Cass. Sez. III n. 29323 del 22 ottobre 2020 (UP 14 set 2020)
Pres. Di Nicola Est. Galterio Ric. Viscardi
Urbanistica.Considerazione unitaria dell’opera

Non è consentita la suddivisione dell'attività edificatoria finale nelle singole opere che concorrono a realizzarla non essendo consentito scindere e considerare separatamente i suoi singoli componenti, tanto più quando, come nel caso di specie, si tratti di elementi facenti parte di un unico complesso


RITENUTO IN FATTO


1.Con sentenza in data 11.9.2019 la Corte di Appello di Salerno ha confermato la penale responsabilità di Luana Viscardi per il reato di cui all’art. 44 lett. b) d.P.R. 380/2001 ed ulteriori violazioni in materia edilizia in relazione alla costruzione, in assenza del permesso di costruire, di un fabbricato di oltre 150 mq. con tramezzature interne e piano di calpestio in muratura antistante, estendendola altresì, in accoglimento dell’appello del pubblico ministero, alla realizzazione mediante casseformi ed armature di tre pilastri a circa dieci metri dal prospetto sud del manufatto, a modifica della pronuncia di primo grado che aveva dichiarato limitatamente a tale specifico intervento l’insussistenza del fatto, e confermando ciò nondimeno la pena quantificata dal primo giudice in otto mesi di arresto ed € 10.000 di ammenda, con ordine di demolizione di tutte le opere abusive.
2. Avverso il suddetto provvedimento l’imputata ha proposto, per il tramite del proprio difensore, ricorso per cassazione articolando quattro motivi di seguito riprodotti nei limiti di cui all’art. 173 disp.att. cod.proc.pen.
2.1. Con il primo motivo lamenta, in relazione al vizio di violazione di legge riferito all’art. 44 d.P.R. 380/2001 e al vizio motivazionale, la genericità delle argomentazioni utilizzate dalla Corte di Appello che fonda la responsabilità della prevenuta su mere presunzioni, quali la disponibilità del bene e l’interesse ad edificare, in assenza di alcuna prova che consentisse di ricondurre a costei i reati contestatile oltre alla sua presenza sul posto al momento del sopralluogo, senza  che tuttavia risultasse essere stata mai identificata
2.2. Con il secondo motivo contesta, in relazione al vizio di violazione di legge  e al vizio motivazionale, la responsabilità ascrittale per la realizzazione dei tre pilastri che essendo costituiti da listelli di legno appoggiati a terra, vuoti al loro interno e, come tali perfettamente rimovibili, rappresentavano soltanto l’elemento iniziale di una realizzazione futura, circostanza questa riconosciuta dalla stessa Corte di Appello, senza che, non conoscendosene la destinazione effettiva, potessero configurare alcun abuso né sul piano edilizio, né, a fortiori, in materia di prescrizioni concernenti le opere in cemento armato. Precisa in ogni caso che nessuno può essere punibile per una mera intenzione, a tale stadio essendo rimasta la condotta concernente la costruzione delle tre casseformi, non costituenti di per sé alcun illecito penalmente rilevante
2.3. Con il terzo motivo lamenta l’incongruità della pena rimasta immutata rispetto a quella inflitta all’imputata dalla sentenza di primo grado, nonostante la Corte di Appello l’avesse assolta dal reato di lottizzazione abusiva ed invece condannata per la realizzazione dei tre pilastri. Deduce che, al di là del rilievo che tale condotta non costituisce reato, in ogni caso i due fatti non potevano ritenersi equivalenti sul piano della oggettiva gravità, tenuto conto che già l’art.44 lett c) d.P.R. 380/2001 punisce la lottizzazione abusiva con una sanzione più grave rispetto all’abuso edilizio di cui alla lett. b) della medesima norma cui era stata ricondotta la costruzione dei tre pilastri.
2.4. Con il quarto motivo contesta, in relazione al vizio di violazione di legge riferito agli artt. 36 e 45 d.P.R. 380/2001, l’omessa sospensione del giudizio che il giudice di primo grado avrebbe dovuto disporre stante la richiesta inoltrata dalla difesa per il rilascio del permesso a costruire in sanatoria ed il rigetto del relativo motivo da parte della Corte di Appello.
3. Con successiva memoria redatta in data 24.3.2020 il difensore dell’imputata ha articolato un motivo aggiunto con il quale lamenta la mancata declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione: deduce al riguardo che in mancanza di prova certa sull’ultimazione del fabbricato che al momento del sopralluogo si presentava già intonacato, dotato di infissi e con gli impianti interni già predisposti, il tempus commissi delicti doveva essere calcolato in termini più favorevoli per l’imputato, ossia al gennaio-febbraio 2015 e che quand’anche si volesse ritenere il fabbricato non ultimato i lavori dovevano al momento del sopralluogo reputarsi sospesi non essendo stati rinvenuti in tale frangente operai sul cantiere e trovando, perciò, applicazione il principio secondo il quale il tempo del commesso reato coincide con la sospensione dei lavori per qualsiasi causa volontaria o imposta.
3.1. Con lo stesso atto la difesa ha ulteriormente sviluppato il secondo motivo del ricorso originario deducendo che nulla era emerso dall’espletata istruttoria sulla circostanza che fossero stati riempiti con cemento i tre pilastri di cui all’imputazione in contestazione che, al contrario, risultavano dal verbale di accertamento sottoscritto dall’arch. D’Angelo “non ancora completati nelle armature e privi di getto di calcestruzzo”. Lamenta pertanto l’inapplicabilità degli artt. 44, 71 e 72 d.P.R. 380/2001, trattandosi di reati configurabili esclusivamente in presenza di opere in conglomerato cementizio, nonché l’omessa notifica all’imputata dell’appello del Pubblico Ministero, con grave menomazione delle prerogative difensive, senza che sulla questione si fosse formato alcun giudicato interno per avere il giudice di seconde cure emendato la precedente statuizione sul capo in contestazione.
3.2. Nel riprendere il terzo motivo, la difesa precisa che qualora nel ricalcolo del trattamento sanzionatorio la pena inflitta per la realizzazione dei tre pilastri fosse risultata identica, a dispetto dell’oggettiva minore gravità della condotta, a quella comminata in primo grado per la lottizzazione abusiva, sarebbe stata comunque necessaria l’esplicitazione da parte della Corte di Appello del percorso seguito per il relativo calcolo, nella specie integralmente omesso, tanto più che la sanzione inflitta in concreto era superiore al minimo edittale
 
CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Occorre premettere ai fini di una compiuta disamina della sentenza impugnata così come dei motivi di ricorso che la Corte salernitana, pur avendo escluso, in parziale riforma della sentenza di primo grado, che fosse stata posta in essere alcuna attività volta alla frammentazione del fondo, pervenuto alla Viscardi jure successionis da un unico dante causa ed oggetto di successiva divisione ereditaria, o comunque di speculazione sul piano urbanistico, ha ciò nondimeno reputato che il reato edilizio si fosse comunque perfezionato avendo ricondotto la condotta criminosa, consistita nella realizzazione del manufatto così come descritto ai punti a), b) e c) della rubrica, in assenza del permesso di costruire, all’ipotesi di cui alla lett. b) dell’art. 44 d.P.R.380/2001, espressamente menzionata tanto con riferimento alla condotta sostanziale, quanto all’ipotesi normativa, nel capo di imputazione.
Quanto all’accertamento della responsabilità dell’imputata, pienamente conforme all’univoco orientamento giurisprudenziale in punto di colpevolezza per l’abuso edilizio del proprietario del terreno su cui insiste l’opera, deve ritenersi la pronuncia impugnata che ha fondato su una pluralità di elementi tra loro convergenti e non specificamente contestati la condanna di costei. Le censure difensive non si confrontano, invero, con i rilievi puntualmente svolti dalla Corte distrettuale che evidenzia come la presenza della Viscardi sul posto al momento del sopralluogo, fatto questo comprovante la sua piena consapevolezza del mutato stato dei luoghi, unitamente alla circostanza che il terreno oggetto degli interventi abusivi fosse di sua proprietà e che ne avesse al contempo anche la disponibilità di fatto non consentisse di ricondurre l’illecito all’operato di terzi, peraltro neppure individuati, come vanamente sostenuto dalla difesa.
Al contrario i suddetti elementi sono stati ritenuti, alla luce dell'interesse specifico ad effettuare la nuova opera in applicazione del principio del "cui prodest", e dunque con deduzione logica fondata su fattori convergenti, indice di una condotta intenzionalmente diretta alla realizzazione dell’abuso edilizio, così integrando l’ipotesi delittuosa in contestazione.
Il primo motivo deve pertanto essere ritenuto inammissibile.
2. Ciò chiarito, di nessuna censura è passibile la pronuncia in esame per aver, in parziale riforma della decisione di primo grado, esteso la responsabilità della prevenuta anche alla realizzazione dei tre pilastri antistanti il lato sud del fabbricato: l’unitarietà dell’opera, riguardata nella sua interezza, non consente, secondo quanto già ripetutamente affermato da questa Corte, la suddivisione dell'attività edificatoria finale nelle singole opere che concorrono a realizzarla non essendo consentito scindere e considerare separatamente i suoi singoli componenti, tanto più quando, come nel caso di specie, si tratti di elementi facenti parte di un unico complesso stante il posizionamento delle casseformi in prossimità dell’edificio abusivo che, ancorché non completate, non risultano parti a se stanti, sganciate da esso e perciò correttamente reputate componenti, al pari del muretto costituente il piano di calpestio antistante il fabbricato, dell’opera abusiva (Sez. 3, n. 16622 del 08/04/2015 - dep. 21/04/2015, Pm c. Casciato, Rv. 263473; Sez. 3, n. 5618 del 17/11/2011 - dep. 14/02/2012, Forte, Rv. 252125; Sez. 3 n. 34585 del 22/4/2010, Tulipani, non massimata; Sez. 3, n. 20363 del 16/3/2010, Marrella, Rv. 247175; Sez. 3, n. 4048 del 6/11/2002 (dep. 2003), Tucci, Rv. 223365).  
Ne consegue che la mancanza del permesso di costruire per il fabbricato principale si estende a tutte le componenti dell’opera complessiva e che, del pari, la disciplina prevista per le opere realizzate in conglomerato cementizio trova applicazione indistintamente per l’intero manufatto, indipendentemente dai materiali utilizzati per i singoli elementi che ne fanno parte. Anche il secondo motivo deve ritenersi pertanto inammissibile attesa la genericità delle doglianze che solo astrattamente contrastano il principio in esame, senza che nessuna dimostrazione risulti essere stata fornita in ordine all’autonomia dell’opera rispetto al fabbricato abusivo già costruito.
3. Quanto al quarto motivo che, attesa la natura processuale risulta logicamente preliminare a quello antecedente deve rilevarsene anche per esso l’inammissibilità non risultando che alcun motivo sul punto sia stato svolto con l’atto di appello anche alla luce di qualsivoglia contestazione sulla loro riproduzione sintetica nella parte iniziale della sentenza impugnata.
4. Inammissibile è altresì il motivo articolato con i motivi aggiunti in ordine all’intervenuta prescrizione del reato. Va infatti rilevato che l’accertamento da parte del Tribunale nocerino secondo il quale l’opera in esame non risultava affatto ultimata al momento del sopralluogo da parte dei tecnici comunali, eseguito in data 9 aprile 2015, non è stata mai contestata con l’atto di appello: pertanto il mancato completamento del manufatto deve ritenersi definitivamente accertato, senza contare che la questione relativa all’ultimazione dell’opera in data antecedente, costituendo una verifica meramente fattuale afferente ad un reato di natura permanente (la cui consumazione ha inizio con l'avvio dei lavori di costruzione e perdura fino alla cessazione dell'attività edificatoria abusiva), qual è quello urbanistico, non può comunque essere sollevata nella presente sede di legittimità. Ne consegue che i termini di prescrizione delle contravvenzioni in contestazione, decorrenti dalla data dell’eseguita ispezione, non possano allo stato ritenersi decorsi, dovendo tenersi conto oltre che del periodo previsto dagli artt. 157 e 161 cod. pen. (cinque anni), altresì dei periodi di sospensione intercorsi, pari a complessivi 205 gg. (dovendosi calcolare il rinvio dal 10.4.2017 al 14.6.2017 e quello dal 18.7.2018 al 5.12.2018), di talchè il compimento del periodo complessivo, cadendo il prossimo 31 ottobre 2020, risulta ancora di là da venire.
5. Deve ritenersi, invece, che il ragionamento seguito dai giudici di appello nella conferma del trattamento sanzionatorio già determinato dal Tribunale presti il fianco alle censure difensive, non venendo chiarito come due condotte tra loro oggettivamente differenti e diversamente sanzionate con riferimento alla pena pecuniaria (la lottizzazione ritenuta sussistente in primo grado e l’abuso edilizio accertato al contrario dalla Corte territoriale per mancanza del titolo abilitativo, quantunque esteso anche alla realizzazione dei tre pilastri) possano essere ritenute equipollenti in termini di gravità. La carenza motivazionale sul punto, attesa la apoditticità dell’argomentazione utilizzata dai giudici salernitani limitatisi a definire “equa” ed “adeguata alla gravità dei fatti” la pena determinata in primo grado, impone conseguentemente l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame sul punto alla Corte di Appello di Napoli, risultando per il resto il ricorso inammissibile.
Va ciò nondimeno precisato che per effetto del principio della formazione progressiva del giudicato, che copre, in conseguenza del giudizio della Corte di cassazione di parziale annullamento, i capi della sentenza ed i punti della decisione impugnati che non hanno connessione essenziale con la parte annullata, così come disposto dall’art. 624 cod. proc. pen., resta fermo l’accertamento dei reati così come l’affermazione di responsabilità dell’imputata, con conseguente inapplicabilità di eventuali cause estintive sopravvenute (Sez. U, n. 4904 del 26/03/1997, Attinà, Rv. 207640).

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio e rinvia per nuovo giudizio sul punto alla Corte di Appello di Napoli. Dichiara inammissibile il ricorso nel resto. Dichiara irrevocabile l’affermazione di responsabilità
Così deciso il 14.9.2020