Pres. Postiglione Est. Petti Ric. Rossi
Urbanistica. Nozione di pertinenza urbanistica
La pertinenza urbanistica si distingue da quella civilistica perché, mentre in quest'ultima rilevano sia l'elemento obiettivo che quello soggettivo, nella prima acquista rilevanza solo l'elemento oggettivo. Il legislatore, con il testo unico dell'edilizia approvato con D.P.R. n. 380 del 2001, per superare le incertezze derivanti dal criterio quantitativo indicato dalla giurisprudenza per le pertinenze, ha fissato due criteri per precisare quando l'intervento perde le caratteristiche della pertinenza per assumere i caratteri della nuova costruzione: il primo rinvia alla determinazione delle norme tecniche degli strumenti urbanistici, che dovranno tenere conto della zonizzazione e del pregio ambientale e paesistico delle aree; il secondo, alternativo al primo, qualifica come nuova opera gli interventi che comportino la realizzazione di un volume superiore al 20% di quello dell'edificio principale. In ogni caso non bisogna confondere il concetto di pertinenza con quello di parte dell'edificio. Da ciò consegue che l'ampliamento di un edificio preesistente non può considerarsi pertinenza ma diventa parte dell'edificio stesso perché, una volta realizzato, completa l'edificio preesistente affinché soddisfi meglio ai bisogni cui è destinato
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE PENALE
Composta dai sigg. magistrati:
Dott. Amedeo Postiglione presidente
Dott. Agostino Cordova consigliere
Dott. Ciro Petti consigliere
Dott. Margherita Marmo consigliere
Dott. Antonio Ianniello consigliere
Ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Sul ricorso proposto dal difensore di Emilia Rossi, nata a Napoli il 31
agosto del 1944 , avverso la sentenza della corte d'appello di Napoli
del 26 aprile del 2006;
udita la relazione svolta del consigliere dott. Ciro Petti;
sentito il sostituto procuratore generale in persona del dott. Angelo
Di Popolo, Il quale ha concluso per l'annullamento senza rinvio per
prescrizione
Letti il ricorso e la sentenza denunciata , osserva
IN FATTO
Con sentenza del 26 aprile 2006 ,la corte d'appello di Napoli,
confermava quella pronunciata il 1° giugno del 2005 dal
tribunale della medesima città, sezione distaccata di
Ischia, con cui Emilia Rossi era stata condannata alla pena,
condizionalmente sospesa, di mesi uno e gg 10 di arresto ed euro
15.000,00 di ammenda, quale responsabile dei reati di cui agli artt 20
lettera b) della legge n 47 del 1985 e 163 del decreto legislativo n
490 del 1999, per avere realizzato sul lastrico solare una struttura in
alluminio anodizzato di mq 15 per un'altezza variabile da m 2,20 a
2,60. Fatti accertati secondo la contestazione in Foro d'Ischia il 12
giugno del 2000.
Ricorre per cassazione il difensore dell'imputata deducendo la
violazione delle norme incriminatrici nonché manifesta
illogicità della motivazione desumibile dal testo del
provvedimento impugnato e da altri atti processuali e segnatamente dai
motivi d'appello con cui si era specificatamente dedotto che il
manufatto realizzato dalla prevenuta non poteva essere qualificato
nuova costruzione, ma pertinenza dell'immobile preesistente.
Di conseguenza, sia in base alla disciplina previgente che a quella
attuale, non era richiesto il permesso di costruire perché
non aveva comportato un aumento del volume superiore al 20 % di quello
dell'edificio principale.
IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile per la manifesta infondatezza del
motivo.
La decisione impugnata non contiene errori logici o giuridici ed
è conforme ai principi enunciati da questa corte,
giacché le opere realizzate dalla prevenuta non possono
considerarsi pertinenze, come tali soggette all'epoca dell'inizio della
costruzione alla sola autorizzazione gratuita a norma dell'articolo 7
comma secondo D. L. 25 gennaio 1982 n. 9 convertito nella legge n. 94
del 23 marzo 1982. Come è noto, in base all'articolo 817 del
codice civile, si considerano pertinenze le cose destinate in modo
durevole a servizio o ornamento di altra cosa senza diventare parte
integrante della stessa e senza rappresentare elemento indispensabile
per la sua esistenza. Il concetto urbanistico di pertinenza differisce
però in parte da quello civilistico perché nel
settore urbanistico acquistano preminente rilievo le esigenze di tutela
del territorio. Per la configurabilità della pertinenza
urbanistica, secondo l'orientamento di questa corte, l'opera deve
essere preordinata a soddisfare un'oggettiva esigenza dell'edificio
principale, funzionalmente ed oggettivamente inserita a servizio dello
stesso, sfornita di autonomo valore di mercato e dotata di un volume
minimo, tale da non consentire anche in relazione alle caratteristiche
dell'edificio principale una sua destinazione autonoma e diversa da
quella a servizio dell'immobile cui accede (Cfr tra le tante Cass 4134
del 1998). La pertinenza urbanistica si distingue da quella civilistica
perché, mentre in quest'ultima rilevano sia l'elemento
obiettivo che quello soggettivo, nella prima acquista rilevanza solo
l'elemento oggettivo. Il legislatore, con il testo unico dell'edilizia
approvato con D.P.R. n. 380 del 2001, non ancora in vigore all'epoca
dell'inizio della costruzione (è entrato in vigore il 30
giugno del 2003), per superare le incertezze derivanti dal criterio
quantitativo indicato dalla giurisprudenza per le pertinenze, ha
fissato due criteri per precisare quando l'intervento perde le
caratteristiche della pertinenza per assumere i caratteri della nuova
costruzione: il primo rinvia alla determinazione delle norme tecniche
degli strumenti urbanistici, che dovranno tenere conto della
zonizzazione e del pregio ambientale e paesistico delle aree; il
secondo, alternativo al primo, qualifica come nuova opera gli
interventi che comportino la realizzazione di un volume superiore al
20% di quello dell'edificio principale (cfr at- 3 lett. e/6). In ogni
caso non bisogna confondere il concetto di pertinenza con quello di
parte dell'edificio ed è questo l'aspetto rilevante nella
fattispecie. L'elemento distintivo tra la parte e la pertinenza non
consiste solo in una relazione di congiunzione fisica, normalmente
presente nella prima ed assente nella seconda, ma anche e soprattutto
in un diverso atteggiamento del collegamento funzionale della parte al
tutto e della pertinenza alla cosa principale: tale collegamento si
esprime per la parte come necessità di questa per completare
la cosa affinché essa soddisfi ai bisogni cui è
destinata: la parte quindi è elemento della cosa. Nella
pertinenza, invece, il collegamento funzionale consiste in un servizio
o ornamento che viene realizzato in una cosa già completa ed
utile di per sé: la funzione pertinenziale attiene non
all'essenza della cosa ma alla sua gestione economica ed alla sua forma
estetica. Inoltre -ed è questo l'elemento più
rilevante ai fini della distinzione- la pertinenza si riferisce ad un
opera autonoma dotata di propria individualità mentre la
parte di un edificio è compresa nella struttura di esso ed
è quindi priva di autonomia. Da ciò consegue che
l'ampliamento di un edificio preesistente non può
considerarsi pertinenza ma diventa parte dell'edificio stesso
perché, una volta realizzato, completa l'edificio
preesistente affinché soddisfi meglio ai bisogni cui
è destinato (Cass sez III 17 gennaio del 2003 Chiappalone;
3160 del 2003; nn 36941 e 40843 del 2005).
Quello realizzato dalla prevenuta costituendo comunque un ampliamento
del precedente edificio non può considerarsi pertinenza.
Ai fini della configurabilità del reato di cui all'articolo
163 del decreto legislativo n 490 del 1999, riprodotto nell'articolo
181 del decreto legislativo n 42 del 2000, non ha importanza la natura
dell'opera poiché la norma vietava e vieta di eseguire
lavori di qualsiasi genere sui beni paesaggistici senza la prescritta
autorizzazione.
Secondo il consolidato orientamento di questa sezione (vedi, tra le
molteplici pronunzie, Cass., Sez. 3^: 27.11.1997, ric. Zauli ed altri;
7.5.1998, ric. Vassallo; 13.1.2000, ric. Mazzocco ed altro, 5.10.2000,
ric. Lorenzi; 29.11.2001, ric. Zecca ed altro; 15.4.2002, ric. P.G. in
proc. Negri; 14.5.2002, ric. Migliore; 4.10.2002, ric. Debertol ; 23880
del 2004)) il reato di cui all' art. 163 del D.Lgs. n. 490/1999 (ora
181 del decreto legislativo n 42 del 2004) è reato di
pericolo astratto e, pertanto, per la configurabilità
dell'illecito, non è necessario un effettivo pregiudizio per
l'ambiente, potendo escludersi dal novero delle condotte penalmente
rilevanti soltanto quelle che si prospettano inidonee, pure in
astratto, a compromettere i valori del paesaggio e l'aspetto esteriore
degli edifici. Nelle zone paesisticamente vincolate è
inibita - in assenza dell'autorizzazione - ogni modificazione
dell'assetto del territorio, attuata attraverso qualsiasi opera non
soltanto edilizia ma "di qualunque genere", ad eccezione degli
interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, di consolidamento
statico o restauro conservativo, purché non alterino lo
stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici nonché
degli altri interventi analiticamente indicati nell'articolo 149 del
decreto legislativo n 42 del 2004, il quale ha sostituito l'articolo
152 del decreto legislativo n 490 del 1999. Tra le opere escluse
dall'autorizzazione non rientra quella in esame. Quello realizzato
dalla prevenuta, per le naturali bellezze dell'isola d'Ischia,
è opera obiettivamente idonea ad alterare il paesaggio. La
cosiddetta isola verde viene quotidianamente deturpata con costruzioni
di ogni genere effettuate con i materiali più diversi senza
alcun rispetto per il paesaggio.
Il reato non si è prescritto perché, come risulta
dalla sentenza di primo grado i lavori sono proseguiti fino al 2004 con
la sostituzione della vecchia copertura. La contravvenzione in esame
già prevista dall'art. 20 lett. B) legge n. 47 del 1985 ora
dall'art.44 lett. b) D.P.R. n. 380 del 2001, si realizza al momento
dell'inizio dei lavori e perdura per tutta la durata degli stessi. La
condotta criminosa cessa con l'ultimazione dell'opera o con la
cessazione dell'attività criminosa per fatto proprio, per
imposizione dell'autorità o al limite con la sentenza di
primo grado. La data indicata nel capo d'imputazione non è
quella della cessazione della permanenza, bensì quella del
primo accertamento del fatto. In proposito le Sezioni unite di questa
Corte (Cass. 13 luglio 1998, Montanari), hanno statuito che in materia
di reato permanente, allorché nel capo d'imputazione
è indicata solo la data iniziale o quella dell'accertamento
del reato, si presuppone che la permanenza non sia cessata: in questo
caso il momento della cessazione processuale della permanenza coincide
con l'emanazione della sentenza di primo grado, così
determinandosi il dies a quo ai fini della
decorrenza della prescrizione. Pertanto il giudice nel momento in cui
emette la sentenza potrà tenere conto del periodo di
permanenza, senza che sia necessaria la contestazione di fatti
suppletivi.
In ogni caso, quand'anche si considerasse cessata la permanenza alla
data dell'accertamento, per l'inammissibilità del ricorso,
la prescrizione non potrebbe essere dichiarata perché non
eccepita con i motivi d'appello e non rilevata dal giudice
dell'impugnazione, secondo l'orientamento espresso dalle sezioni unite
di questa corte con la sentenza n 23428 del 2005, Bracale.
Dall'inammissibilità del ricorso discende l'obbligo di
pagare le spese processuali e di versare una somma, che stimasi equo
determinare in € 1000,00 , in favore della cassa delle
ammende, non sussistendo alcuna ipotesi di carenza di colpa della
ricorrente nella determinazione della causa
d'inammissibilità secondo l'orientamento espresso dalla
Corte Costituzionale con la sentenza n.186 del 2000.
P.Q.M.
LA CORTE
Letto l'art. 616 c.p.p.
DICHIARA
Inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali ed al versamento della somma di € 1000,00 in
favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 29 maggio del 2007
Depositata in Cancelleria il 18/07/2007