Cass. Sez. III n. 2695 del 23 gennaio 2020 (CC 20 nov 2019)
Pres. Lapalorcia Est. Ramacci Ric. Rea
Urbanistica.Decreto sviluppo e modifica destinazione d’uso
Sulla natura eccezionale del permesso di costruire rilasciato ai sensi dell'art. 5, comma 9 e seguenti legge 106/2011, con la quale è stato convertito in legge, con modificazioni, il decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70 (decreto sviluppo). Si osserva, in adesione a quanto evidenziato dalla giurisprudenza amministrativa, che la disposizione, in quanto deroga alla disciplina ordinaria ed alle previsioni degli strumenti urbanistici al fine di soddisfare esigenze straordinarie rispetto agli interessi primari garantiti dalla disciplina urbanistica generale, ha un ridotto ambito di operatività, confinato entro i limiti tassativamente previsti dal legislatore statale, richiamando l'inderogabilità degli standard urbanistici, la non attuabilità degli interventi di riqualificazione e aumenti di volumetria con riferimento ad edifici abusivi o situati nei centri storici o in area ad in edificabilità assoluta ed escludendo la possibilità del rilascio del titolo abilitativo secondo la procedura ordinaria
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Napoli, con ordinanza del 18 giugno 2019 ha rigettato l'istanza di riesame presentata nell'interesse di Antonio REA, in proprio e quale legale rappresentante della “Immobiliare Pa. Lu. An. s.r.l.” avverso il decreto di sequestro preventivo emesso in data 20 maggio 2019 dal GIP del Tribunale di Nola in relazione al reato di cui all'art. 44, lett. a) e b) d.P.R. 380/2001, conseguente al cambio di destinazione d'uso, in zona F2, da commerciale a residenziale effettuato attraverso la costruzione di 23 appartamenti in difformità dagli strumenti urbanistici e, comunque, in totale difformità dal permesso di costruire n. 39 del 7 marzo 2014.
Avverso tale pronuncia il predetto, anche nella qualità di legale rappresentante della società, propone ricorso per cassazione tramite i propri difensori di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2. Con un primo motivo di ricorso deduce la violazione dell'art. 5, comma 9, lett. c) legge 106/2011, in quanto il Tribunale non avrebbe valutato i permessi rilasciati alla luce delle norme richiamate per procedere al giudizio di sussumibilità del fatto nella fattispecie incriminatrice, attribuendo l’esatto significato all'elemento normativo delineato dalla fattispecie di riferimento.
Osserva che, al contrario, i giudici del riesame avrebbero rilevato che il mutamento di destinazione d'uso deve intervenire nell'ambito di destinazioni tra loro compatibili e complementari e ritenuto che la destinazione residenziale assentita nel caso di specie sarebbe non omogenea rispetto alla destinazione commerciale, incorrendo così in errore, dal momento che la legge si riferisce esclusivamente alla “compatibilità” o “complementarietà” e non già alla “omogeneità” ritenuta nel provvedimento impugnato.
Lo scopo della legge, aggiunge, è quello di incoraggiare la riqualificazione del patrimonio urbanistico esistente, consentendo destinazioni d'uso diverse, sebbene non contemplate dallo strumento urbanistico, purché compatibili o complementari con quelle rientranti nello strumento stesso ed assentite col permesso di costruire e che, per “destinazione compatibile” si intende quella che esplica la sua funzione senza condizionare la originaria, coesistendo con essa nella reciproca indipendenza, mentre, per “destinazione complementare”, si intende una destinazione accessoria, coerente con il tessuto urbano circostante
3. Con un secondo motivo di ricorso deduce la violazione dell'art. 5, comma 11 legge 106/2011 in relazione all'art. 14 d.P.R. 380/2001, rilevando che il Tribunale avrebbe erroneamente considerato che tale disposizione disciplina il permesso di costruire in deroga soltanto in un limitato ambito, circoscritto ai limiti di densità edilizia di altezza e distanza tra fabbricati e che tale interpretazione si porrebbe in contrasto con la disciplina richiamata, dal momento che la Regione Campania era intervenuta soltanto successivamente al rilascio dei permessi di costruire e che avrebbe trovato applicazione quanto disposto dal comma 9 della legge 106/2011, non operando quindi i limiti di cui al terzo comma dell'art. 14 d.P.R. 380/2001.
4. Con un terzo motivo di ricorso deduce la mancanza di motivazione in punto di esigenze cautelari, rilevando come dal verbale di esecuzione del sequestro preventivo risulterebbe che gli immobili, al momento dell’applicazione della misura reale erano completamente ultimati e che, nella richiesta di riesame, si era contestata la sussistenza del pericolo di aggravio del carico urbanistico ritenuta dal GIP.
Assume, quindi, che il Tribunale avrebbe omesso del tutto di pronunciarsi su tale questione formalmente prospettata, limitandosi ad affermare la sussistenza del pericolo che la libera disponibilità delle opere da parte dell'indagato potesse aggravare le conseguenze del reato consentendo l'ultimazione ed abitazione degli immobili con evidente notevole danno urbanistico, individuabile nello stravolgimento della pianificazione urbanistica vigente.
Insiste, pertanto, per l'accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato nei termini di seguito specificati.
2. Con riferimento a quanto dedotto con il primo e secondo motivo di ricorso, che possono essere congiuntamente esaminati, occorre in primo luogo osservare come, nel ricorso, venga preliminarmente dato atto che, nella motivazione del provvedimento di sequestro, il GIP avrebbe ritenuto illegittimo il permesso di costruire n. 39 del 7 marzo 2014, con il quale si è assentito il cambio di destinazione d'uso di immobili destinati a struttura commerciale in immobili ad uso residenziale perché in contrasto con quanto stabilito dall'art. 4, comma 7 legge regionale Campania n. 19/2009.
In particolare, sarebbe stato ritenuto illegittimo il cambio di destinazione d'uso delle aree interessate dall'intervento ubicate in zona F del PRG, destinata alla realizzazione di attrezzature e servizi, ovvero di manufatti per l'edilizia scolastica, centri medici poliambulatori, sport, spettacolo, scuole e parcheggi in quanto non assentibile ai sensi dell'art. 4 citato, di cui sarebbe stata fatta erronea applicazione, poiché tale disposizione consentirebbe il mutamento di destinazione solo all'interno di categorie omogenee.
Si aggiunge, sempre in premessa, che davanti al giudice del riesame si è dedotto che il mutamento di destinazione d'uso sarebbe stato ammesso non già in forza di SCIA ai sensi della legge regionale 19/2009, bensì di un permesso di costruire (n. 39 del 7 marzo 2014) rilasciato dall'amministrazione comunale, ai sensi della legge 106/2011, agli originari proprietari dell'area, i quali erano già titolari di un permesso di costruire (n. 69/2006) con il quale era stata autorizzata la realizzazione di 11 negozi di vicinato, seguito poi da un successivo permesso (n. 127 del 1 ottobre 2014) avente ad oggetto un intervento di demolizione e ricostruzione e delocalizzazione di un fabbricato esistente ai sensi dell'art. 5 legge 106/2011, sicché il Tribunale avrebbe dovuto verificare la conformità di tali titoli e della costruzione realizzata alla disciplina richiamata e, dunque, alla legge 106/2011 e non anche alla legge regionale del 2009.
Si afferma, infine, che i permessi sarebbero stati rilasciati in forza di quanto disposto dall’art. 5, commi 11 e 14 della legge 106/2011, in considerazione del fatto che la legge regionale (n. 16/2014) è stata promulgata successivamente al rilascio dei titoli edilizi.
3. Il provvedimento impugnato, pur richiamando sommariamente i termini della provvisoria incolpazione, ha preso in considerazione le osservazioni in base alle quali la difesa ritiene legittimo il titolo abilitativo rilevando la infondatezza della richiesta di riesame, previa sommaria descrizione del contenuto dell’art. 5 legge 106/2011.
Assumono, in particolare, i giudici del riesame che l’opera originariamente assentita aveva destinazione commerciale, mentre quella autorizzata con il permesso di costruire del 2014 ha destinazione residenziale, difettando quindi l’omogeneità ed essendo, inoltre, in contrasto la seconda con la destinazione d’uso stabilita dagli strumenti urbanistici vigenti in quanto zona F2, destinata esclusivamente alla realizzazione di attrezzature e servizi.
4. Ciò posto, pare opportuno richiamare, nella parte che qui interessa (commi 9-14), l’art. 5 legge 106/2011, con la quale è stato convertito in legge, con modificazioni, il decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70:
“(…) 9. Al fine di incentivare la razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente nonché di promuovere e agevolare la riqualificazione di aree urbane degradate con presenza di funzioni eterogenee e tessuti edilizi disorganici o incompiuti nonché di edifici a destinazione non residenziale dismessi o in via di dismissione ovvero da rilocalizzare, tenuto conto anche della necessita' di favorire lo sviluppo dell'efficienza energetica e delle fonti rinnovabili, le Regioni approvano entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto specifiche leggi per incentivare tali azioni anche con interventi di demolizione e ricostruzione che prevedano:
a) il riconoscimento di una volumetria aggiuntiva rispetto a quella preesistente come misura premiale;
b) la delocalizzazione delle relative volumetrie in area o aree diverse;
c) l'ammissibilità delle modifiche di destinazione d'uso, purché si tratti di destinazioni tra loro compatibili o complementari;
d) le modifiche della sagoma necessarie per l'armonizzazione architettonica con gli organismi edilizi esistenti.
10. Gli interventi di cui al comma 9 non possono riferirsi ad edifici abusivi o siti nei centri storici o in aree ad inedificabilità assoluta, con esclusione degli edifici per i quali sia stato rilasciato il titolo abilitativo edilizio in sanatoria.
11. Decorso il termine di cui al comma 9, e sino all'entrata in vigore della normativa regionale, agli interventi di cui al citato comma si applica l'articolo 14 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 anche per il mutamento delle destinazioni d'uso. Resta fermo il rispetto degli standard urbanistici, delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia e in particolare delle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, di quelle relative all'efficienza energetica, di quelle relative alla tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, nonché delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.
12. Le disposizioni dei commi 9, 10 e 11 si applicano anche nelle Regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e di Bolzano compatibilmente con le disposizioni degli statuti di autonomia e con le relative norme di attuazione.
13. Nelle Regioni a statuto ordinario, oltre a quanto previsto nei commi precedenti, decorso il termine di sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, e sino all'entrata in vigore della normativa regionale, si applicano, altresì, le seguenti disposizioni:
a) e' ammesso il rilascio del permesso in deroga agli strumenti urbanistici ai sensi dell'articolo 14 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 anche per il mutamento delle destinazioni d'uso, purché si tratti di destinazioni tra loro compatibili o complementari;
b) i piani attuativi, come denominati dalla legislazione regionale, conformi allo strumento urbanistico generale vigente, sono approvati dalla giunta comunale.
14. Decorso il termine di 120 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, le disposizioni contenute nel comma 9, fatto salvo quanto previsto al comma 10, e al secondo periodo del comma 11, sono immediatamente applicabili alle Regioni a statuto ordinario che non hanno provveduto all'approvazione delle specifiche leggi regionali (...)”.
5. Le disposizioni appena richiamate sono state più volte prese in considerazione dalla giurisprudenza amministrativa, che ne ha individuato l’ambito di operatività.
Si è così osservato che il riferimento all'esistenza di "funzioni eterogenee" o di "tessuti edilizi disorganici o incompiuti" o di "edifici a destinazione non residenziale dismessi o in via di dismissione ovvero da rilocalizzare" non individua presupposti autonomi per il rilascio di un permesso di costruire in deroga, ulteriori rispetto a quelli costituiti dalla "razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente" e dalla "riqualificazione di aree urbane degradate", ma intende unicamente esemplificare gli specifici contesti urbani "degradati" in cui la norma trova applicazione, con la conseguenza che l'esistenza di "edifici a destinazione non residenziale dismessi o in via di dismissione ovvero da rilocalizzare" costituisce un presupposto sufficiente a consentire il rilascio di un permesso di costruire in deroga al vigente strumento urbanistico comunale solo quando detti edifici siano collocati in "aree urbane degradate”, poiché soltanto a tale condizione la legge consente al consiglio comunale di formulare le sue valutazioni circa la possibilità di assentire proposte di edificazione in deroga allo strumento urbanistico riconoscendo anche gli ulteriori benefici previsti, sempre che gli interventi consentano di perseguire l'interesse pubblico prioritario alla "razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente" e alla "riqualificazione di aree urbane degradate" (TAR Piemonte, Sez. 2, n. 1028 del 18/9/2018; Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 1767 del 11/4/2014).
Si è altresì espressamente esclusa la volontà del legislatore di procedere ad una generalizzata liberalizzazione, in quanto la disposizione va letta nel senso che sono ammessi gli interventi edilizi rispetto ai quali risulti dimostrato il fine di "razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente" o di "promuovere o agevolare la riqualificazione di aree urbane degradate" precisando, altresì, che tale condizione deve sussistere per tutti gli interventi edilizi, sia di natura residenziale che non residenziale (Consiglio di Stato Sez. IV, n. 4088 del 1/9/2015).
Evidenziando, inoltre, la natura eccezionale del permesso di costruire rilasciato ai sensi dell'art. 5, comma 9 e seguenti, in quanto deroga alla disciplina ordinaria ed alle previsioni degli strumenti urbanistici al fine di soddisfare esigenze straordinarie rispetto agli interessi primari garantiti dalla disciplina urbanistica generale, se ne è limitato l’ambito di operatività esclusivamente entro i confini tassativamente previsti dal legislatore statale, richiamando l'inderogabilità degli standard urbanistici, la non attuabilità degli interventi di riqualificazione e aumenti di volumetria con riferimento ad edifici abusivi o situati nei centri storici o in area ad in edificabilità assoluta ed escludendo la possibilità del rilascio del titolo abilitativo secondo la procedura ordinaria (T.A.R. Piemonte, Sez. 2, n. 91 del 29/1/2016).
6. Così considerato il contesto entro il quale opera la disposizione in esame anche sulla base delle osservazioni del giudice amministrativo, pienamente condivisibili, occorre osservare che il Tribunale, pur avendo dato atto, come si è detto, del riferimento contenuto nella provvisoria incolpazione, non ha ritenuto di riproporla testualmente (ed altrettanto ha fatto il ricorrente) sicché non è dato comprendere, sulla base del ricorso e del provvedimento impugnato, unici atti ai quali ha accesso questa Corte, se la violazione delle disposizioni penali richiamate sia stata correlata alla legge regionale 19/2009, come assume in premessa il ricorrente, ovvero alle disposizioni della legge 106/2011, sulla quale di diffondono sia l’ordinanza che i motivi di ricorso.
In ogni caso, il provvedimento impugnato è caratterizzato, anche per ciò che concerne la valutazione dei presupposti per l’applicabilità dell’art. 5, commi 9 e ss. della legge 106/2011, da una certa laconicità, in quanto focalizza l’attenzione esclusivamente sulla compatibilità o complementarietà tra diverse destinazioni d’uso di cui al comma 9, lett. c), richiamando poi l’assenza di omogeneità che il ricorrente critica.
Si tratta, ad avviso del Collegio, di una valutazione comunque adeguata e conforme a legge, sebbene prescinda da una più completa analisi dei titoli abilitativi richiamati, che avrebbe dovuto essere comunque effettuata considerando in primo luogo - ovviamente entro l’ambito decisorio assegnato dalla legge al giudice del riesame - la sequenza temporale dei titoli edilizi che in ricorso si assume essere stati rilasciati con riferimento agli interventi per cui è processo, la tipologia degli interventi realizzati e la conformità alla legge della procedura seguita.
Tenuto conto, poi, della natura eccezionale e derogatoria della disciplina generale della disposizione in esame, la quale richiede una lettura non estensiva e limitata al tenore letterale del testo normativo, come dimostrato dai contributi interpretativi offerti dalla giurisprudenza amministrativa in precedenza richiamata, andava ulteriormente verificata la sussistenza dei presupposti generali di applicabilità dell’art. 5 legge 106/2011, considerando quanto stabilito al comma 9 circa l’esigenza di razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente e quella di promuovere e agevolare la riqualificazione di aree urbane degradate.
Difettando tali presupposti resterebbe infatti assorbita ogni ulteriore questione, dovendosi escludere la possibilità di applicare la disposizione in esame, che in ricorso viene indicata come utilizzata nel rilasciare i permessi di costruire n. 39/2014 e n. 127/2014.
Nel provvedimento impugnato non viene dato conto della verifica di tale requisito essenziale il quale, tuttavia, deve ritenersi effettuato dai giudici del riesame i quali, altrimenti, non avrebbero avuto alcuna necessità di procedere all’ulteriore verifica oggetto di critica da parte del ricorrente.
Emerge poi dal ricorso, come si è detto, che i permessi di costruire considerati si assumono rilasciati ai sensi del comma 14 dell’art. 5 in esame, non avendo la Regione Campania legiferato nel termine di 120 giorni dalla data di entrata in vigore della legge 106/2011.
Tale evenienza, come è noto, comporta l’immediata applicazione delle disposizioni contenute nel comma 9, fatto salvo, però, quanto previsto al comma 10 (gli interventi non possono riferirsi ad edifici abusivi o siti nei centri storici o in aree ad inedificabilità assoluta, con esclusione degli edifici per i quali sia stato rilasciato il titolo abilitativo edilizio in sanatoria) ed al secondo periodo del comma 11, che impone il rispetto degli standard urbanistici, delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia ed, in particolare, delle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, di quelle relative all'efficienza energetica, di quelle relative alla tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, nonché delle disposizioni contenute nel d.lgs. 42/2004.
Vengono dunque posti ulteriori limiti all’applicazione della speciale disciplina.
7. Va osservato che, come rilevato, in particolare, nel secondo motivo di ricorso, il Tribunale volge l’attenzione alla prima parte del comma 11 dell’art. 5, ricordando come lo stesso preveda l’applicazione dell’art. 14 d.P.R. 380/2001 anche per il mutamento delle destinazioni d'uso, richiamando il contenuto del comma 3 che limita espressamente l’oggetto della possibile deroga ai limiti di densità edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati.
La difesa critica tale assunto, osservando come, nella fattispecie, sarebbe applicabile il comma 14 dell’art. 5, non avendo la regione Campania provveduto a legiferare entro 120 giorni dall’entrata in vigore della legge 106/2011, ritenendo quindi non operante la limitazione di cui al terzo comma dell’art. 14 d.P.R. 380/2001, essendo richiesto il solo limite della compatibilità o complementarietà di cui al comma 9, lett. c).
8. Ciò posto, occorre tuttavia evidenziare che il ricorso sembra sostanzialmente affermare, nel formulare le critiche all’ordinanza impugnata sul punto, che la modifica di destinazione d’uso ai sensi del comma 14 sia sempre consentita, senza limitazioni, in presenza del menzionato requisito di cui alla lett. c) del comma 9, ritenendo tale assunto confermato dal quanto disposto dalla legge regionale n. 16/2014 che recepisce quanto disposto dai commi 9 e 14 della legge 106/2011 ed, in maniera decisiva, da quanto stabilito dall’art. 1, comma 271 legge 190/2014, laddove è stabilito che “le previsioni e le agevolazioni previste dall'articolo 5, commi 9 e 14, del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n.106, si interpretano nel senso che le agevolazioni incentivanti previste in detta norma prevalgono sulle normative di piano regolatore generale, anche relative a piani particolareggiati o attuativi, fermi i limiti di cui all'articolo 5, comma 11, secondo periodo, del citato decreto-legge n. 70 del 2011”
Tale assunto è tuttavia errato, poiché, condividendosi, ancora una volta, quanto osservato dal giudice amministrativo (Consiglio di Stato, Sez. 4, n. 1828 del 19 aprile 2017), tale disposizione pur imponendo di interpretare il contenuto dell'art. 5, commi 9 e 14 nel senso che prevale, tranne i casi di cui al comma 11, secondo periodo, su tutti gli strumenti urbanistici generali, particolareggiati o attuativi, va applicata considerando la natura di norma di favore eccezionale (essendo diretta a regolare in termini diversi un minor numero di ipotesi rispetto a quelle ordinarie) dell’art. 5 e tenendo conto del fatto che essa non è comunque suscettibile di applicazioni oltre gli scopi cui è preordinata, con la conseguenza che essa non può prevalere sulle regole che fissano standard o criteri inderogabili, tra cui il DM 1444/1968, imponendo altresì il rispetto delle altre discipline richiamate.
9. Deve poi rilevarsi che, effettivamente, il provvedimento impugnato, sul punto, appare errato laddove richiama il comma 11 che, avuto riguardo alla data di entrata in vigore della legge 106/2011 e quella di rilascio dei titoli abilitativi, sarebbe non applicabile nella fattispecie, dovendosi fare riferimento al comma 14 come affermato dai ricorrenti.
Tale erroneo richiamo, tuttavia, non appare determinante avuto riguardo alle ulteriori considerazioni svolte dai giudici del riesame.
Il provvedimento impugnato ha, infatti, comunque considerato l’ulteriore requisito della compatibilità o complementarietà tra la destinazione urbanistica originaria e quella che si è inteso attuare.
Si tratta, ad avviso del Collegio, di una valutazione che deve riguardare, ovviamente, il manufatto e non anche la destinazione urbanistica o di zona e deve essere effettuata considerando le destinazioni d’uso ammesse dallo strumento urbanistico per la zona interessata dall’intervento.
Orbene, nell’ordinanza impugnata i giudici del riesame affermano l’insussistenza della necessaria compatibilità o complementarietà.
In disparte il fatto che il riferimento al difetto di “omogeneità” tra le diverse destinazioni d’uso appare chiaramente irrilevante perché utilizzato evidentemente come sinonimo, ciò che assume rilievo determinante è l’affermazione del Tribunale secondo cui la zona (F2) ove insiste l’intervento, è destinata esclusivamente alla realizzazione di attrezzature e servizi.
Si tratta, chiaramente, di un accertamento in fatto che il Tribunale ha effettuato e che, dunque, esclude in ogni caso la possibilità di applicare, nella fattispecie, la disciplina eccezionale di cui alla legge 106/2011.
I primi due motivi di ricorso sono pertanto infondati.
10. A diverse conclusioni deve invece pervenirsi per ciò che concerne il terzo motivo di ricorso.
Osserva a tale proposito il Collegio che l’ordinanza impugnata testualmente afferma, con riferimento alla sussistenza del periculum in mora, che la libera disponibilità delle opere da parte dell'indagato può aggravare le conseguenze del reato consentendo “l'ultimazione ed abitazione” degli immobili con evidente notevole danno urbanistico individuabile nello stravolgimento della pianificazione urbanistica vigente.
Si tratta, in questo caso, di motivazione meramente apparente che giustifica la sussistenza delle esigenze cautelari facendo ricorso ad una frase di stile del tutto disancorata da dati oggettivamente apprezzabili e con un riferimento alla possibilità di completare gli immobili che con la misura cautelare si intende impedire la quale contrasta con quanto affermato in ricorso, ove si sostiene che gli immobili, all’atto dell’esecuzione del sequestro, erano completamente ultimati, richiamando il verbale redatto dalla polizia giudiziaria (allegato in copia al ricorso) ed il riferimento all’aggravio del carico urbanistico contenuto nel decreto di sequestro emesso dal GIP.
Va rilevato, a tale proposito, che, per ciò che concerne l’ultimazione degli immobili, l’ordinanza impugnata avrebbe dovuto quanto meno spiegare quale fosse lo stato del manufatto riscontrabile dagli atti, tenendo conto di quanto ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte circa la nozione di “completamento” (considerando anche che l’apprezzamento espresso dalla polizia giudiziaria nel verbale potrebbe fondarsi su elementi fattuali diversi e non determinanti).
Si è infatti stabilito che il reato urbanistico ha natura di reato permanente, la cui consumazione ha inizio con l’avvio dei lavori di costruzione e perdura fino alla cessazione dell’attività edificatoria abusiva (v. Sez. U, n. 17178 del 27/2/2002, Cavallaro, Rv. 221398).
Si è poi precisato (ex pl. Sez. 3, n. 38136 del 25/9/2001, Triassi, Rv. 220351) che la cessazione dell’attività si ha con l’ultimazione dei lavori per completamento dell’opera, con la sospensione dei lavori volontaria o imposta (ad esempio, mediante sequestro penale) o con la sentenza di primo grado, se i lavori continuano dopo l'accertamento del reato e sino alla data del giudizio (v. anche Sez. 3, n. 29974 del 6/5/2014, P.M. in proc. Sullo, Rv. 260498).
Si è inoltre chiarito che l’ultimazione dell’opera coincide con la conclusione dei lavori di rifinitura interni ed esterni, quali gli intonaci e gli infissi (Sez. 3, n. 32969 del 8/7/2005, Amadori, non massimata sul punto ed altre prec. conf., nella stessa richiamate. V. anche Sez. 3, n. 48002 del 17/09/2014, Surano, Rv. 261153).
Deve trattarsi, in altre parole, di un edificio concretamente funzionale, che possegga tutti i requisiti di agibilità o abitabilità, come si ricava dal disposto del primo comma dell’art. 25 del TU dell’edilizia, che fissa “entro quindici giorni dall’ultimazione dei lavori di finitura dell’intervento” il termine per la presentazione, allo sportello unico, della domanda di rilascio del certificato di agibilità. Le opere devono essere, inoltre, valutate nel loro complesso, non potendosi, in base al concetto unitario di costruzione, considerare separatamente i singoli componenti (Sez. 3, n. 4048 del 6/11/2002 (dep. 2003), Tucci, Rv. 223365; Sez. 3 n. 34876 del 23/6/2009, Anselmo, non massimata; Sez. 3, n. 5618 del 17/11/2011 (dep. 2012), Forte, Rv. 252125). Tali caratteristiche riguardano, inoltre, anche le parti che costituiscono annessi dell'abitazione (Sez. 3, n. 8172 del 27/1/2010, Vitali, Rv. 246221).
Anche in caso di ultimazione dell’immobile il riferimento all’aggravio del carico urbanistico, cui sembra far cenno la seconda parte della motivazione in precedenza richiamata, avrebbe dovuto essere comunque motivato, tenendo conto di quanto più volte affermato sul tema dalla giurisprudenza di questa Corte.
Occorre ricordare, a tale proposito, l’ampio dibattito da parte della giurisprudenza di legittimità ed il contrasto sorto sulla corretta interpretazione dell’articolo 321 cod. proc. pen., poi definitivamente risolto dalle Sezioni Unite (Sez. U, n. 12878 del 29/1/2003, P.M. in proc. Innocenti, Rv. 223721) le quali, con argomentazioni pienamente condivisibili, hanno affermato la validità dell’orientamento che riconosceva l’ammissibilità del sequestro delle opere ultimate.
In tale decisione viene operata una distinzione tra l'effetto lesivo del reato sul bene giuridico protetto, che permane nel tempo ma è comune a tutti i reati, anche istantanei e le conseguenze, necessariamente antigiuridiche ed ipotizzabili anche a consumazione del reato avvenuta, che potrebbero derivare dalla libera disponibilità del bene.
E’ così citata, a titolo di esempio, la violazione amministrativa sanzionata dall’art. 221 T.U. Leggi Sanitarie, conseguente all’utilizzazione di un immobile in assenza di certificazione di abitabilità o agibilità, ma si richiama l’attenzione anche sulla lesione dell'interesse alla vigilanza e controllo del territorio attraverso un adeguato governo pubblico degli usi e delle trasformazioni dello stesso e sull’aggravamento del carico urbanistico conseguente all’utilizzazione del manufatto abusivo.
Riguardo a tale ultimo punto si è ulteriormente chiarito che l'incidenza di un intervento edilizio sul carico urbanistico dev'essere considerata con riferimento all'aspetto strutturale e funzionale dell'opera, ed è rilevabile anche nel caso di una concreta alterazione dell'originaria consistenza sostanziale di un manufatto in relazione alla volumetria, alla destinazione o all'effettiva utilizzazione, tale da determinare un mutamento dell'insieme delle esigenze urbanistiche valutate in sede di pianificazione, con particolare riferimento agli standard fissati dal d.m. 2 aprile 1968, n. 1444 (Sez. 3, n. 36104 del 22/9/2011, P.M. in proc. Armelani, Rv. 251251, cui si rinvia anche per i richiami ai precedenti. Conforme, Sez. 3, n. 6599 del 24/11/2011 (dep. 2012), Susinno, Rv. 252016).
Il sequestro preventivo di un immobile abusivo ultimato è stato, inoltre, ritenuto possibile anche nel caso di utilizzo dell'opera in conformità alle destinazioni di zona, allorquando il manufatto presenti una consistenza volumetrica tale da determinare comunque un'incidenza negativa concretamente individuabile sul carico urbanistico, sotto il profilo dell'aumentata esigenza di infrastrutture e di opere collettive correlate (Sez. 3, n. 42717 del 10/9/2015, Buono e altro, Rv. 265195)
A corredo di tali principi si è ripetutamente affermato che il pericolo degli effetti pregiudizievoli del reato, anche relativamente al carico urbanistico, deve presentare il requisito della concretezza, in ordine alla sussistenza del quale deve essere fornita dal giudice adeguata motivazione (Sez. 3, n. 4745 del 12/12/2007 (dep.2008), Giuliano, Rv. 23878301; conf. Sez. 6, n. 21734 del 4/2/2008, P.M. in proc. Bianchi e altro, Rv. 240984; Sez. 2, n. 17170 del 23/4/2010, De Monaco, Rv. 246854; Sez. 3, n. 6599 del 24/11/2011 (dep.2012), Susinno, Rv. 252016; Sez. 3, n. 52051 del 20/10/2016, Giudici, Rv. 268812).
Si tratta, invero, di una precisazione affatto superflua, stante l’esigenza di dare contezza delle ragioni per le quali, in determinate situazioni - quali quelle, ad esempio, di utilizzo dell'opera in conformità alle destinazioni di zona, di mero aumento della volumetria di un fabbricato preesistente o mutamento della originaria destinazione d'uso di un edificio - si è in presenza di un aggravio del carico urbanistico, nei termini dianzi specificati, che giustifica l’applicazione della misura cautelare.
Nondimeno, una simile necessità risulta significativamente attenuata allorquando la misura cautelare riguarda la realizzazione di uno o più manufatti ex novo in area inedificata (ed in assenza, ovviamente, del necessario permesso di costruire) poiché in un simile contesto l’incidenza sul carico urbanistico può essere di immediata evidenza.
Meritano di essere richiamate testualmente, a tale proposito, le parole della sentenza Innocenti delle Sezioni Unite, secondo la quale la nozione di carico urbanistico “deriva dall'osservazione che ogni insediamento umano è costituito da un elemento c.d. primario (abitazioni, uffici, opifici, negozi) e da uno secondario di servizio (opere pubbliche in genere, uffici pubblici, parchi, strade, fognature, elettrificazione, servizio idrico, condutture di erogazione del gas) che deve essere proporzionato all'insediamento primario ossia al numero degli abitanti insediati ed alle caratteristiche dell'attività da costoro svolte. Quindi, il carico urbanistico è l'effetto che viene prodotto dall'insediamento primario come domanda di strutture ed opere collettive, in dipendenza del numero delle persone insediate su di un determinato territorio”.
11. La rilevata mera apparenza della motivazione del provvedimento impugnato sul punto, la quale, in quanto correlata all’inosservanza di precise norme processuali, rientra nella violazione di legge ed è rilevabile in questa sede, impone dunque l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata limitatamente alla valutazione sulla sussistenza del periculum in mora, rigettando, nel resto, il ricorso.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente alla sussistenza delle esigenze cautelari con rinvio al Tribunale di Napoli (sezione riesame) per nuovo esame.
Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in data 20/11/2019