Cass. Sez. III n. 870 del 10 gennaio 2024 (CC 14 dic 2023)
Pres. Ramacci Rel. Scarcella Ric. Velluso
Urbanistica.Ordine di demolizione e prescrizione
L’ordine di demolizione conseguente alla sentenza di condanna, previsto dall’art. 31, comma 9, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, anche se relativo ad interventi edilizi di prosecuzione e/o di completamento di un precedente abuso edilizio dichiarato estinto per prescrizione ed in relazione al quale il precedente ordine demolitorio era stato revocato, deve comunque essere eseguito sull’immobile considerato nella sua interezza
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 21 dicembre 2022, il Tribunale di Napoli, in funzione di giudice dell’esecuzione; rigettava l’istanza proposta nell’interesse di Velluso Marco e Velluso Nunzia avente ad oggetto la revoca o la sospensione dell’ordine di demolizione disposto con la sentenza del 16 ottobre 2006, irr. 4 dicembre 2006, con cui a Velluso Giuseppe, Velluso Umberto e D’Alessandro Concetta veniva applicata ex art. 444, cod. proc. pen., la pena per i reati di violazione di sigilli e per alcuni reati edilizi ed antisismici in relazione alla costruzione, senza permesso di costruire, di un manufatto di mq. 220 circa composto da due piani fuori terra già sottoposto a sequestro in data 10.08, 20.08 e 27.08.1991, proseguendo in violazione dei sigilli i lavori edili abusivi, presentandosi al momento dei fatti il manufatto diviso in quattro appartamenti completi parzialmente, manufatto oggetto dell’ingiunzione a demolire del PM.
2. Avverso l’ordinanza impugnata nel presente procedimento, i predetti propongono ricorso per cassazione tramite il comune difensore, deducendo due motivi, di seguito sommariamente indicati.
2.1. Deducono, con il primo motivo, il vizio di motivazione nella parte in cui il tribunale ha ritenuto inaccoglibile l’istanza in quanto l’ordine demolitorio impartito riguardava il manufatto abusivo considerato nella sua interezza.
In sintesi, si censura, anzitutto, l’ordinanza impugnata quanto all’esatta individuazione delle opere oggetto dell’ordine demolitorio. Si osserva, infatti, che i reati urbanistici contestati nei verbali di sequestro del 1991, aventi ad oggetto il manufatto di due piani fuori terra composti da due solai di 220 mq. circa, da cui ha tratto origine il procedimento penale conclusosi con sentenza di proscioglimento emessa dalla Pretura di Napoli, erano stati dichiarati estinti per prescrizione con sentenza del 5 novembre 1996. Diversamente, la sentenza di patteggiamento contenente l’ordine demolitorio di cui si discute, aveva applicato agli imputati la pena unicamente sulla scorta delle violazioni urbanistiche documentate dai verbali di sequestro del 2003 e del 2004, e non per l’intero fabbricato. Quanto oggetto della sentenza del 16 ottobre 2006, in particolare, riguardava opere diverse ed analiticamente descritte nell’imputazione e nei verbali 6 dicembre 2003 e nei quattro successivi del 16.02, 23.02, 25.03 e 13.12.2004, trattandosi di opere di completamento dei due manufatti. Estendere l’ordine di demolizione a tutto l’intero fabbricato, per la difesa, non solo rappresenterebbe un’evidente violazione dei principi affermati da questa S.C., inerenti al potere/dovere di eseguire un ordine demolitorio inflitto con sentenza di condanna per i reati edilizi, ma costituirebbe un’evidente violazione dell’efficacia del giudicato penale di cui alla sentenza di condanna emessa dal Pretore di Napoli del 5 novembre 1996. Né rileverebbe la circostanza che, nella specie, il manufatto non sia mai stato sanato e che i successivi interventi realizzati sullo stesso siano idonei a protrarre l’illegittimità delle opere stesse, tenuto conto del principio espresso da questa Corte secondo cui, al fine di porre in esecuzione le opere di cui alla demolizione diretta, è possibile e necessario provvedere a demolire anche le altre opere, sempre che siano illecite, solo quando la loro demolizione è indispensabile per la corretta esecuzione della demolizione disposta con la sentenza di condanna, c.d. demolizione indiretta.
Nella specie, osservano i ricorrenti, le opere di cui all’ingiunzione a demolire sarebbero del tutto avulse dalla sentenza del 2006 e non potrebbero rientrare nell’ordine demolitorio nemmeno in via indiretta, e quindi non dovrebbero essere demolite, non incidendo peraltro sull’eventuale esecuzione diretta, come da c.t. prodotta in sede di incidente di esecuzione a firma del geom. Galiero. A ciò si aggiunge che, contrariamente a quanto affermato dal Tribunale, già nel 1991 il fabbricato era esistente, completo e rifinito, come evincibile sia dal verbale di sequestro in data 20.12.1991, sia dalla relazione a firma del dirigente dell’ufficio condono del comune di Napoli in data 3.09.2009. In particolare, proprio il verbale 20.12.1991, con cui la PG descriveva il manufatto come completo nelle sue volumetrie, tale da consentire nella relazione del predetto dirigente una declaratoria di astratta condonabilità del manufatto in questione, sarebbe stato ignorato dal giudice dell’esecuzione, il quale avrebbe in sostanza interrotto la sua valutazione all’agosto 1991, senza esaminare gli atti successivi da cui emergeva che l’immobile fosse completo nella sua volumetria. Peraltro, l’istanza di condono non era stata accolta solo per la mancanza del parere favorevole espresso dalla Sovrintendenza in quanto si trovava in zona vincolata.
2.2. Deducono, con il secondo motivo, il vizio di motivazione nella parte in cui il giudice dell’esecuzione si è espresso circa l’insussistenza delle esigenze abitative individuate dal principio di proporzionalità ex art. 8 CEDU.
In sintesi, si sostiene che l’ordinanza impugnata sarebbe censurabile laddove non ha tenuto conto del principio di proporzionalità tra l’ordine demolitorio ed i diritti riconosciuti all’ingiunto dall’art. 8 CEDU, tenuto conto delle condizioni socio – economiche e di salute, della distanza temporale tra il passaggio in giudicato della sentenza di condanna e l’attuazione effettiva dell’ordine demolitorio, dell’impossibilità di reperire altra abitazione nonché delle condizioni di età avanzata, povertà e basso reddito dell’interessato. Il fabbricato in questione sarebbe l’unica abitazione dei ricorrenti, che l’avevano ereditato dai propri genitori, in cui poter vivere unitamente al nucleo familiare, stante l’impossibilità economico – finanziaria di reperire un’altra abitazione. Inoltre, l’ingiunzione a demolire era intervenuta oltre trent’anni dopo la prima contestazione del 1991, sicché gli istanti ben potevano ritenere legittimi gli interventi realizzati, e, pur consapevoli dell’abusività delle opere, le stesse erano state eseguite per scopi personali e non con fini di lucro. La motivazione del Tribunale che aveva invece respinto l’istanza facendo leva sulla commissione di contravvenzioni urbanistiche e paesaggistiche e del reato di violazione di sigilli, senza tener conto di quanto provato circa le condizioni economiche e di reddito degli istanti, l’impossibilità di reperire altra abitazione e del lasso di tempo considerevole intercorrente tra il 1991 e l’ingiunzione a demolire avrebbero giustificato l’accoglimento dell’istanza, richiamandosi a tal proposito giurisprudenza di questa Corte, in particolare Cass. n. 1542/2022.
3. Il Procuratore Generale presso questa Corte, con requisitoria scritta del 31 ottobre 2023, ha chiesto dichiararsi inammissibile il congiunto ricorso.
Secondo il PG, quanto al primo motivo, il Tribunale ha correttamente osservato che la contestazione aveva ad oggetto la realizzazione di un manufatto di 220 mq, composto da due piani fuori terra e che attraverso la sistematica violazione dei sigilli si è iniziata e proseguita l’edificazione abusiva, sicché l’ordine di demolizione non può che riguardare l’intero manufatto. Quanto al diritto all’abitazione, la giurisprudenza di legittimità ha sottolineato che dalla giurisprudenza CEDU si ricava anzitutto il principio dell'interesse dell'ordinamento all'eliminazione, in luogo della confisca, delle opere incompatibili con le disposizioni urbanistiche. Nel caso Sud Fondi c. Italia la Corte EDU ha affermato che l'interesse dell'ordinamento è quello di abbattere l'immobile abusivamente realizzato, così ripristinando la conformità rispetto alle disposizioni urbanistiche applicabili. La demolizione configurerebbe una legittima sanzione ripristinatoria in quanto diretta a ristabilire l'ordine giuridico violato, interesse quest'ultimo, da ritenersi prevalente sul diritto all’abitazione dell'immobile abusivamente realizzato. Si è d'altronde negato che l'ordine di demolizione abbia una funzione punitiva, non configurando esso un elemento della pena irrogata all'agente. Essa si presenta piuttosto teleologicamente diretta al ristabilimento dello status quo ante, eliminando le conseguenze dannose della condotta illecita. Richiamando la sopra citata sentenza della Corte Edu, è stato escluso che la demolizione dell'opera abusiva possa legittimamente avvenire solo ove il condannato abbia a disposizione un alloggio alternativo, ovvero qualora a ciò abbia provveduto lo Stato, non potendosi riconoscere un diritto assoluto all'inviolabilità del domicilio e, dunque, dell'abitazione (art. 8 Cedu), tale da precludere l'esecuzione dell'ordine di demolizione dell'opera abusiva. Ciò che invece hanno dichiarato indefettibile i giudici di Strasburgo è una valutazione, caso per caso, circa la possibilità che un provvedimento possa ritenersi giustificato in considerazione delle ragioni espresse dal destinatario della misura. Tale esame è finalizzato a bilanciare il diritto del singolo alla tutela dell'abitazione (ai sensi dell'art. 8 Cedu) e l'interesse dello Stato ad impedire l'esecuzione di interventi edilizi in assenza di regolare titolo abilitativo (ergo gli interessi tutelati mediante l'applicazione della normativa in materia edilizia e territorio). In questo senso, pertanto, la più recente giurisprudenza afferma che l'esecuzione dell'ordine di demolizione di un immobile abusivo non contrasta con il diritto al rispetto della vita privata e familiare e del domicilio di cui all'art. 8 CEDU, posto che, non essendo desumibile da tale norma la sussistenza di alcun diritto "assoluto" ad occupare un immobile, anche se abusivo, solo perché casa familiare, il predetto ordine non viola in astratto il diritto individuale a vivere nel proprio legittimo domicilio, ma afferma in concreto il diritto della collettività a rimuovere la lesione di un bene o interesse costituzionalmente tutelato e a ripristinare l'equilibrio urbanistico-edilizio (Sez. 3, n. 48021 del 11/09/2019, Giordano, Rv. 277994 - 01).
Nel caso di specie siamo in presenza di un abuso realizzato molti anni prima dell’insediamento degli attuali occupanti, da altre persone, diverse dai ricorrenti, ma familiari dei medesimi, che però non possono invocare una buona fede, poiché in tal modo sarebbe sempre possibile eludere la disciplina della demolizione. D’altra parte è assolutamente pacifico che l’ordine di demolizione dell'opera abusiva, avendo natura di sanzione amministrativa di carattere reale a contenuto ripristinatorio, conserva la sua efficacia anche nei confronti dell'erede o dante causa del condannato o di chiunque vanti su di esso un diritto reale o personale di godimento, potendo essere revocato solo nel caso in cui siano emanati, dall'ente pubblico cui è affidato il governo del territorio, provvedimenti amministrativi con esso assolutamente incompatibili (Sez. 3, n. 42699 del 07/07/2015, Curcio, Rv. 265193). Va infine stigmatizzata la genericità dell’istanza, non supportata (quanto a inadeguatezza delle risorse economiche della famiglia genericamente indicata, alla condizione urbanistica dell'area nella quale grava l'immobile abusivo, all'impossibilità di ottenere un alloggio popolare o comunque una sistemazione alternativa) da alcuna concreta allegazione, quantomeno sotto il profilo dei redditi dell'indefinito nucleo familiare, della richiesta di alloggi popolari, della attuale condizione urbanistica dell'area).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi, trattati cartolarmente a norma dell’art. 611, cod. proc. pen., sono complessivamente infondati.
2. Infondato è anzitutto il primo motivo.
2.1. Non può invero trovare anzitutto accoglimento la doglianza relativa alla non estensibilità dell’ordine demolitorio agli abusi oggetto della declaratoria di prescrizione pronunciata in data 5 novembre 1996.
È il caso di riassumere i fatti che hanno preceduto la proposizione dell'incidente di esecuzione la cui definizione ha dato origine al provvedimento ora impugnato: da quanto risulta in atti, i ricorrenti, soggetti terzi interessati iure ereditatis di Velluso Umberto e D’Alessandro Concetta, soggetti ingiunti e deceduti, hanno proposto incidente di esecuzione relativamente all’ordine demolitorio disposto con sentenza ex art. 444, cod. proc. pen., per i reati di violazione di sigilli e per alcuni reati edilizi ed antisismici in relazione alla costruzione, senza permesso di costruire, di un manufatto di mq. 220 circa composto da due piani fuori terra già sottoposto a sequestro in data 10.08, 20.08 e 27.08.1991, proseguendo in violazione dei sigilli i lavori edili abusivi, presentandosi al momento dei fatti il manufatto diviso in quattro appartamenti completi parzialmente; la pronunzia in questione è divenuta definitiva in data 4 dicembre 2006.
Tale pronunzia, secondo quanto affermato dai ricorrenti -e sul punto la circostanza non appare essere stata posta in discussione né tanto meno smentita nell’ordinanza ora impugnata – non riguardava i lavori edilizi abusivi oggetto del sequestro dell’anno 1991 (di cui quelli oggetto della sentenza di condanna munita di ordine demolitorio rappresentano la prosecuzione, eseguiti successivamente ed oggetto dei verbali di sequestro 6.12.2003, 16.02.2004, 23.02.2004, 25.03.2004 e 13.12.2004, in occasione dell’accertata plurima violazione dei sigilli), per i quali è intervenuta declaratoria di estinzione del reato per prescrizione con sentenza del Pretore di Napoli del 5 novembre 1996, ma solo quelle successivamente accertate dal 2003 in poi, indicate nell’imputazione ex art. 44, lett. c), TU edilizia.
2.2. Ora, posto che, secondo quanto emerge dalla lettura della ordinanza impugnata, la contestazione da cui è scaturita la sentenza della cui esecuzione si tratta ha ad oggetto l’avvenuta prosecuzione di lavori edili relativi al manufatto di due piani fuori terra composto da due solai di 220 mq. circa, per i quali è intervenuta sentenza di proscioglimento per prescrizione, si osserva che i principi giurisprudenziali evocati dal giudice dell’esecuzione a sostegno della propria decisione di rigetto del ricorso presentato dagli eredi Velluso si palesano astrattamente ed in concreto condivisibili. Infatti, non può censurarsi che il Tribunale di Napoli non avrebbe considerato né la circostanza che la prosecuzione dell'attività̀ edilizia da parte dei danti causa Velluso/D’Alessandro ha avuto ad oggetto il manufatto di due piani fuori terra composto da due solai di 220 mq. circa in relazione al quale vi è stata una pronunzia giurisdizionale di intervenuta prescrizione del reato all'epoca contestato, né l'obbiettivo contenuto della decisione assunta con la sentenza con la quale è stato definito il giudizio a carico dei danti causa.
Ed invero, premesso che secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte l'ordine di demolizione (nonché quello di rimessione dei luoghi in pristino stato), corollario delle sentenze accertative degli abusi edilizi o paesaggistici, può conseguire, ove si eccettui la ipotesi della lottizzazione abusiva per, la quale vale un regime normativo derogatorio più severo (cfr. infatti, Sez. 3, n. 21910 del 07/04/2022, Rv. 283325; Sez. 3, n. 5816 del 18/01/2022, Rv. 282833), solamente nel caso in cui la conclusione del procedimento penale abbia condotto alla affermazione della penale responsabilità dell'imputato, non essendo idonea a tal fine la sola sentenza dichiarativa della prescrizione (Sez. 3, n. 37836 del 29/03/2017, Rv. 270907; Sez. 3, n. 50441 del 27/10/2015, Rv. 265616), va rilevato che i precedenti giurisprudenziali alla cui autorevolezza il Tribunale si richiama (come gli altri pronunziati in materia da questa Corte) appaiono sicuramente pertinenti rispetto al caso ora in esame, non rilevando la circostanza che gli stessi non siano stati pronunziati in una fattispecie, quale è la presente, in cui le opere abusive (la cui prosecuzione ha costituito oggetto della sentenza cui è collegato l’ordine demolitorio) avevano formato oggetto di una sentenza di estinzione del reato per effetto della intervenuta prescrizione.
La rivalutazione, sia pure ai soli fini della esecuzione dell'ordine di demolizione dell'opera abusiva da parte dell'autorità giudiziaria - ordine si precisa che, per quanto è dato desumere dall’ordinanza, non risulta essere stato impartito quanto al manufatto di due piani fuori terra composto da due solai di 220 mq. circa eseguito nel 1991, esulante rispetto al contenuto della sentenza del tribunale del 5 novembre 1996 in quanto per lo stesso vi era stata sentenza di proscioglimento per intervenuta prescrizione, laddove l’ordine demolitorio riguardava gli interventi edilizi in prosecuzione intervenuti tra il 2003 ed il 2004 – non costituisce infatti violazione di quanto disposto con la sentenza dichiarativa dell'avvenuta estinzione del reato a suo tempo contestato, né integra una violazione del principio del ne bis in idem processuale, nel senso che sarebbe oggetto di una determinata previsione giurisdizionale, indubbiamente peggiorativa, un fatto per il quale già vi è stata sentenza di proscioglimento, sia pure per prescrizione (come diversamente afferma un recente precedente di questa stessa Sezione, rimasto isolato e non condiviso da questo Collegio: Sez. 3, n. 19424 del 9 gennaio 2023, Sorrentino, non massimata).
2.3. Né può sostenersi, come adombra tale decisione qui non condivisa, che il giudice dell’esecuzione non avrebbe tenuto conto del dato, acclarato dalla giurisprudenza di questa Corte, che, a differenza del caso in cui non vi sia stata una precedente sentenza, la prosecuzione dei lavori posta in essere dopo una sentenza di condanna (ma deve ritenersi che ciò valga a maggior ragione ove vi sia stata una sentenza di proscioglimento) integra non la prosecuzione della precedente condotta illecita ma un nuovo reato edilizio (così Sez. 3, n. 36215 del 15/05/2019, Rv. 277582), in relazione al quale la eventuale sentenza di condanna costituisce un nuovo, autonomo, titolo esecutivo e non la estensione del precedente.
Tale affermazione, se può valere – al di fuori dei casi di illecito lottizzatorio – nei casi in cui l’abuso per cui è intervenuta la declaratoria di prescrizione sia del tutto autonomo rispetto a quello eseguito successivamente, non può tuttavia essere invocata nei casi, come quello in esame, in cui l’abuso edilizio per il quale è intervenuta condanna (e su cui si fonda il successivo ordine demolitorio) costituisce lo sviluppo (rectius, l’ostinata e dolosa prosecuzione) di un’attività edilizia riguardante il medesimo immobile in relazione al quale è intervenuta la precedente declaratoria di proscioglimento per prescrizione, che ha comportato la revoca del relativo ordine di demolizione. Quanto sopra, infatti, è la naturale conseguenza del principio, più volte affermato da questa Corte, secondo cui in caso di abusi realizzati in progressione, la demolizione deve necessariamente coinvolgere tutte le opere complessivamente e unitariamente intese.
In tale ultimo senso questa Suprema Corte ha infatti precisato che l'ordine di demolizione del manufatto abusivo, previsto dall'art. 31, comma nono, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, riguarda l'edificio nel suo complesso, comprensivo di eventuali aggiunte o modifiche successive all'esercizio dell'azione penale e/o alla condanna, atteso che l'obbligo di demolizione si configura come un dovere di "restitutio in integrum" dello stato dei luoghi e, come tale, non può non avere ad oggetto sia il manufatto abusivo originariamente contestato, sia le opere accessorie e complementari nonché le superfetazioni successive, sulle quali si riversa il carattere abusivo dell'originaria costruzione (tra le tante, Sez. 3, n. 6049 del 27/09/2016, dep. 2017, Rv. 268831 – 01; di recente, si v. anche Sez. 3, n. 43236 del 11/10/2023, La Menza ed altro, non massimata).
2.4. Ad avviso del Collegio, peraltro, come già del resto affermato in una recente decisione di questa stessa Sezione (Sez. 3, n. 46197 del 26/09/2023, Giaquinto, non massimata), un ordine di demolizione pronunciato in una sentenza penale irrevocabile rimane eseguibile anche quando ulteriori ordini di demolizione aventi ad oggetto il medesimo immobile vengano caducati per la declaratoria di prescrizione del reato oggetto di accertamento nel diverso processo.
Va rilevato, infatti, sotto il profilo sistematico, che l'ordine di demolizione impartito da una sentenza divenuta irrevocabile, che ha indubbia funzione ripristinatoria e non sanzionatoria (tra le tante: Sez. 3, n. 3979 del 21/09/2018, dep. 2019, Rv. 275850), costituisce titolo autosufficiente rispetto ad altri ordini di demolizione aventi il medesimo oggetto, ma emessi in conseguenza di altre condotte. Invero, ogni ordine di demolizione pronunciato dal giudice penale ex art. 31, comma 9, d.P.R. n. 380 del 2001 viene emesso all'esito di un giudizio avente ad oggetto uno specifico fatto sussunto in una delle fattispecie di cui all'art. 44 d.P.R. cit., e si riferisce alle opere realizzate con quella specifica condotta. Sicché la caducazione di ulteriori ordini di demolizione per ragioni determinate dall'esito dei processi nei quali questi ultimi erano stati emessi non esplica alcuna incidenza in ordine alla efficacia di quello "cristallizzato" in una sentenza di condanna irrevocabile.
Sotto il profilo delle conseguenze, poi, una diversa opzione ermeneutica determinerebbe un effetto “criminogeno”, in quanto potrebbe costituire un incentivo a commettere condotte di illecita prosecuzione dei lavori abusivi nella speranza di ottenere una causa di estinzione del reato, e così di paralizzare una statuizione altrimenti definitivamente eseguibile. Ancora, identica conclusione appare già enunciata in un precedente, nel quale si afferma che è legittimo l'ordine di demolizione dell'intero manufatto, anche se per alcune opere meramente complementari (nella specie, casseformi armate dirette alla sopraelevazione) era in precedenza intervenuta revoca dell'ordine di demolizione, conseguente a declaratoria di estinzione del reato per prescrizione (Sez. 3, n. 38947 del 09/07/2013, Amore, Rv. 256431-01).
2.5. Piuttosto, in sede di esecuzione, come si evince anche dal precedente appena citato, potrebbe essere necessario verificare se le condotte oggetto del processo in relazione al quale è emesso l'ordine di demolizione poi caducato, siccome diverse da quelle giudicate nel processo definito con sentenza di condanna penale irrevocabile, abbiano comportato la realizzazione di opere strutturalmente autonome rispetto a quelle oggetto del provvedimento di abbattimento contenuto in quest'ultima decisione. Ed infatti, se l'ordine di demolizione caducato ha ad oggetto opere strutturalmente autonome da quelle interessate dal provvedimento rimasto fermo, le prime non potranno essere demolite. Se, invece, come nel caso sottoposto all’esame di questo Collegio, l'ordine di demolizione caducato ha ad oggetto opere rispetto alle quali quelle interessate dal provvedimento da eseguire costituiscono il naturale sviluppo, un completamento o una prosecuzione, anche le prime dovranno essere demolite, proprio in applicazione del principio dell’unitarietà dell’abuso.
In questo senso, del resto, si è ripetutamente pronunciata la giurisprudenza, secondo la quale l'ordine di demolizione del manufatto abusivo, previsto dall'art. 31, comma 9, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, riguarda l'edificio oggetto del procedimento che ha dato vita al titolo esecutivo ma anche ogni altro intervento, che, per la sua accessorietà all'opera abusiva, renda ineseguibile l'ordine medesimo, non potendo consentirsi che eventuali ulteriori edificazioni possano, in qualche modo, ostacolare l'integrale attuazione dell'ordine giudiziale (cfr., tra le tantissime, Sez. 3, n. 41180 del 20/10/2021, La Rosa, e Sez. 3, n. 6049 del 27/09/2016, dep. 2017, Molinari, Rv. 268831-01).
2.6. Utili elementi interpretativi, del resto, possono agevolmente essere tratti dalla giurisprudenza amministrativa.
Pacifico, infatti, è che, proprio in relazione all’esecuzione di un ordine demolitorio, la giurisprudenza amministrativa ritiene che al fine di valutare l'incidenza sull'assetto del territorio di un intervento edilizio, consistente in una pluralità di opere, va compiuto un apprezzamento globale, atteso che la considerazione atomistica dei singoli interventi non consente di comprenderne in modo adeguato l'impatto effettivo complessivo. I molteplici interventi eseguiti non vanno considerati, dunque, in maniera “frazionata” (Cons. St., sez. VI, 26/09/2022, n.8238; Cons. St., sez. VI, 08/09/2021, n.6235). In tal senso, non può che convenirsi con l’affermazione dei giudici amministrativi secondo cui “nel verificare l'unitarietà o la pluralità degli interventi edilizi, peraltro, non può tenersi conto del mero profilo strutturale, afferente alle tecniche costruttive del singolo manufatto, ma deve prendersi in esame anche l'elemento funzionale, al fine di verificare se le varie opere, pur strutturalmente separate, siano, tuttavia, strumentali al perseguimento del medesimo scopo pratico, consentendo la realizzazione dell'interesse sostanziale sotteso alla loro realizzazione”. E che “qualora le opere abusive siano tra loro connesse, dando luogo ad un intervento unitario, l'istante è tenuto a scegliere tra l'integrale ripristino dello stato dei luoghi, mediante la demolizione e rimozione di tutte le opere accertate come abusive dall'Amministrazione, ovvero la presentazione dell'istanza di accertamento di conformità riferita al complessivo intervento abusivo, unitariamente considerato, sempre che lo stesso sia conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della sua realizzazione e al momento di presentazione della domanda” (cfr., in tal senso, Cons. St., Sez. VI, 16 marzo 2020 n. 1848). Ciò comporta, ad esempio, quale naturale conseguenza che deve escludersi che al destinatario dell'ordine di demolizione sia consentito selezionare se e quali delle opere rimuovere, stante il principio dell'unitarietà dell'abuso, sanzionato — e dunque da demolire — in ciascuna delle sue componenti: si tratta di una valutazione già operata dall'amministrazione procedente in sede di irrogazione della sanzione e che, ove rimasta incontestata, non può venire surrettiziamente rimessa in gioco in fase esecutiva. Pertanto, l'esecuzione parziale dell'ordinanza di demolizione espone il destinatario alla sanzione pecuniaria prevista per mancata ottemperanza all'ordinanza stessa, non essendo al riguardo possibile distinguere tra parziale e totale inottemperanza (T.A.R. Firenze, Toscana, sez. III, 05/10/2020, n.1136).
2.7. Posto, quindi, che l'ordine di demolizione disposto con sentenza penale irrevocabile rimane eseguibile anche quando ulteriori provvedimenti di identico contenuto relativi al medesimo immobile vengano caducati per la declaratoria di prescrizione del reato, deve concludersi che l’ordine di demolizione conseguente alla sentenza di condanna, pur essendo relativo agli interventi edilizi di completamento dell’abuso “prescritto” per il quale il precedente ordine demolitorio è caducato, deve essere eseguito sull’immobile considerato nella sua interezza.
Deve, quindi, essere affermato il seguente principio di diritto:
«L’ordine di demolizione conseguente alla sentenza di condanna, previsto dall’art. 31, comma 9, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, anche se relativo ad interventi edilizi di prosecuzione e/o di completamento di un precedente abuso edilizio dichiarato estinto per prescrizione ed in relazione al quale il precedente ordine demolitorio era stato revocato, deve comunque essere eseguito sull’immobile considerato nella sua interezza».
3. Facendo, pertanto, applicazione di tale principio al caso in esame, ne discende che l'azione esecutiva fondata sull’ordine demolitorio delle opere abusive, in data 16 ottobre 2006, con sentenza emessa dal Tribunale di Napoli, definitiva in data 4 dicembre 2006, non è preclusa o sospesa solo perché era stato in precedenza revocato l'ulteriore ordine di demolizione sul medesimo manufatto, relativo alle opere preesistenti in relazione alle quali è intervenuta sentenza di proscioglimento per prescrizione del reato.
L’ordine di demolizione, infatti, non va dimenticato, viene pronunciato dal giudice penale in funzione di supplenza rispetto all’autorità amministrativa, rispetto al quale la condanna rappresenta solo l’occasione che consente al giudice penale di pronunciarsi “anche” sull’ordine demolitorio, quale sanzione amministrativa restitutoria da disporsi obbligatoriamente (a meno che non risulti che la demolizione sia già avvenuta, che l'abuso sia stato sanato sotto il profilo urbanistico, che il consiglio comunale abbia deliberato la conservazione delle opere in funzione di interessi pubblici ritenuti prevalenti sugli interessi urbanistici: Sez. 3, n. 43294 del 29/09/2005, Rv. 232645) e da eseguirsi con riferimento all’immobile nella sua interezza, come reso palese dalla stessa consecutio lessicale dell’art. 31, comma 9, d.P.R. n. 380 del 2001 (Per le opere abusive di cui al presente articolo, il giudice, con la sentenza di condanna per il reato di cui all'articolo 44, ordina la demolizione delle opere stesse se ancora non sia stata altrimenti eseguita).
Il motivo di ricorso deve, pertanto, essere respinto.
4. Manifestamente infondata è inoltre la doglianza relativa alla mancata valutazione della proporzionalità dell’ordine demolitorio.
Ed infatti, come, peraltro già affermato da questa Corte, il diritto all'abitazione, riconducibile agli artt. 2 e 3 della Costituzione e all'art. 8 della CEDU, non è tutelato in termini assoluti in sede di esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali, ma esso è oggetto di bilanciamento con altri valori di pari rango costituzionale, come l'ordinato sviluppo del territorio e la salvaguardia dell'ambiente, che giustificano, secondo i criteri della necessità, sufficienza e proporzionalità, l'esecuzione dell'ordine di demolizione di un immobile abusivo, sempre che tale provvedimento si riveli proporzionato rispetto allo scopo che la normativa edilizia intende perseguire, rappresentato dal ripristino dello status preesistente del territorio (Sez. 3, n. 48021 del 11/09/2019, Rv. 277994; Sez. 3, n. 21198 del 15/02/2023, Rv. 284627 – 01). Ciò considerato e rilevato anche che, in tema di reati edilizi, il giudice, nel dare attuazione all'ordine di demolizione di un immobile abusivo adibito ad abituale abitazione di una persona, è tenuto a rispettare il principio di proporzionalità enunciato dalla giurisprudenza della Corte Edu valutando la disponibilità, da parte dell'interessato, di un tempo sufficiente per conseguire, se possibile, la sanatoria dell'immobile o per risolvere, con diligenza, le proprie esigenze abitative, la possibilità di far valere le proprie ragioni dinanzi a un Tribunale indipendente, l'esigenza di evitare l'esecuzione in momenti in cui sarebbero compromessi altri diritti fondamentali, nonché l'eventuale consapevolezza della natura abusiva dell'attività edificatoria (Sez. 3, n. 5822 del 18/01/2022, Rv. 282950 – 01; Sez. 3, n. 423 del 14/12/2020, dep. 2021, Rv. 280270 – 01), ritiene questa Corte che nell'occasione il Giudice della esecuzione si sia ben dato carico di valutare il rispetto dei principi dianzi evocati.
Il Tribunale ha, infatti, posto in luce implicitamente sia la evidente esorbitanza dell'immobile in questione, costituito da un manufatto di due piani fuori terra, composto da due solai di 220 mq. circa, rispetto alle sufficienti esigenze abitative; ha altresì segnalato – in presenza di fattori deponenti per la esistenza di situazioni di bisogno economico/sanitario a carico dei ricorrenti oggetto di bilanciamento -, che nel tempo intercorso fra la avvenuta definitività della sentenza della cui esecuzione oggi si tratta ed il provvedimento con il quale si è disposta autoritativamente tale esecuzione (non potendo, del resto, il condannato lucrare sul tempo inutilmente trascorso dalla data di irrevocabilità della sentenza, posto che l'ingiunzione a demolire trova causa proprio dalla sua inerzia: cfr. Sez. 3, n. 21198 del 15/02/2023, cit.), i ricorrenti non risultano essersi attivati onde risolvere in termini di liceità il proprio problema abitativo, avendo non solo beneficiato di un congruo lasso temporale per individuare altre soluzioni abitative, ma anche facendo leva sulla commissione di contravvenzioni urbanistiche e paesaggistiche e del reato di violazione di sigilli, aggiungendo come gli stessi avrebbero potuto avvalersi di plurimi rimedi per la tutela in giudizio delle proprie ragioni, né essendo state indicate specifiche esigenze tali da giustificare un rinvio dell’esecuzione dell’ordine di demolizione onde evitare la compromissione di altri diritti fondamentali.
Trattasi di motivazione che si conforma del resto alla giurisprudenza di questa Corte (Sez. 3, n. 5822 del 18/01/2022, Rv. 282950, che ha già ritenuto corretta la decisione di rigetto dell'istanza di revoca dell'ingiunzione a demolire un immobile abusivo, rilevando che i ricorrenti avevano commesso numerose contravvenzioni urbanistiche e paesaggistiche e più delitti di violazione dei sigilli, avevano potuto avvalersi di plurimi rimedi per la tutela in giudizio delle proprie ragioni, avevano beneficiato di un congruo tempo per individuare altre situazioni abitative e non avevano indicato specifiche esigenze che giustificassero il rinvio dell'esecuzione dell'ordine di demolizione onde evitare la compromissione di altri diritti fondamentali), dovendosi peraltro rilevare, in armonia con quanto già evidenziato dal PG, l’assoluta genericità dell’istanza “non supportata (quanto a inadeguatezza delle risorse economiche della famiglia genericamente indicata, alla condizione urbanistica dell'area nella quale grava l'immobile abusivo, all'impossibilità di ottenere un alloggio popolare o comunque una sistemazione alternativa) da alcuna concreta allegazione, quantomeno sotto il profilo dei redditi dell'indefinito nucleo familiare, della richiesta di alloggi popolari, della attuale condizione urbanistica dell'area)”.
4.1. A ciò, infine, va aggiunto, come recentemente affermato da questa Corte con sentenza cui il Collegio ritiene di dover dare continuità, che il diritto alla salute, specie a fronte di patologie gravi ed invalidanti, trova attuazione in primo luogo ponendo il malato in un ambiente – non necessariamente ospedaliero - del tutto salubre, edificato ed attrezzato nel pieno rispetto della disciplina di legge, proprio perché questa è volta a garantire anche il benessere di chi abita in quei luoghi, specie se malato. In altri termini, il rispetto della normativa in materia edilizia risponde non solo all’ovvia esigenza di tutelare un bene collettivo, come tale sottratto alla libera ed indiscriminata disponibilità dei singoli, ma anche alla necessità che questi stessi possano usufruire del bene in sicurezza, proprio perché regolarmente edificato, tutelando la propria salute e la propria incolumità – in sintesi, il proprio benessere - anche (e soprattutto) per l’ipotesi di eventi superiori come le calamità naturali (si pensi alla normativa antisismica o a tutela dal rischio idrogeologico) o, per l’appunto, le malattie o situazioni invalidanti che costringano un soggetto a vivere, magari costantemente, all’interno di uno spazio chiuso (Sez. 3, n. 48820 del 2 novembre 2023, F., non massimata).
5. Al rigetto dei ricorsi segue ex lege la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, il 14 dicembre 2023