Cass. Sez. III n. 37326 del 10 ottobre 2007 (Ud. 3 lug. 2007)
Pres. Lupo Est. Fiale Ric. Del Popolo
Urbanistica. Opere eseguite in totale difformità dal permesso di costruire

In tema di opere eseguite in totale difformità dal permesso di costruire, le difformità rispetto alla concessione edilizia originariamente rilasciata - consistenti nella realizzazione di un piano seminterrato, a fronte di un assentito piano completamente interrato e nell’edificazione di un porticato e di una pensilina non previsti in progetto, nonché di volumi in eccesso rispetto a quelli assentiti determinanti la realizzazione di un fabbricato non consentito dallo strumento di pianificazione generale vigente per il superamento del previsto indice fondiario di edificabilità - si profilano come opere non rientranti tra quelle autorizzate aventi una loro autonomia e novità, oltre che sul piano costruttivo, anche su quello della valutazione economico-sociale.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di Appello di Lecce, con sentenza del 12.12.2005, confermava la sentenza 28 4.2005 del Tribunale di Lecce - Sezione distaccata di Tricase, che aveva affermato la responsabilità penale di D.P. A. in ordine al reato di cui:

- alla L. n. 47 del 1985, art. 20, lett. b), per avere - anche attraverso la realizzazione di un piano fuori terra di mc. 300, previsto in progetto come interrato - edificato un immobile in totale difformità rispetto alla concessione edilizia ottenuta, con volume complessivo del fabbricato (mc. 879,92) eccedente di mc. 428,93 la volumetria autorizzata (mc. 450,99) - acc. in (OMISSIS), il (OMISSIS) e, riconosciute circostanze attenuanti generiche, aveva condannato la stessa alla pena di mesi due di arresto ed Euro 4.000,00 di ammenda, con ordine di demolizione dell'opera abusiva e concessione del beneficio della sospensione condizionale subordinato alla effettiva esecuzione della demolizione entro due mesi dalla formazione del giudicato.

Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso la D.P., la quale - sotto il profilo della violazione di legge - ha eccepito:

- l'erroneo inquadramento della vicenda nella categoria della "difformità totale" dal titolo abilitativo edilizio, in quanto si tratterebbe, invece, di "difformità parziale" punibile ai sensi della L. n. 47 del 1985, art. 20, lett. a);

- l'incongruo disconoscimento di efficacia alla procedura di condono edilizio esperita ai sensi del D.L. n. 269 del 2003, art. 32, convertito nella L. n. 326 del 2003.

Questa Corte Suprema ha sospeso il procedimento, in data 12.1.2007, ai sensi della L. n. 47 del 1985, art. 38.

Il Comune di Tricase, con nota pervenuta il 2.4.2007, ha comunicato che l'oblazione versata non è congrua.

Il difensore ha fatto pervenire istanza di rinvio dell'udienza odierna, manifestando la propria adesione all'astensione proclamata dall'Unione delle Camere penali, ma il Collegio non ha aderito a tale richiesta per l'imminente scadenza dei termini di prescrizione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, perchè manifestamente infondato.

1. A norma del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 31 (e già della L. n. 47 del 1985, art. 7), devono ritenersi eseguite in totale difformità dal permesso di costruire quelle opere "che comportano la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche o di utilizzazione da quello oggetto del permesso stesso, ovvero l'esecuzione di volumi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto e tali da costituire un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza ed autonomamente utilizzabile".

La difformità totale si verifica, dunque, allorchè si costruisca "aliud pro alio" e ciò è riscontrabile allorchè i lavori eseguiti tendano a realizzare opere non rientranti tra quelle consentite, che abbiano una loro autonomia e novità, oltre che sul piano costruttivo, anche su quello della vacazione economico-sociale.

Il concetto di difformità parziale si riferisce, invece, ad ipotesi tra le quali possono farsi rientrare gli aumenti - di cubatura o di superficie di scarsa consistenza, nonchè le variazioni relative a parti accessorie che non abbiano specifica rilevanza.

Nella previsione legislativa in esame:

a) l'espressione "organismo edilizio" indica sia una sola unità immobiliare sia una pluralità di porzioni volumetriche e la difformità totale può riconnettersi sia alla costruzione di un corpo autonomo sia all'effettuazione di modificazioni con opere anche soltanto interne tali da comportare un intervento che abbia rilevanza urbanistica in quanto incidente sull'assetto del territorio attraverso l'aumento del cd. "carico urbanistico".

Difformità totale può aversi, inoltre, anche nel caso di mutamento della destinazione d'uso di un immobile o di parte di esso, realizzato attraverso opere implicanti una totale modificazione rispetto al previsto;

b) il riferimento alla "autonoma utilizzabililà" non impone che il corpo difforme sia fisicamente separato dall'organismo edilizio complessivamente autorizzato, ma ben può riguardare anche opere realizzate con ma difformità quantitativa tate da acquistare una sostanziale autonomia rispetto al progetto approvato.

La fattispecie in oggetto è caratterizzata dalle seguenti accertate difformità rispetto alla concessione edilizia originariamente rilasciata:

- realizzazione di un piano seminterrato, a fronte di un assentito piano completamente interrato;

- edificazione di un porticato e di una pensilina non previsti in progetto, nonchè di volumi in eccesso rispetto a quelli assentiti.

Dette difformità hanno portato alla realizzazione di un fabbricato non consentito dallo strumento di pianificazione generale vigente nel Comune di Tricase, per il superamento del previsto indice fondiario di edificabilità.

Si profila ad evidenza, pertanto, l'intervenuta esecuzione di opere non rientranti tra quelle autorizzate, che hanno "una loro autonomia e novità, oltre che sul piano costruttivo, anche su quello della valutazione economico-sociale".

2. Legittimamente la Corte territoriale non ha disposto la sospensione del procedimento (L. n. 47 del 1985, ex art. 38) in seguito alla presentazione di domanda di condono edilizio ai sensi dal D.L. n. 269 del 2003, art. 32.

Tale sospensione infatti - secondo la giurisprudenza costante di questa Corte Suprema - richiede la previa verifica, da parte del giudice, della sussistenza dei requisiti astrattamente previsti dalla legge per l'applicabilità del condono edilizio (vedi, tra le decisioni più recenti, Cass., Sez. 3^: 26.8 2004, n. 35084; 27.4.2000, n. 5031).

L'ambito del potere di controllo del giudice ordinario, infatti, in riferimento alla sussistenza dei presupposti essenziali per l'applicabilità della causa estintiva dei reati, è strettamente connesso all'esercizio della giurisdizione penale, sicchè il giudice - nell'eseguire l'indispensabile verifica degli elementi di fatto e di diritto della causa estintiva - deve accertare:

- il tipo di intervento realizzato e la sua riconducibilità alle tipologie condonabili secondo legge;

- le dimensioni volumetriche dell'immobile;

- la "ultimazione" dei lavori (secondo la nozione fornita dalla L. n. 47 del 1985, art. 31) entro il termine previsto;

- la tempestività della presentazione, da parte dell'imputato (o di eventuali comproprietari) di una domanda di sanatoria riferita puntualmente alle opere abusive contestate nel capo di imputazione;

- l'avvenuto "integrale versamento" della somma dovuta ai fini dell'oblazione, ritenuta congrua dall'Amministrazione comunale.

Trattasi di compiti propri dell'autorità giurisdizionale - conformi al dettato dell'art. 101 Cost., comma 2, art. 102 Cost., art. 104 Cost., comma 1, e art. 112 Cost. - che non possono essere demandati neppure con legge ordinaria all'autorità amministrativa in un corretto rapporto delle sfere specifiche di attripuzione (per i rapporti tra amministrazione e giurisdizione nel settore dell'urbanistica vedi Cass., Sez. Unite, 19.6.1996, P.M in proc. Monterisi).

Nella fattispecie in esame risulta accertato, in punto di fatto, che:

- non vi è stato alcun "ampliamento di immobile preesistente", bensì l'edificazione di un'opera completamente diversa da quella autorizzata, costituente come tale "opera nuova radicalmente abusiva", con conseguente irrilevanza dei parametri consentiti per i meri ampliamenti dal D.L. n. 269 del 2003, art. 32, convertito nella L. n. 326 del 2003;

- l'opera abusiva, nel suo complesso, supera i 750 mc. condonabili (ipotesi esclusa dal condono dall'anzidetto art. 32, comma 25).

3. Tenuto conto della sentenza 13.6.2000, n. 186 della Corte Costituzionale e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che la parte "abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria della inammissibilità medesima segue, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento, nonchè quello del versamento di una somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1.000,00.

P.Q.M.

la Corte Suprema di Cassazione, visti gli artt. 607, 615 e 616 c.p.p., dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento della somma di mille/00 Euro in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 3 luglio 2007.