Cass. Sez. III n.41839 del 7 novembre 2008 (Ud. 30 set. 2008)
Pres. De Maio Est. Fiale Ric. Righi
Rifiuti. Sottoprodotti (slops)
Gli "slops" sono riconducibili alla categoria dei sottoprodotti quale delineata dal novellato art. 183, comma l, lett. p), del D.Lgs. n. 152/2006. Tale norma, infatti può essere interpretata nel senso che il processo che origina il sottoprodotto non debba essere necessariamente un "processo industriale" (come era testualmente prescritto, invece, dall\'art. 183, Comma - 1 lett. n), del D.Lgs. n. 152/2006 nella formulazione originaria) e possa essere, quindi, anche di produzione di un servizio. Inoltre - secondo il più recente orientamento della Corte europea di Giustizia - non è necessario che il riutilizzo si svolga nell\'identico luogo di produzione e sotto la direzione del medesimo imprenditore, potendo escludersi la natura di rifiuto pure per il bene che, avendo i requisiti di sottoprodotto così come indicati dal giudice comunitario, sia utilizzato "anche in altre industrie" e \'\'per il fabbisogno di operatori economici diversi da chi l\'ha prodotto", cioè in un insediamento appartenente a soggetto diverso dal produttore originario ed in un ciclo produttivo diverso. Resta fermo il principio - affermato e più volte ribadito dalla Corte di Lussemburgo - secondo il quale la valutazione della configurabilità di un sottoprodotto non deve essere
effettuata su ipotesi astratte, sussistendo invece l\'obbligo di procedere ogni volta all\'anaIisi delle specifiche situazioni di fatto.
Il D.Lgs n. 4/2008 non contiene più la definizione del concetto di trasformazione preliminare; esclude la sottoponibilità della sostanza a trattamenti preventivi o a trasformazioni preliminari, correlando però detta esclusione alla successiva utilizzabilità nelle stesse condizioni di tutela ambientale; non include più le operazioni di cernita e/o selezione tra quelle di recupero, sicché tali attività di trattamento preventivo [consuete nella pratica industriale] - alle quali ben può assimilarsi quella di decantazione (chiarificazione di una sostanza liquida mediante separazione per sedimentazione) - qualora non siano finalizzate a rendere successivamente utilizzabili la sostanza o il materiale nelle stesse condizioni di tutela ambientale, potrebbero ritenersi ormai compatibili con la nozione di "sottoprodotto" accolta dalla legislazione italiana.
a) confermava la sentenza 3.5.2005 del Tribunale monocratico di quella città nella parte in cui aveva affermato la responsabilità penale di Righi Italo in ordine al delitto di cui:
— agli art. 81 cpv. cod. pen. e 52, comma 3, del D.Lgs. n. 22/1997, in relazione all’art. 483 cod. pen. [per avere, quale legale rappresentante della s.p.a. “Porto Petroli di Genova” - affidando di volta in volta ai trasportatori consegnatari rifiuti liquidi speciali pericolosi consistenti in “slops” (miscele contenenti idrocarburi derivanti dallo svuotamento dei bracci di carico delle navi e dallo scarico delle valvole di sicurezza) venduti alla s.r.l. “RECOL”, concorso nel trasporto illecito di rifiuti effettuato dalle medesime imprese trasportatrici in assenza della prescritta iscrizione all’albo gestori di rifiuti ed in assenza del prescritto formulario identificativo — in Genova, luogo di partenza dei trasporti, dal 3.1.2001 al 28.3.2002]
e, con le già riconosciute circostanze attenuanti generiche, essendo stati unificati tutti gli episodi contestati nel vincolo della continuazione ex ad. 81 cpv. cod. pen., determinava la pena in mesi due di reclusione, confermando la concessione dei doppi benefici di legge.
b) assolveva dal medesimo delitto, sotto il profilo della carenza dell’elemento soggettivo, i legali rappresentanti delle imprese che avevano effettuato i trasporti;
c) dichiarava estinta per prescrizione la contravvenzione di cui all’art. 51, comma 1 - lett. b), del D.Lgs. n. 22/ 1997, contestata allo stesso Righi per lo svolgimento di una attività di gestione di rifiuti non autorizzata.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il difensore del Righi, il quale - sotto i profili della violazione di legge e del vizio di motivazione - ha eccepito:
1) la erronea qualificazione come “rifiuti” delle miscele di idrocarburi di volta in volta trasportate presso la acquirente s.r.l. “RECOL”, prospettando che le stesse si dovrebbero considerare, invece, “sottoprodotti” o “materie prime secondarie” alla stregua del D.Lgs. n. 152/2006;
2) la incongrua individuazione in fatto delle anzidette miscele che erano composte di “greggio, benzina, gasolio ed olio combustibile” e venivano vendute alla RECOL come “prodotto petrolifero di pregio”. Trattavasi di idrocarburi che, dopo la decantazione effettuata presso la “Porto Petroli”, mantenevano una percentuale di acqua estremamente esigua, sì da essere qualificati dalla Dogana come “olio combustibile extra-fluido”;
3) la erronea disapplicazione dell’art. 14 della legge n. 178/2002, a fronte di un’attività di “trattamento preventivo” (la mera decantazione dell’acqua di spiazzamento prima del riutilizzo) che non integrerebbe una operazione di recupero rientrante tra quelle individuate nell’Allegato C) del D.Lgs. n. 22/1997, perché non idonea a fare perdere agli idrocarburi la loro identità;
4) la erronea qualificazione delle miscele trasportate quali “rifiuti pericolosi”;
5) la immotivata affermazione della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, in quanto la Corte di merito avrebbe sinteticamente negato la “buona fede” del ricorrente, senza tenere conto che la stessa Dogana di Genova aveva sottoposto a controllo i singoli trasporti, assoggettando i prodotti trasportati alla correlativa accisa fiscale degli idrocarburi, e che alcune sentenze della Cassazione penale (Sez. III: 31.7.2003, n. 32235, ric. Agogliati ed altri; 3.2.2004, n. 3978, ric. Balistreri) avevano escluso che le miscele di idrocarburi fossero da considerare rifiuto, qualificando le stesse come materie prime secondarie;
6) la omessa pronuncia sulla richiesta di sostituzione della pena detentiva con la sanzione pecuniaria corrispondente ex artt. 53 e segg. della legge n. 68911981.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Le doglianze riferite in ricorso alla erroneità della disapplicazione dell’art. 14 della legge n. 178/2002 — quanto alla configurazione delle miscele oggetto dei trasporti — sono fondate e meritano accoglimento.
1. Nella ricostruzione fattuale della vicenda risulta accertato dai giudici del merito che la società “Porto Petroli” provvedeva con i propri impianti, nel porto di Genova, a collegare le navi cisterna e le petroliere agli oleodotti per effettuare il carico e lo scarico dei prodotti petroliferi. Nei tubi snodabili (cd. bracci di carico) utilizzati allo scopo rimanevano, al termine di ciascuna operazione, quantitativi di prodotto che non potevano essere utilmente pompati e venivano convogliati in un unico apposito serbatoio. In tale serbatoio confluivano, quindi, i residui di idrocarburi diversi (greggio, benzine, gasolio etc.) che si miscelavano fra loro. Vi confluivano pure, in percentuali notevolmente inferiori, gli scarichi delle valvole di sicurezza (dovuti a sovrapressioni nelle linee per l’innalzamento della temperatura esterna) nonché gli idrocarburi di recupero delle acque di spiazzamento degli oleodotti (queste ultime sostanze, prima di essere convogliate nel serbatoio, venivano sottoposte ad un’operazione di decantazione finalizzata a separare l’acqua dai residui di idrocarburi).
Le miscele come sopra formatesi nell’anzidetto serbatoio della “Porto Petroli” (c.d. slops) — costituite principalmente (80-90%) da residui di carico di idrocarburi e, per la restante parte, da sostanze più leggere rappresentate da benzina e gasolio e da acqua in minima percentuale — venivano acquistate dalla s.r.l. “R.ECOL” e trasportate presso gli impianti di detta società da imprese non autorizzate al trasporto di rifiuti o con automezzi non ricompresi nell’autorizzazione, con documenti di accompagnamento semplificati e senza il prescritto formulario.
I singoli trasporti venivano controllati dalla Dogana di Genova e, sotto il profilo fiscale, i prodotti venivano assoggettati al pagamento delle accise per i combustibili.
Nello stabilimento della RECOL poi, gli slops, previa aggiunta di olio combustibile denso, venivano riscaldati e quindi centrifugati, sì da ottenere un olio combustibile a basso tasso di zolfo (BTZ) regolarmente posto in commercio. Tali operazioni comportavano la produzione di rifiuti, ritualmente smaltiti nel contiguo impianto di altra società autorizzata.
2. Questa Sezione si è già occupata della vicenda con la sentenza 31.7.2003, n. 32235, ric. Agogliati ed altri — in sede di procedimento incidentale ed in relazione alla conferma del sequestro preventivo di automezzi utilizzati da alcuni dei trasportatori consegnatari degli “slops” — ed in quella occasione ha disposto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza confermativa emessa dal Tribunale del riesame, ritenendo necessaria la rivalutazione dei fatti, in punto di individuazione della natura di “rifiuto” attribuito a quelle miscele, “alla luce dell’art. 14 del D.L. 8.7.2002, n. 138, convertito con legge 8.8.2002, n. 178, e dei più recenti indirizzi comunitari”.
La sentenza impugnata, nel procedimento di merito, ha ritenuto di dovere “disapplicare” le disposizioni di cui all’art. 14 del D.L. n. 138/2002, argomentando che le stesse sono del tutto incompatibili con le direttive europee sui rifiuti (come affermato dalla sentenza 11.11.2004, causa C-457-2, Niselli, della Corte europea di Giustizia).
Il ricorso in esame è riferito alle miscele trasportate e non all’attività di separazione (per decantazione) degli idrocarburi dalle acque di spiazzamento degli oleodotti [si ricordi, al riguardo, che è stata dichiarata estinta per prescrizione la contravvenzione di cui all’art. 51, comma 1 lett. b), del D.Lgs. n. 22/1997, contestata allo stesso Righi per lo svolgimento dì una attività di gestione di rifiuti non autorizzata].
3 Tanto premesso, rileva il Collegio che — secondo la formulazione dell’art. 14 del D.L n. 13812002, convertito nella legge n. 178/2002 — non erano da considerarsi “rifiuti” le sostanze e i materiali residuali di produzione “ ... se gli stessi possono essere e sono effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo dopo aver subito un trattamento preventivo senza che si renda necessaria alcuna operazione di recupero tra quelle individuate nell’Allegato C) del decreto legislativo n. 22/1997’.
Tale previsione derogatoria — pur ponendosi in contrasto con la definizione comunitaria di “rifiuto”, secondo quanto affermato dalla Corte di Giustizia con la sentenza Niselli — deve essere comunque applicata dal giudice nazionale, poiché il potere-dovere di detto giudice di disapplicare la normativa nazionale riguarda le ipotesi di contrasto con una norma comunitaria dotata di efficacia diretta negli ordinamenti interni e tali non sono (poiché non sono self-executing) le direttive alle quali ha dato attuazione il decreto Ronchi: direttive che, tra l’altro, non possono avere come effetto, di per sé e indipendentemente da una legge interna di uno Stato membro adottata per la sua attuazione, quello di determinare o aggravare la responsabilità penale di imputati [vedi Corte di Giustizia, 3 maggio 2005, procedimenti riuniti C-387/02, C-391/02 e C-403/02].
La sentenza interpretativa Niselli della Corte di Giustizia (la quale rilevava un contrasto del diritto interno rispetto ad una direttiva comunitaria non direttamente applicabile) poteva costituire il presupposto di una questione dì legittimità costituzionale della norma interna per violazione degli obblighi di conformazione all’ordinamento comunitario sanciti dagli artt. 11 e 117 Cost.: questa Corte Suprema, infatti, con l’ordinanza n. 1414 del 16.1.2006 (ric. Rubino), ha sollevato la questione ma la Corte Costituzionale (con ordinanza del 14.7.2006) ha restituito gli atti per un nuovo esame alla luce del quadro normativo nel frattempo sopravvenuto.
4. E’ entrato frattanto in vigore, infatti, il D.Lgs. 3.4.2006, n. 152 [poi modificato dal D.Lgs. 16.1.2008, n. 4] che ha abrogato (all’art. 264, comma 1 - lett. l) la norma di interpretazione autentica di cui all’art. 14 del D.L. n. 138/2002 e, in luogo delle previsioni di cui al comma 2° di quell’articolo (pur ponendosi, secondo la Corte Costituzionale, “quanto a ratio, in linea di ideale continuità” con quella disposizione), ha introdotto una nuova definizione di “sottoprodotto”, sottratto a determinate condizioni all’applicazione della disciplina sui rifiuti.
A fronte di tale più recente normativa, ritiene il Collegio che la disciplina di cui all’abrogato art. 14 costituisce comunque nel caso concreto “norma più favorevole” per l’imputato e conseguentemente deve essere applicata ai sensi dell’art. 2, comma 3, cod. pen. (vedi sul punto Cass., Sez. III, 9.3.2007, n. 10264, Poli), tenuto conto che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, una volta che sia entrata in vigore una legge più favorevole, questa deve essere sempre applicata anche se, successivamente, il legislatore ritenga di modificarla in senso meno favorevole (vedi Cass., Sez. IV, 20.5.2004, n. 23613).
Nella vicenda in esame sussistono, invero, tutti requisiti di operatività del regime derogatorio di cui allo stesso art. 14, n. 2 - lett. b), poiché la fattispecie riguarda una sostanza residuale (slop) effettivamente ed oggettivamente riutilizzata in un diverso ciclo produttivo, dopo avere subito un trattamento preventivo minimo (decantazione) tale da non sfociare in una delle operazioni di recupero di cui all’Allegato C) del D.Lgs. n. 22/1997.
5. La sentenza Niselli della Corte di Giustizia (al punto 44) ha ritenuto ammissibile che un bene, un materiale o una materia prima., derivante da un processo che non è principalmente, destinato a produrla, “può costituire non un residuo, bensì un sottoprodotto, del quale l’impresa non ha intenzione di disfarsi, ai sensi dell’art. 1, lett. a), primo comma, della direttiva 75-442, ma che essa intende sfruttare o commercializzare a condizioni per lei favorevoli, in un processo successivo senza operare trasformazioni preliminari”.
La nozione di “sottoprodotto” è stata delineata, in ambito comunitario, dalla sentenza della Corte di Giustizia del 14 aprile 2002, resa nella causa C-9/00, Palin Granit e, secondo la normativa attualmente vigente nel nostro Paese, costituiscono sottoprodotti ai sensi dell’art. 183, comma 1, lett. p), del modificato D.Lgs. n, 152/2006:
“le sostanze ed i materiali dei quali il produttore non intende disfarsi ai sensi del!’articolo 183, comma 1, lettera a), che soddisfino tutti i seguenti criteri requisiti e condizioni: 1) siano originati da un processo non direttamente destinato alla loro produzione; 2) il loro impiego sia certo, sin dalla fase della produzione, integrale e avvenga direttamente nel corso del processo di produzione o di utilizzazione preventivamente individuato e definito; 3) soddisfino requisiti merceologici e dì qualità ambientale idonei a garantire che il loro impiego non dia luogo ad emissioni e ad impatti ambientali qualitativamente e quantitativamente diversi da quelli autorizzati per l’impianto dove sono destinati ad essere utilizzati; 4) non debbano essere sottoposti a trattamenti preventivi o a trasformazioni preliminari per soddisfare i requisiti merceologici e di qualità ambientale di cui al punto 3), ma posseggano tali requisiti sin dalla fase della produzione; 5) abbiano un valore economico di mercato”.
5.1 Rispetto a tale normativa si è affermato dianzi che la disciplina di cui all’art. 14 del D.L. n. 138/2002 costituisce comunque “norma più favorevole” per l’imputato e conseguentemente deve essere applicata, nella fattispecie in esame, ai sensi dell’art. 2, comma 3, cod. pen.
Per completezza argomentativa, però, sembra possibile ritenere [in relazione al primo motivo di ricorso] che gli “slops” di cui si discetta siano pure riconducibili alla categoria dei sottoprodotti quale delineata dal novellato art. 183, comma 1, lett. p), del D.Lgs. a 152/2006.
Tale norma, infatti, può essere interpretata nel senso che il processo che origina il sottoprodotto non debba essere necessariamente un “processo industriale” [come era testualmente prescritto, invece, dall’art. 183, comma - 1 lett. n), del D.Lgs. n. 152/2006 nella formulazione originaria] e possa essere, quindi, anche di produzione di un servizio.
Inoltre — secondo il più recente orientamento della Corte europea di Giustizia — non è necessario che il riutilizzo si svolga nell’identico luogo di produzione e sotto la direzione del medesimo imprenditore, potendo escludersi la natura di rifiuto pure per il bene che, avendo i requisiti di sottoprodotto così come indicati dal giudice comunitario, sia utilizzato “anche in altre industrie” (ordinanza Saetti-Frediani del 15.1.2004) e “per il fabbisogno di operatori economici diversi da chi l’ha prodotto”, cioè in un insediamento appartenente a soggetto diverso dal produttore originario ed in un ciclo produttivo diverso (sentenze Regno di Spagna C-416/02 e C-121/03 dell’8.9.2005; nonché sentenze 18.12.2007 nelle cause C263/05, C195/05 e C195/05).
Resta fermo il principio — affermato e più volte ribadito dalla Corte di Lussemburgo — secondo il quale la valutazione della configurabilità di un sottoprodotto non deve essere effettuata su ipotesi astratte, sussistendo invece l’obbligo di procedere ogni volta all’analisi delle specifiche situazioni di fatto.
E, alla stregua di tale principio, nella vicenda che ci occupa:
-- le miscele di idrocarburi in oggetto risultano originate, non in modo occasionale o saltuario, da un processo non direttamente destinato alla loro produzione ed hanno un oggettivo valore economico di mercato;
-- non sussiste alcun elemento che configuri la volontà del produttore di disfarsi delle sostanze medesime ed anzi appare dimostrata la loro destinazione all’integrale riutilizzo sin dalla fase della produzione;
-- l’integrale riutilizzo viene a configurarsi quale impiego certo ed effettivo nel corso di un processo di utilizzazione preventivamente individuato e definito;
-- non risulta che l’impiego successivo potesse dare luogo ad emissioni e ad impatto ambientale qualitativamente e quantitativamente “diversi” (razionalmente da intendersi nel senso di peggiorativi) da quelli autorizzati per l’impianto dove le miscele erano destinate ad essere utilizzate.
La legge attualmente prescrive, come si è detto, che i sottoprodotti non debbono essere sottoposti a trattamenti preventivi o a trasformazioni preliminari per soddisfare i requisiti merceologici e di qualità ambientale idonei a garantire che il loro impiego non dia luogo ad emissioni e ad impatti ambientali qualitativamente e quantitativamente diversi da quelli autorizzati per l’impianto dove sono destinati ad essere utilizzati, dovendo possedere tali requisiti sin dalla fase della produzione.
Secondo la precedente formulazione dell’art. 183, lett. n), del D.Lgs. n. 152/2006 — invece — l’utilizzo del sottoprodotto doveva avvenire “senza la necessità di operare trasformazioni preliminari in un successivo processo produttivo” e doveva intendersi per trasformazione preliminare “qualsiasi operazione che faccia perdere al sottoprodotto la sua identità, ossia le caratteristiche merceologiche di qualità e le proprietà che esso già possiede, e che si rende necessaria per il successivo impiego in un processo produttivo o per il consumo”.
La “cernita o la selezione”, inoltre, venivano considerate operazioni di recupero ai sensi dell’art. 183, lett. h), del D.Lgs. n. 152/2006 e questa Corte ha considerato tali attività sintomatiche di attività dì gestione di rifiuti (vedi Cass., Sez. III: 9.10.2006, n. 33882, P.M. in proc. Barbati; 7.8.2007, n. 32207, Mantini).
Il D.Lgs n. 4/200:
-- non contiene più l’anzidetta definizione del concetto di trasformazione preliminare
-- esclude la sottoponibilità della sostanza a trattamenti preventivi o a trasformazioni preliminari, correlando però detta esclusione alla successiva utilizzabilità nelle stesse condizioni di tutela ambientale;
-- non include più le operazioni di cernita e/o selezione tra quelle di recupero, sicché tali attività di trattamento preventivo [consuete nella pratica industriale] — alle quali ben può assimilarsi quella di decantazione (chiarificazione di una sostanza liquida mediante separazione per sedimentazione) che caratterizza la vicenda in esame — qualora non siano finalizzate a rendere successivamente utilizzabili la sostanza o il materiale nelle stesse condizioni di tutela ambientale, potrebbero ritenersi ormai compatibili con la nozione di “sottoprodotto” accolta dalla legislazione italiana.
6. Al riguardo appare opportuno rilevare, infine, che nella normativa comunitaria non si rinviene una definizione di “trasformazione preliminare” (concetto che risulta invece delineato nella sentenza della Corte di Giustizia 15 giugno 2000 nella causa Arco/Epon), mentre una definizione di “trattamento” è contenuta nella direttiva sulle discariche del 26 aprile 1999, n. 31, recepita in Italia con il D.Lgs. n. 3612003.
I limiti della presente decisione esonerano comunque il Collegio da una verifica di conformità comunitaria, perché l’applicabilità, nella specie, del regime derogatorio legislativamente previsto dall’art. 14 della legge n. 178/2002 comporta in ogni caso l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata in quanto il fatto (trasporto illecito di rifiuti) non sussiste, restando assorbiti gli ulteriori motivi di ricorso.