Cass. Sez. III n. 35077 del 19 agosto 2016 (CC 14 apr 2016)
Pres. Rosi Est. Andronio Imp. Fortunato
Urbanistica.Demolizione e necessità di autorizzazione

Non è necessario il rilascio di un provvedimento di autorizzazione per poter procedere alla demolizione di un'opera abusiva.

RITENUTO IN FATTO

1. - Con ordinanza del 13 luglio 2013, il Tribunale di Salerno, in funzione di giudice dell'esecuzione, ha revocato il beneficio della sospensione condizionale della pena concesso al condannato con la sentenza della stessa Corte d'appello del 12 febbraio 2013, divenuta irrevocabile il 13 dicembre 2013, in ragione della mancata ottemperanza, da parte del condannato stesso, all'obbligo di demolizione dell'opera edilizia abusiva realizzata, cui era subordinato il predetto beneficio.

2. - Avverso l'ordinanza l'interessato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, sostenendo: 1) che il termine per procedere la demolizione non sarebbe perentorio; 2) che entro tale termine sarebbe, comunque, sufficiente aver iniziato i lavori di demolizione.

Con memoria depositata in prossimità della camera di consiglio davanti a questa Corte, la difesa evidenzia che il diniego di permesso di costruire in sanatoria del 17 giugno 2015 è stato oggetto di sospensiva da parte del Tar e che sarebbe comunque necessario acquisire un provvedimento autorizzatorio al fine di procedere alla demolizione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. - Il ricorso è inammissibile, perchè basato su censure manifestamente infondate.

3.1. - La tesi difensiva della non perentorietà del termine fissato nella sentenza di condanna per la demolizione si scontra con la costante giurisprudenza di questa Corte, la quale, proprio in considerazione della perentorietà di tale termine, attribuisce al giudice dell'esecuzione la sola valutazione sull'adempimento o sull'esistenza o meno di cause che lo abbiano reso impossibile al momento della scadenza del termine (ex plurimis, sez. 3, 17 dicembre 2014, n. 12975/2015; sez. 3, 22 settembre 2010, n. 35972, rv. 248569). E tale interpretazione trova conferma nel tenore letterale dell'art. 165 c.p., il quale prevede, fra l'altro, che la sospensione condizionale della pena possa essere subordinata alla demolizione, disponendo, all'ultimo comma, che sia il giudice, nella sentenza, a stabilire il termine entro il quale la demolizione deve essere effettuata; mentre il successivo art. 168, comma 1, n. 1), stabilisce che la sospensione condizione della pena sia revocata qualora il condannato non adempia agli obblighi impostigli, evidentemente entro il termine fissato ai sensi del precedente art. 165, u.c., che deve perciò essere ritenuto perentorio. E del tutto inconferente deve essere considerato il richiamo della difesa alla sentenza Cons. Stato, 7 novembre 2013, n. 5317, perchè tale pronuncia si riferisce all'interpretazione della L.R. Toscana n. 1 del 2005, estranea al presente giudizio, e non al D.P.R. n. 380 del 2001, all'art. 32, comma 9,), nè alle disposizioni codicistiche sopra richiamate, applicabili nel caso qui in esame. Si tratta, del resto, di una questione sollevata dalla difesa in via meramente ipotetica e teorica, perchè la stessa difesa non ha prospettato, nè tantomeno dimostrato, l'esistenza di un'impossibilità tecnica ad adempiere dopo ben un anno dalla scadenza del termine imposto dal giudice. Per le stesse ragioni, di diritto e di fatto, deve essere ritenuto manifestamente infondato l'assunto difensivo secondo cui sarebbe sufficiente iniziare l'attività demolitoria prima della scadenza del termine fissato dal giudice: il termine perentorio si riferisce infatti come appena visto - al completamento delle opere di demolizione, che è l'oggetto dell'accertamento del giudice dell'esecuzione in sede di valutazione della sussistenza dei presupposti per la revoca del beneficio della sospensione condizionale della pena; e nel caso di specie, al momento della verifica, tale termine era scaduto da più di un anno, senza che la difesa avesse dimostrato di avere proseguito le attività di demolizione solamente iniziate.

3.2. - Quanto ai rilievi proposti con la memoria depositata in prossimità della camera di consiglio davanti a questa Corte, relativi all'intervenuta sospensione dell'efficacia, da parte del giudice amministrativo, del provvedimento di diniego di sanatoria, deve rilevarsi che gli stessi attengono a profili di merito e si basano su atti successivi alla proposizione del ricorso, con la conseguenza che non possono essere presi in considerazione in sede di legittimità. Manifestamente infondata risulta, infine, la censura difensiva relativa alla pretesa necessità di una preventiva autorizzazione per la demolizione delle opere abusive; necessità che non solo non trova alcun fondamento nell'ordinamento vigente, ma che risulta meramente asserita dalla difesa in relazione al caso di specie. La stessa difesa si limita a richiamare, infatti, uno stralcio di una relazione - che parrebbe essere stata redatta da un consulente tecnico del pubblico ministero - riferito a non meglio precisati interventi di ripristino dello stato dei luoghi, "eseguiti dal 29 gennaio del c.a." che, a suo dire, avrebbero dovuto essere autorizzati in considerazione di una, parimenti non precisata, "peculiarità paesaggistica dell'area". Va comunque richiamato, sul punto, il principio, costantemente affermato dalla giurisprudenza amministrativa con riferimento alla demolizione disposta in sede amministrativa, ma suscettibile di applicazione anche in riferimento la demolizione disposta dal giudice, secondo cui non occorre acquisire il parere della Commissione Edilizia Integrata o della Commissione Edilizia Comunale nel caso in cui l'ordine di ripristino discenda direttamente dall'applicazione della disciplina edilizia. In tali ipotesi, infatti, l'ordine di demolizione si qualifica come atto dovuto in virtù di una valutazione di carattere giuridico, svincolata dalla violazione di specifiche disposizioni a tutela del paesaggio, per l'accertamento delle quali sarebbe stato necessario operare valutazioni implicanti esercizio di discrezionalità tecnica ascrivibili alla Commissione Edilizia (in tal senso, cfr., ex multis, T.A.R. Campania, Napoli, sez. 2, 22 novembre 2013, n. 5317; T.A.R. Campania, Napoli, sez. 6, 1 agosto 2013, n. 4037).

4. - Il ricorso deve perciò essere dichiarato inammissibile.

Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria dell'inammissibilità medesima conseguono, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento nonchè quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata in Euro 1.500,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 14 aprile 2016.