SPENDING REVIEW TRA SOCIETA’ IN HOUSE E COMUNI: UNA NUOVA GEOGRAFIA?

di Alberto PIEROBON

 

(pubblicato in Gazzetta enti locali on line, Maggioli, 01 ottobre 2012)



Com’è noto, l’arcipelago normativo sui servizi pubblici si è ulteriormente frangiato sotto la spinta tellurica della riduzione e/o del contenimento dei costi del sistema pubblico e della parallela, inesorabile, ricerca erariale di entrate e/o del potenziamento di quelle esistenti.

Così disposizioni di natura e di tenore per così dire - usando un termine oramai in voga - “finanziario” (in realtà, come sappiamo, la finanza è una melassa che si insinua e attraversa tutte le materie: del personale, degli appalti, dei contratti, delle società, dell’organizzazione, etc. etc.) si aggrovigliano con quelle preesistenti, affastellandosi ed embricandosi, tra disposizioni varie, diverse, financo speciali, col dubbio – in questo puzzle dove i pezzi non tornano - di capire a quale amministrazione debbano applicarsi, e così via…..

Sarebbe stato utile, come è stato recentemente giustamente affermato1, un <testo unico> che riportasse ordine e chiarezza, riducendo la complessificazione, ovvero semplificando (ricorrendo, ove possibile, alla reductio ad unitatem), riconciliando le eterogenee disposizioni alla luce dei principi e delle esigenze che comunque vanno preliminarmente valutate, discusse, adottate ed esternate in uno spirito e luogo democratico, prima ancora che quale ossequio giuridico.

E’ stato altresì ricordato dall’amico TESSARO, richiamando la sentenza della Corte Costituzionale n. 182 del 2012, che la limitazione della autonomia finanziaria e di spesa degli enti locali può ben venire imposta dal legislatore statale <per ragioni di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari, vincoli alle politiche di bilancio> etc. semprecchè in questa limitazione il medesimo legislatore nazionale, stabilisca i limiti complessivi entro i quali per gli enti “autonomi” si abbia una <ampia libertà di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa> (sentenza C.Cost. n.182/2011; n.298/2009; n.289/2008; n.167/2007)2.

E cosa accade quando l’allocazione e le scelte in parola avvengono nel “consolidato” complessivo del gruppo “comunale”; ovvero tra il comune e le sue società partecipate? Insomma di che (e di quale) libertà godrebbero la società e il Comune in parte qua?

Qui, come vedremo, società anche virtuose possono rimanere vittima dei peccati (o delle marachelle..) dei Comuni loro soci. Ma non solo, oltre la scorza della forma e della politica sui servizi pubblici locali, si intravvede, paradossalmente, una sorta di “bancabilità” degli stessi che porterà molti gestori pubblici fuori dal pubblico, nonostante gli esiti referendari sull’acqua e la loro propagazione, grazie alla sentenza della Corte Costituzionale n.199/2012, anche ai servizi pubblici locali di rilevanza economica….

In via generalissima, l’esigenza rimane (ultimamente continuamente ripresa dal legislatore statale, cfr. sul personale quanto “inaugurato” dall’art. 18 del D.l. n.112/2008)3ed è (anzi, vieppiù diventa) quella di rafforzare le misure “restrittive” nei confronti delle aziende in house e con fatturato da prestazione di servizi a favore di pubbliche amministrazioni superiore al 90% dell’intero fatturato 2011 …..4

Ricordiamo che, in estrema sintesi (vedasi oltre per le specificità) gli enti locali e le loro aziende partecipate, dopo queste manovre (note come spending review 1 e spending review 2) subiscono, quantomeno, le seguenti “limitazioni”:

  • divieto di incrementare le spese per il personale;

  • possibilità di assumere persone a tempo determinato o di affidare incarichi di collaborazione nel limite del 50% dei costi riferiti all’esercizio 2009;

  • adozione di procedure di pubblicità, trasparenti e imparziali per gli incarichi e le assunzioni;

  • divieto di assumere personale laddove la spesa del personale nel suo rapporto con le spese correnti superi il 50% (con necessità di certificazione da parte del Comune, etc.);

  • il rispetto del patto di stabilità;

  • il divieto di assumere personale (anche per le società partecipate) laddove il Comune superi (nel 2011) il patto di stabilità.

Ma le aziende in house non vogliono mettersi questa camicia di forza tagliata sulle misure dei conti e dei comportamenti dei loro comuni, tanto emerge anche dalle circolari che la loro associazione di categoria, la Federutility ha recentemente emanato (mese di settembre) sui provvedimenti di spending review 1 + 2. E, di primo acchito, questo pare comprensibile considerando le diverse esigenze e dinamiche tra un comune e un gestore di servizi pubblici….

Giova peraltro rammentare come già con riferimento alla disciplina precedente alla spending review le Sezioni di Controllo della Corte dei Conti abbiano avuto modo di soffermarsi su questioni interessanti (soprattutto sulle assunzioni di personale nelle partecipate comunali e la loro stabilizzazione, anche surrettiziamente, etc.5), citasi ex multis: delibera Sez. Contr. Corte dei Conti Emilia Romagna del 26 gennaio 2010, n.17/20’10/PAR; delibera Sez. Contr. Corte dei Conti Sardegna del 5 maggio 2010,n.24/2010/PAR; delibera Sez. Contr. Corte dei Conti Campania del 8 febbraio 2011 n.98/2011; delibera Sez. Contr. Corte dei Conti Lombardia del 10 gennaio 2012, n. 7/2012/PAR. In particolare, la cit. delibera Sez. Contr. Corte dei Conti Campania n.98/2011 osservava (prima della spending review) come rilevi <in via generale l’intensità della ricaduta sul bilancio dell’ente locale delle spese iscritte nel bilancio di società partecipate totalmente o pro quota dall’ente stesso, che, nella fattispecie (nella quale, secondo la descrizione fornita dal Sindaco interpellante, non si versa nell’ipotesi di società che gestisce servizi pubblici locali), trova –fra gli altri- un riferimento di carattere programmatico nell’art. 18, comma 2, del decreto legge 25 giugno 2008 n° 112, convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2008 n° 133, per il quale le società a partecipazione pubblica totale o di controllo diverse da quelle che gestiscono servizi pubblici locali a totale partecipazione pubblica “adottano, con propri provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi, anche di derivazione comunitaria, di trasparenza, pubblicità e imparzialità”>.

 

Insomma, le predette società stante le loro ricadute nel bilancio consolidato (ovvero del bilancio della cittadinanza e utenza insediata nel comune) devono seguire la scia (con i suoi limiti, se non, addirittura in taluni casi, come pare avvenire, con un vero e proprio cambio di rotta) cui obbligatoriamente soggiace/soggiacerà il Comune socio in tema di “finanza”, ossia di personale, incarichi, assunzioni, emolumenti, etc. etc.

 

In buona sintesi, con riserva di un nostro futuro approfondimento, sembra emergere che:

  • l’art.4 del d.l. n.95/2012, convertito in Legge 135/2012, riguarda (pur con taluni distinguo) sicuramente anche le società partecipate ove ricorrano le due (previste al comma 1), condizioni: 1) di società strumentali, ovvero di società controllate direttamente o indirettamente dalla pubblica amministrazione (si veda il c.d. controllo “analogo”); 2) un fatturato da prestazione di servizi a favore di pubbliche amministrazioni superiore al 90% dell’intero fatturato 2011). Rimangono invece escluse le “altre” società pubbliche (quotate e loro controllate: cfr. comma 13; etc.);

  • il comma 9, del cit. articolo 4, stabilisce che fino al 31 dicembre 2015 alle società di cui al comma 1 (e quindi anche quelle di cui trattasi) si applichino le disposizioni limitative delle assunzioni previste per l’amministrazione controllante, il che suggerisce di formalmente acquisire dal Comune socio se e quali siano questi limiti (anche agli effetti del comma 12 dell’art.4 sul quale vedasi oltre);

  • il comma 10 dell’art.4 prevede che dal 2013 si possa ricorrere alle prestazioni di personale a tempo determinato, ovvero con contratti di collaborazione coordinata e continuativa, ma entro il 50% della spesa sostenuta a tal titolo nell’esercizio 2009: donde la necessità per la società in house con fatturato di cui sopra, di determinare e di assumere questo limite budgettario;

  • il comma 11 dell’ancora cit. art.4 stabilisce che - però dal 2013 a tutto il 2014 - il trattamento economico complessivo dei singoli dipendenti (compreso quello accessorio) non può superare quello ordinariamente spettante per l’anno 2011. Se questa disposizione sembra cozzare con la questione dei diritti contrattualmente “maturati” dai dipendenti, risolvendosi (come da orientamento Federutility) per la non applicazione ai rapporti contrattuali in essere, la Corte dei Conti sembra però interpretarla come norma imperativa (cfr., se e per quanto occorra, il successivo comma riferito ai contratti stipulati)6;

  • il comma 12 del medesimo art. 4 avverte che <Le amministrazioni vigilanti verificano sul rispetto dei vincoli di cui ai commi precedenti; in caso di violazione dei suddetti vincoli gli amministratori esecutivi e i dirigenti responsabili della società rispondono, a titolo di danno erariale, per le retribuzioni ed i compensi erogati in virtù dei contratti stipulati>.

E’ importante ricordare che il Comune, in veste di ente proprietario, possa imporre alle proprie società partecipate in house di attenersi al proprio indirizzo, poiché rientra nella piena prerogativa del socio di controllo, vieppiù nell’ipotesi di socio unico ed in presenza del requisito del c.d. “controllo analogo” richiesto nel caso di rapporto in house, la determinazione di tetti di spesa e di limiti operativi alla società partecipata e, più in generale, la possibilità di dettare linee di indirizzo agli Organi di amministrazione, ovvero il Comune può addirittura <impartire indicazioni ulteriori a quelle stabilite dalla legge, nella loro qualità di proprietari> (così, la circolare n.169/2012/L/Federutility del 6 febbraio 2012).

Vero è che il tutto deve essere ponderato alla luce delle ricadute organizzazione, sui livelli quali-quantitativi dei servizi erogati; sull’incidenza agli utenti in un servizio che può essere fondamentale (per esempio, quello dell’acqua); sui diritti quesiti; e così via.

In questo (accidentato e incerto) scenario la società potrebbe opportunamente:

  1. chiedere, formalmente, al Comune di determinarsi al riguardo in modo chiaro e preciso, non senza segnalare al Comune anche gli eventuali, conseguenti, aspetti “critici” (ricaduta nei servizi, nell’organizzazione, etc.), al contempo chiedendo al Comune tutti i limiti relativi al personale (sulla base del d.l. n.95/2012,ma anche dell’eventuale normativa precedente) applicabili specificatamente alla società richiedente;

  2. determinare in modo concreto e pratico gli effetti nella propria azienda di una siffatta interpretazione restrittiva (che, si ripete, pare essere quella assunta dalla Corte dei Conti e da altri organi di controllo);

  3. nel frattempo (sembra ovvio ripeterlo), occorrerà adottare una azione prudenziale e di contenimento (rectius, di riduzione) dei costi (sia per l’azienda in house che per le eventuali sue partecipate),responsabilizzando i dirigenti tutti, evitando, per quanto possibile, di rinviare (cioè di spostare) all’esercizio successivo l’assunzione di costi da assumersi nel corrente esercizio per necessità di servizio o altro.

Rimangono, poi, da approfondire altre questioni che forse, almeno in parte, possono essere opinate sotto certi profili applicativi, citasi quelle relative a:

  • appalti e incarichi (vedasi anche oltre);

  • autovetture (concetto di “auto blu”, spese, manutenzione, attribuzione, utilizzo, etc.);

  • aumenti di capitale, trasferimenti, etc. da autorizzarsi (art.6, comma 19 d.l. 78/2010);

  • composizione e tetto massimo compensi o spese del CDA;

  • limiti sul personale ed emolumenti (dai quali limiti sono esclusi le società quotate e rimane il dubbio circa l’applicazione con travolgimento dei contratti stipulati,atti emanati e così via7) anche riguardando la media riferita al livello nazionale del personale in servizio che nello scostamento superiore al 20% comporta per il Comune il divieto di assunzioni (e sopra il 40%, per il personale “eccedente”, procedure di mobilità)8.

  • modalità di assunzione del personale (soprattutto delle partecipate) e di conferimento degli incarichi, quantomeno nel rispetto dei principi di trasparenza, pubblicità, imparzialità: occorre verificare e, ove necessario, rivedere (anche alla luce delle norme attuative della spending review e/o dello ius superveniens) la regolamentazione nell’azienda in house;

  • limiti del patto di stabilità interno del Comune e sua osservanza da parte delle società partecipate9;

  • rapporti tra Comune e società partecipate (vedi l’art.6, comma 4, del d.l. n. 95/2012 ove gli enti locali hanno l’obbligo di allegare al loro rendiconto, già dal 2012, una “Nota informativa” riepilogante i reciproci crediti e debiti).



Non va poi tralasciato l’obbligo da parte delle società in parola della pubblicazione sul sito Internet delle loro transazioni commerciali (ed altro) entro il termine del 31 dicembre 2012 (ex art.18 del d.l. n.83 del 22 giugno 2012, convertito in Legge n.134 del 7 agosto 2012).

Al di là dei giusti e condivisibilissimi aspetti riguardanti trasparenza e imparzialità, ci si pone la domanda del dove stiano andando queste società pubbliche, di fatto attratte (nella mannaia erariale) entro un diritto sempre più “pubblico” e sempre meno “privato” (se poi queste ottuse distinzioni abbiano un senso10: noi riteniamo di no, quantomeno da un punto di vista conoscitivo e culturale, diversa è invece la ideologia sottostante), cioè questo sistema sembra depotenziate gli strumenti privatistici delle aziende in house del comune, sempre più procedimentalizzate nell’ottica amministrativa…

Quale sarebbe allora la differenza tra una Spa in house e una azienda speciale, posto che entrambe sono soggetti imprenditoriali ed entrambe godono di un certo regime fiscale e nulla cambia sotto il profilo del personale, degli incarichi, degli appalti, etc.?

In prima battuta: la Spa può fallire, l’azienda speciale no.

Entrambe rientrano, nell’accennata logica della nuova finanza consolidata comunale, in un unico sistema che si muove all’unisono, non più con diverse velocità e con diverse dinamiche, anzi la rotta viene stabilita dal comune condizionando anche le risorse utilizzabili, non senza far pagare (persino alle società che viaggiano con i conti in regola) colpe “storiche” di gestioni (anche non proprie) poco virtuose o che…..

Insomma, cosa significa tutto questo?

Che, al di là di quanto enfaticamente (e a livello giuridico) si afferma sulla pubblicizzazione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, laddove esistano aziende in house, questi servizi per loro intrinseca necessità (si pensi all’acqua dove gli investimenti e i costi manutentivi sono rilevanti) dovranno ridimensionarsi (con ricaduta sulla qualità e quantità dei servizi), oppure efficientarsi (laddove il problema sia quello di una “cattiva” gestione o, quantomeno, di una gestione “migliorabile”), oppure ancora (e questo sembra essere, concretamente, l’esito più probabile) trasformarsi con nuove forme, aprendosi al privato che dispone di risorse finanziarie o altro. Ciò potrà avvenire direttamente, con le società miste o (a noi sembra questa la via di fuga) con altre inedite formule, oppure ricorrendo sempre più all’esternalizzazione di fette di servizi, pur mantenendo la forma di soggetto pubblico totalitario committente di appalti connessi ai servizi comunali.

Gli strumenti ed i meccanismi contrattuali e di esternalizzazione stanno, com’è noto agli operatori, metamoforsandosi, nuove alchimie societarie e/o di “rete” sono all’orizzonte, ma oltre agli strumenti stanno cambiando anche i soggetti11.

Ci attende, quindi, un nuovo mondo che richiede nuove conoscenze e approcci12.





1 A.MASSARI,La lunga estate della “spending review” e l’autunno delle incertezze, Appalti&Contratti, n.8/2012, pag.2.

2 T. TESSARO, Parola d’ordine: controllo della spesa, anzi spending review. Ma…, Comuni d’Italia, n. 3/2012, pag. 4.

3 Decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 recante “Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione Tributaria" - Capo VI - Liberalizzazioni e deregolazione - art. 18. Reclutamento del personale delle società pubbliche. 1. A decorrere dal sessantesimo giorno successivo all'entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge, le società che gestiscono servizi pubblici locali a totale partecipazione pubblica adottano, con propri provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi di cui al comma 3 dell'articolo 35 del decreto legislativo n. 165 del 2001. 2. Le altre società a partecipazione pubblica totale o di controllo adottano, con propri provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi, anche di derivazione comunitaria, di trasparenza, pubblicità e imparzialità. 3. Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano alle società quotate su mercati regolamentati.

4 Paradossalmente le aziende che non rientrano nel suddetto limite del 90% sembrano porsi “fuori” da queste limitazioni, ovvero ricadere in una previsione normativa ad esse più favorevole.

5 Sempre leggendo il parere della Sez. Contr. Corte dei Conti Campania, delibera del 8 febbraio 2011 n.98/2011 si indica ex plurimis, la Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per la Lombardia, 8 maggio 2009, n° 193/2009/PAR, ove <lo strumento dell’affidamento di servizi ad enti partecipati non può comunque venire utilizzato per eludere le normative pubblicistiche in tema di finanza pubblica o attività contrattuale che disciplinano l’attività della pubblica amministrazione; in particolare, la disciplina vincolistica in materia di personale deve essere intesa come riferibile non soltanto all’ente stesso, ma anche a tutte le forme di cooperazione interlocale oltre che di esternalizzazione in senso stretto> ibidem, cfr. anche Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per la Campania, 25 febbraio 2010, n° 8/2010.

 

6 I Comuni sembrano orientati per la applicazione anche nei confronti del personale delle partecipate, pur consapevoli che vi saranno contenziosi con probabile esito vittorioso da parte degli interessati. Ma i dirigenti comunali intendono applicare la norma intendendola, appunto, come imperativa, rimettendo la qualificazione (e la soluzione di eventuali liti) alla competente sede giudiziale. Anche in questo caso una precisazione legislativa avrebbe evitato conflitti tra Comuni e loro partecipate, tra dirigenti comunali e dirigenti delle partecipate, oltre spese, tempi, energie per i controlli e per seguire i contenziosi.

7 Sembra che gli enti locali e le Sezioni della Corte dei Conti abbiano un orientamento ben diverso da quello manifestato dalla Federutility (cfr. art. 2, commi 20-quater e 20-quinquies), nel senso che il tetto massimo ai compensi si applicherebbe anche ai trattamenti in essere. Infatti molti Comuni stanno chiedendo notizie, per poi acquisire le dovute certificazioni, dalle loro società ove richiedono, tra altro, i limiti dei compensi de quibus che sono immediatamente applicabili agli enti locali cosiccome, a loro dire, (nell’interpretazione degli enti locali e della Corte dei Conti) anche alle società partecipate. In tal senso, finchè non viene chiarita la fattispecie di cui trattasi occorre assumere un atteggiamento prudenziale adottando quest’ultima, più restrittiva, interpretazione.

8 L’art.18, comma 2-bis del d.l. 112/2008 stabiliva che per le società a partecipazione pubblica locale o di controllo che siano titolari di affidamenti diretti di servizi pubblici locali senza gara, pone divieti o limitazioni alle assunzioni di personale con l’obbligo di adeguare le proprie politiche alle disposizioni vigenti per le amministrazioni controllanti in materia di contenimento degli oneri contrattuali e delle altre voci di natura retributiva o indennitaria e per consulenze, ancora una volta escludendo le società quotate su mercati regolamentari.

9 Il Prof. Avv. Alberto Lucarelli in un suo recente scritto “La sentenza della Corte Costituzionale n.199/2012 e la questione dell’inapplicabilità del patto di stabilità interno alle S.p.A. in house e alle aziende speciali” leggibile in www.federalismi.it (26 settembre 2012) propende, secondo una lettura comunitaria e costituzionale, per l’inapplicabilità del patto di stabilità in quanto tematica rientrante nella materia del coordinamento della finanza pubblica, di competenza legislativa concorrente e pure, con una interpretazione sistematico-evolutiva, considerando <che parte dell’art.4, dichiarato illegittimo, è stata reiterata dall’art. 25, d.l. n. 1/2012>.

10 Poichè <il diritto si manifesta sezionato in branche la cui autonomia è gelosamente difesa dai rispettivi cultori (..); si presenta come una necessità uscire dall’isolamento e stabilire un collegamento interdisciplinare non già, però, al livello delle teorie generali (..), bensì sul piano dei singoli istituti concreti sì da poter individuare la poliedricità di ciascun istituto in tutti gli aspetti e in tutte le implicazioni (…). Dall’eccessivo frazionamento del diritto spesso deriva la difficoltà di comprendere il sistema normativo e di conservarne la sostanziale unità (..) l’unitarietà dell’ordinamento e la fragilità delle divisioni del diritto che seppure hanno una giustificazione didattica non possono né devono tradursi sul terreno della ricerca e degli studi. La frammentarietà della legislazione, il suo incessante e disordinato prodursi rendono più difficile, ma ancor più necessaria, la realizzazione della funzione del giurista intento a cogliere ogni sfumatura che sia idonea ad essere utilizzata sul piano dell’interpretazione, in una visione rispettosa dell’unità e della molteplicità> così P.PERLINGIERI, Tendenze e metodi della civilistica italiana, Napoli,1979, pagg. 31-33

11 Sia nel rapporto con l’oggetto delle loro attività (che si richiama alle funzioni e ai servizi,nel doppio livello di reciproco condizionamento), sia nella rivisitazione dei diritti fondamentali e dei cittadini, che hanno una grande ricaduta nei servizi pubblici locali e nel diritto (inteso come jus, non come mera codificazione). Nel ri-fondamento costituzionale (se non universale) dei diritti cambia, quindi, non solo l’oggetto,ma pure il soggetto e il rapporto tra essi e tra i diversi soggetti……

Così, il diritto [se ancora non può considerarsi “finito”: cfr. il bel testo (a cura di P.ROSSI) AA.VV., Fine del diritto?, Bologna,2009] deve assumere diversi compiti, il diritto amministrativo deve in particolare <individuare strumenti ulteriori rispetto alla legge per realizzare l’interesse generale> così L.ORTEGA, L’evoluzione delle basi costituzionali del diritto amministrativo, in AA.VV.(a cura di M.D’ALBERTI), Le nuove mete del diritto amministrativo, Bologna, 2010, pag.182.

12Rimaniamo fortemente pessimisti su quanto si staglia nell’orizzonte nazionale, ma pure in quello europeo e statunitense. Frequentando altri continenti (soprattutto i Paesi emergenti) e osservandone il fermento (non solo sociale), abbiamo la sensazione di una sorta di inabissamento del modello (e dei Paesi che finora lo hanno sbandierato) al quale ci siamo finora ispirati anche nel nostro “governare” o “statalizzare”. Tanto sta “affondando” salvo che non si cambi rapidamente (gli USA in primis) “registro”.

Ma non vi sono, all’attuale, fondati motivi (né risorse, né prospettive) perché ciò avvenga.

C’è, molto realisticamente, da aspettarsi un peggioramento della situazione economica-finanziaria europea e di quella statunitense, con un riposizionamento di altri Paesi (non solo Cina, India e Brasile) e quindi con indubbie (anzi inevitabili) ricadute anche nel nostro (piaccia o non piaccia, ormai al tramonto) sistema e modello.

Ecco che i servizi pubblici locali, sempre più ombelicali al sistema finanziario e bancario, quantomeno per gli investimenti (considerato che l’utenza familiare e imprenditoriale è ormai esangue dal punto di vista reddituale), dovranno “inventarsi” una qualche “nuova” soluzione, oppure diventare preda (se non vittima) di altrui appetiti, financo esteri….