure necessarie ad evitare gli effetti negativi sulla salute dell'uomo e sull'ambiente”[38].

Le previsioni sanzionatorie per i danni provocati alla salute umana e all’ambiente sono stabilite nell’art. 22 D. Lgs. cit. che, al comma 1, punisce con pena alternativa (fatto salvo quanto previsto dagli artt. 20 e 21, e sempre che il fatto non costituisca più grave reato) “chi, nell'esercizio delle attività di impiego confinato di MOGM previste nel presente decreto, cagiona pericolo per la salute pubblica ovvero pericolo di degradazione rilevante e persistente delle risorse naturali biotiche o abiotiche”.

Le successive disposizioni di cui ai commi 2, 3, 4, e 5,  dell’art. 22 ripropongono senza apportare alcuna modifica al dato testuale (con l’unica eccezione nel comma 4 dell’ultimo periodo ove si fa richiamo al D. Lgs. n. 152/1999) la disciplina del danno ambientale e della bonifica dei siti inquinati di cui all’art. 58 D. Lgs. n. 152/1999.

La fattispecie di cui al comma 2, dell’art. 22, impone a carico di “chi con il proprio comportamento omissivo o commissivo in violazione delle disposizioni del presente decreto provoca un danno alle acque, al suolo, al sottosuolo e alle altre risorse ambientali, ovvero determina un pericolo concreto ed attuale di inquinamento ambientale” l’obbligo di “procedere a proprie spese agli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale delle aree inquinate e degli impianti dai quali è derivato il danno ovvero deriva il pericolo di inquinamento, ai sensi e secondo il procedimento di cui all'articolo 17 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22”[39].

L’inosservanza di tale obbligo è sanzionata dal comma 5, dello stesso articolo, e dal dato testuale di quest’ultima norma non pare sussistano dubbi in ordine alla configurabilità di tale illecito come reato omissivo.

Va rilevato, che per quanto riguarda il riferimento al “pericolo concreto ed attuale di inquinamento ambientale” contenuto nel comma 2, lo stesso pare  differenziarsi  rispetto alla configurazione del “pericolo” contenuta nel comma 1, in quanto quest’ultimo include anche la probabilità del verificarsi dell’evento di danno anche futuro e non chiaramente determinato.

La fattispecie de qua configura la condotta causale, ovvero “il comportamento omissivo o commissivo di chi in violazione delle disposizioni del presente decreto provoca un danno (ovvero un pericolo concreto ed attuale di inquinamento), alle acque, al suolo, al sottosuolo e alle altre risorse ambientali” come presupposto del reato originante gli obblighi di bonifica. Tale disposto va coordinato con il criterio generale di imputazione della responsabilità di cui all’art. 5 comma 1, D. Lgs. n. 206/2001, per cui chi esercita l’attività in esame deve adottare “tutte le misure necessarie ad evitare gli effetti negativi sulla salute dell'uomo e sull'ambiente”.

Tale configurazione richiama il modello di responsabilità oggettiva di cui all’art. 2050 c.c. (Responsabilità per l’ esercizio di attività pericolose), di cui si è già accennato (v. § precedente) in sintonia, peraltro, con quanto stabilito dal legislatore comunitario per talune attività relative agli OGM.

In proposito, che le (o determinate) attività di impiego confinato di MOGM possano comportare gravi pericoli, immediati o differiti, per gli individui al di fuori dell’impianto o per l’ambiente e che, quindi, costituiscano attività pericolose si desume agevolmente dalle specifiche previsioni di cui agli artt. 15 e 16 del decreto, che impongono l’adozione di specifici piani di emergenza nonché peculiari obblighi in caso di incidente a carico dell’utilizzatore, analoghi a quelli stabiliti dalla normativa relativa al controllo dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose (v. artt. 11, 20 e 24 D. Lgs. n. 334/1999)[40].

Il D. Lgs. n. 92/1993 prevede all’art. 24, comma 1, una fattispecie omologa a quella di cui al comma 1, dell’art. 22, citato, mentre tale normativa non contempla alcuna previsione ad hoc per quanto riguarda il danno ambientale e la bonifica.

Il comma 1, del menzionato art. 24, stabilisce che “Fatte salve le disposizioni previste negli articoli 22 e 23 e sempre che il fatto non costituisca più grave reato, chi, nell'effettuazione di un'emissione deliberata nell'ambiente di un OGM o di una combinazione di OGM ovvero nell'immissione sul mercato di prodotti contenenti OGM o costituiti da casi oppure nelle successive emissioni dei medesimi prodotti cagiona pericolo per la salute pubblica ovvero pericolo di degradazione rilevante e persistente delle risorse naturali biotiche o abiotiche” è punito con pena alternativa dell'arresto o dell'ammenda.

 In carenza di specifici parametri di imputazione della responsabilità - a differenza di quanto previsto dal D. Lgs. n. 206/2001 come sopra accennato - si farà riferimento ai criteri generali della responsabilità per colpa elaborati dalla giurisprudenza in materia di tutela della salute e dell’ambiente, tenuto conto della peculiarità sotto il profilo tecnico -  scientifico dell’attività posta in essere.

Per quanto riguarda le ipotesi originanti danno ambientale non può escludersi a priori, alla luce delle note quanto limitate e contraddittorie conoscenze scientifiche attuali, che quelle enucleate negli artt. 22 e 23 D. Lgs. n. 92/1993[41] possano provocare inquinamento transgenico e, quindi, pregiudizio all’ecosistema che, di conseguenza,  andrà individuato e qualificato secondo i parametri normativi e giurisprudenziali di carattere generale più sopra illustrati.



[1] Articolo pubblicato in Ambiente-Consulenza, 2001, n. 10, p. 994.
[2] V. in tema, F. Cottone, Organismi geneticamente modificati e tutela del consumatore, in questa Rivista, 2000, n. 8, p. 730.

[3] V. artt. 5 e 11 D. Lgs. 03.03.1993,  n. 92, di “Attuazione della direttiva 90/220/CEE concernente l'emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente modificati” (G.U. n. 78, 3 aprile 1993, Supplemento Ordinario).

[4] V. direttiva 90/220/CEE concernente l'emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente modificati nel testo consolidato aggiornato alla data del 15.09.2000, in Codice dell’Ambiente, di L. Kraemer e M. Onida, 2001, Torino,  p. 871 e segg.  La normativa in esame è stata di recente modificata dalla direttiva 2001/18/CE del 12.03.2001 sull’emissione deliberata nell’ambiente di OGM e che abroga la direttiva 90/220/CEE. a decorrere dal 17.10.2002, data entro la quale gli Stati membri devono recepire le nuove regole nell’ordinamento interno.

[5] V. artt. 9 comma 1 e 13 D. Lgs. n. 92/93.

[6] L’art. 7, D. Lgs. n. 92/1993,  fa riferimento alla Commissione di cui all’art. 15 D. Lgs. n. 91/1993, relativo all’impiego confinato di microorganismi geneticamente modificati, ma quest’ultima disposizione è stata abrogata dall’art. 24, comma 1, D. Lgs. 12.04.2001, n. 206,  che ha aggiornato la normativa di settore in attuazione della direttiva 98/81/CE, e sostituita con l’art. 14 D. Lgs. n. 206/2001. L’ambito della  Commissione è stato notevolmente ampliato per effetto delle recenti modifiche ed i 22 componenti risultano suddivisi a metà fra rappresentanti di diversi dicasteri ed esperti tecnici.

Detta Commissione  è integrata da un rappresentante designato dalla Conferenza Stato-Regioni e può  anche acquisire pareri esterni. 

[7] V. artt. 6 comma 4 e 12 comma 4, D. Lgs. n. 92/1993.

[8] Il Ministero della sanità trasmette alla Commissione delle Comunità europee una sintesi di ogni notifica entro trenta giorni dal suo ricevimento. La Commissione CE invia agli altri Stati membri la notifica in ordine alla quale gli stessi possono proporre obiezioni ed osservazioni (V. artt. 9 comma 1 e 13 D. Lgs. n. 92/93).

[9] In tema di diritto di accesso alle informazioni sull’ambiente ci si permette di rinviare ai  nostri contributi  Tutela della privacy e libertà di accesso alle informazioni sull’ambiente, in questa Rivista, 1999, n. 2, p. 35, e Informazioni sull’ambiente. L’accesso ai documenti amministrativi è incondizionato, id., 1999, n. 7, p. 663;  da ultimo, v. R. Bianchi, La legge comunitaria apre nuovi orizzonti di tutela dei cittadini, id.,  2001, n. 7,  p. 680.

[10] V. sub nota 2.

[11] V. artt. 7 e 25 direttiva 2001/18/CE.

[12] V. 21 ° Considerando direttiva 2001/18/CE.

 

[13] CGCE 21.03.2000 (causa C-6/99), Association Greenpeace France + altri e Ministère de l’agricolture et dela Peche +altri, Novartis Seeds SA, Monsanto Europe SA, in Riv. Giur. Amb., 2000, n. 3-4,  p. 457, con nota di A. Gratani, la tutela della salute e il rispetto del principio precauzionale a livello comunitario. Quando le autorità nazionali possono impedire la circolazione di OGM all’interno del proprio territorio.

[14] V. nota  precedente.

[15] V. art.16 D. Lgs. n. 92/1993.

[16] V. artt. 11 e 12 D. Lgs. 12.04.2001, n. 206, recante “Attuazione della direttiva 98/81/CE che modifica la direttiva 90/219/CE, concernente l'impiego confinato di microrganismi geneticamente modificati” (G.U. n. 126, 1° giugno 2001, Supplemento Ordinario). Per  microorganismo s’intende ogni “entità microbiologica cellulare o non cellulare capace di replicarsi o di trasferire materiale genetico, compresi virus, viroidi, cellule animali e cellule vegetali in coltura”; il MOGM è un “microorganismo il cui materiale genetico è stato modificato in un modo che non avviene in natura per incrocio e/o ricombinazione naturale”. L’impiego confinato corrisponde ad “ogni attività nella quale i microorganismi vengono modificati geneticamente o nella quale tali MOGM vengono messi in coltura, conservati, utilizzati, trasportati, distrutti, smaltiti o altrimenti utilizzati, e per la quale vengono usate misure specifiche di contenimento, al fine di limitare il contatto degli stessi con la popolazione o con l'ambiente”.

[17] Ai sensi dell’art. 11, commi 2 e 3, “Il Ministero della sanità effettua l'istruttoria preliminare esaminando la conformità delle notifiche alle disposizioni del presente decreto e la completezza delle informazioni fornite.

3.  Il Ministero della sanità, in conformità al parere della commissione interministeriale di cui all'articolo 14:

a)  chiede ai notificanti di fornire le eventuali ulteriori informazioni;

b)  chiede ai notificanti di apportare modifiche alle modalità dell'impiego confinato proposto o di modificare la classe attribuita all'impiego o agli impieghi confinati;

c)  delimita il periodo entro il quale l'impiego confinato è consentito ovvero è sottoposto a condizioni specifiche;

d)  prescrive specifiche condizioni per l'impianto o per l'impiego proposti”.

[18] V. art. 14 D. Lgs. n. 206/2001.

[19] V. art. 5, comma 3,  lett. d), D. lgs. n. 206 cit..

[20] V. art. 11 comma 7, D. lgs. n. 206 cit.

[21] V. art. 11 comma 8, D. lgs. n. 206 cit.

 

[22] La legge n. 349/86 è stata di recente modificata dall’art. 114, della Legge 23 dicembre 2000, n. 388 recante le "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2001)", e dall’art. 17 della legge 23 marzo 2001, n. 93, “Disposizioni in campo ambientale”.

[23] Per quanto riguarda la possibilità di intervento nel giudizio penale delle associazioni non riconosciute con decreto ministeriale, è stato affermato che “possono costituirsi parte civile gli enti e le associazioni, anche se non abbiano ottenuto il riconoscimento governativo (ex art. 13 legge 8 luglio 1986 n.349), quando l’interesse diffuso, da essi perseguito, sia volto alla salvaguardia di una situazione storicamente circostanziata, la quale sia stata fatta propria, come scopo specifico, del sodalizio. Ogni pregiudizio a questa finalità, che esprime l’affectio societatis, comporta un danno non patrimoniale per la frustrazione e l’afflizione degli associati, la costituzione di parte civile è dunque possibile, quando, dall’offesa all’interesse, derivi in modo diretto ed immediato una lesione del diritto di personalità del sodalizio, con riferimento allo scopo ed ai suoi componenti. Nessun risarcimento compete invece, quando ricorra un mero collegamento ideologico con il bene, che si intende proteggere” v. Cass. sez. 3 sent. n.10956 del 13.11.92 (ud.29.09.92), imp. Serlenga e altri, CED Rv. 192338.

[24] V. in tema L. Ramacci, Le associazioni ambientaliste nel procedimento penale, in questa Rivista, 2001,