TAR Emilia Romagna (PR), Sez. I, n. 6 del 15 gennaio 2015
Urbanistica.Programmazione territoriale e direttiva servizi

Secondo condivisibile giurisprudenza gli atti di programmazione territoriale non vanno esenti dalle verifiche prescritte dalla direttiva servizi per il solo fatto di essere adottati nell’esercizio del potere di pianificazione urbanistica, dovendosi verificare se, in concreto, essi perseguano finalità di tutela dell’ambiente urbano o, comunque, riconducibili all’obiettivo di dare ordine e razionalità all’assetto del territorio, oppure perseguano la regolazione autoritativa dell’offerta sul mercato dei servizi attraverso restrizioni territoriali alla libertà di insediamento delle imprese. Dunque, le verifiche imposte dalle norme liberalizzatrici operano su due piani: il primo riguarda la verifica dei requisiti per l’esercizio di un’attività economica, il secondo riguarda la verifica dei contenuti della pianificazione territoriale. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

 

N. 00006/2015 REG.PROV.COLL.

N. 00007/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna

sezione staccata di Parma (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7 del 2014, proposto da: 
Arsenali S.r.l. Società Unipersonale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Franco Di Maria, Federico Cappella e Luca Berni, con domicilio eletto presso quest’ultimo in Parma, Via degli Ospizi Civili, 2/B; 

contro

Comune di Parma, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avv. Marina Cristini e Laura Maria Dilda, con domicilio eletto presso gli uffici dell’avvocatura municipale in Parma, Via Repubblica 1; 
Ministero dell'Interno, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, presso cui è domiciliato in Bologna, Via Guido Reni 4; 
Regione Emilia Romagna, Provincia di Parma, Comune di Collecchio, Comune di Felino, Comune di Mezzani, Comune di Montechiarugolo, Comune di Sala Baganza, Comune di Sorbolo, Comune di Torrile, Comune di Traversetolo, Comune di Colorno, Comune di Langhirano, Comune di Lesignano de' Bagni, Comune di Sissa, Comune di Trecasali, Comune di Fidenza, Comune di Salsomaggiore Terme, Comune di Soragna, Comune di Berceto, Comune di Calestano, Comune di Fontevivo, Comune di Noceto, Comune di Terenzo, Comune di Fontanellato, Comune di Bardi, Comune di Busseto, Comune di Fornovo di Taro, Comune di Medesano, Comune di Roccabianca, Comune di Valmozzola, Comune di Varano de' Melegari, Comune di Zibello, Comune di Polesine Parmense, non costituiti in giudizio; 

per l'annullamento

del provvedimento del Comune di Parma, settore Servizi al Cittadino del 12 settembre 2013, prot. gen. n. 165151, di rigetto della domanda presentata da Arsenali S.r.l. di variazione del settore merceologico (da settore non alimentare a settore alimentare) in struttura di vendita medio-grande;

della nota del Comune di parma del 30 agosto 2013 prot. n. 155756, recante comunicazione in relazione alla domanda della Arsenali s.r.l.;

del parere prot. n. 9673 del 17 gennaio 2013 del Settore Urbanistica del Comune di Parma;

della delibera del Consiglio comunale di Parma n. 209/38 del 15 dicembre 2006 di adozione di variante al POC con contestuale adozione di PUA, connessa all'attuazione del Piano Urbanistico Attuativo di iniziativa privata relativo alla Scheda Norma C5 SPIP, laddove esclude l'insediamento di una medio-grande struttura di vendita del settore alimentare nell'area;

della delibera del Consiglio comunale di Parma n. 49/11 del 27 marzo 2007;

delle Norme urbanistiche ed Edilizia del Piano Urbanistico Attuativo denominato "La Vite Maritata";

del Piano Operativo per gli insediamenti commerciali di interesse provinciale e sovracomunale - P.O.I.C. approvato con delibera del Consiglio provinciale di Parma n. 51 del 18 maggio 2005 e della successiva variante approvata con delibera del Consiglio comunale di Parma il 20 dicembre 2006 n. 225;

della delibera del Consiglio comunale di Parma n. 195/97 del 19 luglio 2000;

della determinazione conclusiva della Conferenza Provinciale dei servizi per la valutazione delle idoneità delle aree commerciali di rilievo sovracomunale del 20 giugno 2000;

di tutti gli atti presupposti, coordinati e comunque connessi.

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Parma e del Ministero dell'Interno;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore la dott.ssa Laura Marzano;

Uditi, nell'udienza pubblica del giorno 16 dicembre 2014, i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso straordinario al Capo dello Stato, trasposto in sede giurisdizionale, la ricorrente ha impugnato il provvedimento del Settore Servizi al cittadino del Comune di Parma in data 12 settembre 2013, con cui è stata respinta la sua istanza di variazione del settore merceologico (da “non alimentare” ad “alimentare”) nella struttura di vendita medio-grande, della superficie di mq. 2.420, presentata in data 12 agosto 2013 al prot. n. 147140 – Area Scheda Norma C5/SPIP - Parma e gli atti ad esso presupposti.

Il Comune intimato si è costituito in giudizio, difendendo il proprio operato e chiedendo la reiezione del ricorso.

Anche il Ministero dell’Interno si è costituito in giudizio con memoria di stile resistendo formalmente al gravame.

Alla camera di consiglio del 12 febbraio 2014 la ricorrente ha rinunciato all’istanza cautelare e all’udienza pubblica del 16 dicembre 2014 la causa è stata trattenuta in decisione.

2. La ricorrente ha rilevato in affitto, da Parcor S.r.l. unipersonale, il ramo di azienda relativo ad una medio-grande struttura di vendita del settore non alimentare della superficie di mq. 2.420 inserita in un più ampio progetto della dante causa Parcor S.r.l. di realizzazione di iniziative commerciali nell’area sita nel Comune di Parma denominata Area Scheda Norma C5/SPIP.

Ha, quindi, presentato al Comune, in data 12 agosto 2013, la domanda di variazione del settore merceologico di tale struttura di vendita da “non alimentare” ad “alimentare”.

Dopo regolare comunicazione dei motivi ostativi, in data 12 settembre 2013 il Comune ha adottato il definito diniego, motivato con la non inclusione, negli strumenti urbanistici (POC e PUA) degli usi alimentari fra quelli previsti come insediabili nel comparto in oggetto, comparto (denominato Area Scheda Norma C5/SPIP) in cui è ammessa l’insediabilità di un Polo Funzionale, configurato come area commerciale integrata contenente una grande struttura non alimentare specializzata e medio-grandi strutture non alimentari.

Nel provvedimento il Comune richiama il precedente diniego adottato in data 12 febbraio 2013 su analoga istanza della Parcor S.r.l. e da questa impugnato dinanzi al TAR con esito cautelare negativo (ordinanza n. 47/2013).

Invero, con provvedimento in data 12 febbraio 2013 prot. 25905, il Comune di Parma aveva respinto l’istanza della Parcor S.r.l. volta ad ottenere il rilascio di autorizzazione all’apertura della stessa struttura di vendita medio-grande in Parma, S.P. 72, area scheda norma C5/SPIP, struttura poi ceduta ad Arsenali S.r.l. in affitto di ramo d’azienda.

Le ragioni del diniego erano le stesse: ossia non essere gli usi alimentari fra quelli previsti come insediabili nel comparto.

Parcor S.r.l. aveva impugnato il suddetto diniego con il ricorso iscritto al n. 75/2013 R.G. ma l’istanza cautelare era stata respinta con ordinanza n. 47 in data 5 aprile 2013, confermata dalla Sez. IV del Consiglio di Stato con ordinanza n. 2148 del 5 giugno 2013.

3. Ritenendo illegittimo il diniego opposto dal Comune di Parma con il provvedimento del 12 settembre 2013 la ricorrente lo ha impugnato formulando i seguenti quattro motivi.

I) Eccesso di potere per illogicità manifesta, travisamento dei fatti e difetto di istruttoria.

Il Comune avrebbe errato nel ritenere la domanda di Arsenali identica a quella della dante causa Parcor atteso che mentre quest’ultima aveva richiesto il rilascio di una nuova autorizzazione nel settore “alimentare”, Arsenali ha chiesto la variazione del settore merceologico da “non alimentare” ad “alimentare” di un’autorizzazione già rilasciata, sicchè non vi sarebbe alcun aumento di carico commerciale nell’area.

II) Violazione dell’art. 3 del D.L. 13 agosto 2011 n. 138, convertito nella L. 14 settembre 2011 n. 148, violazione degli artt. 31 e 34 del D.L. 6 dicembre 2011 n. 201, convertito nella L. 22 dicembre 2011 n. 214, violazione dell’art. 1 del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito in L. 24 marzo 2012, n. 27, violazione dell’art. 41 della costituzione.

L’affermazione del Comune per cui nell’area in discorso sarebbe precluso l’insediamento di strutture di vendita alimentari sarebbe inveritiero dal momento che gli strumenti urbanistici ammettono l’apertura di strutture alimentari, sebbene con superficie di vendita fino a mq. 250.

L’atto impugnato si porrebbe, inoltre, in contrasto con le misure di liberalizzazione dei mercati varate dai governi della scorsa legislatura e, segnatamente:

a) con il D.L. n. 138 del 2011 che all’art. 3 aveva assegnato alle amministrazioni il termine di un anno per adeguare i propri ordinamenti al principio secondo cui l’iniziativa e l’attività economica privata sono libere e possono essere vietate solo in funzione della tutela di interessi pubblici primari tassativamente enumerati come la salute, la conservazione delle specie animali, l’ambiente, il paesaggio etc.;

b) con l’art. 31 del D.L. n. 201 del 2011 in base al quale entro un anno dalla sua entrata in vigore regioni ed enti locali avrebbero dovuto recepire nei propri ordinamenti il principio secondo cui l’apertura di nuovi esercizi commerciali non può essere sottoposta a contingenti, limiti territoriali o vincoli di qualsiasi altra natura, salvi solo quelli connessi alla tutela della salute, dei lavoratori, dell’ambiente (anche urbano) e dei beni culturali;

c) con l’art. 1 del D.L. n. 1 del 2012, il quale ha disposto l’abrogazione delle norme che pongono divieti e restrizioni alle attività economiche non adeguati o proporzionati alle finalità pubbliche perseguite, nonché delle disposizioni di pianificazione e programmazione temporale con prevalente finalità economica o prevalente contenuto economico che pongono limiti, programmi e controlli non ragionevoli, non adeguati, ovvero non proporzionati rispetto alle finalità pubbliche dichiarate.

Le restrizioni imposte dal Comune di Parma all’apertura di strutture di vendita medio-grandi alimentari, ossia di superficie superiore a 250 mq all’interno dell’area Scheda Norma C5/SPIP non risponderebbero ad alcuna finalità riconducibile ai motivi imperativi di interesse generale menzionati dalle norme sopra richiamate e non sarebbero, in ogni caso, proporzionati agli obiettivi perseguiti.

Le norme urbanistiche che contengono tali limiti dovrebbero, perciò, essere disapplicate per contrasto con fonti di diritto comunitario o, comunque, essere dichiarate inefficaci perché contrastanti con la sopravvenuta normativa statale in materia di liberalizzazione delle attività economiche.

III) Eccesso di potere per illogicità manifesta, difetto di istruttoria e sviamento.

Il Comune di Parma avrebbe trascurato il principio di libertà dell’iniziativa economica e ciò rappresenterebbe un illogico esercizio del potere.

IV) Violazione dell’art. 16 della direttiva CE 12 dicembre 2006, n. 123, relativa ai servizi del mercato interno e degli artt. 10 e 15 del D.Lgs. 26 marzo 2010 n. 59 che vi ha dato attuazione.

Secondo la richiamata direttiva, attuata con il D.Lgs. 59/2010, le eventuali limitazioni al principio della massima libertà nella prestazione di servizi, ivi compresi quelli commerciali, potrebbero essere introdotte solo per ragioni di necessità (ordine pubblico, di pubblica sicurezza, sanità pubblica o tutela dell’ambiente) ma sempre rispettando il principio di proporzionalità.

4. Il Comune di Parma si è difeso, anche con memoria conclusiva, facendo rilevare che non è prevista, nell’elenco fornito dalla disciplina di settore, la fattispecie della “variazione del settore merceologico” pertanto la domanda della ricorrente giammai avrebbe potuto trovare accoglimento non essendo tale ipotesi inclusa fra quelle contemplate dalla legge.

Peraltro ha evidenziato l’identità sostanziale delle domande di Parcor e di Arsenali e, dunque, la doverosità dell’applicazione della stessa preclusione all’insediamento fissata dagli strumenti urbanistici; in generale ha osservato che le norme liberalizzatrici invocate dalla ricorrente non avrebbero inciso sul potere di pianificazione urbanistica relativo agli insediamenti ma solo su quello di programmazione economica.

5. Il ricorso è infondato.

5.1. Innanzitutto non coglie nel segno l’obiezione della ricorrente secondo cui la sua istanza di variazione del settore merceologico della struttura medio-grande da “non alimentare” ad “alimentare” sarebbe diversa dalla precedente istanza di Parcor di autorizzazione all’apertura di una struttura medio-grande di vendita “alimentare”.

Premesso che non è contestato fra le parti che la struttura in discorso sia la stessa, ossia quella ubicata sulla S.P. 72, nell’area compresa tra le vie Burla e Ugozzolo, il Collegio ritiene che, ai fini della corretta qualificazione dell’istanza, debba aversi riguardo alla sostanza della stessa piuttosto che alla nomenclatura utilizzata.

Nel caso di specie, per tale struttura, Parcor si era vista denegare l’autorizzazione all’apertura in quanto struttura medio-grande “alimentare”; Arsenali si è vista denegare il cambio di settore merceologico ad “alimentare” della struttura già autorizzata come “non alimentare”.

E’ di palmare evidenza che l’intento perseguito, in ultima analisi, è lo stesso: ossia insediare una struttura medio-grande di vendita “alimentare”, sicchè correttamente il Comune ha ritenuto le due istanze di analogo contenuto.

Invero, diversamente opinando (questo è infatti l’intento nella sostanza perseguito dalla ricorrente con l’operazione posta in essere) si darebbe ingresso al principio per cui, con il doppio passaggio - consistente nel conseguire dapprima l’autorizzazione della struttura come “non alimentare” e nel richiedere successivamente la volturazione ad “alimentare” - si potrebbe aggirare il divieto, fissato dagli strumenti di pianificazione urbanistica, di insediamento nell’area in discorso, di una struttura medio-grande di vendita “alimentare”.

E’ dunque evidente che l’istanza della ricorrente, quantunque sotto diversa nomenclatura, è senz’altro riconducibile alla figura della “nuova autorizzazione”.

D’altra parte il Collegio rileva che, come correttamente evidenziato dalla difesa comunale, la normativa di settore non prevede la variazione dell’intero settore merceologico (cfr. doc. 10 del fascicolo del Comune), pertanto, quand’anche si potesse aderire alla tesi della ricorrente e si potesse ritenere la sua domanda come domanda di variazione del settore merceologico, la stessa in ogni caso non potrebbe trovare accoglimento.

Il primo motivo è, dunque, infondato.

5.2. Gli altri tre motivi vanno scrutinati congiuntamente prospettando essi un’unica sostanziale censura.

In estrema sintesi, la ricorrente sostiene che ogni limite all’insediamento sul territorio di attività commerciali sarebbe venuto meno, salve deroghe da motivare in modo stringente qui non sussistenti, per effetto delle norme liberalizzatrici invocate, e in ultima analisi per effetto dei principi di libera prestazione dei servizi e di libertà di stabilimento, che con le norme citate hanno trovato attuazione; sostiene in particolare che ciò avverrebbe anche in casi. come quello in esame, in cui i suddetti limiti derivano dalla pianificazione urbanistica.

Deve premettersi che la disciplina nazionale relativa all’apertura di nuovi esercizi commerciali è stata oggetto di controversa evoluzione.

Il decreto legislativo n. 114 del 1998, nell’intento di superare la precedente normativa dirigistica di cui alla L. 426 del 1971, aveva prefigurato un meccanismo di forte integrazione fra urbanistica e disciplina economica delle attività commerciali di maggiore rilevanza, prevedendo che le regioni dovessero dettare indirizzi generali per il loro insediamento e criteri di programmazione urbanistica riferiti al settore commerciale destinati ad essere recepiti in sede di pianificazione del territorio da parte dei comuni (art. 7, comma 5).

Dopo contrastanti interpretazioni è intervenuto il legislatore che, con il D.L. n. 223 del 2006, ha definitivamente sancito il divieto (valevole anche per le Regioni) di sottoporre l’apertura di nuovi esercizi commerciali (ivi comprese medie e grandi strutture) a limiti riferiti a quote di mercato predefinite o calcolate sul volume delle vendite a livello territoriale sub regionale.

Il settore dei servizi privati, nell’ambito del quale rientra il commercio, è stato poi oggetto della direttiva comunitaria n. 123/2006 (“Bolkestein”) volta alla riduzione dei vincoli procedimentali e sostanziali gravanti sugli stessi al fine di favorire la creazione nei vari Stati membri di un regime comune attuativo dei principi di libertà di stabilimento e libera prestazione.

La normativa comunitaria così dettata prevede, infatti, che l’iniziativa economica non possa, di regola, essere assoggettata ad autorizzazioni e limitazioni (specie se dirette ad incidere sul rapporto fra domanda ed offerta), salvo sussistano motivi imperativi di interesse generale rientranti nel catalogo formulato dalla Corte di Giustizia e purchè le misure restrittive della libertà d’impresa risultino adeguate e proporzionate agli obiettivi perseguiti.

La direttiva in discorso è stata recepita nell’ordinamento interno dal D.Lgs. n. 59 del 2010 e ad essa sono ispirati i numerosi provvedimenti di liberalizzazione successivamente adottati, il cui tratto comune è rappresentato dalla distinzione fra atti di programmazione economica – che in linea di principio non possono più essere fonte di limitazioni all’insediamento di nuove attività – e atti di programmazione aventi natura non economica, i quali, invece, nel rispetto del principio di proporzionalità, possono imporre limiti rispondenti ad esigenze annoverabili fra i motivi imperativi di interesse generale (art. 11, comma 1, lett. e) del D.Lgs. n. 59 del 2010, art. 34, comma 3, lett. a) del D.Lgs. 201/2011).

Secondo condivisibile giurisprudenza gli atti di programmazione territoriale non vanno esenti dalle verifiche prescritte dalla direttiva servizi per il solo fatto di essere adottati nell’esercizio del potere di pianificazione urbanistica, dovendosi verificare se, in concreto, essi perseguano finalità di tutela dell’ambiente urbano o, comunque, riconducibili all’obiettivo di dare ordine e razionalità all’assetto del territorio, oppure perseguano la regolazione autoritativa dell’offerta sul mercato dei servizi attraverso restrizioni territoriali alla libertà di insediamento delle imprese (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, sez. I, 10 ottobre 2013, n. 2271).

Il legislatore ha stabilito, infatti, che:

a) ricadono nell’ambito delle limitazioni vietate (salvo la sussistenza di motivi imperativi d’interesse generale) non solo i piani commerciali che espressamente sanciscono il contingentamento numerico delle attività economiche, ma anche gli atti di programmazione che impongano “limiti territoriali” al loro insediamento (artt. 31, comma 1 e 34, comma 3 del D.L. 201/2011);

b) debbono, perciò, considerarsi abrogate le disposizioni di pianificazione e programmazione territoriale o temporale autoritativa con prevalente finalità economica o prevalente contenuto economico, che pongano limiti, programmi e controlli non ragionevoli, ovvero non adeguati ovvero non proporzionati rispetto alle finalità pubbliche dichiarate e che in particolare impediscano, condizionino o ritardino l’avvio di nuove attività economiche o l’ingresso di nuovi operatori economici (art. 1 del D.L. n. 1/2012).

Secondo la giurisprudenza amministrativa formatasi in materia, l'inutile decorso del termine assegnato dal legislatore statale per l’adeguamento degli ordinamenti regionali e locali ai principi in materia di concorrenza determina la perdita di efficacia di ogni disposizione regionale e locale, legislativa e regolamentare, con essi incompatibili, in forza dell’art. 1, comma 2, L. 131/ 2003 a mente del quale le disposizioni regionali vigenti nelle materie appartenenti alla legislazione esclusiva statale continuano ad applicarsi fino alla data di entrata in vigore delle disposizioni statali in materia (Cons. Stato, V, 5 maggio 2009, n. 2808; T.A.R. Toscana, sez. II, 21 settembre 2010, n. 6400; T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. III, 17 maggio 2010, n. 6884; T.A.R. Friuli Venezia Giulia, sez. I, 11 marzo 2011, n. 145).

Dunque le verifiche imposte dalle norme liberalizzatrici operano su due piani: il primo riguarda la verifica dei requisiti per l’esercizio di un’attività economica, il secondo riguarda la verifica dei contenuti della pianificazione territoriale.

In ordine al primo aspetto, per quanto di interesse, con riferimento alle medie e grandi strutture di vendita, il regime autorizzatorio, che non è in discussione nel presente giudizio, è stato confermato dal D.Lgs. 6 agosto 2012, n. 147, recante disposizioni integrative e correttive del D.Lgs. 59/2010.

Quanto al secondo aspetto, effettivo punto in contestazione, si tratta di verificare se i limiti imposti degli atti di pianificazione urbanistica possano ritenersi correlati e proporzionati a effettive esigenze di tutela dell’ambiente urbano o afferenti all’ordinato assetto del territorio sotto il profilo della viabilità, della necessaria dotazione di standard o di altre opere pubbliche, dovendosi, in caso contrario, reputare che le limitazioni in parola non siano riconducibili a motivi imperativi di interesse generale e siano, perciò, illegittime (cfr. Corte cost. 15 marzo 2013 n. 38).

Nel caso di specie, con riferimento ai vincoli posti dagli strumenti urbanistici del Comune di Parma, il Collegio osserva che, diversamente da quanto riscontrato dal TAR milanese nella sentenza innanzi citata, il divieto di insediamento di strutture di vendita medio-grandi “alimentari” nell’Area Scheda Norma C5/SPIP risponde ad evidenti esigenze di ordine urbanistico.

Emerge dagli atti che l’istruttoria relativa all’area in discorso non ha affatto riguardato aspetti quali la sufficienza e adeguatezza della rete distributiva alimentare e non alimentare a soddisfare la domanda ma si è soffermata, viceversa, sui problemi relativi all’assetto del territorio urbano, alla dotazione di parcheggi pertinenziali e di aree per il carico e scarico merci, agli standard urbanistici, all’accessibilità, all’impatto sul sistema viario, in definitiva al carico urbanistico.

Secondo quanto chiarito dal Responsabile del Servizio Commercio e Turismo della Regione Emilia Romagna, nella nota in data 20 febbraio 2013 indirizzata a tutti i Comuni e le Province (doc. 13 id.), “è del tutto evidente che l’attività delle strutture commerciali e il carico urbanistico che esse producono deriva in misura determinante dal settore merceologico della attività svolta. Il carico urbanistico del settore alimentare risulta di gran lunga superiore a quello del non alimentare e a questa impostazione sono orientate le misure contenute nella disciplina regionale …. Ciò premesso si ritiene che a decorrere dal gennaio 2013 permanga appieno la validità delle scelte compiute dagli organi preposti nell’ambito degli strumenti di pianificazione vigenti di livello provinciale e comunale e nuovi insediamenti siano autorizzabili solo se conformi agli strumenti vigenti medesimi”.

Anche alla luce dei riferiti chiarimenti i limiti fissati dal Comune di Parma all’insediamento di strutture medio-grandi alimentari nell’area commerciale integrata per cui è causa, essendo il frutto di valutazioni relative non ad interessi di natura economica, bensì a profili strettamente ambientali e urbanistici, non possono ritenersi incompatibili con i principi in materia di liberalizzazione del mercato dei servizi sanciti dalla direttiva 123/2006/CE e dai provvedimenti legislativi che vi hanno dato attuazione.

Nella Scheda relativa al comparto in discorso (doc. 8 id.), la cui realizzazione è stata subordinata alla sottoscrizione di un Piano Urbanistico Attuativo (doc. 9 id.), e nella delibera consiliare n. 49 del 27 marzo 2007, con cui è stata approvata la variante al POC connessa all’attuazione del PUA (all. al doc. 9 id.), sono presi in considerazione esclusivamente profili e obiettivi di natura urbanistica (creazione di un’area ecologicamente attrezzata, realizzazione dell’asse viario di collegamento tra la S.P. Parma – Mezzani e la S.P. 62R, realizzazione di una nuova rotatoria su via Ugozzolo per consentire un secondo accesso al comparto di intervento, mitigazione dell’impatto acustico, opere di adeguamento idraulico, ecc.).

Così concepita, la pianificazione urbanistica comunale non presenta alcuna incompatibilità con la normativa sopravvenuta in materia di liberalizzazione del mercato dei servizi né, dunque, imponeva al Comune alcun intervento di adeguamento dei propri atti di pianificazione entro il termine previsto dall’art. 31, comma 2, ultimo periodo, del D.L. 201 del 2011.

Ne consegue che il provvedimento impugnato, avendo fatto applicazione di una disposizione che passa indenne al vaglio della sopravvenuta disciplina liberalizzatrice, deve considerarsi pienamente legittimo.

In conclusione, per tutte le suesposte considerazioni, il ricorso deve essere respinto.

Le spese del giudizio, nei confronti del Comune di Parma, seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo; possono, viceversa, compensarsi con il Ministero dell’Interno, costituito in giudizio con mera comparsa di stile.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna, Sezione Distaccata di Parma, definitivamente decidendo sul ricorso in epigrafe, lo respinge.

Condanna la parte ricorrente alle spese del giudizio, in favore del Comune di Parma, che liquida in € 5.000,00 (cinquemila), oltre rimborso forfetario spese generali, nonchè CA e IVA come per legge.

Compensa le spese con il Ministero dell’Interno.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Parma nella camera di consiglio del giorno 16 dicembre 2014 con l'intervento dei magistrati:

Angela Radesi, Presidente

Laura Marzano, Primo Referendario, Estensore

Marco Poppi, Primo Referendario

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 15/01/2015

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)