Cass. Sez. III n. 21198 del 18 maggio 2023 (CC 15 feb 2023)
Pres. Ramacci Rel. Aceto Ric. Esposito
Urbanistica.Ordine di demolizione e principio di proporzionalità

Il principio di proporzionalità presuppone la cogenza dell’ordine di demolizione dell’opera abusivamente realizzata e la sua inderogabile funzione ripristinatoria di un “ordine urbanistico” tuttora violato, non potendo essere utilizzato per eludere tale funzione con il rischio di legittimare ‘ex post’, nei fatti, condotte costituenti reato e di consolidarne il relativo prodotto/profitto. Il principio di proporzionalità si frappone all’esecuzione dell’ordine di demolizione per ragioni estranee alla adozione dell’ordine stesso; esso non incide nella fase deliberativa dell’ordine, bensì in quella esecutiva. Per questo i fatti addotti a sostegno del rispetto del principio di proporzionalità devono essere allegati (e accertati) in modo rigoroso, dovendosene far carico (quantomeno sul piano dell’allegazione) chi intende avvalersene per paralizzare il ripristino di un ordine violato, tanto più se si stratta dello stesso autore dell’abuso. Né tali fatti possono dipendere dall’inerzia o dalla volontà dell’autore dell’abuso o del destinatario dell’ordine. Va, al riguardo, ricordato (e sottolineato) che l’ordine di demolizione ingiunto dal pubblico ministero costituisce esecuzione (provvisoriamente a spese della collettività) dell’ordine già irrevocabilmente impartito dal giudice con sentenza pronunciata all’esito di un giusto processo svolto nel contraddittorio tra le parti. Il condannato non può “lucrare” sul tempo inutilmente trascorso dalla data di irrevocabilità della sentenza perché l’ingiunzione del pubblico ministero è causata proprio dalla sua inerzia, né può successivamente invocare il principio di proporzionalità allegando (colpevoli) inerzie o fatti da lui stesso posti in essere nella piena consapevolezza della natura abusiva dell’immobile, della precarietà della propria situazione abitativa, della persistente violazione dell’ordine.  In altri termini: il principio di proporzionalità non può essere indiscriminatamente e genericamente dedotto e utilizzato per legittimare la violazione dell’ordine di demolizione irrevocabilmente impartito dal giudice, poiché a tanto si arriverebbe opponendo sempre e comunque la violazione del domicilio.


RITENUTO IN FATTO

        1. Il sig. Vincenzo Esposito ricorre per l’annullamento dell’ordinanza dell’8/09/2022 della Corte di appello di Napoli che ha rigettato la richiesta di revoca e/o sospensione dell’ingiunzione di demolizione emessa dal Pubblico Ministero in esecuzione della sentenza del 15/11/2001 della medesima Corte di appello che aveva irrevocabilmente condannato l’Esposito per aver abusivamente realizzato le opere edilizie meglio indicate nella sentenza stessa (realizzazione, all’interno di un manufatto preesistente, di un solaio intermedio, ricavandone un secondo piano; realizzazione di un secondo corpo di fabbrica a due livelli nel lato sud del fabbricato in ampliamento con realizzazione di una scala di cemento).  
            1.1. Con il primo motivo deduce l’inosservanza degli artt. 6 e 8, Conv. E.D.U., e il vizio di motivazione in ordine alla valutazione del criterio di proporzionalità della demolizione rispetto agli altri interessi in gioco.
Richiamata la giurisprudenza della Corte E.D.U. e della Corte di cassazione, lamenta l’assenza di un sindacato effettivo sulla proporzionalità della misura della demolizione dell’unica casa posseduta, destinata ad abitazione familiare. E’ mancato, lamenta, il cd. “test di proporzionalità” che avrebbe dovuto essere effettuato in base agli indici richiamati, senza pretesa di completezza, dalla sentenza della Corte EDU, Ivanova e Cherkezov c. Bulgaria, del 21/04/2016 (natura e gravità della violazione della norma urbanistica in questione, precisa natura dell’interesse protetto con la demolizione, disponibilità di un adeguata sistemazione alternativa, possibilità di adottare misure meno invasive).
La Corte di appello, prosegue, ha omesso di esaminare la documentazione prodotta per dimostrare le condizioni socio-economiche della famiglia (monoreddito da pensione di vecchiaia, con nipote a carico) e la documentazione medica di tutti gli occupanti. In particolare, la Corte territoriale non ha valutato: a) la natura della gravità della violazione urbanistica; b) la volumetria dell’abuso; c) il permesso di costruire in sanatoria rilasciato e poi annullato in autotutela; d) la certificazione medica attestante le gravissime condizioni di salute del nucleo familiare, in particolare della nipote affidataria affetta da gravi (e documentate) patologie psichiatriche; e) il fatto che la demolizione determinerebbe la distruzione dell'unica sede della propria vita familiare e dei relativi affetti; f) la dichiarazione dei redditi del nucleo familiare; g) la richiesta di alloggio popolare.
            1.2. Con il secondo motivo deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine al rigetto del secondo motivo proposto a sostegno della richiesta di revoca/sospensione dell’ordine di demolizione e relativo alla impossibilità tecnica di eseguire la demolizione del solaio intermedio, alla controversia sul titolo e alle modalità della sua esecuzione. Deduce, in particolare, il travisamento del fatto e della prova e il difetto assoluto di motivazione.
Premette che secondo il CT della Procura generale, è possibile demolire il solaio intermedio purché non vengano rimosse le travi di bordo onde consentire l’irrigidimento e il consolidamento delle vecchie murature da rimanere “in situ”; secondo il CT della difesa, invece, la demolizione del solaio comprometterebbe comunque la staticità dell’intero edificio perché privo delle travi di bordo.
Orbene, conclude, la Corte di appello ha travisato i fatti perché non erano in discussione le modalità della materiale esecuzione della demolizione quanto l’esistenza delle travi di bordo che il CT della Procura generale aveva ritenuto esistenti sulla scorta del solo esame documentale degli atti e senza aver effettuato alcun sopralluogo.


CONSIDERATO IN DIRITTO

        2. Il ricorso è inammissibile.

        3. Secondo l’insegnamento della Corte di cassazione, in tema di reati edilizi, il giudice, nel dare attuazione all'ordine di demolizione di un immobile abusivo adibito ad abituale abitazione di una persona è tenuto a rispettare il principio di proporzionalità come elaborato dalla giurisprudenza convenzionale nelle sentenze Corte EDU, 21/04/2016, Ivanova e Cherkezov c. Bulgaria, e Corte EDU, 04/08/2020, Kaminskas c. Lituania, considerando l'esigenza di garantire il rispetto della vita privata e familiare e del domicilio, di cui all'art. 8 della Convenzione EDU, e valutando, nel contempo, la eventuale consapevolezza della violazione della legge da parte dell'interessato, per non incoraggiare azioni illegali in contrasto con la protezione dell'ambiente, nonché i tempi a disposizione del medesimo, dopo l'irrevocabilità della sentenza di condanna, per conseguire, se possibile, la sanatoria dell'immobile ovvero per risolvere le proprie esigenze abitative (così Sez. 3, n. 423 del 14/12/2020, dep. 2021, Rv. 280270 - 01; nello stesso senso, Sez. 3, n. 48021 dell’11/09/2019, Rv. 277994 - 01, secondo cui il diritto all'abitazione, riconducibile agli artt. 2 e 3 Cost. e all'art. 8 CEDU, non è tutelato in termini assoluti, ma è contemperato con altri valori di pari rango costituzionale, come l'ordinato sviluppo del territorio e la salvaguardia dell'ambiente, che giustificano, secondo i criteri della necessità, sufficienza e proporzionalità, l'esecuzione dell'ordine di demolizione di un immobile abusivo, sempre che tale provvedimento si riveli proporzionato rispetto allo scopo che la normativa edilizia intende perseguire, rappresentato dal ripristino dello status preesistente del territorio).
            3.1. E’ stato precisato che il giudice, nel dare attuazione all'ordine di demolizione di un immobile abusivo adibito ad abituale abitazione di una persona, deve valutare la disponibilità, da parte dell'interessato, di un tempo sufficiente per conseguire, se possibile, la sanatoria dell'immobile o per risolvere, con diligenza, le proprie esigenze abitative, la possibilità di far valere le proprie ragioni dinanzi a un tribunale indipendente, l'esigenza di evitare l'esecuzione in momenti in cui sarebbero compromessi altri diritti fondamentali, come quello dei minori a frequentare la scuola, nonché l'eventuale consapevolezza della natura abusiva dell'attività edificatoria (Sez. 3, n. 5822 del 18/01/2022, D’Auria, Rv. 282950 - 01, che ha ritenuto corretta la decisione di rigetto dell'istanza di revoca dell'ingiunzione a demolire un immobile abusivo, rilevando che i ricorrenti avevano commesso numerose contravvenzioni urbanistiche e paesaggistiche e più delitti di violazione dei sigilli, avevano potuto avvalersi di plurimi rimedi per la tutela in giudizio delle proprie ragioni, avevano beneficiato di un congruo tempo per individuare altre situazioni abitative e non avevano indicato specifiche esigenze che giustificassero il rinvio dell'esecuzione dell'ordine di demolizione onde evitare la compromissione di altri diritti fondamentali; nello stesso senso, Sez. 3, n. 423 del 14/12/2020, dep. 2021, Leoni, Rv. 280270 - 01).
            3.2. Come spiegato in motivazione dalla citata Sez. 3, D’Auria, «[a]i fini della valutazione del rispetto del principio di proporzionalità, la Corte EDU ha (…) valorizzato essenzialmente: la possibilità di far valere le proprie ragioni davanti ad un tribunale indipendente; la disponibilità di un tempo sufficiente per "legalizzare" la situazione, se giuridicamente possibile, o per trovare un'altra soluzione alle proprie esigenze abitative agendo con diligenza; l'esigenza di evitare l'esecuzione in momenti in cui verrebbero compromessi altri diritti fondamentali, come quello dei minori a frequentare la scuola. Inoltre, ai medesimi fini, un ruolo estremamente rilevante è stato attribuito alla consapevolezza della illegalità della costruzione da parte degli interessati al momento dell'edificazione ed alla natura ed al grado della illegalità realizzata (…) La maggior parte delle decisioni di legittimità ha ritenuto rispettato il principio di proporzionalità valorizzando il tempo a disposizione del destinatario dell'ordine di demolizione per «cercare una soluzione alternativa» (così Sez. 3, n. 48021 del 11/09/2019, Giordano, Rv. 277994-01, e Sez. 3, n. 24882 del 26/04/2018, Ferrante, Rv. 273368-01, la quale ha escluso rilievo a situazioni di salute «solo "cagionevole"») o la gravità delle violazioni (cfr. Sez. 3, n. 43608 del 08/10/2021, Giacchini, che ha valorizzato le dimensioni del fabbricato e la violazione di più disposizioni penali, anche in tema di paesaggio, conglomerato cementizio e disciplina antisismica), o entrambe le circostanze (Sez. 3, n. 35835 del 03/11/2020, Santoro ed altro, non massimata)».
            3.3. Non va peraltro dimenticato che, come ben ricordato anche dalla Corte di appello, l'esecuzione dell'ordine di demolizione di un immobile abusivo non contrasta con il diritto al rispetto della vita privata e familiare e del domicilio di cui all'art. 8 Conv. EDU, posto che, non essendo desumibile da tale norma la sussistenza di alcun diritto "assoluto" ad occupare un immobile, anche se abusivo, solo perché casa familiare, il predetto ordine non viola in astratto il diritto individuale a vivere nel proprio legittimo domicilio, ma afferma in concreto il diritto della collettività a rimuovere la lesione di un bene o interesse costituzionalmente tutelato ed a ripristinare l'equilibrio urbanistico-edilizio violato (Sez. 3, n. 24882 del 26/04/2018, Ferrante, Rv. 273368 - 01; Sez. 3, n. 18949 del 10/0372016, Contadini, 267024; Sez. 3, n. 3704 del 09/11/2022, dep. 2023, n.m.; Sez 3, n. 1668 del 29/09/2022, n.m.).
            3.4. Del resto, l'ordine di demolizione del manufatto abusivo disposto con la sentenza di condanna ha natura di sanzione amministrativa che assolve ad una funzione ripristinatoria del bene leso, non ha dunque finalità punitive ed ha carattere reale, con effetti sul soggetto che si trova in rapporto con il bene, anche se non è l'autore dell'abuso, con la conseguenza che non può ricondursi alla nozione convenzionale di "pena" nel senso elaborato dalla giurisprudenza della Corte EDU e non è soggetto a prescrizione (Sez. 3, n. 3979 del 21/09/2018, dep. 2019, Rv. 275850 - 02; Sez. 3, n. 41475 del 03/05/2016, Rv. 267977 - 01; Sez. 3, n. 49331 del 10/11/2015, Rv. 265540 - 01; Sez. 3, n. 36387 del 07/07/2015, Rv. 264736 - 01; Sez. 3, n. 19742 del 14/04/2011, Rv. 250336 - 01). Come diffusamente spiegato da Sez. 3, n. 49331 del 10/11/2015, Delorier, Rv. 265540, già con la sentenza Sez. 3, n. 48925 del 22/10/2009, Viesti e altri, Rv. 245918, questa Corte, in base alle argomentazioni sviluppate dalla stessa Corte e.d.u. (in essa richiamate), aveva chiaramente affermato che la demolizione, a differenza della confisca, non può considerarsi una «pena» nemmeno ai sensi dell'art. 7 della CEDU, perché «essa tende alla riparazione effettiva di un danno e non è rivolta nella sua essenza a punire per impedire la reiterazione di trasgressioni a prescrizioni stabilite dalla legge».
            3.5. Né rileva l’affidamento che il titolare del bene da demolire possa fare sull’inerzia della AG: il decorso del tempo, lungi dal radicare in qualche misura la posizione giuridica dell’interessato, rafforza piuttosto il carattere abusivo dell’intervento (Cons. St., Ad. Plen., n. 9 del 17/10/2017).
            3.6. Per queste ragioni, l'ordine demolitorio, diversamente dalla pena, non si estingue per morte del reo sopravvenuta alla irrevocabilità della sentenza (Sez. 3, n. 3861 del 18/1/2011, Baldinucci, Rv. 249317; Sez. 3, n. 3720 del 24/11/1999 - dep. 2000, Barbadoro, Rv. 215601), ma si trasmette agli eredi del responsabile (v., ad es., Consiglio di Stato, Sez. 6, n. 3206 del 30/5/2011) e dei suoi aventi causa che a lui subentrino nella disponibilità del bene (v., ad es. Consiglio di Stato, Sez. 4, n.2266 del 12/4/2011; Consiglio di Stato, Sez. 4, n. 6554 del 24/12/2008).
            3.7. Nè va dimenticato che la demolizione ordinata dal giudice penale costituisce atto dovuto, esplicazione di un potere autonomo e non alternativo a quello dell'autorità amministrativa, con il quale può essere coordinato nella fase di esecuzione (cfr. Sez. 3, n. 3685 del 11/12/2013, dep. 2014, Russo, Rv. 258518; Sez.3, n.37906 del 22/5/2012, Mascia ed altro, non massimata; Sez. 6, n. 6337 del 10/3/1994, Sorrentino Rv. 198511; cfr., altresì, Sez. U, n. 15 del 19/6/1996, RM. in proc. Monterisi, Rv. 205336; Sez. U, n. 714 del 20/11/1996 (dep.1997), Luongo, Rv. 206659), un potere che si pone a chiusura del sistema sanzionatorio amministrativo (cfr. Corte Cost. ord. 33 del 18/1/1990; ord. 308 del 9/7/1998; Cass. Sez. F, n. 14665 del 30/08/1990, Di Gennaro, Rv. 185699).
            3.8. Il principio di proporzionalità, dunque, presuppone la cogenza dell’ordine di demolizione dell’opera abusivamente realizzata e la sua inderogabile funzione ripristinatoria di un “ordine urbanistico” tuttora violato, non potendo essere utilizzato per eludere tale funzione con il rischio di legittimare ‘ex post’, nei fatti, condotte costituenti reato e di consolidarne il relativo prodotto/profitto.
            3.9. Il principio di proporzionalità si frappone all’esecuzione dell’ordine di demolizione per ragioni estranee alla adozione dell’ordine stesso; esso non incide nella fase deliberativa dell’ordine, bensì in quella esecutiva. Per questo i fatti addotti a sostegno del rispetto del principio di proporzionalità devono essere allegati (e accertati) in modo rigoroso, dovendosene far carico (quantomeno sul piano dell’allegazione) chi intende avvalersene per paralizzare il ripristino di un ordine violato, tanto più se si stratta dello stesso autore dell’abuso.
            3.10. Né tali fatti possono dipendere dall’inerzia o dalla volontà dell’autore dell’abuso o del destinatario dell’ordine. Va, al riguardo, ricordato (e sottolineato) che l’ordine di demolizione ingiunto dal pubblico ministero costituisce esecuzione (provvisoriamente a spese della collettività) dell’ordine già irrevocabilmente impartito dal giudice con sentenza pronunciata all’esito di un giusto processo svolto nel contraddittorio tra le parti. Il condannato non può “lucrare” sul tempo inutilmente trascorso dalla data di irrevocabilità della sentenza perché l’ingiunzione del pubblico ministero è causata proprio dalla sua inerzia, né può successivamente invocare il principio di proporzionalità allegando (colpevoli) inerzie o fatti da lui stesso posti in essere nella piena consapevolezza della natura abusiva dell’immobile, della precarietà della propria situazione abitativa, della persistente violazione dell’ordine.  
            3.11. In altri termini: il principio di proporzionalità non può essere indiscriminatamente e genericamente dedotto e utilizzato per legittimare la violazione dell’ordine di demolizione irrevocabilmente impartito dal giudice, poiché a tanto si arriverebbe opponendo sempre e comunque la violazione del domicilio.
            3.12. La circostanza, pertanto, che l’immobile da demolire costituisca l’unico domicilio del condannato non è di per sé dirimente poiché tale circostanza non influisce nemmeno sulla sussistenza del reato di cui all’art. 44, d.P.R. n. 380 del 2001. Secondo il consolidato insegnamento della Corte di cassazione, non è configurabile l'esimente dello stato di necessità in quanto, pur essendo ipotizzabile un danno grave alla persona in cui rientri anche il danno al diritto all'abitazione, difetta in ogni caso il requisito dell'inevitabilità del pericolo, posto che tale pericolo è evitabile chiedendo, in caso di terreno edificabile, il relativo permesso mentre, in caso di terreno non edificabile, il diritto del cittadino a disporre di un'abitazione non può prevalere sull'interesse della collettività alla tutela del paesaggio e dell'ambiente. (Sez. 3, n. 2280 del 24/11/2017, dep. 2018, Lo Buono, Rv. 271769 - 01; Sez. 3, n. 35919 del 26/06/2008, Savoni, Rv. 241094 - 01; Sez. 3, n. 41577 del 20/09/2007, Ferraioli, Rv. 238258 - 01).
            3.13. Orbene, se l’esigenza abitativa è irrilevante non solo ai fini della sussistenza del reato, ma anche dell’ordine di demolizione impartito con la sentenza di condanna, non si vede come questo argomento possa di per sé essere utilizzato per sterilizzare “ex post” l’ordine stesso.
            3.14. Nel caso di specie, il ricorrente aveva dedotto, in sede esecutiva, il lungo tempo trascorso dalla data della pronuncia della sentenza a quella di emissione, da parte del pubblico ministero, dell’ingiunzione a demolire (oltre ventidue anni), il legittimo affidamento in tal modo ingenerato, le precarie condizioni economiche ed i gravi problemi di salute propri, della sorella e della figlia di quest’ultima
            3.15. Orbene, s’è già detto che il tempo trascorso dalla sentenza di condanna non può legittimare alcun affidamento nell’inerzia dei pubblici poteri perché l’ingiunzione a demolire è causata proprio dalla condotta omissiva del condannato. V’è piuttosto da dire che in ventidue anni il ricorrente non aveva posto in essere alcuna iniziativa finalizzata al reperimento di un alloggio alternativo per se stesso e per le persone con lui conviventi (non si sa nemmeno da quanto tempo). Nè è convincente l’argomento relativo alle precarie condizioni economiche che non avevano impedito al ricorrente di realizzare il consistente abuso sopra indicato.
            3.16. Se è vero che nel 2018 era stato rilasciato al ricorrente il permesso di costruire in sanatoria (poi annullato nell’anno 2022), è altrettanto vero che: a) la domanda di sanatoria era stata presentata il 20/06/2000, qualche giorno dopo la sentenza di condanna di primo grado e prima che la Corte di appello di pronunciasse irrevocabilmente sulla natura abusiva degli interventi; b) il ricorrente, nonostante la natura irrevocabile della condanna, non si è comunque premurato di cercare un secondo alloggio, non essendo giustificabile l’inerzia con l’aspettativa di poter sanare l’immobile.
            3.17. Dall’esame della documentazione prodotta in sede esecutiva (richiamata dall’odierno ricorso) non risulta, inoltre, che il ricorrente abbia mai allegato il certificato di residenza nell’immobile da demolire dei componenti il proprio nucleo familiare, in specie di quelli affetti dalle patologie da lui indicate, né che abbia mai dedotto da quanto tempo tali persone sono entrate a far parte del proprio nucleo (in particolare, se prima o dopo la sentenza di condanna, essendo evidente che in questo secondo caso deve essere data la prova della imprescindibili del trasferimento in un immobile già “condannato” alla demolizione), in che modo tali patologie interferiscano con l’esecuzione dell’ordine di demolizione non risultando che esse impediscano la deambulazione o lo spostamento dal domicilio delle persone che ne sono affette.
            3.18. Nulla di tutto ciò, insomma, è mai stato dedotto o allegato, non essendo sufficiente, come detto, allegare le condizioni patologiche delle persone conviventi con l’autore dell’abuso.
            3.19. Il primo motivo è dunque inammissibile perché generico e manifestamente infondato.

        4. Anche il secondo motivo è inammissibile.
            4.1. Il ricorrente deduce il travisamento delle conclusioni del proprio CT di parte ma ciò che, in realtà, denunzia è un errore di valutazione (non di percezione) della prova, così di fatto inammissibilmente sollecitando la Corte di cassazione a formulare un proprio autonomo giudizio di merito sulle conclusioni del CT.
            4.2. La dedotta impossibilità tecnica della demolizione si fonda, in ultima analisi, nel non consentito richiamo alle prove presenti nel fascicolo alle quali la Corte di cassazione non può accedere.
            4.3. Va peraltro sottolineato che l’impossibilità della demolizione non può essere opposta da chi ha concorso a dare causa al pericolo di instabilità del manufatto abusivamente realizzato; sicché, anche a voler condividere le conclusioni del CT di parte (che ha segnalato il pericolo di instabilità del manufatto derivante dalla eliminazione del solaio, pericolo derivante dalla realizzazione dell’opera in zona sismica), resta la decisiva circostanza che l’autore dell’abuso non può giovarsi delle conseguenze della propria azione al fine di consolidarne gli effetti e vanificare la cogenza dell’ordine di demolizione.  

            5. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l'onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di € 3.000,00.


P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 15/02/2023.