Pres. Grassi Est. Fiale Ric. Bruno
Urbanistica. Legittimità titolo abilitativo (poteri del giudice penale e giudiacato aministrativo).
Il giudice penale, ne1 valutare la sussistenza o meno della liceità di un intervento edilizio, deve verificarne fa conformità a tutti i parametri di legalità fissati dalla legge, dai regolamenti edilizi, dagli strumenti urbanistici e dal titolo abilitativo edificatorio. Il reato di esecuzione di lavori edilizi in assenza di permesso di costruire può pertanto ravvisarsi anche in presenza di un titolo edilizio illegittimo slavo che provvedimenti giurisdizionali del giudice amministrativo passati in giudicato abbiano espressamente affermato la legittimità della concessione o della autorizzazione edilizia ed il conseguente diritto del cittadino alla realizzazione dell'opera
Udienza in Camera di consiglio del 14.12.2006
SENTENZA N. 1324
REG. GENERALE n. 39113/06
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE III PENALE
Composta dagli III. mi Signori
Omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica preso il Tribunale di Cosenza
avverso l'ordinanza 19-9-2006, pronunciata dal Tribunale per il riesame di Cosenza nei confronti di :
1 - BRUNO Vittorio, n. a Cosenza il 19-11-1969
2 - BRUNO Paolo, n. a Mottafollone il 26-3-1935
3 - PIRAGINE Anna Maria Carmela, n. ad Altomonte il 22-8-1945
Sentita la relazione fatta dal Consigliere dr.. Aldo Fiale
udito il Pubblico Ministero nella persona del dr. Francesco SALZANO che ha concluso per l'annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata.
Udito il difensore, avv.to. Pierfrancesco BRUNO, anche per delega degli avv.ti. Michele DONADIO e Saverio Rocco CETRARO, il quale ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità avverso il rigetto del ricorso del P.M.
FATTO E DIRITTO
Il Tribunale di Cosenza, con ordinanza del 19.9.2006, accoglieva
l'istanza di riesame proposta nell'interesse di Bruno
Vittorio, Piragene Anna Maria Carmela (proprietari della superficie
fondiaria oggetto di edificazione) e
Bruno Paolo (legale rappresentante della s.r.l. "MIVI", esecutrice
materiale delle opere edilizie) avverso il decreto 14.7.2006 con il
quale il G.I.P. del Tribunale di Castrovillari aveva disposto il
sequestro preventivo di un corpo di fabbrica a cinque livelli fuori
terra, da adibire a parcheggio, in corso di completamento su un'area
sita in prossimità della cinta muraria del castello
di Altomonte in relazione ad una serie di ipotizzati reati di
edificazione abusiva (art. 44 del T.U. a 380/2001).
Il Tribunale - nel disporre "la restituzione del manufatto in sequestro
agli aventi diritto" - rilevava che, quanto all'attività
costruttiva in oggetto:
a) erano stati rilasciati dall'Amministrazione comunale di Altomonte:
- concessione edilizia a 25/2002,
- permesso di costruire n. 8/2003,
- permesso di costruire in variante n. 28/2005 (rilasciato da commissario ad acta];
b) i titoli abilitativi n. 25/2002 e n. 8/2003 erano stati poi
annullati in via di autotutela dal responsabile dell'ufficio tecnico
comunale, con ordinanza n. 42/2004, ma il giudice amministrativo aveva
annullato detto provvedimento ablatorio;
c) gli organi di giustizia amministrativa avevano "costantemente
concluso nel senso della legittimità dell'intervento
edificatorio in contestazione", sicché "i titoli edilizi
originariamente emessi ed il successivo permesso relativo al progetto
di variante, in forza dei quali i ricorrenti hanno dato inizio
all'esecuzione dei lavori di costruzione del parcheggio appaiono atti
legittimi".
Avverso l'anzidetta ordinanza ha proposto ricorso il Procuratore della
Repubblica presso il Tribunale di Cosenza, il quale ha rilevato - sotto
il profilo della violazione di legge - che:
a) secondo la giurisprudenza di legittimità, deve escludersi
"che una qualsiasi pronuncia del giudice amministrativo, coinvolgente
l'atto amministrativo costituente elemento di fattispecie penalmente
rilevante, possa inibire al giudice ordinario la valutazione dei
profili di illegittimità dello stesso".
Nella specie, le pronunzie del giudice amministrativo ritenute
risolutive dal Tribunale si riferiscono a vizi attinenti alla
motivazione dei provvedimenti presi in esame o afferiscono a difetti di
procedura, sicché non potrebbe ritenersi preclusa al giudice
ordinario la delibazione riguardante elementi diversi da quelli sui
quali si è formato il giudicato amministrativo;
b) la vicenda in esame sarebbe caratterizzata dai seguenti profili di
illegittimità sui quali il Tribunale ha omesso qualsiasi
valutazione:
- il fabbricato é ubicato a distanza mediamente pari a mt.
3,40 dalle mura di cinta del castello di Altomonte, oggetto di tutela
speciale in forza del D.M 9.5.1994. Una tale distanza si porrebbe in
contrasto con la misura minima di salvaguardia (10 metri) prescritta
dalla legge 12.4.1990, n. 23 della Regione Calabria, che vieta inoltre
interventi edilizi ex novo del tipo di quello
assentito;
- lo stesso fabbricato, di ben cinque piani fuori terra in cemento
armato, da adibirsi a parcheggio, é ubicato in una zona
urbanistica ove un intervento siffatto non sarebbe consentito,
poiché le norme tecniche di attuazione del programma di
fabbricazione del Comune di Altomonte la destinano a "verde
privato", consentendovi esclusivamente la posa in opera di
attrezzature per il gioco e lo sport, di percorsi per la ginnastica
psicomotoria all'aperto, la costruzione, previa indagine geologica
specifica di piscine di piccole e medie dimensioni, anche ad uso
promiscuo, privato e pubblico, e la messa in opera di piccole casette
in legno prefabbricate, ad un solo livello, a servizio delle eventuali
attività ricreative;
c) il manufatto, pur nella sua destinazione a parcheggio, si porrebbe
in violazione dell'art. 9 della legge 24.3.1989. n 122 (c.d. legge
Tognoli);
d) l'edificazione sarebbe stata attuata in violazione delle distanze,
prescritte dai titoli abilitativi, rispetto alla confinante
proprietà di tale Giulio Sciarra;
e) l'accertamento effettuato dal Tribunale si sarebbe dovuto limitare
al controllo di compatibilità tra la fattispecie concreta e
quelle legali ipotizzate, sotto il profilo della congruità
degli elementi rappresentati, non censurabili in punto di fatto. Il
giudice del riesame, invece, avrebbe illegittimamente esteso la propria
cognizione agli aspetti fattuali della vicenda:
f) il Tribunale avrebbe violato, infine, gli artt. 324, comma 7, e 309,
comma 9, c.p.p., disponendo la restituzione del manufatto senza
previamente annullare il decreto di sequestro preventivo.
****************
1. Quanto ai profili di ammissibilità del ricorso, deve
preliminarmente rilevarsi che, per giurisprudenza costante di questa
Corte Suprema, in materia di misure cautelari reali, legittimato a
ricorrere contro i provvedimenti del tribunale del riesame, ai sensi
dell'art. 325 c.p.p., è solo il pubblico ministero presso
detto tribunale e non anche quello che aveva richiesto l'applicazione
della misura.
Questa III Sezione - con sentenza n. 13969 del 23.3.2004 - ha affermato
che è inammissibile il ricorso proposto da un pubblico
ministero incompetente che porti la firma di adesione
del competente organo dell'accusa, poiché un gravame originariamente
inammissibile non é idoneo a produrre l'impulso
necessario per originare il giudizio di impugnazione.
Nella fattispecie in esame, però, il Procuratore della
Repubblica presso il Tribunale di Castrovillari ha redatto il ricorso e
si è limitato a trasmetterlo esclusivamente ai Procuratore
della Repubblica presso il Tribunale di Cosenza, il quale - dopo averlo
sottoscritto - ha provveduto ritualmente a presentarlo, depositandolo
nei modi di legge.
Non è configurabile, pertanto, un ricorso '`per
relationem" nè alcuna "inammissibilità
originaria", perché, indipendentemente dalla
persona fisica che ha materialmente redatto l'atto di gravame, questo
è stato depositato come "atto proprio"
dal pubblico ministero competente.
Debbono ritenersi casi rispettati i requisiti di forma e di sostanza previsti per tale impugnazione.
2. Tanto premesso sotto l'aspetto procedurale, il ricorso risulta
fondato nel merito e merita accoglimento nei limiti e con le
specificazioni di seguito enunciati.
3. La vicenda in esame è caratterizzata dalle seguenti
scansioni fattuali e procedimentali;
* Il Comune di Altomonte rilasciava a Piragine Anna Maria Carmela:
- in data 29.7.2002, la concessione edilizia n. 25/2002 per
l'esecuzione di lavori "di restauro, consolidamento e ristrutturazione
funzionale" del castello dei Conti di Altomonte (già
destinato anche a struttura alberghiera e di ristorazione), che
prevedevano l'aggiunta di nuove camere e la realizzazione di un'area da
destinare a parcheggio;
- in data 1.10.2003, il permesso di costruire n. 8/2003 per
l'esecuzione di lavori di costruzione di un parcheggio multipiano con
struttura in cemento armato.
* Iniziati i lavori per la realizzazione del parcheggio, la
Soprintendenza per i beni architettonici ed ambientali per la Calabria,
sul rilievo che l'area interessata era da sottoporre ad estensione del
vincolo gravante sul complesso monumentale del castello, sollecitava
una revisione del progetto del parcheggio e disponeva la sospensione
dei lavori.
La Piragine, uniformandosi a tale sollecitazione, redigeva un progetto
di variante (che prevedeva una diversa pianta dell'edificio, una
maggiore altezza ed una superficie ridotta), in relazione al quale la
Soprintendenza rilasciava il nulla-osta, con provvedimento del
14.4.2004, indicando talune prescrizioni relative all'uso dei materiali
ed alle tecniche costruttive da seguire nell'esecuzione dell'opera
* Il responsabile dell'ufficio tecnico comunale, invece:
- con ordinanza del 17.6.2004, rigettava la medesima istanza di
variante;
- con ordinanza n. 42 del 27.7.2004, nell'esercizio dei poteri di
autotutela, annullava i due titoli abilitativi edilizi dianzi citati ed
ordinava la demolizione delle opere fino a quel momento eseguite.
*
Il TAR Calabria - Catanzaro.
- con ordinanze nn. 558 e 564 del 7.10.2004 (confermate dal Consiglio
di Stato, con ordinanza del 22.2.2005), disponeva rispettivamente, in
via cautelare, la sospensione dell'esecuzione: a) del provvedimento di
annullamento della concessione edilizia n. 25/2002; b)
nonché del provvedimento di diniego dell'approvazione del
progetto di variante per la realizzazione del parcheggio, dichiarando
l'obbligo del Comune di riesaminare la relativa istanza della Piragine.
*
Lo stesso TAR Calabria quindi, in sede di merito e facendo seguito alle
anzidette sospensioni cautelari, con sentenza n. 499 del 10.3.2006,
Annullava:
- il provvedimento comunale di annullamento in autotutela, rilevando
che l'Amministrazione non aveva compiutamente ed adeguatamente motivato
tale decisione, limitandosi ad invocare un generico e non sufficiente
interesse al ripristino della legalità;
- il diniego di approvazione del progetto di variante, rilevando che esso si basava su asserite illegittimità dei titoli edilizi originari che non era possibile valutare in sede di delibazione sulla variante.
*
Essendo tuttavia rimasta inerte l'Amministrazione comunale sulla
richiesta di variante pure dopo il provvedimento di sospensiva del
diniego, il TAR (con ordinanza del 25.7.2005) procedeva alta nomina di
un commissario ad acta (poi designato dal Prefetto
di Cosenza nella persona del vice prefetto aggiunto dr.ssa Anna Aurora
Colosimo), la quale - previa acquisizione di un parere di un docente
universitario di scienze delle costruzioni - approvava il progetto di
variante, rilasciando il permesso di costruire n. 28 del 16.11.2005.
*
Il TAR Calabria, con sentenza n.500 del 10.3.2006. respingeva il
ricorso proposto dal Comune avverso detto provvedimento commissariale.
4. II
TAR Calabria - Catanzaro:
a) Con l'anzidetta ordinanza cautelare a 558 del 7.10.2004, ha disposto
la sospensione del provvedimento (n. 42/2004) di annullamento parziale
della concessione edilizia n. 25/2002, rilevando che il Comune non
aveva ottemperato all'onere "di offrire congrua motivazione a
sostegno della misura di autotutela adottata, con particolare riguardo
alla sussistenza di un interesse pubblico prevalente su quello privato,
diverso dalla mera esigenza di ripristino della legalità e
dall'interesse alla protezione del valore storico-architettonico
dell'area interessata, esulante dalle competenze comunali tanto
più in presenza del nulla-osta formulato dalla
Soprintendenza per i beni architettonici e per il passaggio per la
Calabria".
b) Con l'anzidetta sentenza n. 499 del 10.3.2006:
ba) ha ribadito tale assunto, considerando "censurabile l'apparato
motivazionale del provvedimento di autotutela, dal quale non traspare
né l'indicazione dell'interesse pubblico,
connotato da attualità e concretezza;
al ritiro dei due titoli edilizi,
né l'esito dell'obbligatorio giudizio
di comparazione tra detto interesse e quello dei
ricorrenti alla conservazione dei titoli medesimi",
nonché evidenziando che "per giurisprudenza consolidata non
può costituire interesse pubblico al ritiro quello al ripristino,
in via di autotutela; della legalità, espressamente
richiamato nel provvedimento oggetto di gravame";
bb) quanto al rigetto dell'istanza di variante, ha affermato il
principio secondo il quale "l'Amministrazione non avrebbe potuto
rivalutare profili urbanistici inerenti il progetto originario,
già definiti con il rilascio dei titoli edilizi, salvi gli
effetti conseguenti al legittimo esercizio del potere di autotutela, in
altri termini, dalla natura del procedimento di variante discende, in
linea di principio, che non può essere questa la sede per
rivedere valutazioni già definitivamente espresse
nell'ambito del procedimento sfociato nel titolo edilizio a monte,
giacché - diversamente opinando - il procedimento di
variante permetterebbe all'Amministrazione di eludere i principi che
presiedono al legittimo esercizio del potere di autotutela".
c) Con l'anzidetta sentenza n. 500 del 10.3.2006:
ca) ha considerato prive di pregio alcune censure riferite dalla
ricorrente Amministrazione comunale alla pretesa mancata indicazione
della posizione planimetrica del fabbricato negli elaborati del
progetto di variante, nonché ad una presunta non
conformità alla situazione reale delle risultanze
dì taluni atti progettatati allegati a sostegno della
istanza di variante:
cb) ha affrontato poi la questione dell'edificazione del manufatto a
poche decine di centimetri da un rudere di proprietà di tale
Sciarra Giulio, in eccepita violazione della disciplina sulle distanze
legali fissata dall'art. 9 del D.M. n 1444/1968, rilevando anzitutto
che il proprietario di quel rudere ha concesso a Bruno Vittorio,
coniuge della Piragine (con contratto di permuta del 4.11.2005), il
diritto "ad edificare, aprire affacciate, balconi e finestre sui
confine del terreno".
Ha quindi evidenziato che la disciplina delle distanze legali minime
tra costruzioni posta dall'art. 9 del D.M., n. 1444/1968 (che nella
specie si assume violata) "non è applicabile ai rapporti tra
privati, trattandosi di disposizione esclusivamente dedicata ai Comuni,
i quali sono tenuti al rispetto delle menzionate distanze nella
predisposizione degli strumenti urbanistici. Ne consegue che: a) se lo
strumento urbanistico si ponga in contrasto con l'art. 9 del D.M. n
1444/1968, esso può essere finanche disapplicato dal giudice
ordinario, che può riconoscere immediata
precettività al predetto art. 9, divenuto, per inserzione
automatica, parte integrante dello strumento urbanistico in
sostituzione della disposizione disapplicata; b) se lo strumento
urbanistico non stabilisca distanze legali minime per le costruzioni in
una determinata area, dall'impossibilità di applicazione
dell'art, 9 D.M. n. 1444/1968 nei rapporti interprivati discende che
alla costruzioni si applica la disciplina codicistica, con
possibilità di edificazioni sul confine o in aderenza (artt.
873 segg. cod. civ.)".
Nella specie il giudice amministrativo ha affermato che "gli strumenti
urbanistici vigenti nel Comune di Altomonte non prescrivono distanze
minime tra costruzioni" e ne ha tratto, alla stregua dei principi sopra
enunciati, la conclusione dell'impossibilità di applicazione
diretta dell'art. 9 del D.M. n 1444/1968 e della
possibilità, invece, di edificazioni sui confine o in
aderenza.
5. Il Tribunale del riesame, con riferimento alle
anzidette pronunzie del giudice amministrativo, nell'ordinanza
costituente oggetto del presente ricorso, ha affermato - come
già si è detto - che le stesse decisioni
avrebbero "costantemente concluso nel senso della
legittimità dell'intervento edificatorio in contestazione",
sicché "i titoli edilizi originariamente emessi ed il
successivo permesso relativo al progetto di variante, in forza dei
quali i ricorrenti hanno dato inizio all'esecuzione dei lavori di
costruzione del parcheggio, appaiono atti legittimi (né
risulta evidente un contrasto con norme imperative talmente grave da
determinare non la mera illegittimità degli atti, ma la
illiceità dei medesimi e, dunque, la loro
nullità)".
Ha concluso, pertanto, per l'insussistenza del fumus dei
reati ipotizzati, con argomentazioni che il ricorrente P.M. ha
contestato attraverso la formulazione dei motivi di ricorso dianzi
enunciati.
6. A fronte delle contestazioni del P.M. ricorrente, va rilevato che -
secondo la giurisprudenza costante di questa Corte Suprema - nei
procedimenti incidentali aventi ad oggetto provvedimenti di sequestro:
- la verifica delle condizioni di legittimità della misura
da parte del Tribunale non può tradursi in una anticipata
decisione della questione di merito concernente la
responsabilità degli indagati in ordine al reato o ai reati
oggetto di investigazione, ma deve limitarsi al controllo di
compatibilità tra fattispecie concreta e fattispecie legale
ipotizzata, mediante una valutazione prioritaria ed attenta
della antigiuridicità penale del fatto (Cass., Sez. Unite,
7.11.1992, ric. Midolini);
- l'accertamento della sussistenza del "fumus commissi delicti"'
va compiuto sotto il profilo della congruità degli elementi
rappresentati, che
non possono essere censurati in punto di fatto, per
apprezzarne la coincidenza con le reali risultanze processuali, ma che
vanno valutati così come esposti, al fine di verificare se
essi consentono di sussumere l'ipotesi formulata in quella tipica. Il
Tribunale, dunque, non deve instaurare un processo nel
processo, ma svolgere l'indispensabile ruolo di garanzia,
tenendo nel debito conto le contestazioni difensive sull'esistenza
della fattispecie dedotta ed esaminando sotto ogni aspetto
l'integralità dei presupposti che legittimano il sequestro"
(Cass., Sez. Un., 29.1.1997, n. 23, ric. P.M. in proc. Bassi e altri).
7. Per quanto più specificamente riguarda la fattispecie in
esame, va poi ribadito il principio secondo il quale
il giudice penale, nel valutare la sussistenza o meno della
liceità di un intervento edilizio, deve verificarne la
conformità a tutti i parametri di legalità
fissati dalla legge, dai regolamenti edilizi, dagli strumenti
urbanistici e dal titolo abilitativo edificatorio (vedi Cass., Sez.
Un., 28.11.2001, Salvini). Deve escludersi infatti che - qualora
sussista difformità dell'opera edilizia rispetto a
previsioni normative statali o regionali ovvero a prescrizioni degli
strumenti urbanistici - il giudice debba comunque concludere per la
mancanza di illiceità penale qualora sia stata rilasciata
concessione edilizia o permesso di costruire, in quanto detti
provvedimenti non sono idonei a definire esaurientemente lo statuto
urbanistico ed edilizio dell'opera realizzanda.
Nel caso di accertata difformità da disposizioni legislative
o regolamentari, ovvero dalle prescrizioni degli strumenti urbanistici,
non si configura una non consentita "disapplicazione",
da parte del giudice penale dell'atto amministrativo concessorio (vedi
Cass., Sez. Un., 12.11,1993, Borgia), in quanto lo stesso giudice,
qualora come presupposto o elemento costitutivo di una fattispecie di
reato sia previsto un atto amministrativo ovvero l'autorizzazione del
comportamento del privato da parte di un organo pubblico, non deve
limitarsi a verificare l'esistenza ontologica dell'atto o provvedimento
amministrativo, ma deve verificare l'integrazione o meno della
fattispecie penale, "in vista dell'interesse sostanziale che tale
fattispecie assume a tutela, nella quale gli elementi di natura
extrapenale convergono organicamente, assumendo un significato
descrittivo" (vedi Cass., Sez. Un., 28,11.2001, Salvini;
nonché Sez. VI, 18.3.1998, n. 3396, Calisse ed altro)
Punto fermo è, dunque, che il reato di esecuzione
di lavori edilizi in assenza di permesso di costruire può
ravvisarsi anche in presenza di un titolo edilizia illegittimo (si
vedano le ampie argomentazioni svolte in proposito da questa Sezione
con la sentenza 21.3.2006, ric. Di Mauro ed altro, che il Collegio
integralmente condivide).
Vanno ribaditi altresì i principi (recentemente enunciati da
Cass., Sez. III, 28.9.2006, Consiglio) secondo i quali:
a) il giudice penale, allorquando accerta profili di
illegittimità sostanziale di un titolo abilitativo edilizio,
procede ad una identificazione in concreto della fattispecie sanzionata
e non pone in essere alcuna "disapplicazione" riconducibile
all'art. 5 della legge 20 marzo 1863, n 2248. allegato E),
né incide, con indebita ingerenza, sulla sfera riservata
alla Pubblica Amministrazione, poiché esercita un potere che
trova fondamento e giustificazione nella stessa previsione normativa
incriminatrice;
b) la non-conformità dell'atto amministrativo alla normativa
che ne
regola l'emanazione alle disposizioni legislative statali e regionali
in materia urbanistico-edilizia ed alle previsioni degli strumenti
urbanistici può essere rilevata non soltanto se l'atto
medesimo sia illecito, cioè frutto di
attività criminosa, ed a prescindere da eventuali collusioni
dolose del soggetto privato interessato con organi
dell'amministrazione. Il sindacato del giudice penale, al contrario,
è possibile tanto nelle ipotesi in cui l'emanazione
dell'atto sia espressamente vietata in mancanza delle condizioni
previste dalla legge quanto in quelle di mancato rispetto delle norme
che regolano l'esercizio del potere,
c) spetta in ogni caso al giudice del merito, e non certo a quello del
riesame di provvedimenti di sequestro, la individuazione, in concreto,
di eventuali situazioni di buona fede e di affidamento
incolpevole.
8. Questa Corte ha pure affermato, però, che
il potere del giudice penale di accertare la conformità alla
legge ed agli strumenti urbanistici di una costruzione edilizia trova
un limite nei provvedimenti giurisdizionali del giudice amministrativo passati
in giudicato che abbiano espressamente affermato la
legittimità della concessione o della autorizzazione
edilizia ed il conseguente diritto del cittadino alla realizzazione
dell'opera (vedi Cass., Sez. III, 21.10.2003, n. 34707, Luterano di
Scorpianello).
L'ordinanza impugnata ha fatto riferimento, al riguardo, alla decisione
3.4.1996, n. 54, Ciaburri, di questa III Sezione, massimata nel senso
che "l'autorità giudiziaria ordinaria non ha il potere di
valutare la conformità a legge di un "arret"
di un'altra giurisdizione [nella specie, una sentenza del Tribunale
amministrativo regionale coperta da giudicato che affermava la
legittimità di una costruzione: n.d.r.]:
ciò in quanto il cittadino - pena la vanificazione dei suoi
diritti civili - non può essere privato della
facoltà di fare affidamento sugli strumenti della tutela
giurisdizionale posti a sua disposizione dall'ordinamento".
Questo Collegio condivide e riafferma detto orientamento, ma rileva che
esso non può trovare applicazione nel caso di specie, in
quanto, contrariamente a quanto sostenuto dal Tribunale del riesame, le
anzidette pronunzie definitive del TAR Calabria -
Catanzaro - che hanno di per sè comportato l'automatica
riespansione con efficacia ex tunc della posizione
soggettiva caducata dal provvedimento di autotutela annullato - non
hanno affermato la legittimità della concessione edilizia n.
25/2002 e del permesso di costruire n. 8/2003 per la insussistenza dei
vizi riscontrati dal Comune alla stregua delle previsioni della legge
statale 24.3.1989, n. 122 e della legge 12.4.1990, n. 23 della Regione
Calabria, nonché con riferimento alle prescrizioni fissate
dal vigente programma di fabbricazione del Comune di Altomonte.
Esse si sono limitate, invece, a pronunciare un annullamento, per
mero difetto di motivazione, rilevando che l'Amministrazione
comunale, allorquando intenda adottare, in sede di autotutela, un
provvedimento di annullamento di titoli abilitativi edilizi, non
può limitarsi ad indicare i vizi di detti titoli e le norme
urbanistiche con le quali gli stessi si pongono in contrasto, ma deve
esplicare le concrete ragioni di interesse pubblico che giustificano
l'adozione dell'atto di annullamento e compiere un'adeguata
ponderazione di tutti gli interessi implicati, non essendo sufficiente,
al riguardo: il mero richiamo all'opportunità di
ripristinare la legalità violata ed esulando in ogni caso
dalle competenze comunali valutazioni sovrapponentisi a quelle
già espresse dalla competente Soprintendenza,
istituzionalmente preposta alla tutela del valore
storico-architettonico dell'area interessata.
E' soltanto questa la statuizione passata in giudicato e che resta
insindacabile da parte del giudice penale. L'Amministrazione comunale
di Altomonte conserva intatto, in ogni caso, il potere di effettuare
quella comparazione tra l'interesse pubblico all'adozione dell'atto di
annullamento e gli interessi privati sacrificati, la cui
indispensabilità è stata affermata dal giudice
amministrativo.
Detto giudice, in particolare, non ha affrontato i profili di
illegittimità posti a base del provvedimento di sequestro
preventivo adottato dal G.I.P. del Tribunale di Castrovillari
riguardanti:
- la prospettata difformità dei titoli edilizi dalle
previsioni delle norme tecniche di attuazione del programma di
fabbricazione del Comune di Altomonte, che destinerebbero la zona in
cui sorge il nuovo fabbricato a "verde privato", ove
sarebbero consentite esclusivamente la posa in opera di attrezzature
per il gioco e lo sport, di percorsi "verde vita"
per la ginnastica psicomotoria all'aperto, la costruzione, previa
indagine geologica specifica, di piscine di piccole e medie dimensioni,
anche ad uso promiscuo, privato e pubblico, e la messa in opera di
piccole casette in legno prefabbricate, ad un solo livello, a servizio
delle eventuali attività ricreative.
- la prospettata violazione delle misure di salvaguardia imposte dalla
legge regionale n. 23/1990 per i Comuni (come quello di Altomonte) non
dotati di piano regolatore generale, quanto alle distanze dell'erigendo
fabbricato dalle mura di cinta (la cui effettiva esistenza ed i cui
elementi di individuazione sono contestati dagli indagati) del castello
di Altomonte, oggetto di tutela speciale in forza del D.M 9.5.1994;
- la prospettata violazione delle disposizioni poste dalla legge
24.3.1989, n. 122 (c.d. legge Tognoli) in materia di realizzazione di
parcheggi, tenuto conto che, nella specie, il realizzando
parcheggio ha natura privata - pure essendo previsto
l'obbligo di "consentirne l'uso gratuito per manifestazioni indette dal
Comune nel centro storico compatibilmente con l'inesistenza di impegni
lavorativi di massa da parte del Castello dei Conti di Altomonte" (vedi
la concessione edilizia n. 25/2002) - e la disciplina
dell'utilizzazione di esso risulta avere costituito oggetto di un protocollo
di intesa, stipulato tra l'Amministrazione comunale e la
Piragene (vedi il permesso di costruire n. 8/2003).
Con la sentenza n. 500 del 10.3.2006 il TAR Calabria - Catanzaro ha
affrontato espressamente, invece, la questione delle distanze del
manufatto dal contiguo fondo di proprietà Sciama (pure
oggetto di specifica contestazione di reato, ma
non risulta che tale sentenza sia passata in
giudicato, mentre Giulio Sciama, con successiva denuncia del
30.5.2006, ha dato comunicazione di pretesa invasione, nell'esecuzione
dei lavori in oggetto, della corte di un proprio fabbricato.
Anche la sentenza del TAR n. 499 del 10.3.2006 si è limitata
ad affermare il principio secondo il quale, in sede di delibazione di
una istanza di "variante" a concessione edilizia già
rilasciata, l'Amministrazione non può legittimamente addurre
a ragioni di diniego vizi che non attengono alla variante stessa,
procedendo a nuova e diversa valutazione di profili urbanistici
riguardanti il progetto originariamente assentito, già
definiti con il rilascio del precedente titolo edilizio, ma deve
provvedere al previo, o contestuale, annullamento d'ufficio della
concessione originaria, da disporsi con specifica e motivata
valutazione dei contrapposti interessi coinvolti.
9. La illegittimità dei titoli abilitativi edilizi, ritenuta
dal G.I.P. in sede cautelare, non si pone quindi, all'evidenza, in
contrasto con nessun giudicato amministrativo.
A fronte delle opposte conclusioni alle quali é pervenuta
l'ordinanza impugnata, deve disporsene, conseguentemente,
l'annullamento con rinvio al Tribunale di Cosenza, che - alla stregua
dei principi di diritto dianzi enunciati - dovrà procedere a
nuova delibazione dell'istanza di riesame attraverso la puntuale
valutazione di tutti i profili di illegittimità delineati
nel provvedimento applicativo della misura di cautela reale e
contestati dalla difesa.
La questione relativa alla sussistenza dell'elemento
psicologico degli ipotizzati reati, resta demandata, invece,
al giudice del merito e non può essere risolta in sede
cautelare.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione,
visti gli artt. 608, 127 e 325 c.p.p.,
annulla l'ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di Cosenza per
nuovo esame.
Così deliberato in ROMA, nella camera di consiglio del
14.12.2006
L'
estensore
Il presidente
Aldo
Fiale Aldo
Grassi