Cass. Sez. III n. 41609 del 10 ottobre 2019 (CC 15 mag 2019)
Pres. Lapalorcia Est. Zunica Ric. Cudoni
Urbanistica.Momento consumativo del reato di lottizzazione abusiva “mista”

Il momento consumativo del reato di lottizzazione abusiva “mista” (consistente, come nel caso di specie, nella formazione di singoli lotti, nell’esecuzione di opere di urbanizzazione e nella vendita delle unità abitative), si individua, per tutti coloro che concorrono o cooperano nel reato, nel compimento dell’ultimo atto integrante la condotta illecita, che può consistere nella stipulazione di atti di trasferimento, nell’esecuzione di opere di urbanizzazione o nell’ultimazione dei manufatti che compongono l’insediamento, con la conseguenza che, trattandosi di reato progressivo cui si applica la disciplina del reato permanente, ai fini del calcolo del tempo necessario per la prescrizione, non è rilevante per il concorrente il momento in cui è stata tenuta la condotta di partecipazione, ma quello di consumazione del reato, che può intervenire anche a notevole distanza di tempo



RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 24 dicembre 2018, il Tribunale del Riesame di Sassari confermava il decreto del 24 ottobre 2018, con cui il G.I.P. presso il Tribunale di Tempio Pausania aveva disposto il sequestro preventivo di alcuni terreni, strade e fabbricati, ricadenti nei Comuni di Tempio Pausania e Santa Teresa di Gallura; tale sequestro era stato disposto con riferimento a una lottizzazione abusiva contestata a una pluralità di indagati, tra cui Gian Franco Cudoni, quale comodatario di una serie di terreni che aveva chiesto e ottenuto l’autorizzazione per la realizzazione di un corpo di fabbrica denominato “G” su un’area ricadente parzialmente nei Comuni di Tempio Pausania e di Santa Teresa di Gallura; l’indagato, tuttavia, dopo essere stato autorizzato con determinazione n. 19 del 15 gennaio 2013 del Comune di Tempio Pausania, concorreva alla trasformazione a scopo edificatorio di un’ampia porzione di terreno, classificata zona “E” come agricola, trasformazione avvenuta in più momenti mediante l’esecuzione di vari frazionamenti di terreni in lotti, con la realizzazione di un reticolo stradale e di fabbricati residenziali oggetto di successive vendite.
2. Avverso l’ordinanza del Tribunale sardo, Cudoni, tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando tre motivi.
Con il primo, la difesa lamenta la violazione degli art. 11, 30, 44 lett. C del d.P.R. n. 380 del 2001, 125 e 321 cod. proc. pen., evidenziando che il Tribunale aveva confermato il provvedimento di sequestro preventivo sulla base di una motivazione apparente che non aveva dato risposta alle deduzioni della difesa.
L’ordinanza impugnata, in particolare, nell’aderire erroneamente alla tesi accusatoria, aveva affermato in maniera apodittica che il contratto di comodato intercorso tra Giovanni Andrea Cudoni (padre) e Gian Franco Cudoni (figlio) realizzasse una simulazione volta a consentire al comodante la realizzazione di un’unità immobiliare a uso residenziale e quindi estranea a finalità agricole.
Né, secondo la prospettiva difensiva, era corretta l’affermazione del Tribunale secondo cui la richiesta del permesso di costruire effettuata dal comodatario fosse elusiva delle disposizioni in materia edilizia, essendo pacifico che il comodatario, al pari del conduttore del fondo e del titolare di un diritto limitato di godimento, sia legittimato a richiedere in proprio il rilascio del permesso di costruire, consentendo il testo unico dell’edilizia che non vi sia corrispondenza piena tra la titolarità del permesso e il diritto di proprietà dell’area di sedime.
Il Tribunale, inoltre, non aveva preso in considerazione talune circostanze decisive, tra cui quella che Cudoni fosse titolare della qualità di imprenditore agricolo professionale sin dal 25 marzo 2009 e che il terreno oggetto di sequestro era parte di un fondo più ampio, concesso in comodato da oltre 10 anni a Cudoni e destinato esclusivamente al pascolo di una notevole quantità di capi bovini, per cui l’intervento edilizio era qualificabile come realizzazione non di una abitazione residenziale, ma di una casa colonica servente all’attività agricola professionale svolta da Cudoni, titolare di un’azienda agricola operante in loco.
La difesa contesta inoltre l’attribuzione a Cudoni della costruzione di strade e di altri interventi, quali il posizionamento di un cancello, essendo emerso dagli atti che il ricorrente, per accedere al fondo, percorreva strade diverse e che il cancello era stato posizionato tra due lotti non riferibili a Cudoni.
In definitiva, nel caso di specie, non poteva parlarsi di lottizzazione abusiva, venendo in rilievo, ai sensi dell’art. 30, comma 10, del d.P.R. n. 380 del 2001, delle opere materiali o cartolari poste in essere in ambito familiare per la regolamentazione del godimento e della divisione del patrimonio familiare.
Con il secondo motivo, il ricorrente censura la violazione dell’art. 321 cod. proc. pen., con riferimento alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo.
Le argomentazioni utilizzate dal Tribunale del Riesame secondo cui Cudoni, nel corso degli anni, avrebbe visto svilupparsi una lottizzazione abusiva posta in essere dal padre e che avrebbe assunto condotte speculari a quelle del fratello Gabriele Cudoni, contrasterebbero sia con il principio della responsabilità penale personale, non potendo il figlio rispondere per le presunte colpe del padre, sia con gli elementi fattuali sintomatici della buona fede di Cudoni, ossia la sua qualifica di imprenditore agricolo professionale da un decennio, la presenza effettiva di capi bovini da allevamento sul fondo, la richiesta di concessione edilizia per una casa colonica servente l’attività agricola e l’estensione del terreno in linea con i parametri stabiliti dalla legge in materia.
Tali elementi sarebbero stati del tutto pretermessi nell’ordinanza impugnata, la cui motivazione doveva considerarsi pertanto mancante o comunque illogica.
Con il terzo motivo, infine, viene dedotta l’erronea applicazione degli art. 157, 158 cod. pen. e 44 lett. C del d.P.R. n. 380 del 2001, evidenziandosi che, se proprio doveva parlarsi di lottizzazione mista, ai fini del calcolo del dies a quo della prescrizione, il contratto di comodato era stato sottoscritto nel 2012.
In ogni caso, pur a voler ammettere che l’elemento materiale del reato fosse la realizzazione della casa colonica, i lavori in essa effettuati risultano fermi da oltre cinque anni, per cui pure in tale ipotesi il reato doveva ritenersi prescritto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è inammissibile.
1. Premesso che i tre motivi di ricorso possono essere trattati in modo unitario, censurando gli stessi, sotto profili distinti ma pienamente sovrapponibili, il giudizio sulla configurabilità della fattispecie contestata e la sua conseguente ascrivibilità all’odierno ricorrente, deve escludersi che il provvedimento impugnato, su tali aspetti, presenti vizi di legittimità rilevabili in questa sede.
Al riguardo occorre richiamare, in via preliminare, il costante orientamento di questa Corte (cfr. Sez.  2, n. 18951 del 14/03/2017, Rv. 269656), secondo cui il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio, ai sensi dell’art. 325 cod. proc. pen., è ammesso soltanto per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice. Non può invece essere dedotta l’illogicità manifesta della motivazione, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di cui alla lett. e) dell’art. 606 cod. proc. pen. (in tal senso v. Sez. Un., n. 5876 del 28/01/2004, Rv. 226710).
      2. Tanto premesso, deve ritenersi che nel caso di specie non è ravvisabile né una violazione di legge, né tantomeno una lacuna motivazionale tale da rivelare la sostanziale inconsistenza delle ragioni giuridiche della decisione impugnata.
E invero sia il G.I.P. che il Tribunale del Riesame hanno innanzitutto operato una adeguata esposizione della vicenda storica contestata, pervenendo a conclusioni aderenti alle risultanze investigative disponibili e tutt’altro che irragionevoli.
In particolare, sono state richiamate le informative dei Comandi di Polizia Locale di Tempio Pausania e di Santa Teresa di Gallura, da cui è emersa l’esistenza di una trasformazione urbanistica di un’ampia area agricola classificata come zona “E” agricola dal Programma di fabbricazione del Comune di Tempio Pausania e dal Piano Urbanistico Comunale del Comune di Santa Teresa di Gallura.
Tale trasformazione, a partire dal 2002, era stata realizzata mediante una serie di frazionamenti del fondo agricolo, con la costruzione di sette corpi di fabbrica e di opere di urbanizzazione primaria, tra cui un reticolato stradale tra le proprietà.
Tale piano veniva peraltro attuato mediante plurime richieste di permessi di costruire che, per quanto in sé ammissibili, se singolarmente considerate, tuttavia di fatto tendevano a consentire la trasformazione dell’intera area, con conseguente stravolgimento della vocazione agricola dei terreni in questione, il che veniva agevolato dalla circostanza che, interessando le zone oggetto delle costruzioni due distinti Comuni, era più difficile la percezione unitaria dell’impatto degli interventi da parte degli uffici tecnici competenti a gestire le varie pratiche.
Dai rilievi fotografici del resto è emersa chiaramente la suddivisione dei terreni in lotti, qualificandosi l’intera area come un borgo di ville con piscine, fatto sorgere in un tratto a forte vocazione turistica, come quello della Costa Smeralda, venendo peraltro i lotti gestiti sin dall’inizio perlopiù da società immobiliari, tra le cui finalità non rientravano certo quelle di sfruttamento agricolo dell’area.
Di qui la contestazione del reato di lottizzazione abusiva (capi A e B).
Così delineato il contesto generale della vicenda, i giudici cautelari si sono soffermati sulle singole posizioni dei soggetti coinvolti, tra cui appunto quella dell’odierno ricorrente Gian Franco Cudoni: al riguardo è stato evidenziato come questi, pur non essendo proprietario dell’immobile, ma comodatario dello stesso da parte del padre Giovanni Andrea Cudoni, aveva comunque contribuito alla realizzazione della lottizzazione abusiva, in quanto titolare della concessione edificatoria volta a suggellare la destinazione residenziale del bene, dovendosi evidenziare al riguardo che la veste di imprenditore agricolo del ricorrente non vale a contraddire la ricostruzione accusatoria, posto che la destinazione agricola dell’area in questione risulta smentita dai rilievi fotografici del lotto in questione, che hanno rivelato la chiara vocazione turistica del complesso immobiliare in esame, in sintonia con la destinazione assunta da tutti gli altri lotti limitrofi.
In tal senso, quindi, la conformità edilizia del singolo intervento è stata ritenuta non dirimente, stante la necessità di dover inquadrare le opere nel contesto generale delle trasformazioni inerenti l’area in questione, essendo stata messa in risalto in tal senso, in maniera non illogica, la circostanza che la lottizzazione de qua è partita dal frazionamento dei beni di proprietà del padre di Gian Franco Cudoni, per cui risulta difficile sostenere che l’indagato fosse completamente all’oscuro delle dinamiche connesse alla gestione dei terreni di cui si discute, tanto più che nel 2013 il Tar della Sardegna aveva disatteso la domanda cautelare presentata dal fratello del ricorrente, relativa a uno dei lotti in esame.
Al di là dei limiti di deducibilità del relativo vizio motivazionale, non può pertanto ritenersi irrazionale l’affermazione dell’ordinanza impugnata, secondo cui la stipula del comodato tra Gian Franco Cudoni e il padre ha costituito un espediente per realizzare una sorta di simulazione, che, assicurando comunque all’odierno ricorrente una signoria di fatto sul bene, ha consentito di costruire sul terreno un ulteriore immobile con destinazione abitativa, peraltro riferibile proprio al proprietario da cui era scaturita l’intera lottizzazione di cui si occupa.
Alla stregua delle risultanze investigative disponibili, deve ritenersi quindi immune da censure, almeno allo stato, la valutazione sull’astratta configurabilità della fattispecie ex art. 44 lett. C) del d.P.R. 380/2001 e sulla sua ascrivibilità al ricorrente, dovendosi solo precisare che, rispetto al tema della prescrizione, il Tribunale ha richiamato in modo pertinente l’affermazione costante di questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 48346 del 20/09/2017, Rv. 271330 e Sez. 3, n. 24985 del 20/05/2015, Rv. 264122), secondo cui il momento consumativo del reato di lottizzazione abusiva “mista” (consistente, come nel caso di specie, nella formazione di singoli lotti, nell’esecuzione di opere di urbanizzazione e nella vendita delle unità abitative), si individua, per tutti coloro che concorrono o cooperano nel reato, nel compimento dell’ultimo atto integrante la condotta illecita, che può consistere nella stipulazione di atti di trasferimento, nell’esecuzione di opere di urbanizzazione o nell’ultimazione dei manufatti che compongono l’insediamento, con la conseguenza che, trattandosi di reato progressivo cui si applica la disciplina del reato permanente, ai fini del calcolo del tempo necessario per la prescrizione, non è rilevante per il concorrente il momento in cui è stata tenuta la condotta di partecipazione, ma quello di consumazione del reato, che può intervenire anche a notevole distanza di tempo.
3. In definitiva, fermo restando che le obiezioni sollevate dalla difesa ben potranno essere eventualmente sviluppate e approfondite, soprattutto a livello probatorio, nelle successive evoluzioni del procedimento penale in corso, deve ribadirsi che il provvedimento impugnato risulta sorretto da un apparato argomentativo non apparente, ma razionale e coerente, concernendo le censure difensive aspetti che ruotano nell’orbita non tanto della violazione di legge, ma piuttosto della manifesta illogicità o della erroneità della motivazione.
Tale profilo, come si è già anticipato, non è tuttavia deducibile con il ricorso per cassazione contro le ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio, per cui il ricorso proposto nell’interesse di Cudoni deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
Tenuto conto infine della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 2.000 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 15/05/2019