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Sez. 3, Sentenza n. 37398 del 07/07/2004 Ud. (dep. 23/09/2004 ) Rv. 230043
Presidente: Savignano G. Estensore: Squassoni C. Relatore: Squassoni C. Imputato: Priolo. P.M. Passacantando G. (Conf.)
(Annulla senza rinvio, App. Roma, 11 Ottobre 2002)
REATI CONTRO LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - DELITTI - DEI PRIVATI - VIOLAZIONE DI SIGILLI - IN GENERE - Momento di perfezionamento - Reato istantaneo - Reiterazione della condotta - Configurabilità di plurime violazioni.

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Massima (Fonte CED Cassazione)
Il reato di violazione di sigilli ha natura istantanea e si perfeziona sia con la materiale violazione dei sigilli, sia con ogni condotta idonea a frustrare il vincolo di immodificabilità imposto sul bene per disposizione di legge o per ordine dell'autorità; di conseguenza, compiuta la prima infrazione, il reato si reitera ogni qual volta si realizza una condotta contraria al precetto, in ulteriore violazione del persistente vincolo sulla "res".

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. SAVIGNANO Giuseppe - Presidente - del 07/07/2004
Dott. ZUMBO Antonio - Consigliere - SENTENZA
Dott. ONORATO Pierluigi - Consigliere - N. 01603
Dott. SQUASSONI Claudia - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. GRILLO Carlo - Consigliere - N. 032214/2003
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) PRIOLO ALDO N. IL 10/12/1944;
avverso SENTENZA del 11/10/2002 CORTE APPELLO di ROMA;
visti gli atti, la sentenza ed il procedimento;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott. SQUASSONI CLAUDIA;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. PASSACANTANDO Guglielmo che ha concluso per annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente alla pena determinarsi in mesi due e giorni venti di reclusione.
Udito il difensore Avv. Giuliani Mario - Roma -.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con sentenza 13.12.1999, il Tribunale di Roma ha ritenuto Priolo Aldo responsabile dei reati previsti dagli artt. 20 c. 1 lett. b L. 47/1985 - 1, 2, 4, 13, 14 L. 1086/1971 - 349 c.p. e lo ha condannato alla pena di giustizia.
In parziale riforma della decisione del primo Giudice, la Corte di Appello di Roma ha dichiarato estinti per prescrizione i reati edilizi ed ha rideterminato la pena per il residuo delitto (concessa la diminuente ex art. 442 c.p.p. per l'ingiustificato diniego del Pubblico Ministero al rito abbreviato) in mesi quattro di reclusione ed euro sessantotto di multa.
Per l'annullamento della sentenza, l'imputato ricorre in Cassazione deducendo difetto di motivazione e violazione di legge, in particolare, rilevando:
- che la notifica del decreto di citazione in appello, effettuata à sensi dell'art. 161 c. 4 c.p.p., è nulla;
- che è carente in senso grafico la motivazione sulla praticabilità dello art. 129 c. 2 c.p.p. per le contravvenzioni dichiarate estinte per prescrizione;
- che il verbale di sequestro non conteneva l'avvertimento di cui all'art. 259 c. 2 c.p.p. e tale omissione ha influito sullo elemento soggettivo del reato;
- che non è stata accertata la data di effettiva commissione del delitto ed, in tale modo, non si è risposto ad un preciso motivo di appello rilevante ai fini della prescrizione;
- che è stato violato il divieto di cui all'art. 597 c. 3 c.p.p. quanto alla sanzione detentiva.
Il Collegio ritiene che solo l'ultima deduzione sia meritevole di accoglimento.
Per quanto concerne la irregolarità della notifica del decreto di citazione in appello, è appena il caso di osservare come la relativa nullità avrebbe dovuta essere dedotta prima del compimento delle formalità di apertura del dibattimento a sensi dell'art. 181 c. 3 c.p.p.. Dal verbale di udienza, risulta che la difesa nulla ha eccepito in limine litis, per cui la deduzione, formulata con il presente ricorso, è tardiva. In merito alla seconda censura, è puntuale in fatto il rilievo che i Giudici non si sono posti il problema della possibilità di ricorrere alla regola di cui all'art. 129 c. 2 c.p.p.; la lacuna motivazionale non può comportare, tuttavia, un annullamento della sentenza in quanto l'inevitabile proseguimento del giudizio, avanti al Giudice del rinvio, è incompatibile con il principio secondo il quale le cause di non punibilità devono essere immediatamente dichiarate. Inoltre, la censura sul punto è priva della necessaria concretezza perché il ricorrente non segnala da quali prove, connotate con il requisito dell'evidenza, sia possibile pervenire ad una assoluzione nel merito. Relativamente all'omesso avvertimento allo imputato di conservare la cosa nella sua integrità, deve precisarsi che il verbale di sequestro, pur non menzionando l'art. 259 c. 2 c.p.p., dava atto che il custode era stato reso edotto degli obblighi derivanti dagli artt. 334, 335 c.p. e, pertanto, anche del dovere di conservare la cosa; la circostanza che il custode non abbia dichiarato di assumere gli obblighi di legge è irrilevante in quanto l'omissione non esonera tale soggetto dall'adempimento dei suoi doveri e connesse responsabilità penali a sensi dell'art. 81 c. 3 disp. att. c.p.p.. Sulla epoca di commissione del reato, la Corte osserva che l'imputato nello atto di appello non aveva formulato censure tendenti a dimostrare, mediante la riapertura dell'istruzione dibattimentale, che l'edificazione fosse terminata in epoca antecedente a quella risultante nel capo di imputazione secondo il quale la permanenza delle contravvenzioni era cessata 14.8.1996; sino a tale data, deve considerarsi reiterato il delitto in esame.
Invero il reato, di natura istantanea, si perfeziona sia con la materiale violazione dei sigilli sia con ogni condotta idonea a frustare il vincolo di immodificabilità imposto sul bene per disposizione di legge o per ordine dell'autorità; di conseguenza, compiuta la prima infrazione, il reato si reitera ogni qual volta si realizzi una condotta contraria al precetto con la ulteriore violazione del vincolo, sempre persistente, sulla res. Nel caso concreto, la manomissione del bene è cessata con la ultimazione dei lavori, nella epoca ricordata, che segna il termine iniziale del computo prescrizionale; consegue che non si è maturato il periodo richiesto dagli artt. 157 c. 1 sub 4, 160 c.p. (anni sette e mezzo) al quale devono aggiungersi mesi nove e giorni sette per rinvio del dibattimento (dal 20.1.1998 al 28.10.1998) per impedimento del difensore.
La residua censura è fondata.
Il primo Giudice era partito da una pena base di mesi sei e, concesse le attenuanti generiche, era arrivato alla sanzione finale di mesi quattro.
La Corte di Appello, ritenendo l'imputato meritevole anche della riduzione per il rito abbreviato, lo ha condannato alla pena di mesi quattro di reclusione partendo dalla pena base di nove mesi. In tale modo, è stato violato il disposto di cui all'art. 597 c. 3 c.p.p.:
al fine del divieto della reformatio in pejus, quando appellante è il solo imputato, per pena che non può essere aggravata deve intendersi non soltanto quella finale (ottenuta dopo avere calcolato gli aumenti e le diminuzioni per effetto delle circostanze e della continuazione), ma anche la sanzione relativa ai singoli elementi di computo ivi compresa la pena base.
L'errore può essere rettificato direttamente da questa Corte che determina la pena detentiva in mesi due e giorni venti di reclusione (ottenuta fissando la sanzione base nella misura indicata dal Tribunale - mesi sei - ed applicando la massima diminuzione per le attenuanti generiche, come effettuato dai Giudici di merito, ed, indi, calcolando la diminuente del rito).
P.Q.M.
La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla pena detentiva che determina in mesi due e giorni venti di reclusione; rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, il 7 luglio 2004.
Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2004