Da più parti, sia nella letteratura scientifica che sulla stampa in generale, sono state evidenziate le preoccupazioni relative all’impatto sull’ambiente degli organismi geneticamente modificati (OGM) e dei microrganismi geneticamente modificati (MOGM) e, senza voler destare falsi allarmismi o trarre affrettate conclusioni relativamente a problematiche scientifiche in cui le informazioni a disposizione degli utenti sono carenti, è parso opportuno analizzare, seppur nei termini sintetici della presente indagine, le possibilità conferite agli enti esponenziali di partecipare alle procedure amministrative afferenti l’autorizzazione all’immissione in ambito comunitario degli OGM[2] ed all’impiego confinato dei MOGM, nonché ai procedimenti connessi ai fenomeni di inquinamento.
Gli atti di assenso all’emissione deliberata di OGM nell’ambiente ed
all’immissione sul mercato di prodotti contenenti OGM costituiscono l’esito
positivo di un procedimento amministrativo instaurato su impulso della parte
interessata richiedente l’autorizzazione. L’atto introduttivo è costituito
dalla <
L’iter delineato dalle norme
comunitarie[4]
e nazionali si può suddividere, in estrema sintesi, in due fasi di cui la prima
si svolge all’interno dello Stato membro e può concludersi: a) con il rigetto
dell’istanza in quanto l’emissione progettata non è conforme alle
disposizioni vigenti, oppure b) con la trasmissione del fascicolo alla
Commissione delle Comunità europee con parere favorevole all’emissione; in
quest’ultimo caso, la Commissione CE invia agli altri Stati membri la
<
Partecipazione delle associazioni all’emissione progettata di OGM e diritto di accesso alle informazioni.
Relativamente alla procedura amministrativa che si svolge nel nostro Stato, dopo aver ricevuto la notifica il Ministero della sanità in collaborazione con l’Istituto superiore di sanità esperisce un’istruttoria preliminare alla quale partecipano esperti tecnici designati dai Ministeri dell’ambiente e dell’agricoltura, e sottopone la notifica all’esame della Commissione interministeriale di valutazione[6] cui compete l’adozione di un parere al quale deve attenersi il dicastero investito della decisione[7], salva la valutazione di “eventuali specifiche esigenze di prevenzione ambientale manifestate dal Ministero dell’ambiente”.
Detta Commissione, che ha il compito di verificare la conformità della notifica alle prescrizioni normative, di valutare i rischi dell’emissione, di esaminare le osservazioni presentate dagli Stati membri[8], “può disporre la consultazione di gruppi e del pubblico su ogni aspetto dell’emissione progettata”.
E’ dunque rimessa all’esercizio discrezionale di questa facoltà
attribuita alla Commissione interministeriale l’eventuale partecipazione
endoprocedimentale delle
associazioni ambientaliste e di tutela dei consumatori all’<
Gli enti esponenziali possono, comunque, sempre richiedere alla Commissione di essere consultati e, in proposito, non va dimenticato che gli stessi hanno diritto di accesso alle informazioni che ex lege “non possono considerarsi riservate” quali:
a)
la descrizione dell'OGM o degli OGM, il nome e l'indirizzo del
notificante, lo scopo dell'emissione e la località dell'emissione;
b)
i metodi e i piani per la sorveglianza dell'OGM o degli OGM e per gli
interventi di emergenza;
c)
la valutazione degli effetti prevedibili, in particolare degli effetti
patogeni e/o perturbatori dell'ambiente[9].
La
recente direttiva 2001/18/CE del 12.03.2001 emanata in materia[10]
dedica espressamente una disposizione alla “Consultazione e informazione del
pubblico” e stabilisce, salve
alcune ipotesi specifiche[11],
che “gli Stati membri consultano il pubblico e, se opportuno, determinati
gruppi in merito all’emissione deliberata proposta. Gli Stati membri prevedono
a tal fine modalità per la consultazione, compreso un periodo di tempo
ragionevole, per dare al pubblico o ai gruppi la possibilità di esprimere un
parere”. Ad eccezione delle informazioni “riservate”, gli Stati membri
hanno l’obbligo di rendere “accessibili al pubblico informazioni su tutte le
emissioni di OGM sul loro territorio” per fine diverso dall’immissione in
commercio; viene altresì imposto alla Commissione, che ha il compito di
istituire un sistema di scambio delle informazioni contenute nelle notifiche tra
le autorità competenti e la Commissione, di
rendere accessibili al pubblico dette notizie.
Tale
direttiva, preso atto evidentemente che le informazioni di carattere scientifico
sono attinte pressochè esclusivamente da quelle fornite dal notificante e,
quindi, del dubbio che può porsi circa (quanto meno) la completezza delle
stesse, amplia significativamente i poteri istruttori assegnati in proposito sia
agli Stati membri che alla Commissione affinchè sia realizzata una ricerca
sistematica e indipendente sui rischi
potenziali inerenti all’emissione deliberata o all’immissione sul mercato di
OGM. Onde assicurare l’effettività di tale ricerca prescrive che “gli Stati
membri e la Comunità dovrebbero stanziare le risorse necessarie secondo
rispettive procedure di bilancio e i ricercatori indipendenti dovrebbero poter
accedere a tutto il materiale pertinente, nel rispetto dei diritti di proprietà
intellettuale”[12].
Relativamente alla possibilità di uno Stato membro, dopo la decisione favorevole della Commissione CE, di non rilasciare l’assenso all’immissione in commercio di un OGM nel caso in cui sia entrato in possesso successivamente di nuove informazioni afferenti la nocività del prodotto
la Corte di giustizia, proprio su
ricorso di un ente esponenziale (che come si arguisce facilmente dalla lettura
della sentenza <
Inoltre, “Qualora il giudice nazionale accerti che, in ragione di irregolarità nello svolgimento dell'esame della notifica da parte dell'autorità nazionale competente previsto dall'art. 12, n. 1, della direttiva 90/220, quest'ultima non ha validamente trasmesso alla Commissione il fascicolo con parere favorevole ai sensi del n. 2 di tale norma, il detto giudice è tenuto ad adire la Corte in via pregiudiziale ove ritenga che tali irregolarità siano idonee a pregiudicare la validità della decisione favorevole della Commissione, eventualmente disponendo la sospensione dell'esecuzione dei provvedimenti di attuazione della detta decisione fino a che la Corte non abbia statuito sulla questione della validità”[14].
Relativamente all’osservanza del principio di precauzione nell’ambito della direttiva citata, il giudice sovranazionale rileva che “ il rispetto del principio di precauzione si traduce, da una parte, nell'obbligo, imposto al notificante dall'art. 11, n. 6, della direttiva 90/220, di comunicare immediatamente all'autorità competente ogni nuova informazione in merito ai rischi che il prodotto comporta per la salute o l'ambiente, nonché nell'obbligo, imposto all'autorità competente dall'art. 12, n. 4, d'informarne immediatamente la Commissione e gli altri Stati membri e, d'altra parte, nella facoltà, attribuita ad ogni Stato membro dall'art. 16 della direttiva, di limitare o vietare provvisoriamente l'uso e/o la vendita sul proprio territorio del prodotto per il quale - benché sia stato oggetto di un consenso - vi sono valide ragioni di ritenere che presenti un rischio per la salute o l'ambiente”[15].
La (mancata) partecipazione delle associazioni alla procedura afferente i MOGM e diritto di accesso alle informazioni.
L’istruttoria
afferente l’impiego confinato dei microorganismi geneticamente modificati[16]
per quanto riguarda competenze e fasi procedimentali corrisponde, in linea generale, a quella stabilita per gli
OGM anche se rispetto a quest’ultima, si caratterizza per essere più
approfondita in connessione ai più
ampi poteri di indagine conferiti al Ministero della sanità[17].
Per
i profili che qui interessano, va evidenziato che alla Commissione
interministeriale di valutazione[18],
di cui si è già accennato più sopra, non è conferito alcun potere consultivo
del pubblico o dei gruppi e l’unico <
Gli
impianti destinati ad impieghi confinati della classe 4 riguardano “gli
impieghi confinati ad alto rischio, ovvero operazioni per le quali un livello 4
di contenimento è adeguato a proteggere la salute umana e l'ambiente”[19].
Onde
porre in grado la popolazione interessata dall’impianto di esprimere il
proprio parere è previsto che contestualmente alla presentazione della notifica
“il notificante a proprie spese:
a)
deposita copia della notifica, contenente almeno le informazioni di cui
all'allegato V, parte A, nella sede del Comune ove è prevista l'installazione
dell'impianto;
b)
provvede, lo stesso giorno, a pubblicare un avviso dell'avvenuto deposito
della predetta documentazione sui due quotidiani aventi maggior diffusione nel
territorio interessato, con l'indicazione del luogo ove è possibile prendere
visione della stessa”[20].
A
“chiunque intende fornire elementi conoscitivi e valutativi che ritenga
ostativi al rilascio dell'autorizzazione all'impianto” è attribuita la facoltà
di presentare in forma scritta osservazioni al Ministero della sanità e alle
Autorità locali interessate, entro 30 giorni dalla pubblicazione dell'avviso
anzi indicato. Tali osservazioni sono oggetto di valutazione in sede istruttoria[21]
e gli interessati in virtù di detta facoltà (e connessi obblighi del
notificante) possono adire la giurisdizione amministrativa avverso il
provvedimento definitivo di assenso all’impiego confinato dell’MOGM, sia per
l’inosservanza dei profili procedurali sopra descritti, sia per gli altri
eventuali vizi dell’atto amministrativo.
Per
quanto riguarda in generale la
possibilità di accesso ai dati ed alle informazioni contenuti nelle notifiche,
il comma 3, dell’art. 13, D. Lgs. n. 206/2001 stabilisce che “In nessun caso
possono essere trattate come riservate le seguenti informazioni:
a)
le caratteristiche generali degli MOGM, il nome dell'utilizzatore e del
titolare dell'impianto quando le due figure non coincidono e la località
dell'impiego;
b)
la classe dell'impiego confinato e le misure di contenimento in concreto
adottate;
c)
la valutazione degli effetti potenzialmente nocivi del MOGM, in
particolare per la salute umana e per l'ambiente”.
L’intervento degli enti esponenziali
nei giudizi per danno all’ambiente.
La legge n. 349/1986[22], istitutiva del Ministero dell’ambiente, accorda allo Stato nonchè agli enti territoriali sui quali incidano i beni oggetto del fatto lesivo, la legitimatio ad causam per l'azione di risarcimento del danno ambientale, anche se esercitata in sede penale (art. 18, commi 1 e 3).
Alle associazioni ambientaliste e di tutela dei consumatori giuridicamente riconosciute[23], per effetto del combinato disposto di cui agli artt. 13 e 18, comma 5, L. n. 349/1986 compete il diritto di “intervenire nei giudizi per danno ambientale e ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa per l'annullamento di atti illegittimi”[24].
Tale facoltà va collegata e coordinata con il disposto del comma 4, dell’art. 18, che conferisce alle associazioni ed ai cittadini il potere di “denunciare i fatti lesivi di beni ambientali dei quali siano a conoscenza” al fine “di sollecitare l'esercizio dell'azione da parte dei soggetti legittimati”.
Il comma 1, dell’art. 18, L. n. 349/1986, configura
il danno che l’ecosistema può subire come “compromissione (dell’
ambiente) e, cioè, alterazione, deterioramento o distruzione, cagionata da
fatti commissivi o omissivi, dolosi o colposi, violatori delle leggi di
protezione e di tutela e dei provvedimenti adottati in base ad esse”[25],
secondo lo schema della tutela aquiliana; l’ autore del danno è espressamente
obbligato “al risarcimento nei confronti dello Stato”, ed il giudice con la
sentenza di condanna dispone “ove possibile, il ripristino dello stato dei
luoghi a spese del responsabile” (art. 18, commi 1 e 7, L. cit.).
Sotto
il profilo soggettivo, ai fini dell’integrazione dell’illecito di cui all’
art. 18, L. n. 349/86, non è sufficiente la modificazione, alterazione o
distruzione dell’ambiente naturale considerata da un mero punto di vista
obiettivo, nella sua materialità, ma occorre l’elemento intenzionale, ovvero
una condotta dolosa o colposa, qualificata dalla <
Il
giudice di legittimità ha chiarito che “la configurabilità dell’ambiente
come bene giuridico non trova la sua fonte genetica nella citata legge del 1986
(che si occupa piuttosto della ripartizione della tutela tra Stato, enti
territoriali e associazione protezionistiche), ma direttamente nella
Costituzione, considerata dinamicamente, come diritto vigente e vivente,
attraverso il combinato disposto di quelle disposizioni (art. 2, 3, 9, 41 e 42)
che concernono l’individuo e la collettività nel suo habitat
economico, sociale, ambientale.
Tali disposizioni primarie elevano l’ambiente ad interesse pubblico
fondamentale, primario e assoluto, imponendo allo Stato un’adeguata
predisposizione di mezzi di tutela, per le vie legali, amministrative e
giudiziarie.
Pertanto,
anche prima della legge cit. (ma di ciò la Corte d’appello non si è
avveduta) la Costituzione e la norma generale dell’art. 2043 c.c. apprestavano
all’ambiente (…) una tutela organica e piena, di cui era già allora
espressione la legittimazione attiva degli enti territoriali direttamente
danneggiati, rappresentativi della collettività organizzata lesa in un suo bene
primario ed assoluto”[27].
Sotto
l’aspetto obiettivo, non è sufficiente la violazione puramente formale della
normativa in materia di inquinamento, ma occorre che lo Stato, o gli enti
territoriali, sui cui incidono i beni oggetto del fatto lesivo, deducano
l’avvenuta compromissione dell’ambiente.
Secondo
la previsione dell’ art. 2043 c.c. dell’illecito civile si risponde a titolo
di dolo o di colpa e l’ onere della prova, secondo i principi generali, grava
sul danneggiato.
Com’è
noto il regime tradizionale della responsabilità civile per danno
all’ambiente viene completato dalle regole di cui agli
artt. 2050 (Responsabilità per l’ esercizio di attività pericolose) e
2051 (Danno cagionato da cosa in custodia) cod. civ., che fissano una
presunzione di colpa, ovvero una responsabilità oggettiva, per chi trae
giovamento dalla situazione di
fatto da cui può essere derivato il danno e, nel primo caso, viene posto a
carico di chi esercita un’attività pericolosa ogni possibile conseguenza a
danno dei terzi salvo che provi di aver adottato tutte le misure idonee ad
evitare il danno e, nella seconda ipotesi, il custode è sempre responsabile del
danno qualora non provi il caso fortuito[28].
Sul punto, va ricordato che in materia
ambientale le ragioni hanno determinato la preferenza per “un regime
comunitario fondato come regola generale sulla responsabilità oggettiva” sono
state, da un lato, le difficoltà per l’attore di dimostrare la colpa del
convenuto in sede giurisdizionale, dall’altro la considerazione
che se qualcuno esercita attività intrinsecamente pericolose, sia lui in
prima persona a doversi assumere il rischio in caso di danno, e non la vittima o
la società in senso lato[29].
Relativamente alla configurazione del potere
di intervento nel giudizio penale delle associazioni riconosciute ex art. 13, L. n. 349/86, la dottrina e la giurisprudenza hanno
espresso orientamenti non sempre univoci.
Secondo
un’opinione il quadro normativo emergente dalla legge n. 349/1986 pare aver
codificato a favore delle associazioni in esame una particolare forma di
risarcimento per danno indiretto.
In
proposito “esso si verifica quando un
soggetto, non titolare del bene direttamente danneggiato, subisce a sua volta
pregiudizio dalla lesione del bene altrui (alcuni esempi sono rinvenibili nel
risarcimento per lesione del credito, cfr. Cass. Civ., S.U. n. 6008/1980;
nella responsabilità amministrativa per fatto del dipendente, cfr.
Corte Conti, Il, 221/1986). La sfera giuridica delle associazioni ambientaliste
che viene ad essere lesa dall’illecito ambientale è quella, determinata nello
statuto e nei fini sociali, di concorrere alla salvaguardia del patrimonio
ambientale italiano. Tali finalità sono state riconosciute non solo meritevoli
di tutela giuridica generica da parte dell’ordinamento (mediante il riconoscimento
della qualitas di ente morale), ma di tutela specifica, nel momento in cui
la 1. 349/1986 ha previsto: 1) l’individuazione delle associazioni
ambientaliste più rappresentative con decreto ministeriale (art. 13, c. 1);
2) il loro inserimento — tramite qualificate rappresentanze —
nell’organo di indirizzo e di alta consulenza del Ministero, cioè nel
Consiglio Nazionale dell’Ambiente (art. 13, c. 2); 3) il loro finanziamento da
parte dello Stato, sia per programmi finalizzati, sia per le spese sostenute per
l’esercizio delle facoltà di intervento processuale (art. 6, 1. 59/1987).
Tale fenomeno è stato ascritto dalla dottrina alla
tendenza di affidamento ai privati di funzioni aventi una oggettiva connotazione
pubblicistica, quali quelle previste in materia di concessione di opere
pubbliche, di convenzioni sanitarie e di riconoscimento alla legittimazione
processuale.
Il bene danneggiato, cioè l’ambiente nel suo insieme o
una sua componente come si è detto, di per sè non appartiene ad un particolare
soggetto, e neanche allo Stato; quest’ultimo, tuttavia, è titolare di un
diritto prioritario al risarcimento del danno, che si inquadra come interfaccia
dei suoi poteri di «polizia del bene», volti a garantire la fruizione
collettiva e la conservazione delle risorse ambientali, nel loro valore globale
a cui si è accennato in precedenza.
La
legittimazione attiva delle associazioni ambientaliste nazionali non può quindi
essere limitata al solo potere di promuovere o di intervenire nei giudizi
civili e di ricorrere in via autonoma nei processi
amministrativi (come sostiene la tesi restrittiva di una parte della
giurisprudenza: cfr. Trib. Vallo d. Lucania, 20.11.1986 n. 131; Pret. Massa,
23.4.1988 n. 316; Pret. Roma, Sez. III, 4.5.1988 n. 5412; Pret. Roma, Sez. V,
17.12.1988 n. 12659; e della prevalente dottrina), ma certamente si estende
all’intervento, in qualità di parte civile, anche nel processo penale”[30].
L’autore citato evidenzia
condivisibilmente ed in stretta aderenza al dettato normativo che non appare
sostenibile la tesi per cui la legittimazione processuale alla costituzione di
parte civile nei giudizi penali spetta esclusivamente allo Stato, in quanto tale
assunto non spiega la concorrente legittimazione processuale accordata agli enti
territoriali.
Seppur appare pacifico che il
diritto al risarcimento del danno ambientale è riservato dalla legge solo allo
Stato tuttavia “l’intervento
previsto per gli enti e per le associazioni dal nuovo codice di procedura penale
non esclude che essi, in base ai principi generali, possano costituirsi parte
civile quando da un reato abbiano subito un danno a un interesse come proprio
del sodalizio, divenuto lo scopo dell’ente e perciò elemento costitutivo di
questo”[31].
A conferma dell’esegesi normativa anzi illustrata, va segnalato che la legittimazione sostanziale e processuale delle associazioni di protezione ambientale di cui all’art. 13 L. n. 349/1986 è stata ulteriormente arricchita dalla previsione che conferisce a tali enti la facoltà di “proporre le azioni risarcitorie di competenza del giudice ordinario che spettino al Comune e alla Provincia, conseguenti a danno ambientale. L’eventuale risarcimento è liquidato in favore dell’ente sostituito e le spese processuali sono liquidate in favore o a carico dell’associazione”[32].
Detta azione si prospetta come surrogatoria a quella degli enti locali rimasti inerti, e si configura come espressione di una posizione giuridica soggettiva distinta rispetto a quella attribuita alle associazioni di protezione dell’ambiente sulla base dell’art. 18, comma 5, L. n. 349/1986.
L’attribuzione di tale potere di surroga sottende il riconoscimento in capo all’associazione di tutela ambientale di un interesse pubblicistico alla protezione dell’ecosistema coincidente a quello dello Stato, inteso quest’ultimo come Stato – Comunità. Lo Stato è l’ente rappresentativo per eccellenza dei soggetti titolari del diritto soggettivo all’ambiente salubre (ovvero di tutti i cittadini), soggetti che a loro volta trovano l’espressione organizzata delle loro istanze dirette a far valere tale diritto nelle associazioni di cui si discute, come avvalorato dall’interpretazione dell’autorevole dottrina anzi citata e dal recente disposto in esame.
Da tali considerazione ne consegue che la menzionata disposizione di cui all’art. art. 9, comma 3, D. Lgs. n. 267/2000, non rappresenta altro che la riprova della persistente e rinnovata volontà legislativa di investire gli enti esponenziali di ulteriori funzioni pubblicistiche, perfettamente sovrapponibili a quelle dello Stato nell’azione di tutela dell’ambiente, anche in sede giurisdizionale[33].
Da ultimo, non va dimenticato che le Sezioni Unite Civili della Cassazione hanno riconosciuto il diritto al risarcimento del danno anche per la violazione degli interessi legittimi, sino a quel momento riservata alla sola lesione dei diritti soggettivi[34].
Tale trend normativo riflette l’attuale prospettiva comunitaria e, in
particolare, i contenuti della Convenzione di Århus[35].
Come rilevato nel Libro bianco sulla
responsabilitià ambientale, detta Convenzione“include disposizioni specifiche in materia di accesso alla
giustizia che costituiscono la base per varie azioni da parte di singoli e di
gruppi costituiti per la difesa dell’interesse pubblico. Tali azioni
comprendono il diritto di impugnare le decisioni delle autorità pubbliche
davanti al giudice o ad altro organismo indipendente ed imparziale istituito
dalla legge (il diritto a ricorrere in via amministrativa e
giurisdizionale), di chiedere riparazioni adeguate ed efficaci, compresi i
provvedimenti di urgenza, di impugnare atti e omissioni di soggetti privati o
autorità pubbliche che violano norme di diritto ambientale[36].
Il danno da inquinamento transgenico.
A livello comunitario, per quanto riguarda le attività relative agli OGM è stata ravvisata la necessità di includere le stesse nel campo di applicazione di un regime di responsabilità su scala comunitaria.
I motivi di tale scelta ineriscono al fatto che dette
attività “non sono pericolose di per sé, ma possono in talune circostanze
causare danni alla salute o notevoli danni all'ambiente. Ciò potrebbe avvenire
per esempio in caso di fuga da un impianto di massimo contenimento o come
conseguenza imprevista di un rilascio deliberato ……. In tali casi, la
definizione precisa del regime, ad esempio l'attività di difesa ammissibile,
potrebbe non essere la stessa per tutte le attività concernenti gli OGM, ma
potrebbe essere differenziata in funzione della legislazione di riferimento e
delle attività interessate”[37].
La disciplina di cui al D. Lgs. n. 206/2001 stabilisce espressamente sia cautele di ordine generale che obblighi specifici nei confronti dell’utilizzatore e del titolare dell’impianto destinato all’impiego confinato di MOGM, prescrivendo come criterio generale che nell’esercizio di detta attività “devono essere adottate tutte le misure necessarie ad evitare gli effetti negativi sulla salute dell'uomo e sull'ambiente”[38].
Le previsioni sanzionatorie per i danni provocati alla salute umana e all’ambiente sono stabilite nell’art. 22 D. Lgs. cit. che, al comma 1, punisce con pena alternativa (fatto salvo quanto previsto dagli artt. 20 e 21, e sempre che il fatto non costituisca più grave reato) “chi, nell'esercizio delle attività di impiego confinato di MOGM previste nel presente decreto, cagiona pericolo per la salute pubblica ovvero pericolo di degradazione rilevante e persistente delle risorse naturali biotiche o abiotiche”.
Le
successive disposizioni di cui ai commi 2, 3, 4, e 5, dell’art. 22 ripropongono senza apportare alcuna modifica
al dato testuale (con l’unica eccezione nel comma 4 dell’ultimo periodo ove
si fa richiamo al D. Lgs. n. 152/1999) la disciplina del danno ambientale e
della bonifica dei siti inquinati di cui all’art. 58 D. Lgs. n. 152/1999.
La
fattispecie di cui al comma 2, dell’art. 22, impone a carico di “chi con il
proprio comportamento omissivo o commissivo in violazione delle disposizioni del
presente decreto provoca un danno alle acque, al suolo, al sottosuolo e alle
altre risorse ambientali, ovvero determina un pericolo concreto ed attuale di
inquinamento ambientale” l’obbligo di “procedere a proprie spese agli
interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale delle
aree inquinate e degli impianti dai quali è derivato il danno ovvero deriva il
pericolo di inquinamento, ai sensi e secondo il procedimento di cui all'articolo
17 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22”[39].
L’inosservanza di tale obbligo è sanzionata dal
comma 5, dello stesso articolo, e dal dato testuale di quest’ultima norma non
pare sussistano dubbi in ordine alla configurabilità di tale illecito come
reato omissivo.
Va rilevato, che per quanto riguarda il riferimento
al “pericolo concreto ed attuale di inquinamento ambientale” contenuto nel
comma 2, lo stesso pare differenziarsi
rispetto alla configurazione del “pericolo” contenuta nel comma 1, in
quanto quest’ultimo include anche la probabilità del verificarsi
dell’evento di danno anche futuro e non chiaramente determinato.
La fattispecie de
qua configura la condotta causale, ovvero “il comportamento omissivo o
commissivo di chi in violazione delle disposizioni del presente decreto provoca
un danno (ovvero un pericolo concreto ed attuale di inquinamento), alle acque,
al suolo, al sottosuolo e alle altre risorse ambientali” come presupposto del
reato originante gli obblighi di bonifica. Tale disposto va coordinato con il
criterio generale di imputazione della responsabilità di cui all’art. 5 comma
1, D. Lgs. n. 206/2001, per cui chi esercita l’attività in esame deve
adottare “tutte le misure necessarie ad evitare gli effetti negativi sulla
salute dell'uomo e sull'ambiente”.
Tale configurazione richiama il modello di
responsabilità oggettiva di cui all’art. 2050 c.c. (Responsabilità per l’
esercizio di attività pericolose), di cui si è già accennato (v. §
precedente) in sintonia, peraltro, con quanto stabilito dal legislatore
comunitario per talune attività relative agli OGM.
In proposito, che le (o determinate) attività di
impiego confinato di MOGM possano comportare gravi pericoli, immediati o
differiti, per gli individui al di fuori dell’impianto o per l’ambiente e
che, quindi, costituiscano attività pericolose si desume agevolmente dalle
specifiche previsioni di cui agli artt. 15 e 16 del decreto, che impongono
l’adozione di specifici piani di emergenza nonché peculiari obblighi in caso
di incidente a carico dell’utilizzatore, analoghi a quelli stabiliti dalla
normativa relativa al controllo dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con
determinate sostanze pericolose (v. artt. 11, 20 e 24 D. Lgs. n. 334/1999)[40].
Il
D. Lgs. n. 92/1993 prevede all’art. 24, comma 1, una fattispecie omologa a
quella di cui al comma 1, dell’art. 22, citato, mentre tale normativa non
contempla alcuna previsione ad hoc per
quanto riguarda il danno ambientale e la bonifica.
Il
comma 1, del menzionato art. 24, stabilisce che “Fatte salve le disposizioni
previste negli articoli 22 e 23 e sempre che il fatto non costituisca più grave
reato, chi, nell'effettuazione di un'emissione deliberata nell'ambiente di un
OGM o di una combinazione di OGM ovvero nell'immissione sul mercato di prodotti
contenenti OGM o costituiti da casi oppure nelle successive emissioni dei
medesimi prodotti cagiona pericolo per la salute pubblica ovvero pericolo di
degradazione rilevante e persistente delle risorse naturali biotiche o
abiotiche” è punito con pena alternativa dell'arresto o dell'ammenda.
In
carenza di specifici parametri di imputazione della responsabilità - a
differenza di quanto previsto dal D. Lgs. n. 206/2001 come sopra accennato - si
farà riferimento ai criteri generali della responsabilità per colpa elaborati
dalla giurisprudenza in materia di tutela della salute e dell’ambiente, tenuto
conto della peculiarità sotto il profilo tecnico -
scientifico dell’attività posta in essere.
Per quanto riguarda le ipotesi originanti danno
ambientale non può escludersi a priori, alla luce delle note quanto limitate e
contraddittorie conoscenze scientifiche attuali, che quelle enucleate negli
artt. 22 e 23 D. Lgs. n. 92/1993[41]
possano provocare inquinamento transgenico e, quindi, pregiudizio
all’ecosistema che, di conseguenza, andrà
individuato e qualificato secondo i parametri normativi e giurisprudenziali di
carattere generale più sopra illustrati.
[3]
V. artt. 5 e 11 D. Lgs. 03.03.1993, n.
92, di “Attuazione della direttiva 90/220/CEE concernente l'emissione
deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente modificati” (G.U. n.
78, 3 aprile 1993, Supplemento Ordinario).
[4] V. direttiva 90/220/CEE concernente l'emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente modificati nel testo consolidato aggiornato alla data del 15.09.2000, in Codice dell’Ambiente, di L. Kraemer e M. Onida, 2001, Torino, p. 871 e segg. La normativa in esame è stata di recente modificata dalla direttiva 2001/18/CE del 12.03.2001 sull’emissione deliberata nell’ambiente di OGM e che abroga la direttiva 90/220/CEE. a decorrere dal 17.10.2002, data entro la quale gli Stati membri devono recepire le nuove regole nell’ordinamento interno.
[6]
L’art. 7, D. Lgs. n. 92/1993, fa
riferimento alla Commissione di cui all’art. 15 D. Lgs. n. 91/1993,
relativo all’impiego confinato di microorganismi geneticamente modificati,
ma quest’ultima disposizione è stata abrogata dall’art. 24, comma 1, D.
Lgs. 12.04.2001, n. 206, che ha
aggiornato la normativa di settore in attuazione della direttiva 98/81/CE, e
sostituita con l’art. 14 D. Lgs. n. 206/2001. L’ambito della
Commissione è stato notevolmente ampliato per effetto delle recenti
modifiche ed i 22 componenti risultano suddivisi a metà fra rappresentanti
di diversi dicasteri ed esperti tecnici.
Detta Commissione
è integrata da un rappresentante designato dalla Conferenza
Stato-Regioni e può anche
acquisire pareri esterni.
[7] V. artt. 6 comma 4 e 12 comma 4, D. Lgs. n. 92/1993.
[9] In tema di diritto di accesso alle informazioni sull’ambiente ci si permette di rinviare ai nostri contributi Tutela della privacy e libertà di accesso alle informazioni sull’ambiente, in questa Rivista, 1999, n. 2, p. 35, e Informazioni sull’ambiente. L’accesso ai documenti amministrativi è incondizionato, id., 1999, n. 7, p. 663; da ultimo, v. R. Bianchi, La legge comunitaria apre nuovi orizzonti di tutela dei cittadini, id., 2001, n. 7, p. 680.
[10] V. sub nota 2.
[11] V. artt. 7 e 25 direttiva 2001/18/CE.
[12] V. 21 ° Considerando direttiva 2001/18/CE.
[13]
CGCE 21.03.2000 (causa C-6/99), Association Greenpeace France + altri e
Ministère de l’agricolture et dela Peche +altri, Novartis Seeds SA,
Monsanto Europe SA, in Riv. Giur. Amb., 2000, n. 3-4,
p. 457, con nota di A. Gratani, la
tutela della salute e il rispetto del principio precauzionale a livello
comunitario. Quando le autorità nazionali possono impedire la circolazione
di OGM all’interno del proprio territorio.
[14] V. nota precedente.
[16]
V. artt. 11 e 12 D. Lgs. 12.04.2001, n. 206, recante “Attuazione della
direttiva 98/81/CE che modifica la direttiva 90/219/CE, concernente
l'impiego confinato di microrganismi geneticamente modificati” (G.U. n.
126, 1° giugno 2001, Supplemento Ordinario). Per
microorganismo s’intende ogni “entità microbiologica cellulare o
non cellulare capace di replicarsi o di trasferire materiale genetico,
compresi virus, viroidi, cellule animali e cellule vegetali in coltura”;
il MOGM è un “microorganismo il cui materiale genetico è stato
modificato in un modo che non avviene in natura per incrocio e/o
ricombinazione naturale”. L’impiego confinato corrisponde ad “ogni
attività nella quale i microorganismi vengono modificati geneticamente o
nella quale tali MOGM vengono messi in coltura, conservati, utilizzati,
trasportati, distrutti, smaltiti o altrimenti utilizzati, e per la quale
vengono usate misure specifiche di contenimento, al fine di limitare il
contatto degli stessi con la popolazione o con l'ambiente”.
[17]
Ai sensi dell’art. 11, commi 2 e 3, “Il Ministero della sanità effettua
l'istruttoria preliminare esaminando la conformità delle notifiche alle
disposizioni del presente decreto e la completezza delle informazioni
fornite.
3. Il
Ministero della sanità, in conformità al parere della commissione
interministeriale di cui all'articolo 14:
a) chiede
ai notificanti di fornire le eventuali ulteriori informazioni;
b) chiede
ai notificanti di apportare modifiche alle modalità dell'impiego confinato
proposto o di modificare la classe attribuita all'impiego o agli impieghi
confinati;
c) delimita
il periodo entro il quale l'impiego confinato è consentito ovvero è
sottoposto a condizioni specifiche;
d) prescrive
specifiche condizioni per l'impianto o per l'impiego proposti”.
[18] V. art. 14 D. Lgs. n. 206/2001.
[19] V. art. 5, comma 3, lett. d), D. lgs. n. 206 cit..
[20] V. art. 11 comma 7, D. lgs. n. 206 cit.
[21] V. art. 11 comma 8, D. lgs. n. 206 cit.
[22] La legge n. 349/86 è stata di recente modificata dall’art. 114, della Legge 23 dicembre 2000, n. 388 recante le "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2001)", e dall’art. 17 della legge 23 marzo 2001, n. 93, “Disposizioni in campo ambientale”.
[23] Per quanto riguarda la possibilità di intervento nel giudizio penale delle associazioni non riconosciute con decreto ministeriale, è stato affermato che “possono costituirsi parte civile gli enti e le associazioni, anche se non abbiano ottenuto il riconoscimento governativo (ex art. 13 legge 8 luglio 1986 n.349), quando l’interesse diffuso, da essi perseguito, sia volto alla salvaguardia di una situazione storicamente circostanziata, la quale sia stata fatta propria, come scopo specifico, del sodalizio. Ogni pregiudizio a questa finalità, che esprime l’affectio societatis, comporta un danno non patrimoniale per la frustrazione e l’afflizione degli associati, la costituzione di parte civile è dunque possibile, quando, dall’offesa all’interesse, derivi in modo diretto ed immediato una lesione del diritto di personalità del sodalizio, con riferimento allo scopo ed ai suoi componenti. Nessun risarcimento compete invece, quando ricorra un mero collegamento ideologico con il bene, che si intende proteggere” v. Cass. sez. 3 sent. n.10956 del 13.11.92 (ud.29.09.92), imp. Serlenga e altri, CED Rv. 192338.
[24] V. in tema L. Ramacci, Le associazioni ambientaliste nel procedimento penale, in questa Rivista, 2001,