Il seme della discordia inizia a dare i suoi frutti
(Commento a Cons. Stato, Sez. VII, n. 2269/2025, pubblicata il 19 marzo 2025)
di Massimo GRISANTI
Il 19 marzo 2025 è stata resa nota la sentenza n. 2269 della settima sezione del Consiglio di Stato (Pres. Chieppa, Rel. Zeuli) la quale è meritevole di critica negativa per due circostanze:
• la prima, perché i giudici, senza motivare circa l’aderenza della propria decisione rispetto all’obbligo di assicurare i valori costituzionali dell’eguaglianza, della giustizia, del buon andamento dell’azione amministrativa e della tutela del paesaggio, anziché far pronunciare l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, preferiscono continuare a corroborare opposti filoni giurisprudenziali riguardo alla nozione di superficie utile quale parametro costitutivo dell’ambito applicativo del divieto di sanatoria paesaggistica ex artt. 146 e 167 d.lgs. 42/2004.
• la seconda, perché gettato il seme della discordia, da parte del Governo e per esso il Ministro delle infrastrutture on. Matteo Salvini, attraverso una disposizione che prevede il temperamento del divieto di sanatoria paesaggistica e contenuta solo nel nuovo art. 36-bis d.P.R. 380/2001, era solo una questione di tempo che qualche giudice l’applicasse senza argomentare, anche nel caso di specie, come possa una norma edilizia, in assenza dell’espressa modifica del Codice del paesaggio, avere incidenza su di una diversa materia costituzionale e di questa per un ambito applicativo eccezionale quale è il ristretto perimetro della sanabilità degli abusi paesaggistici.
In quel di Venezia è accaduto che al fine di evitare la rimozione di una passerella di metri 11 x 0,85 installata per consentire lo sbarco di passeggeri dalle imbarcazioni, ossia un manufatto che si faceva prima a toglierlo e poi rimetterlo una volta autorizzato, i Giudici hanno preferito continuare a corroborare quell’infausto, invero assai minoritario filone giurisprudenziale, che vede nella necessità di estensione anche alla materia della tutela del paesaggio la nozione di «superficie utile» data dall’Intesa Stato-Regioni del 20 ottobre 2016 per la materia edilizia. E ciò perché i giudici che vi aderiscono ritengono che sia l’unico modo per assicurare “… i principi di coerenza, unitarietà e sistematicità dell’ordinamento giuridico”, altrimenti risolvendosi, la negazione dell’estensibilità, “… in un’ingiustificata disparità di trattamento in danno di coloro che chiedono la sanatoria di opere abusive in zona vincolata, rispetto a coloro che esercitano la medesima facoltà in zone libere”. Nel virgolettato le parole dei Giudici del Collegio.
Un’argomentazione, quest’ultima, che giuridicamente assolutamente non ha alcun fondamento perché è rinvenibile direttamente nei principi costituzionali il dovere di trattare in modo differenziato situazioni che affatto sono eguali o simili (ossia abusi edilizi commessi in zona vincolata o meno). A parere di chi scrive siamo dinanzi ad un manifesto caso di creazione di diritto per via pretoria, perciò ingiustificabile ai sensi degli articoli 3, 24 e 101 della Costituzione.
E la prova che la sentenza sia intimamente contraddittoria sotto il profilo logico argomentativo è che quella necessità di assicurare “… i principi di coerenza, unitarietà e sistematicità dell’ordinamento giuridico” viene meno quando si vuol giustificare l’attenuazione del rigore del divieto di sanabilità paesaggistica prendendo ad esempio le nuove disposizioni dell’art. 36-bis d.P.R. 380/2001, le quali, a dire del Collegio giudicante, senza che sia stata apportata espressa modificazione alcuna alle disposizioni del Codice dei beni culturali e del paesaggio (condizione richiesta dall’art. 183, co. 6, d.lgs. 42/2004 affinché le disposizioni ivi contenute possano dismettere la loro vigenza) hanno “… fatto venir meno il divieto assoluto di accertamento postumo della compatibilità paesaggistica, imponendo all’autorità preposta alla tutela del vincolo, anche in caso di creazione abusiva di superfici utili, di esprimere il proprio parere vincolante”.
Quale coerenza, unitarietà e sistematicità dell’ordinamento giuridico è assicurata da una siffatta sentenza che cozza frontalmente con il divieto espresso di modificazione dei principi del Codice mediante disposizioni emanate in altre materie?
Oppure si vuol temerariamente sostenere che gli artt. 146 e 167 d.lgs. 42/2004 non affermino il principio di insanabilità delle opere rilevanti sotto il profilo paesaggistico che si risolvono in creazione di superfici e volumi?
Ecco, quindi, che alla luce di questa sentenza il Ministro delle infrastrutture può affermare di aver compiuto la sua missione, ovverosia fare ammuina e creare le condizioni affinché venisse ad esistenza un nuovo filone giurisprudenziale quale pezza d’appoggio a cui aggrapparsi, come i naufraghi nel mare della tutela del paesaggio, per evitare la demolizione di opere irrispettose del principio di legalità e di valori costituzionali.
Il seme della discordia è stato accudito nel grembo del Consiglio di Stato ed ha iniziato a fare frutti.
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Pubblicato il 19/03/2025
N. 02269/2025REG.PROV.COLL.
N. 06641/2024 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Settima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6641 del 2024, proposto da Alilaguna S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Andrea Pavanini, Roberta Colaiocco, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Veningest S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Stefano Sacchetto, Andrea Zuccolo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti
Comune di Venezia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Raffaella Di Graci, Stefano Gattamelata, Antonio Iannotta, Nicoletta Ongaro, Federico Trento, con domicilio eletto presso lo studio Stefano Gattamelata in Roma, via di Monte Fiore n.22;
Ministero della Cultura, Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Seconda) n. 1486/2024
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Veningest S.r.l. e di Comune di Venezia e di Ministero della Cultura e di Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 febbraio 2025 il Cons. Sergio Zeuli e uditi per le parti gli avvocati Roberta Colaiocco, Andrea Zuccolo, Renzo Cuonzo per delega orale dell'appellato Comune di Venezia;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. La sentenza impugnata ha accolto il ricorso e i motivi aggiunti proposti dalla parte appellata Veningest S.r.l. annullando l’accertamento di compatibilità paesaggistica del 20 maggio del 2021 p.g. 240432, rilasciato dal Comune di Venezia in favore di Alilaguna S.p.A. .
A supporto del gravame la parte appellante, concessionaria del servizio per il trasporto pubblico locale per la linea di navigazione lagunare di collegamento di Venezia con l’aeroporto Marco Polo di Venezia e le isole del Lido e di Murano, ai sensi dell’art.4 della L. Regione Veneto n.25 del 30 ottobre del 1998, espone le seguenti circostanze di fatto:
- per consentire l’ormeggio dei natanti impiegati per lo svolgimento del servizio di trasporto pubblico locale - che svolge anche su altre rotte ed anche in modo atipico - per la linea di navigazione lagunare è titolare di concessione prot. n.8471/19 per l’occupazione di spazio acqueo, in Canale dei Lavraneri, Giudecca, lato Sacca Fisola, attualmente della dimensione di metri 19,00 x 7,35 per un totale di mq. 139,65, comprendente il manufatto cui si riferiscono i provvedimenti impugnati;
- l’attuale spazio acqueo in concessione è stato fortemente ridimensionato a circa un terzo rispetto a quello di cui la società disponeva in precedenza, atteso che, in origine, giusta provvedimento prot. n.2833/14 rilasciato dal Magistrato alle Acque era pari a mq. 319,20;
- detto ridimensionamento è la conseguenza dell’acquisizione, da parte di Veningest S.r.L. del compendio immobiliare, già di proprietà ENEL, con affaccio sulla riva del canale dei Lavraneri e conseguente richiesta della nuova proprietà di sgombero dello spazio antistante la riva;
- la richiesta di sgombero ha portato alla rimozione dei manufatti che interessavano la proprietà di Veningest ed alla regolarizzazione della passerella insistente sullo spazio acqueo frontistante per ormeggio e sbarco sulla riva pubblica;
- infatti Veningest ha a sua volta ottenuto in concessione l’area per la parte fronteggiante la proprietà ex ENEL; ora acquisita;
- quanto alle strutture a servizio dell’ormeggio dei natanti destinati al trasporto pubblico, quella insistente nel perimetro dello spazio acqueo dato in concessione, alla quale si riferiscono i provvedimenti contestati, consta di una pedana fissa in legno su pali, lunga metri 11x0,85 cm. di larghezza, non appoggiata al muro di sponda della riva pubblica del rio, realizzata secondo forme tradizionali, e lavorata secondo tecnologie impiegate nella tradizione, in modo conforme agli approdi adibiti a tale scopo;
- per sanare detta passerella, insistente nel perimetro dello spazio acqueo di cui al provvedimento concessorio rilasciato nel 2019, e perciò estranea alla riva antistante Veningest, nonché di dimensione meno impattante della precedente oggetto di demolizione, Alilaguna presentava istanza di accertamento di compatibilità paesaggistica, ai sensi degli artt.167 e 181 quater del d. lgs. n.42 del 2004;
- in replica ad un preavviso di diniego del 27 gennaio del 2021, la parte appellante rappresentava che: a) le strutture avevano sempre fatto parte della realtà urbana; b) nel caso di specie, oggetto dell’istanza era una passerella in area di recente costruzione, caratterizzata da ormeggi per natanti di varie dimensioni, parte del tessuto funzionale della via d’acqua; c) la passerella serviva a consentire l’imbarco in sicurezza all’equipaggio ed era stata oggetto di Autorizzazione Paesaggistica nel 2015; d) rispetto alla precedente autorizzazione l’opera era stata anche ridimensionata; e) si trattava di opera non impattante che non modificava il fronte acqueo né il rapporto tra il canale e l’edificato retrostante;
- con il provvedimento prot. 2021/240432 del 20 maggio del 2021, dopo che la Soprintendenza aveva espresso parere favorevole, ritenendo fondate le osservazioni in replica, è stato rilasciato il provvedimento in sanatoria;
- pertanto, il 10 giugno del 2021 la parte appellante depositava SCIA in sanatoria ex art.37 D.P.R. n.380 del 2001;
avverso quest’ultimo provvedimento insorgeva Veningest chiedendone l’annullamento innanzi al TAR Veneto, dove contestava la violazione dell’art.167 del d. lgs. 42/2004, oltre che sotto vari profili, l’eccesso di potere per travisamento dei presupposti, difetto di istruttoria ed illogicità;
con provvedimento del 15 settembre del 2021 il comune prendeva atto dell’efficacia della SCIA in sanatoria ai sensi dell’art.23 bis del D.P.R. n. 380 del 2001; anche questo provvedimento veniva gravato dalla parte appellata con ricorso per motivi aggiunti.
La sentenza del TAR Veneto n.1486 del 18 giugno del 2024 accoglieva il ricorso, annullando i provvedimenti impugnati.
Avverso di essa sono dedotti i seguenti motivi di appello:
I motivo: error in iudicando: erroneità della sentenza laddove ha ritenuto la ammissibilità del ricorso e dell’atto di motivi aggiunti. II motivo: error in iudicando: erroneità della sentenza laddove ha ritenuto che il pontile sia insuscettibile di sanatoria ex art. 167, comma IV, D. Lgs. n. 42 del 2004 per costituire, il manufatto, una superficie utile e omesso di considerare la finalità del procedimento.
2. Si è costituito in giudizio ad adiuvandum il comune di Venezia.
3. Si sono altresì costituiti il Ministero della Cultura, in resistenza, e la società Veningest S.r.L. che ha contestato l’avverso dedotto, chiedendo il rigetto del gravame.
DIRITTO
4. In via preliminare non può essere accolta l’istanza della parte appellante che, fondandosi sul riparto di materie tra le sezioni del Consiglio di Stato, dopo aver rappresentato che la materia oggetto del presente giudizio (governo del territorio- regione Veneto) rientra fra le attribuzioni della seconda sezione di codesto plesso, ha chiesto la trasmissione degli atti alla Segreteria di quest’ultima.
4.1. In primo luogo la richiesta non è accoglibile perché la questione non è una vera e propria questione di competenza, ma attiene al riparto delle materie tra le Sezioni del Consiglio di Stato definito per ragioni di carattere meramente organizzativo del lavoro giudiziario, che non ha alcuna ricaduta processuale sulla capacità del giudice e non può, quindi, integrare uno di quei casi eccezionali in presenza dei quali il comma 1 bis dell’art.73 del c.p.a. consente al Collegio di rinviare la causa su richiesta di una parte.
4.2. Inoltre, la domanda di scardinamento si fonda su un presupposto non certo, in quanto, pur vertendosi in materia di questioni paesaggistiche ed edilizie sorte nel territorio del Veneto, si tratta comunque di una vicenda che presenta un collegamento diretto con una concessione demaniale, materia, quest’ultima, di competenza di codesta sezione settima che, almeno di regola, dovrebbe esercitare una vis attractiva in quanto “trasversale”.
4.3. Infine, posto che la causa risulta oggi incardinata presso questo Collegio e che i titolari del potere di assegnazione delle cause alle Sezioni hanno deciso di non provvedere sulla istanza, il rinvio di essa ad altra sezione, oltre a non appartenere alle competenze di questo Collegio, provocherebbe un inopportuno ritardo nella definizione della controversia, in contrasto con il principio costituzionale della ragionevole durata del processo.
5. Venendo al merito, il primo motivo d’appello, contestando sul punto l’approdo raggiunto dal primo giudice, nega che la società Veningest, ossia l’odierna parte appellata, fosse legittimata a ricorrere, non ritenendola titolare di interesse oppositivo concreto ed attuale che le consentiva di chiedere l’annullamento dei provvedimenti che hanno sanato l’intervento controverso.
5.1. Il motivo è infondato.
5.1.1. La società Veningest S.r.L. è proprietaria di un compendio immobiliare sito in Venezia, Giudecca, Sacca Fisola, Campo Diego Valeri 2, costituito da un edificio ad uso residenziale e dal pertinente giardino che si affaccia sul Canale dei Lavraneri. Tutti i suddetti edifici sono stati eretti in forza di autorizzazioni edilizie e di autorizzazioni paesaggistiche.
Detta proprietà affaccia su di uno specchio acqueo che la società ha ottenuto in concessione per l’ormeggio dei natanti, dove ha costruito un pontile in aderenza alla sponda e al giardino, dotato dei cd. “pettini” per l’imbarco e lo sbarco, anch’essi debitamente autorizzati.
Una porzione dello specchio acqueo, posta a sud, è invece assentita in concessione alla parte appellante, che svolge, anch’essa in forma imprenditoriale, un’attività di trasporto analoga a quella di Veningest. Su questa porzione di specchio acqueo insiste la passarella della cui sanatoria si discute, realizzata nel 2015, all’epoca avente una lunghezza maggiore di dieci metri rispetto a quella attuale, pari oggi a undici metri totali.
La concessione ottenuta da Alilaguna S.p.A. è stata impugnata dinanzi alla giurisdizione amministrativa dalla parte appellata, che – avendo presentato in epoca anteriore la relativa domanda – ritiene di avere diritto, con priorità, di ottenere il bene; quest’altro processo è tuttora pendente dinanzi a questo Consiglio di Stato.
5.1.2. Tanto premesso, è evidente che, sotto plurimi aspetti, in capo a Veningest S.r.L. è individuabile un interesse oppositivo, concreto ed attuale, rispetto ai provvedimenti che hanno sanato la ridetta passerella.
5.1.2.1. Innanzitutto, la predetta società è proprietaria confinante rispetto all’area sulla quale l’opera, originariamente edificata, risulta essere stata costruita.
Vanta dunque una posizione di vicinitas qualificata dalla potestà domenicale che, almeno secondo una parte della giurisprudenza amministrativa, già di per sé è idonea a fondare la cd. “legittimatio ad causam” (vedasi Consiglio di Stato sez. VI, 29/03/2024, n.2973), consentendole di opporsi alla presenza di un’opera abusiva che ostacola la piena fruizione del bene in proprietà.
5.1.2.2. In secondo luogo, la parte appellata è anche concessionaria dello spazio acqueo immediatamente confinante con quello dove l’opera abusiva risulta realizzata, spazio che è da lei utilizzato per svolgere il servizio di trasporto. Dunque la presenza della ridetta suppellettile limita le possibilità di manovra delle imbarcazioni che svolgono il trasporto, impedendo un più agevole attracco.
Anche sotto questo profilo pertanto sussiste un evidente, concreto e diretto interesse ad opporsi alla stabilizzazione della struttura de qua.
5.1.2.3. Infine la parte appellata aspirava ad ottenere in concessione anche quella parte di specchio acqueo, ritenendo, come detto, di averne prioritariamente diritto; la relativa pretesa è ancora perdurante. Infatti il processo amministrativo avente ad oggetto l’impugnazione della concessione rilasciata alla contro-interessata su quella parte di bene è tuttora in corso, sicché anche in questa prospettiva è configurabile un interesse a ricorrere in capo alla medesima, in vista della potenziale fruizione di quel bene.
6. Il secondo motivo d’appello contesta alla sentenza impugnata di aver ritenuto che l’opera abusiva in questione, avendo creato una nuova superficie utile in un contesto vincolato, non fosse suscettibile di sanatoria ex art.167, comma 4, d. lgs. n.42 del 2004 che, per l’appunto, interdice accertamenti postumi di compatibilità paesaggistiche rispetto ad interventi che abbiano prodotto siffatto effetto.
Sostiene la parte appellante che la passerella di cui si discute, anche considerando le sue modeste dimensioni, non sia suscettibile di rientrare nella relativa nozione.
6.1. Il motivo è fondato.
6.1.1. E’ necessario, per dar conto di questa affermazione, chiarire quale sia la portata della nozione di superficie utile di cui al comma 4 dell’art.167 citato. Poiché il codice dei beni culturali non ne precisa il contenuto, la giurisprudenza amministrativa ritiene che ad essa non si debba e non si possa attribuire significato diverso da quello contenuto nel D.P.R. n.380 del 2001 (cd. Testo Unico dell’Edilizia; cfr. fra le tante Consiglio di Stato sez. VI, 07/02/2024, n.1241 e sez. I n. 1993/2022).
Quella di attribuire lo stesso significato alla medesima nozione utilizzata nei due testi normativi è un’opzione che, oltre che aderente al dato lessicale, si presenta come la più ragionevole.
Infatti, ipotizzare, all’opposto, ed al fine di estendere la portata del divieto di compatibilità paesaggistica postuma, che codice dei beni culturali e codice dell’edilizia contengano due significati diversi - oltre a contrastare con i principi di coerenza, unitarietà e sistematicità dell’ordinamento giuridico - si risolverebbe in un’ingiustificata disparità di trattamento in danno di coloro che chiedono la sanatoria di opere abusive in zona vincolata, rispetto a coloro che esercitano la medesima facoltà in zone libere.
6.1.2. Dunque alla nozione di superficie utile, quale elemento interdittivo della sanatoria postuma di un intervento abusivo, va assegnato il contenuto che la giurisprudenza amministrativa attribuisce all’identica nozione in materia edilizia. Con essa, viene individuata, da sempre, la realizzazione di superficie calpestabile, di regola non esposta alle intemperie, che può essere oggetto di una fruizione di tipo abitativo/residenziale/commerciale, o comunque atta allo svolgimento di attività umane, non necessariamente private, di varia natura, e cioè di contenuto quasi mai (o raramente) pre-determinato “a priori”.
L’ulteriore connotato caratterizzante è dato dalla autonoma utilizzabilità dello spazio creato, che viene valorizzato, di per sé, come bene singolo, non necessariamente, né sempre, connesso ad altri, per poter essere fruito, anche perché è di norma soggetto, come detto, ad una molteplicità di possibili usi.
Per tali motivi, e soprattutto per l’ultima caratteristica, da detta nozione risultano tradizionalmente esclusi i beni accessori o pertinenziali, quali ad es. balconi, terrazzi, recinzioni (queste ultime allorquando non escludono l’accesso e servono solo a delimitare i confini fra i terreni) e strutture simili (vedasi Consiglio di Stato sez. VI, 17/03/2022, n.1932; Consiglio di Stato sez. VI, 11/02/2022, n.1002 e, per i volumi tecnici, Consiglio di Stato sez. I n. 1993/2022) proprio perché si tratta di elementi che presentano una destinazione unica, vincolata, invece che plurime, potenzialmente concorrenti, funzionalità per la fruizione individuale.
Del resto, l’art. 6, comma 1, lett. b-bis, del d.P.R. n. 380/2001 distingue il concetto di superficie accessoria da quello di superficie utile per escludere dalla attività edilizia libera alcuni interventi che configurano spazi stabilmente chiusi con conseguente variazione di volumi e di superfici, come definiti dal regolamento edilizio-tipo, che “possano generare nuova volumetria o comportare il mutamento della destinazione d'uso dell'immobile anche da superficie accessoria a superficie utile”.
Ciò conferma che una superficie meramente accessoria che non configura uno spazio stabilmente chiuso non rientra nel concetto di superficie utile e quindi nella preclusione di cui al citato art. 167, comma 4, del d. lgs. n. 42 del 2004.
6.1.3 La passerella di cui si discute, come detto edificata nel 2015 senza titolo, consiste in una pedana fissa in legno, su pali, è lunga metri 11 x0,85 mt. di larghezza, non è appoggiata al muro di sponda della riva pubblica del rio, presenta forme tradizionali rispetto al luogo in cui è collocata, ed è stata realizzata utilizzando le tecnologie impiegate nella tradizione locale, tanto da essere molto simile agli altri approdi esistenti in laguna.
È destinata unicamente, come pure già osservato, a consentire le operazioni di salita e discesa dalle imbarcazioni, pertanto riveste una funzione indispensabile allo svolgimento del servizio di trasporto pubblico sulla laguna.
Le ridette caratteristiche – e, in particolare, l’evidente strumentalità e pertinenzialità che la connotano, oltre che le ridotte dimensioni della pedana – escludono la possibilità di destinare la suddetta palafitta a funzioni diverse da quella per la quale è stata realizzata, e dunque eliminano la possibilità che, anche solo potenzialmente, essa possa essere oggetto di una fruizione ampia ed indeterminata da parte di attività umane diverse da quella per la quale è stata edificata.
Già sottolineando quest’ultimo profilo, si può escludere che possa considerarsi superficie utile nel senso sopra precisato, trattandosi di mera superficie accessoria.
6.1.4. A conferma di quanto sopra, milita poi l’ulteriore considerazione, che, come fondatamente sostenuto dalla parte appellante, la nozione di utilità, ossia la natura strumentale del bene della cui sanatoria si tratta, va contestualizzata, riferendola all’ambito territoriale nel quale si trova.
In questo caso la nozione va raccordata al contesto paesaggistico dell’intervento che è pienamente compatibile con l’ambito lagunare nel quale è stato inserito, sia dal punto di vista architettonico-strutturale per le caratteristiche che, come ricordato, presenta, sia dal punto di vista della sue finalità, data la sua funzione servente rispetto al più generale collegamento che il servizio di trasporto in questione assicura tra i diversi quartieri della città di Venezia, e che consente di raggiungere, da aree periferiche, le infrastrutture centrali di trasporto cittadino.
Anche sotto questo aspetto, in definitiva, si rivela una non trascurabile utilità aziendale del bene, a sua volta strettamente funzionale alla cura di un interesse pubblico, che si riverbera in senso favorevole sull’autorizzabilità postuma della sua realizzazione.
6.1.5. Allo stesso tempo, queste caratteristiche confermano la natura esclusivamente pertinenziale del bene di cui si discute, il che lo fa fuoriuscire, anche in questa prospettiva, dalla diversa nozione di superficie utile sottintesa dal comma 4 dell’art.167 del d. lgs. 42/2004, che, come detto, si riferisce, diversamente da quella in commento, ad una fruibilità piena, ossia a tutto tondo, dalle caratteristiche tendenzialmente privatistiche, del bene abusivo. Nella quale ultima dimensione risiede una delle ragioni, se non la ragione principale, che giustifica il divieto di sanatoria postuma imposto dal comma 4 dell’art.167 citato, perché è evidente che il legislatore vuole impedire al responsabile di un abuso di trarre vantaggio da una condotta illecita, allorquando sia finalizzata ad un uso egoistico ed esclusivo del bene così realizzato.
6.1.6. Infine, per completezza, in tema va segnalato che il comma 4 dell’art. 36-bis del D.p.r. n.380/2001, introdotto dall'articolo 1, comma 1, lettera h), del D.L. 29 maggio 2024, n. 69, ha fatto venir meno il divieto assoluto di accertamento postumo della compatibilità paesaggistica, imponendo all’autorità preposta alla tutela del vincolo, anche in caso di creazione abusiva di superfici utili, di esprimere il proprio parere vincolante.
Di tal che, se la parte appellante reiterasse, oggi, la richiesta di cui si discute, avrebbe comunque diritto ad ottenere una valutazione specifica e concreta in merito alla sanabilità dell’intervento.
Anche tale modifica, pur rappresentando uno ius superveniens che non incide direttamente sulla odierna fattispecie, costituisce ciò non di meno un ulteriore elemento che induce a valutare favorevolmente il gravame.
7. In conclusione l’appello va accolto, e, per l’effetto, va rigettato il ricorso introduttivo del presente giudizio proposta dalla società Veningest S.r.L..
La parziale novità della controversia giustifica la compensazione integrale delle spese di giudizio per il doppio grado.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie, e, per l’effetto, rigetta il ricorso introduttivo del giudizio.
Compensa le spese del doppio grado.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 febbraio 2025 con l'intervento dei magistrati:
Roberto Chieppa, Presidente
Fabio Franconiero, Consigliere
Angela Rotondano, Consigliere
Raffaello Sestini, Consigliere
Sergio Zeuli, Consigliere, Estensore