Cass. Sez. III n. 871 del 10 gennaio 2024 (CC 14 dic 2023)
Pres. Ramacci Rel. Scarcella Ric. Rongo
Urbanistica.La demolizione riguarda il manufatto intero non rilevando la revoca per prescrizione riferita a porzioni di edificio 

L'ordine di demolizione del manufatto abusivo, previsto dall'art. 31, comma nono, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, riguarda l'edificio nel suo complesso, comprensivo di eventuali aggiunte o modifiche successive all'esercizio dell'azione penale e/o alla condanna, atteso che l'obbligo di demolizione si configura come un dovere di "restitutio in integrum" dello stato dei luoghi e, come tale, non può non avere ad oggetto sia il manufatto abusivo originariamente contestato, sia le opere accessorie e complementari nonché le superfetazioni successive, sulle quali si riversa il carattere abusivo dell'originaria costruzione. Né rileva la circostanza che, medio tempore, sia stata disposta la revoca dell’ordine demolitorio per una porzione dell’immobile abusivo, a seguito dell’intervenuta declaratoria della prescrizione. 


RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 9 gennaio 2023, il Tribunale di Napoli ha respinto l’istanza proposta in data 8 marzo 2019 da Rongo Pasquale, Prisco Lucia e Prisco Anna avverso le ingiunzioni a demolire disposte dal PM di Napoli relative all’esecuzione dell’ordine di demolizione disposto con sentenza del Tribunale di Napoli del 7 dicembre 2006, irr. 12 marzo 2007, per il Rongo e la Prisco Anna, ed il 6 aprile 2007, per Prisco Lucia, istanza volta alla revoca e/o sospensione dell’ordine di demolizione, attinente alla costruzione da parte dei ricorrenti di un corpo di fabbrica interamente abusivo di mq. 110, accertato il 12 febbraio 2005, costituito da un piano terra formato da un unico locale e da un primo e un secondo piano fuori terra, suddivisi in due ambienti di mq. 35. 

2. Avverso l’ordinanza impugnata nel presente procedimento, i predetti propongono ricorso per cassazione tramite il comune difensore, deducendo due motivi, di seguito sommariamente indicati. 

2.1. Deducono, con il primo motivo, il vizio di violazione di legge ed il correlato vizio di motivazione contraddittoria o carente.
In sintesi, si duole la difesa per essere stata carente e superficiale l’istruttoria svolta dal giudice dell’esecuzione, avendo il giudice ritenuto che la demolizione possa ricomprendere anche le opere realizzate fino al 29 aprile 2006. Operato un sintetico excursus cronologico, la difesa rileva che, con decreto penale di condanna, veniva definito il procedimento relativamente alle opere eseguite fino a tutto il febbraio 2005, opere che riguardavano l’inizio dei lavori al piano terra, mentre le realizzazione di altri due livelli sovrastanti il piano terra, costituenti il primo ed il secondo piano mediante una cassa scala comune al centro sarebbe avvenuta successivamente, opere per le quali i ricorrenti hanno subito altri processi con conseguenti condanne che hanno riguardato la demolizione delle porzioni immobiliari sovrastanti il piano terra. Rileva, ancora, la difesa che, con sentenza della Corte d’appello di Napoli, era stata dichiarata la prescrizione dei reati di cui alla sentenza di condanna del 25 gennaio 2010, riguardante le opere sovrastanti, con conseguente revoca dell’ordine demolitorio relativo alle opere oggetto della sentenza in questione, e disposto il dissequestro del manufatto e la restituzione all’avente diritto. Prosegue la difesa evidenziando come solo in data 8 ottobre 2016 la polizia municipale aveva notificato ai ricorrenti il provvedimento di dissequestro e di revoca della demolizione, precisando nel verbale che lo stesso era relativo alle opere accertate fino alla data del 29 aprile 2006, mentre le opere poste sotto sequestro giudiziario in data 7.08.2008, ossia il manufatto di mq. 50 al grezzo ed al vento sul solaio di copertura del fabbricato, avevano subito un’evoluzione dei lavori e il completamento delle opere, motivo per cui si era redatta un’annotazione a parte. In altri termini, secondo la difesa, quanto emergente da tale verbale confermerebbe che la revoca dell’ordine di demolizione non potrebbe che riguardare tutte le opere realizzate alla data del 29.04.2006, e quindi anche quelle oggetto del decreto penale di condanna 18.01.2005, irr. 8.04.2005, non potendo pertanto la demolizione più interessare la porzione immobiliare che si sviluppa dal piano terra fino al secondo piano e che, semmai, ove ordinata, dovrebbe interessare solo le opere poste all’ultimo piano. 
Dunque, si duole la difesa dei ricorrenti in quanto il giudice dell’esecuzione non avrebbe accertato con precisione quali interventi di demolizione avrebbero riguardato le opere realizzate dai ricorrenti, sicché questi ultimi correrebbero il rischio di dover demolire porzioni di un fabbricato che non sono oggetto di un ordine di demolizione ovvero lo sono, ma la loro difficile se non impossibile individuazione renderebbe certamente gravoso il compito di determinarne l’entità. L’esecuzione dell’ordine demolitorio potrebbe portare alla paradossale situazione in cui la demolizione riguarderebbe anche la porzione di fabbricato al piano terra, con l’inevitabile demolizione anche delle porzioni soprastanti per le quali la demolizione ha formato oggetto di revoca. E, sul punto, si sostiene che difetterebbe la c.t.u., in quanto l’esecuzione dell’ordine demolitorio travolgerebbe inevitabilmente anche gli immobili soprastanti e aderenti alle porzioni di fabbricato interessate dall’ordine demolitorio in ragione delle vibrazioni e sollecitazioni su tutta la struttura che la demolizione dei piani soprastanti comporterebbe inevitabilmente. Ineseguibile giuridicamente sarebbe l’ordine demolitorio, in quanto la sua eventuale esecuzione si estenderebbe alle restanti porzioni di fabbricato, così travolgendo il provvedimento di revoca dell’altro ordine di demolizione contenuto nella sentenza della Corte d’appello di Napoli, rendendolo privo di efficacia. Diversamente, secondo la giurisprudenza, il giudice penale non potrebbe disporre la demolizione di un piano non autorizzato e di un piano regolarizzato qualora non possa procedersi alla demolizione dell’unico senza intaccare necessariamente l’altro, richiamando giurisprudenza di questa Corte, in particolare, Cass. n. 10025/1997. Conclusivamente, le ingiunzioni a demolire non recherebbero menzione delle opere da demolire sicché non sarebbe dato comprendere quali siano i beni oggetto della demolizione. 

2.2. Deducono, con il secondo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione all’art. 2 Cost. e violazione del principio di proporzionalità ex art. 8 CEDU.
In sintesi, si censura ulteriormente l’ordinanza impugnata per non aver tenuto conto della necessità di rispettare il principio di proporzionalità come interpretato dalla giurisprudenza sovranazionale con le sentenze rese nei casi Ivanova e Cherkezov c. Bulgaria in data 21 aprile 2016 e Kaminskas c. Lituania in data 4 agosto 2020. Il giudice dell’esecuzione non avrebbe tenuto conto del fatto che l’immobile rappresenta l’unica dimora dei ricorrenti che, in caso di demolizione, non disporrebbero di altro luogo da adibire ad abitazione del proprio nucleo familiare, né il giudice dell’esecuzione avrebbe valutato le condizioni economiche e personali dei ricorrenti, circostanza ancor più rilevante alla luce dell’ampio tempo trascorso dall’esecuzione delle opere.

3. Il Procuratore Generale presso questa Corte, con requisitoria scritta del 23 novembre 2023, ha chiesto dichiararsi inammissibile il congiunto ricorso.
Secondo il PG, le censure non hanno pregio. Quanto alla prima, il provvedimento impugnato ha evidenziato che: i ricorrenti hanno realizzato un corpo di fabbrica interamente abusivo costituito da un piano terra e due piani superiori; per questo fatto i ricorrenti sono stati condannati con sentenza definitiva; successivamente, il manufatto abusivo è stato interessato da due ulteriori accertamenti dei quali emergeva la prosecuzione dei lavori; ne è conseguita una seconda sentenza di condanna passata in giudicato. Tanto considerato, il giudice dell’esecuzione ha rilevato che la lamentata ineseguibilità tecnica non è elemento ostativo della demolizione perché è l’intera opera realizzata che è stata accertata come abusiva con decisione definitiva. Quanto alla seconda doglianza, occorre ricordare l’esegesi di legittimità a tenore della quale “in tema di reati edilizi, l'Autorità giudiziaria, nel dare esecuzione all'ordine di demolizione di un immobile abusivo costituente l'unica abitazione familiare, è tenuta a rispettare il principio di proporzionalità enunciato dalla giurisprudenza convenzionale nelle sentenze della Corte EDU, 21/04/2016, Ivanova e Cherkezov c. Bulgaria, e della Corte EDU, 04/08/2020, Kaminskas c. Lituania, a condizione che chi intenda avvalersene si faccia carico di allegare, in modo puntuale, i fatti addotti a sostegno del suo rispetto. Fatti che, ove allegati dall'autore dell'abuso, non possono dipendere dalla sua inerzia ovvero dalla volontà sua o del destinatario dell'ordine, non potendo il condannato lucrare sul tempo inutilmente trascorso dalla data di irrevocabilità della sentenza, posto che l'ingiunzione a demolire trova causa proprio dalla sua inerzia. I ricorrenti si sono limitati, in questa sede per la prima volta, ad affermare che quella da demolire è la loro unica abitazione. 

4. L’Avv. Mario Reffo, nell’interesse dei ricorrenti, ha fatto pervenire in data 7 dicembre 2023 memoria difensiva con cui ha chiesto accogliersi il ricorso e annullarsi l’ordinanza impugnata ovvero rimettersi la causa innanzi al Tribunale di Napoli per una più approfondita disamina della questione anche attraverso la nomina di un C.T.U. affinché allo stesso esperto venga affidato l’incarico di accertare ed individuare le opere oggetto della demolizione da quelle oggetto della revoca della demolizione, con ogni conseguenziale statuizione di legge.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi, trattati cartolarmente a norma dell’art. 611, cod. proc. pen., sono inammissibili. 

2. Il primo motivo è generico per aspecificità e manifestamente infondato. 

2.1. È anzitutto, generico in quanto non si confronta con il contenuto del provvedimento impugnato che ha esaminato, con motivazione immune dai denunciati vizi, l’identica doglianza sviluppata in sede di incidente di esecuzione, riproposta in questa sede di legittimità senza alcun apprezzabile elemento di novità critica. Il giudice dell’esecuzione, in particolare, ha chiarito come l’ordine demolitorio, oggetto dell’incidente di esecuzione, attiene alla costruzione da parte dei ricorrenti di un corpo di fabbrica interamente abusivo di mq. 110, accertato il 12 febbraio 2005 e costituito da un piano terra formato da un unico locale e da un primo e un secondo piano fuori terra suddivisi rispettivamente in due ambienti di 35 mq. Per tali opere i ricorrenti sono stati condannati con sentenza definitiva (sentenza del Tribunale di Napoli del 7 dicembre 2006, irr. 12 marzo 2007, per il Rongo e la Prisco Anna, ed il 6 aprile 2007, per Prisco Lucia) con conseguente irrogazione della pena ed imposizione dell'ordine di demolizione del manufatto abusivo. Rileva il giudice dell’esecuzione come, dalla lettura dell'acquisita sentenza pronunciata dal giudice monocratico del Tribunale di Napoli il 17 febbraio 2009 (sentenza n. 2451/09, n. 12848/2008 R.G. Trib.) si apprende che il manufatto abusivo era interessato da due ulteriori accertamenti di p.g., rispettivamente nelle date del 28 aprile 2006 e del 7 agosto 2008. In occasione di quest'ultimo accertamento, oggetto dell'ultima sentenza appena richiamata, si dava atto della prosecuzione dei lavori, sia rispetto a quelli inizialmente accertati il 12 febbraio 2005, sia rispetto ai lavori oggetto del sequestro del 28 aprile 2006. L'immobile abusivo, infatti, si presentava con un primo piano accessibile da una scala esterna, composto da due appartamenti di 3 vani e doppi servizi, sviluppati su due livelli (primo e secondo piano), e con la realizzazione al rustico, sul solaio di copertura, di un ulteriore manufatto di circa 50 mq. Anche questa seconda sentenza di condanna, precisa il giudice dell’esecuzione, veniva confermata dalla Corte di Appello di Napoli il 22 aprile 2013, con passaggio in giudicato della sentenza in data 24 ottobre 2013. La pena irrogata con la condanna, si legge nella sentenza, veniva condizionalmente sospesa, subordinando tuttavia il beneficio alla demolizione delle opere abusive nel termine di sei mesi dalla data di irrevocabilità. 

2.2. Orbene, osserva il giudice dell’esecuzione nell’ordinanza impugnata come la ricostruzione della vicenda incidentale rendeva evidente l'infondatezza della richiesta di revoca dell'ordine di demolizione del manufatto abusivo. 
A tal proposito, premesso quanto già osservato da questa Corte circa la sterile ripetitività delle ragioni di doglianza già svolte in sede di incidente di esecuzione (fondando la difesa la richiesta di revoca dell'ordine di demolizione sulla non eseguibilità tecnico-materiale e giuridica dell'ordine di demolizione, poiché lo stesso conseguirebbe alla sentenza di condanna avente ad oggetto il solo piano terra, mentre i piani superiori non sarebbero oggetto delle tre distinte procedure RESA oggetto dell'incidente di esecuzione; ulteriore fondamento tale prospettazione trarrebbe nella sentenza di non doversi procedere per prescrizione di cui alla Corte d'Appello n. 3236/2014 con la quale, limitatamente ai fatti oggetto di quel procedimento, relativi sempre alla prosecuzione di lavori abusivi sull'immobile in questione, veniva disposta la restituzione dei beni all'avente diritto e dal successivo verbale di restituzione della polizia municipale nel quale si rappresentava che il dissequestro era "riferito alle opere accertate fino alla data del 29.04.2006", verbale della polizia municipale che, secondo la prospettazione difensiva, rappresenterebbe una sorta di "interpretazione autentica" dell'intera vicenda giudiziaria che ha interessato quell'immobile e confermerebbe l'illegittimità dell'ordine di demolizione di cui alla RESA in commento), il giudice dell’esecuzione con argomentazioni non manifestamente illogiche e frutto di apprezzamenti di merito non sindacabili da questa Corte, ha invece disatteso tale prospettazione difensiva, evidenziando invece come non solo dalla sentenza oggetto di incidente di esecuzione, in relazione ai fatti accertati nel febbraio del 2005, ma già dal primo decreto penale di condanna dal quale scaturiva la RESA n. 581/2005, oggetto dell'accertamento era la realizzazione abusiva sia del piano terra che dei due piani superiori. Le sentenze di condanna successive, come quella di prescrizione, puntualizza il giudice dell’esecuzione, sono infatti relative agli stati di avanzamento dei lavori ed oggetto delle ulteriori procedure RESA. Tanto si ricava agevolmente, chiarisce il giudice dell’esecuzione, dalla lettura dei capi di imputazione delle statuizioni di condanna passate in giudicato, sopra richiamate, i cui fatti in esse descritti hanno trovato conferma giudiziale definitiva. La lamentata ineseguibilità tecnica è, pertanto, per il giudice dell’esecuzione, priva di pregio, poiché è l'intera opera realizzata che è stata accertata come abusiva con accertamento giudiziale passato in giudicato. Alcun rilievo assume, in tal senso, prosegue ancora il giudice dell’esecuzione, la circostanza che tra le due sentenze irrevocabili di condanna sopra indicate (a) sentenza del Giudice monocratico di Napoli n. 9331/2006 del 7-18/12/2006, divenuta irrevocabile il 12.3.2007; b) sentenza della Corte di Appello di Napoli del 22/4/2013, passata in cosa giudicata in data 24/10/2013) vi sia stata una pronuncia di non doversi procedere per intervenuta prescrizione, avente ad oggetto una frazione di prosecuzione dei lavori abusivi realizzati sull'immobile. Sul punto, chiarisce il giudice dell’esecuzione con motivazione incensurabile in questa sede, è evidente che il mancato ordine di demolizione dovuto alla prescrizione dei reati per condotte storicamente poste in essere tra il primo accertamento del 12/2/2005 e quello del 3/8/2008 non spiega alcun effetto sulla necessità di esecuzione degli ordini di demolizione conseguenti ai due giudicati di condanna, non potendo sul punto il verbale di dissequestro dei vigili urbani assumere alcuna valenza giuridica, donde non è pertanto revocabile in dubbio l'esecutività dell'ordine di demolizione disposto con la sentenza di condanna. 

2.3. Al cospetto di tale apparato argomentativo, le doglianze dei ricorrenti appaiono del tutto prive di pregio, in quanto tradiscono il "dissenso" sulla ricostruzione dei fatti e sulla valutazione delle emergenze processuali svolta dal giudice dell’esecuzione, quale giudice di merito, attingendo l’ordinanza impugnata e tacciandola per presunte violazioni di legge e per vizi motivazionali con cui, in realtà, si propongono doglianze non suscettibili di sindacato in sede di legittimità. La Corte di cassazione, infatti, non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se tale giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (Sez. 5, n. 1004 del 30/11/1999, dep. 2000, Rv. 215745; Sez. U, n. 930 del 13/12/1995, dep. 1996, Clarke, Rv. 203428 – 01). 

2.4. La prospettazione difensiva è, poi, manifestamente infondata perché collide con la giurisprudenza di questa Corte la quale ha già avuto modi di pronunciarsi più volte sull’argomento evidenziando come l'ordine di demolizione del manufatto abusivo, previsto dall'art. 31, comma nono, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, riguarda l'edificio nel suo complesso, comprensivo di eventuali aggiunte o modifiche successive all'esercizio dell'azione penale e/o alla condanna, atteso che l'obbligo di demolizione si configura come un dovere di "restitutio in integrum" dello stato dei luoghi e, come tale, non può non avere ad oggetto sia il manufatto abusivo originariamente contestato, sia le opere accessorie e complementari nonché le superfetazioni successive, sulle quali si riversa il carattere abusivo dell'originaria costruzione (In applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto che correttamente la Corte territoriale, in funzione di giudice dell'esecuzione, avesse respinto la richiesta, formulata dal proprietario del piano primo di un edificio, di revoca o modifica dell'ordine di demolizione del piano terreno, disposto con sentenza nei confronti del responsabile dell'abuso: Sez. 3, n. 6049 del 27/09/2016, dep.  2017, Rv. 268831 – 01). 
Né rileva la circostanza che, medio tempore, fosse stata disposta la revoca dell’ordine demolitorio per una porzione dell’immobile abusivo, a seguito dell’intervenuta declaratoria della prescrizione, essendosi infatti già affermato che è legittimo l'ordine di demolizione dell'intero manufatto, anche se per alcune opere meramente complementari (nella specie, casseformi armate dirette alla sopraelevazione) era in precedenza intervenuta revoca dell'ordine di demolizione, conseguente a declaratoria di estinzione del reato per prescrizione (Sez. 3, ord. n. 38947 del 09/07/2013, Rv. 256431 – 01). 
Questa Corte ha già avuto modo di affermare che la demolizione ordinata dal giudice non riguarda soltanto l'immobile oggetto del procedimento che ha dato vita al titolo esecutivo, ma anche ogni altro intervento eseguito successivamente che, per la sua accessorietà all'opera abusiva, renda ineseguibile l'ordine medesimo, non potendo consentirsi che un qualunque intervento additivo, abusivamente realizzato, possa in qualche modo ostacolare l'integrale attuazione dell'ordine giudiziale di demolizione dell'opera cui accede e, quindi, impedire la completa restitutio in integrum dello stato dei luoghi disposta dal giudice con sentenza definitiva, poiché, se così non fosse, si finirebbe per incentivare le più diverse forme di abusivismo, funzionali ad impedire o a ritardare a tempo indefinito la demolizione di opere in precedenza illegalmente realizzate (così Sez. 3, n. 2872 del 11/12/2008, dep. 2009, Rv. 242163; Sez. 3, n. 13649 del 20/02/2002, Rv. 221449 – 01; Sez. 3, n. 10248 del 18/01/2001, Rv. 218961 – 01). 

3. Anche il secondo motivo è inammissibile.
Ed invero, tale doglianza non risulta essere stata dedotta nella precedente fase esecutiva di merito, essendo stata per la prima volta proposta in sede di legittimità. In sede di legittimità, invero, non si può sostenere manchevolezza di motivazione in ordine alle questioni non espressamente risolte perché non specificamente devolute, dal momento che, per ritenerle decisive, è necessaria una verifica degli atti. Postulandola, non si richiede al Giudice di diritto di censurare la motivazione, ma di completarla, o di operarne una sostitutiva, la qual cosa è inammissibile, essendo precluso in sede di legittimità l'esame di questioni delle quali il giudice non era stato investito (v., per un’applicazione, Sez. 5, n. 3560 del 10/12/2013, dep. 2014, Rv. 258553 – 01). 

3.1. In ogni caso, se ne rileva da un lato l’assoluta genericità per aspecificità, trattandosi di motivo non supportato (quanto a inadeguatezza delle risorse economiche della famiglia genericamente indicata, alla condizione urbanistica dell'area nella quale grava l'immobile abusivo, all'impossibilità di ottenere un alloggio popolare o comunque una sistemazione alternativa) da alcuna concreta allegazione, quantomeno sotto il profilo dei redditi dell'indefinito nucleo familiare, della richiesta di alloggi popolari, della attuale condizione urbanistica dell'area. 
Dall’altro, emerge peraltro con nettezza la evidente esorbitanza dell'immobile in questione, costituito da un primo piano accessibile da una scala esterna, composto da due appartamenti di 3 vani e doppi servizi, sviluppati su due livelli (primo e secondo piano), e con la realizzazione al rustico, sul solaio di copertura, di un ulteriore manufatto di circa 50 mq., rispetto alle sufficienti esigenze abitative; inoltre, pur in presenza degli invocati fattori deponenti per la esistenza di situazioni di bisogno economico/sanitario a carico dei ricorrenti oggetto di bilanciamento, corre l’obbligo di osservare che nel tempo intercorso fra la avvenuta definitività della sentenza della cui esecuzione oggi si tratta ed il provvedimento con il quale si è disposta autoritativamente tale esecuzione (non potendo, del resto, il condannato lucrare sul tempo inutilmente trascorso dalla data di irrevocabilità della sentenza, posto che l'ingiunzione a demolire trova causa proprio dalla sua inerzia: cfr. Sez. 3, n. 21198 del 15/02/2023, cit.), i  ricorrenti non risultano essersi attivati onde risolvere in termini di liceità il proprio problema abitativo, avendo non solo beneficiato di un congruo lasso temporale per individuare altre soluzioni abitative, ma anche essendosi limitati a presentare una duplice domanda di condono, non ancora evasa, che il giudice dell’esecuzione ha correttamente ritenuto irrilevante, atteso il mancato rispetto del termine perentorio per l'accoglimento dell'istanza, emergendo dagli atti in modo inequivocabile che i lavori sono proseguiti negli anni successivi addirittura fino al 2008, donde le opere non sono state ultimate entro il 31.03.2003. E, correttamente, sul punto, il giudice dell’esecuzione ha evidenziato che il principio dell'affidamento è invocabile solo quando sia incolpevole, laddove, nel caso in esame, la situazione di fatto e di diritto oggetto dell'invocato affidamento è stata ingenerata dal comportamento doloso della parte che ha commesso nel corso degli anni plurimi illeciti penali aventi ad oggetto il medesimo immobile.

4. I ricorsi devono essere pertanto dichiarati inammissibili, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3000 ciascuno in favore della Cassa delle Ammende, non potendosi escludere profili di colpa nella proposizione. 

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. 
Così deciso, il 14 dicembre 2023