Cass. Sez. 3, Sentenza n. 19236 del 15/02/2005 Ud. (dep. 20/05/2005 ) Rv. 231834
Presidente: Zumbo A. Estensore: Fiale A. Relatore: Fiale A. Imputato: Scollato. P.M. Meloni VD. (Conf.)
(Rigetta, App. Lecce, 1 Ottobre 2003)
EDILIZIA - IN GENERE - Concessione edilizia in sanatoria - Obbligo di verifica della conformità della concessione alle previsioni normative da parte del giudice penale - Sussistenza - Concessione illegittima - Disapplicazione - Possibilità.

Nell\'ipotesi di concessione edilizia in sanatoria il giudice penale deve accertare la conformità dell\'atto alle norme in materia di controllo dell\'attività urbanistico-edilizia, anche in ossequio alla previsione di cui all\'art. 13 della legge n. 47 del 1985, per il quale la concessione in sanatoria estingue i reati urbanistici solo se le opere risultano conformi agli strumenti urbanistici; ne consegue che il giudice, esercitando il doveroso sindacato di legittimità del fatto estintivo o incidente sulla fattispecie tipica penale, può disapplicare la concessione illegittima ex art. 5 della legge 20 marzo 1865 n. 2248, all. E.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. ZUMBO Antonio - Presidente - del 15/02/2005
Dott. GENTILE Mario - Consigliere - SENTENZA
Dott. VANGELISTA Vittorio - Consigliere - N. 304
Dott. FIALE Aldo - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. SARNO Giulio - Consigliere - N. 22294/2004
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
SCOLLATO....
avverso la sentenza 1.10.2003 della Corte di Appello di Lucca;
visti gli atti, la sentenza denunziata ed il ricorso;
Udita in Pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere Dott. FIALE Aldo;
udito il Pubblico Ministero nella persona del Dott. MELONI Vittorio che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Udito il difensore Avv.to MACRÌ Ubaldo, il quale ha concluso chiedendo l\'accoglimento del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza dell\'1.10.2003 la Corte di Appello di Lecce confermava la sentenza 5.11.2002 del Tribunale di Lecce - Sezione distaccata di Gallipoli, che aveva affermato la penale responsabilità di Scollato xxin ordine al reato di cui:
- all\'art. 20, lett. c), legge n. 47/1985 (per avere realizzato, all\'interno del parco acquatico gestito dalla "Water Splash s.r.l.", in zona assoggettata a vincolo paesaggistico, in assenza di concessione edilizia, opere consistenti in: una pedana da ballo m lastre di Cursi, di circa 80 mq., provvista di una tettoia in legno poggiata su pilastri in conci di tufo; un chiosco in legno; un locale deposito - acc. in Gallipoli, il 20.8.2000) e, riconosciute circostanze attenuanti generiche, lo aveva condannato alla pena - condizionalmente sospesa - di giorni 20 di arresto ed euro 12.000,00 di ammenda, con ordine di demolizione delle opere abusive. La Corte territoriale affermava, in proposito, l\'illegittimità di una concessione in sanatoria, rilasciata dal Comune di Gallipoli ex art. 13 della legge n. 47/1985, rilevando che le opere eseguite non erano conformi agli strumenti urbanistici vigenti all\'epoca della loro realizzazione.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso lo Sconato, il quale ha eccepito: - l\'erroneo disconoscimento di efficacia alla concessione edilizia rilasciata in sanatoria, ex art. 13 della legge n. 47/1985, con illegittimo esercizio, da parte del giudice penale, di potestà riservata ad organi amministrativi;
- la non assoggettabilità a concessione edilizia del "piccolo chiosco in legno con annesso deposito", che costituiva opera precaria, spontaneamente demolita.
All\'udienza odierna il difensore ha prodotto copie di due domande di condono edilizio, depositate il 10.12.2004 ai sensi dell\'art. 32 del D.L. n. 269/2003, convertito nella legge n. 191/2004, rispettivamente riferite alla pista da ballo in lastre di pietra, completa di tettoia, ed al chiosco in legno adibito a deposito.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso deve essere rigettato, perché infondato. 1. Secondo la giurisprudenza di questa Corte Suprema, gli artt. 22 e 13 della legge n. 47/1985 (le cui previsioni sono state trasfuse negli artt. 36 e 45 del T.U. n. 380/2001) vanno interpretati in stretta connessione ai fini della declaratoria di estinzione dei "reati contravvenzionali previsti dalle norme urbanistiche vigenti" e il giudice penale, pertanto, ha il potere-dovere di verificare la legittimità della concessione edilizia rilasciata "in sanatoria" e di accertare che l\'opera realizzata sia conforme alla normativa urbanistica.
In mancanza di tale conformità, infatti, la concessione non estingue i reati ed il mancato effetto estintivo non si ricollega ad una valutazione di illegittimità del provvedimento della P.A. cui consegua la disapplicazione dello stesso ex art. 5 della legge 20.3.1865, n. 2248, all. E), bensì alla effettuata verifica della inesistenza dei presupposti di fatto e di diritto dell\'estinzione del reato in sede di esercizio del doveroso sindacato della legittimità del fatto estintivo incidente sulla fattispecie tipica penale (vedi Cass., Sez. 3^: 30.5.2000, Marinaro; 7.3.1997, n. 2256, Tessari e altro; 24.5.1996, Buratti e altro).
Ai fini del corretto esercizio di tale controllo deve ricordarsi che si pone quale presupposto indispensabile, per il rilascio della concessione in sanatoria ex art. 13 della legge n. 47/1985, la necessità che l\'opera sia "conforme agli strumenti urbanistici generali e di attuazione approvati e non in contrasto con quelli adottati, sia al momento della realizzazione dell\'opera, sia al momento della presentazione della domanda" (secondo l\'attuale formulazione dell\'art. 36 T.U. n. 380/2001, l\'intervento deve risultare "conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda").
Nella fattispecie in esame le opere realizzate ricadevano in una zona a destinazione agricola e, per lo loro tipologia e destinazione d\'uso, si ponevano in contrasto con tale previsione di piano all\'epoca della loro realizzazione.
Il rilascio del provvedimento sanante, inoltre, consegue ad un\'attività vincolata della P.A., consistente nell\'applicazione alla fattispecie concreta di previsioni legislative ed urbanistiche a formulazione compiuta e non elastica, che non lasciano all\'Amministrazione medesima spazi per valutazioni di ordine discrezionale.
Nel caso che ci riguarda - in conclusione - la concessione edilizia rilasciata in sanatoria non comporta l\'estinzione del reato urbanistico, poiché non sono applicabili l\'art. 22 della legge n. 47/1985, ne\' l\'art. 45 del TU. n. 380/2001 (difettandone i presupposti).
2. La natura "precaria" di un manufatto - secondo la giurisprudenza di questa Corte Suprema (vedi Cass., Sez. 3^: 12.7.1995, rie. Bottai;
2.7.1996, ric. De Marco; 4.10.1996, rie. EH Meo; 28.1.1997, ric. Arcucci; 20.6.1997, ric. Stile; 18.2.1999, ric. Bortolotti) - ai fini dell\'esenzione dalla concessione edilizia, non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione subiettivamente data all\'opera dal costruttore ma deve ricollegarsi alla intrinseca destinazione materiale di essa ad un uso realmente precario e temporaneo, per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, con conseguente e sollecita eliminazione, non essendo sufficiente che si tratti di un manufatto smontabile e non infisso al suolo (nello stesso senso vedi C. Stato, Sez. 5^: 23.1.1995, n. 97 e 15.6.2000, n. 3321). La precarietà, inoltre, non va confusa con la stagionalità, vale a dire con l\'utilizzo annualmente ricorrente della struttura (vedi Cass., Sez. 3^, 21.10.1998, n. 12890, Colao ed altro) e, nella fattispecie in esame, alla data del 10.12.2004 (in cui sono state presentate le domande di condono) risultano tuttora esistenti sia la pista da ballo in lastre di pietra, completa di tettoia, sia il chiosco in legno adibito a deposito.
3. Con riferimento all\'altro chiosco di legno, che sarebbe stato demolito, deve ribadirsi la giurisprudenza di questa Corte Suprema secondo cui la demolizione delle opere abusive non comporta l\'estinzione del reato commesso con la loro costruzione (vedi Cass., Sez. 3^: 30.9.2004, D\'Andolfo; 29.9.1998, n. 10199, Sanfflippo e 14.3.1992, n. 2706, Malchiodi ed altro), anche se può essere valutata ai fini della determinazione della pena, della mancanza di un danno penalmente rilevante e della buona fede dell\'imputato. Nei reati urbanistici (come affermato dalle Sezioni Unite con la sentenza 12.11.1993, ric. Borgia) è lo stesso territorio che costituisce il bene ometto della relativa tutela, e tale bene è "esposto a pregiudizio da ogni condotta che produca alterazioni in danno del benessere complessivo della collettività e delle sue attività ed il cui parametro di legalità è dato dalla disciplina degli strumenti urbanistici e dalla normativa vigente". Ha altresì rilevanza penale l\'elusione del controllo che l\'autorità amministrativa è chiamata ad esercitare, in via preventiva e generale, sull\'attività edilizia assoggettata al regime concessorio e, quando un\'attività siffatta venga iniziata senza il preventivo assenso dell\'amministrazione comunale, si ha inesistenza di un danno urbanistico soltanto nell\'ipotesi di cui all\'art. 36 del T.U. n. 380/2001 (già art. 13 della legge n, 47/1985: conformità delle opere agli strumenti urbanistici fin dal momento della loro realizzazione), mentre, al di fuori di tale ipotesi, l\'eliminazione spontanea del manufatto abusivo non vale ad eliminare l\'antigiuridicità sostanziale del fatto reato: il territorio, infatti, ha comunque subito un vulnus, pur se vi è stata una successiva attività spontanea rivolta ad elidere le conseguenze dannose del reato.
3.1 Nè può applicarsi la disposizione dell\'art. 8 quater della legge 21.6.1985, n. 298 (introdotta in sede di conversione del D.L., 13.4.1985, n. 146), secondo la quale "Non sono perseguibili in qualunque sede coloro che abbiano demolito o eliminato le opere abusive entro la data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto". Tale disposizione, infatti, è testualmente riferita, e limitata sotto il profilo temporale, alle demolizioni di opere abusive eseguite entro la data di entrata in vigore (7 luglio 1985) della stessa legge, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 146 del 22.6.1985.
Parte della dottrina, valutando l\'aspetto politico della concessione di tale beneficio, ritenne che esso fosse stato concepito come alternativo e compensativo al diniego di una proroga della data finale di efficacia del primo condono edilizio, ma la Circolare 30.7.1985, n. 3356/25 del Ministero dei lavori pubblici, conferendo valenza privilegiata alla connessione con le norme di cui al capo 4^ della legge n. 47/1985, optò per l\'interpretazione limitativa dell\'estensione del beneficio alle sole opere abusive ultimate entro l\'1 ottobre 1983, cioè a quelle suscettibili di condono ai sensi della stessa legge n. 47.
La Corte Costituzionale - con la sentenza n. 167 del 29-3-1989 - ha condiviso tale interpretazione limitativa della norma e ne ha affermato la legittimità costituzionale sull\'essenziale rilievo che la demolizione dell\'opera abusiva non elimina l\'antigiuridicità del fatto, in quanto "la violazione della legge si è già perpetrata con il solo fatto della costruzione senza concessione e con la violazione si è realizzata necessariamente quell\'antigiuridicità che la demolizione non può eliminare".
L\'art. 8 quater della legge n. 298/1985, dunque, secondo il giudizio della Consulta, integra una causa di non perseguibilità con esenzione da pena "per ragioni di politica criminale e non certo come effetto della caduta di antigiuridicità per cause intrinseche attinenti al nucleo sostanziale dell\'illecito". Lo stabilire limiti temporali a taluni effetti di estinzione del reato o della pena, o di non procedibilità, riguarda i poteri discrezionali del legislatore e non può dar luogo a censura di irrazionalità per trattamento differenziato".
Nè può condividersi quell\'opinione - pure espressa in dottrina - secondo la quale, in relazione al (secondo) condono edilizio, disciplinato dall\'art. 39 della legge 23-12-1994, n. 724 ed esteso alle opere abusive realizzate entro il 31 dicembre 1993, la disposizione contenuta nell\'art. 8 quater della legge n. 298/1985 dovrebbe ritenersi applicabile a tutte le opere edilizie comunque demolite entro la data di entrata in vigore della stessa legge n. 724/1994 (non importa se spontaneamente o in adempimento di provvedimento della pubblica amministrazione), purché realizzate entro il 31 dicembre 1993.
Una prospettazione siffatta deve ritenersi esclusa allorché si consideri che:
- l\'art. 39, 1 comma, della legge n. 724/1994 dichiara l\'applicabilità delle disposizioni di cui ai capi 4^ e 5^ della legge n. 47/1985 alle opere abusive ultimate entro il 31 dicembre 1993 ed espressamente prevede che i termini contenuti nelle disposizioni richiamate e decorrenti dalla data di entrata in vigore della legge n. 47/1985, o delle leggi di successiva modifica o integrazione, "sono da intendersi come riferiti alla data di entrata in vigore del presente articolo";
- la disposizione di cui all\'art. 8 quater della legge n. 298/1985 non riguarda però termini connessi all\'operatività della procedura di "condono" e non si connette ai capi 4^ e 5^ della legge n. 47/1985, bensì al capo 1^ di quest\'ultima legge, ed è rivolta, in particolare, a bilanciare l\'entrata in vigore delle più gravi sanzioni amministrative e penali introdotte appunto da tale capo 1^ e la prevista applicazione retroattiva delle sanzioni amministrative medesime.
Con riferimento al terzo condono edilizio deve rilevarsi, infine, che l\'art. 32, comma 25, del D.L. n. 269/2003 convertito dalla legge n. 326/2003 (come già l\'art. 39 della legge n. 724/1994) subordina l\'applicazione degli interi capi 4^ e 5^ della legge n. 47/1985 all\'esistenza dei requisiti attualmente prescritti perché t\'opera possa essere condonata.
L\'art. 8 quater della legge n. 298/1985, conseguentemente, in estrema e non condivisibile tesi, potrebbe essere applicato esclusivamente per le opere che oggettivamente abbiano i requisiti di condonabilità di cui all\'art. 32 del D.L. n. 269/2003.
4. Nella vicenda che ci occupa, invece, non può tenersi conto delle domande di condono presentate dal ricorrente il 10.12.2004 e depositate in copia dal difensore all\'odierna udienza, perché si verte in ipotesi di opere abusive non suscettibili di sanatoria, ai sensi dell\'art. 32 del D.L. n. 269/2005, convertito netta legge n. 191/2004 (e delle leggi della Regione Puglia nn. 28/2003 e n. 19/2004), in quanto si tratta:
- di nuove costruzioni non-residenziali, realizzate in assenza del titolo abilitativo edilizio, che non si sostanziano in meri ampliamenti o addizioni (ipotesi esclusa dal condono dal comma 25 della normativa statale);
- di nuove costruzioni realizzate, in assenza del titolo abilitativo edilizio, in area assoggettata a vincolo imposto a tutela degli interessi paesistici (ipotesi esclusa dal condono dal comma 26, lett. a).
Nelle aree sottoposte a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici, ambientali e paesistici la norma anzidetta ammette, infatti, la possibilità di ottenere la sanatoria soltanto per gli interventi edilizi di minore rilevanza (corrispondenti alle tipologie di illecito di cui ai nn. 4, 5 e 6 dell\'Allegato 1: restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria), previo parere favorevole da parte dell\'autorità preposta alla tutela del vincolo.
In proposito, appare opportuno ricordare che la Relazione governativa al D.L. n, 269/2003 si esprime nel senso che "... è fissata la tipologia di opere assolutamente insanabili tra le quali si evidenziano... quelle realizzate in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio nelle aree sottoposte ai vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici, ambientali e paesistici... Per gli interventi di minore rilevanza (restauro e risanamento conservativo) si ammette la possibilità di ottenere la sanatoria edilizia negli immobili soggetti a vincolo previo parere favorevole da parte dell\'autorità preposta alla tutela. Per i medesimi interventi, nelle aree diverse da quelle soggetto a vincolo, l\'ammissibilità alla sanatoria è rimessa ad uno specifico provvedimento regionale". 5. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
la Corte Suprema di Cassazione, visti gli artt. 607, 615 e 616 c.p.p., rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 15 febbraio 2005.
Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2005