Cass. Sez. III n. 30473 del 9 settembre 2025 (UP 12 giu 2025)
Pres. Ramacci Rel. Aceto Ric. Crispino ed altri
Urbanistica.Permesso di costruire illegittimo e poteri del giudice penale
La contravvenzione di esecuzione di lavori "sine titulo" di cui all’art. 44, lett. b), d.P.R. n. 380 del 2001, sussiste anche nel caso in cui il permesso di costruire, pur apparentemente formato, sia illegittimo per contrasto con la disciplina urbanistico - edilizia di fonte normativa o risultante dalla pianificazione, non costituendo la "macroscopica illegittimità" del permesso di costruire una condizione essenziale per l'oggettiva configurabilità del reato, bensì un significativo indice sintomatico della sussistenza dell'elemento soggettivo dell'illecito. Ciò sul rilievo che il permesso di costruire non è idoneo a definire esaurientemente lo statuto urbanistico ed edilizio dell'opera realizzanda senza rinviare al quadro delle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle rappresentazioni grafiche del progetto approvato, di tal che nella specie non si configura una non consentita "disapplicazione" da parte del giudice penale dell'atto amministrativo concessorio. Sicché, allorché il giudice accerta l'esistenza di profili di illegittimità sostanziale del titolo abilitativo non pone in essere la procedura di disapplicazione riconducibile all'art. 5 della legge 20 marzo 1865 n. 2248, allegato E, atteso che viene operata una identificazione in concreto della fattispecie con riferimento all'oggetto della tutela da identificarsi nella salvaguardia degli usi pubblici e sociali del territorio regolati dagli strumenti urbanistici. È perciò sufficiente valutare la sussistenza dell'elemento normativo della fattispecie, posto che la conformità della costruzione e della concessione ai parametri di legalità urbanistica ed edilizia è elemento costitutivo dei reati contemplati dalla normativa urbanistica
RITENUTO IN FATTO
1.Mauro Roberto Crispino e Davide Maria Perrone ricorrono, con separati atti a firma dei comuni difensori di fiducia, per l’annullamento della sentenza del 15 ottobre 2024 della Corte di appello di Catanzaro che, in riforma della sentenza del 17 marzo 2023 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Cosenza, pronunciata all’esito di giudizio abbreviato e impugnata da loro, dalla parte civile e dal Pubblico ministero, ha assolto Davide Maria Perrone dal reato di cui all’art. 323 cod. pen. perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato, e per l’effetto ha rideterminato la pena per il residuo reato di cui agli artt. 110 cod. pen., 44, comma 1, lett. b), d.P.R. n. 380 del 2001 nella misura di quattro mesi di arresto e 3.200 euro di ammenda, confermando nel resto anche la condanna di Mauro Roberto Crispino alla pena di quattro mesi di arresto e 2.400 euro di ammenda per il medesimo reato. Con la stessa sentenza è stata ordinata la demolizione del manufatto abusivo.
In particolare, si imputa ai ricorrenti di aver realizzato in zona agricola, sulla scorta di un permesso di costruire illegittimo perché in contrasto con la normativa urbanistica e gli strumenti urbanistici vigenti, un edificio ad uso commerciale esteso mq. 7.850,00. Il fatto è ascritto al Perrone in quanto legale rappresentante della società committente (Perrone Luigi di Perrone Davide & C.) e al Crispino quale progettista e direttore dei lavori.
2.Mauro Roberto Crispino articola quattro motivi.
2.1.Con il primo motivo deduce l’inosservanza degli artt. 178, lett. a), 179, 525, 598 cod. proc. pen. e la nullità della sentenza perché il provvedimento di correzione materiale è stato adottato dalla Corte di appello in diversa composizione fisica rispetto al Collegio che aveva pronunziato la sentenza.
2.2.Con il secondo motivo deduce l’inosservanza o l’erronea applicazione dell’art. 44 d.P.R. n. 380 del 2001 nonché degli artt. 30, 60 e 65 legge reg.
Campania n. 19 del 2002, nonché dell’art. 12 d.P.R. n. 380 del 2001, e il vizio di mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui sostiene che la sentenza di primo grado avrebbe affermato l’inesistenza del permesso di costruire laddove il primo Giudice si era limitato ad affermare la macroscopica illegittimità (non la inesistenza) del titolo.
Quanto alla macroscopica illegittimità lamenta che gli elementi di fatto presi in considerazione dalla Corte di appello riguardano i permessi di costruire del 2014 e del 2017 che, però, non sono oggetto di contestazione. Aggiunge che, diversamente da quanto sostiene la Corte di appello, i Piani Attuativi Unitari (PAU) diventano esecutivi trascorsi trenta giorni dalla loro adozione da parte del consiglio comunale secondo quanto prevede l’art. 30 legge reg. Calabria n. 19 del 2002 che impone la riapprovazione solo in caso di variazioni. E’ evidente l’errore nel quale incorrono i giudici di merito quando predicano l’inesistenza di un piano esecutivo sulla base del malgoverno della testimonianza dell’Arch. Paolo Fiorillo che aveva concorso a redigere il P.I.P. (che a detta del testimone non sarebbe mai stato approvato). Aggiunge che gli artt. 60, commi primo e secondo, e 65, comma secondo, ultimo periodo, legge reg. Calabria n. 19 del 2002, letti in correlazione con l’art. 12 d.P.R. n. 380 del 2001, riconoscono agli strumenti urbanistici adottati un valore insuperabile nella misura in cui obbligano le amministrazioni comunali a conformarsi ai medesimi ai fini del rilascio dei titoli edilizi e conclude che l’art. 65 legge reg. Calabria, cit., riconosce vigenza agli strumenti urbanistici adottati prima del 31 dicembre 2023, termine entro il quale i comuni calabresi avrebbero dovuto adottare i nuovi piani strutturali comunali o associati.
2.3.Con il terzo motivo deduce la nullità delle ordinanze di correzione di errore materiale del 13 gennaio 2025 siccome adottate senza preventivo contraddittorio.
2.4.Con il quarto motivo deduce, con riferimento all’ordine di demolizione, l’inosservanza o l’erronea applicazione degli artt. 31 e 44 d.P.R. n. 380 del 2001 in relazione agli artt. 24 e 111 Cost., 6 e 7 C.E.D.U., nonché il vizio di motivazione mancante, contraddittoria e manifestamente illogica in relazione alla mancata indicazione delle ragioni della irrogazione della sanzione accessoria della demolizione in sede di appello. Deduce, altresì, la violazione degli artt. 597 e 605 cod. proc. pen. sotto il profilo della violazione del divieto di reformatio in peius e del principio devolutivo.
Sostiene che, ai sensi dell’art. 31 d.P.R. n. 380 del 2001, la demolizione del manufatto abusivo può essere ordinata solo in caso di inesistenza/assenza del permesso di costruire (inesistenza mai affermata dal primo Giudice ma solo in grado di appello, tant’è che il GIP nulla aveva disposto al riguardo), non in caso di provvedimento illegittimo.
Aggiunge che, non avendo il GIP ordinato la demolizione, non avrebbe comunque potuto ovviare la Corte di appello in assenza di specifico gravame del Pubblico ministero, considerata la natura sanzionatoria (ancorché amministrativa) dell’ordine di demolizione.
3.Davide Maria Perrone articola quattro motivi.
3.1.Il primo, secondo ed il quarto sono identici a quelli proposti da Mauro Roberto Crispino.
3.2.Anche il terzo motivo è in buona parte sovrapponibile al corrispondente motivo del ricorso del Crispino. Vi si aggiungono, quali ulteriori argomenti di doglianza, la violazione degli artt. 17, 23, 25, 81, 323 cod. pen. e 44 d.P.R. n. 380 del 2001, con riferimento alla violazione dei principi che regolano l’individuazione della pena irrogata e la continuazione fra reati per come determinati nella procedura di correzione dell’errore materiale, nonché la violazione degli artt. 597, 442 e 125 comma terzo, cod. proc. pen. in relazione alla mancata applicazione della diminuente per il rito abbreviato e alla omessa motivazione in ordine alla dosimetria della pena.
4.I ricorrenti hanno presentato motivi nuovi a sostegno degli argomenti oggetto del secondo motivo dei ricorsi principali relativamente alle condizioni (che si affermano tutte assenti nel caso in esame) che giustificano la valutazione di macroscopica illegittimità del permesso di costruire.
5.La parte civile, Antonia Metallo, ha depositato memoria con cui ha chiesto la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi principali fatto salvo il motivo relativo alla determinazione della pena irrogata a Davide Maria Perrone.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Il ricorso di Davide Perrone è fondato limitatamente al trattamento sanzionatorio, è inammissibile nel resto; il ricorso di Mauro Roberto Crispino è inammissibile.
2.Dalla lettura della sentenza impugnata risulta che:
2.1.il 26 febbraio 2014 Davide Maria Perrone aveva chiesto il rilascio di un permesso di costruire in deroga al Piano di Fabbricazione per la realizzazione, in zona agricola, di un fabbricato ad uso commerciale sulla scorta del progetto redatto da Mauro Roberto Crispino, futuro direttore dei lavori;
2.2.il 25 marzo 2014 la Giunta Comunale di Altilia, preso atto dell’esistenza, nella medesima area, di un impianto di carburanti gestito da Antonia Metallo aveva adottato la delibera n. 15 con cui aveva espresso parere favorevole al rilascio del permesso in deroga al PdF;
2.3.il 2 aprile 2014 il Sindaco, nonché responsabile dell’ufficio tecnico, del Comune di Altilia aveva convocato la conferenza di servizi che si era espressa favorevolmente sulla base di una duplice falsa attestazione: (i) il parere favorevole dei Vigili del Fuoco; (ii) l’anticipazione dell’assenso regionale asseritamente reso verbalmente dal responsabile del dipartimento urbanistica e governo del territorio della Regione Calabria;
2.4.in realtà, i Vigili del Fuoco avevano espresso parere favorevole a condizione che venisse rispettata la normativa vigente e quella sulle distanze di sicurezza esterne rispetto all’impianto di distribuzione carburanti riservando di esprimere un nuovo parere solo all’esito dell’esame di un nuovo progetto e subordinando a tale adempimento la validità del parere già espresso;
2.5.inoltre, i Vigili del Fuoco con due note del 2 aprile e del 12 maggio 2014 avevano dichiarato l’improcedibilità della pratica perché, trattandosi di due distinti progetti di attività produttive “in variante” e non in deroga allo strumento urbanistico, si sarebbero dovute indire due conferenze di servizi che si sarebbero dovute esprimere su progetti definitivi e non di massima;
2.6.il Responsabile del dipartimento urbanistica e governo del territorio della Regione Calabria, Francesco Tarsia, aveva negato di aver mai anticipato alcun assenso verbale;
2.7.furono così indette due conferenze di servizi che il 24 luglio 2014 avevano espresso parere contrario, obbligatorio e vincolante, per due ragioni: (i) per la inammissibilità di procedure intese a determinare varianti a strumenti urbanistici generali già decaduti come il PdF e, dal 19 giugno 2014, il PRG; (ii) per la violazione, nella procedura adottata dal Comune, dell’art. 8.3 d.P.R. n. 160 del 2010 perché, trattandosi di grande struttura commerciale di vendita, erano carenti le aree destinate a standard e le certificazioni dell’ufficio tecnico sui vincoli tutori e inibitori esistenti, con mancanza dei pareri prodromici degli altri enti coinvolti;
2.8.ciò nondimeno, il 17 dicembre 2014 il Sindaco ed il responsabile del RUP avevano rilasciato il permesso di costruire n. 5/2014 per l'intervento in variante parziale allo strumento urbanistico vigente (PdF) per la realizzazione di un edificio ad uso commerciale, giusto il parere di conformità del progetto alle vigenti normative antincendio rilasciato dal comando provinciale dei vigili del fuoco il 1 aprile 2014;
2.9.poiché i lavori non erano iniziati entro l’anno dal rilascio del permesso, il 15 novembre 2017 ne era stato rilasciato un altro in variante (n. 2/2017);
2.10.poiché nemmeno questa volta i lavori erano iniziati entro l’anno dalla data di rilascio del permesso n. 2/2017, l’8 gennaio 2019 veniva rilasciato un terzo permesso (n. 1/2019) nel quale, però, erano evocati differenti parametri normativi;
2.11.in particolare: (i) dato atto dell'assenso del consiglio comunale espresso con la deliberazione numero 8/2014 del 16 aprile 2014 in combinato disposto con l’art. 8 d.P.R. n. 160 del 2010, considerato l’intervento di “interesse pubblico”, il permesso era stato rilasciato “in deroga” ai sensi della legge n. 160 del 2011 e dell’art. 14 d.P.R. n. 380 del 2001; (ii) veniva nuovamente richiamato il citato parere favorevole dei Vigili del Fuoco;
2.12.sennonché, era stata omessa la procedura partecipativa di cui agli artt.
14 d.P.R. n. 380 del 2001 e 7 legge n. 241 del 1990, trattandosi di insediamento in zona agricola, come pacificamente attestato in atti, in cui potevano realizzarsi solo ricostruzioni con identiche superfici e volumi o edifici a destinazione esclusivamente agricola con indice di fabbricabilità pari a 0,7 m³ per metro quadrato;
2.13.non era stato rilasciato il nullaosta idrogeologico, nonostante l'area interessata dei lavori fosse soggetta a vincolo ex r.d.l. n. 3267/1923, in quanto ricadente nella zona unica del bacino idrografico del fiume Savuto, e - come da parere di indirizzo reso in sede in conferenza dei servizi - il competente dipartimento regionale avesse riservato solo a successiva conferenza dei servizi il proprio parere quando, cioè, il Comune avesse messo a disposizione del medesimo dipartimento gli atti relativi all'esatta localizzazione dell'intervento edilizio per consentire le valutazioni del caso;
2.14.l’area, inoltre, ricadeva in zona sottoposta a vincolo paesaggistico in quanto situata ad una distanza inferiore a 150 metri dal torrente Carito e non era mai stato richiesto il nulla osta da parte dell’impresa committente (ciò aveva comportato l’esercizio dell’azione penale anche per il reato di cui all’art. 181 d.lgs. n. 42 del 2004, rubricato al capo B, ma si è poi accertato, già in primo grado, che la distanza era superiore a 150 metri);
2.15.i lavori erano iniziati l’8 aprile 2019 e il 18 maggio 2021 era stato disposto il sequestro delle opere, ancora in corso di svolgimento;
2.16.quanto alla destinazione urbanistica dell’area di sedime, la Corte di appello ricorda che il Consiglio comunale di Altilia: (i) con deliberazione n. 31 del 27/09/2006, aveva individuato un’area PIP nella zona del fiume Savuto; (ii) con deliberazione n. 3 del 14 febbraio 2007 aveva adottato la determinazione dell’area PIP come effettuata dai professionisti incaricati, delegando l’Ufficio tecnico per gli adempimenti successivi necessari ed utili alla approvazione definitiva del PIP stesso, destinato alla discussione consiliare; (iii) il 13 maggio 2010 aveva adottato il documento preliminare al piano strutturato associato (PSA) proposto dalla giunta;
2.17.la deliberazione n. 3 del 2007, tuttavia, non aveva potuto approvare alcunché perché era stata pretermessa la procedura prevista dalla Regione posto che il tecnico Fiorillo non aveva nemmeno proceduto alla stesura esecutiva della variante, tant’è che il progetto non era stato sottoposto alla successiva approvazione del Consiglio comunale.
3.Il ricorso di Mauro Roberto Crispino.
3.1.Il primo motivo è manifestamente infondato.
3.2.Il dispositivo della sentenza impugnata così recita: «In riforma della sentenza (…) assolve Perrone Davide Maria dal reato ascritto al capo 3) della rubrica perché il fatto non è previsto dalla legge come reato e, per l’effetto, ridetermina la pena allo stesso inflitta per il reato sub capo 1) della rubrica in mesi 6 di arresto ed € 3.200 di ammenda. Conferma nel resto».
3.3.Con ordinanza di correzione dell’errore materiale adottata il 13 gennaio 2025, la Corte di appello ha modificato il dispositivo nel senso che, dove è scritto: «ridetermina la pena allo stesso inflitta per il reato sub capo 1) della rubrica in mesi 6 di arresto ed € 3.200 di ammenda», si deve leggere e intendere: mesi 4 di arresto ed € 3.200 di ammenda». Con la stessa ordinanza è stata corretta la motivazione nella parte dedicata al calcolo della pena, essendo stata indicata la pena detentiva base di sei mesi di arresto in luogo di quella di nove mesi di arresto (invariata la pena dell’ammenda di euro 4.800). La pena base così individuata (sei mesi di arresto e 4800 euro di ammenda, come corretta, è stata ridotta nei termini indicati nel dispositivo in conseguenza della applicazione delle circostanze attenuanti generiche).
3.4.L’ordinanza di correzione materiale è stata adottata da un collegio in diversa composizione fisica.
3.5.Il ricorrente se ne duole (ed è questo l’unico profilo di doglianza) ma il rilievo è manifestamente infondato alla luce del consolidato insegnamento di legittimità secondo il quale, in tema di correzione di errori materiali, la decisione sulla relativa istanza può essere assunta anche da un collegio in diversa composizione rispetto a quello che ha emesso la decisione da emendare, atteso che la procedura ex art. 130 cod. proc. pen., non comportando alcuna modificazione essenziale dell'atto, non necessariamente va eseguita ad opera delle medesime persone fisiche che lo hanno deliberato (Sez. 1, n. 16708 del 07/03/2025, Di, Rv. 287891 - 01; Sez. 2, n. 21986 del 05/03/2010, La Cognata, Rv. 247547 - 01; Sez. 1, n. 119 del 1994, dep. 1995, Pregnolata, Rv. 200086- 01).
3.6.Anche il secondo motivo è generico e manifestamente infondato.
3.7.Il ricorrente denunzia, in primo luogo, l’errore della Corte di appello che ha ritenuto inesistente il permesso di costruire ritenuto invece dal primo Giudice macroscopicamente illegittimo ma non inesistente. Ciò, secondo l’imputato, vizia il ragionamento della Corte territoriale che sarebbe affetto da contraddittorietà intrinseca e sarebbe alterato dal richiamo, nella ricostruzione della vicenda, ai due permessi del 2014 e del 2017 che non sono oggetto di contestazione, visto che la rubrica indica e richiama soltanto il permesso di costruire n. 1 del 2019. Sotto altro profilo contesta la ritenuta non conformità del permesso a costruire con gli strumenti urbanistici vigenti, in particolare con il PIP (Piano degli insediamenti produttivi) regolarmente adottato.
3.8.Quanto al primo profilo, è agevole osservare che è lo stesso capo di imputazione a predicare l’assenza del permesso di costruire in quanto illegittimo e la Corte di appello (così come il primo Giudice) ponendosi sul solco tracciato dall’editto accusatorio ed in coerenza con lo stesso afferma che il primo giudice aveva considerato inesistente il permesso di costruire perché macroscopicamente illegittimo. Del resto, secondo l’ormai consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, la contravvenzione di esecuzione di lavori "sine titulo" di cui all’art. 44, lett. b), d.P.R. n. 380 del 2001, sussiste anche nel caso in cui il permesso di costruire, pur apparentemente formato, sia illegittimo per contrasto con la disciplina urbanistico - edilizia di fonte normativa o risultante dalla pianificazione, non costituendo la "macroscopica illegittimità" del permesso di costruire una condizione essenziale per l'oggettiva configurabilità del reato, bensì un significativo indice sintomatico della sussistenza dell'elemento soggettivo dell'illecito (Sez. 3, n. 56678 del 21/09/2018, Iodice, Rv. 275565 - 01). Ciò sul rilievo che il permesso di costruire non è idoneo a definire esaurientemente lo statuto urbanistico ed edilizio dell'opera realizzanda senza rinviare al quadro delle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle rappresentazioni grafiche del progetto approvato, di tal che nella specie non si configura una non consentita "disapplicazione" da parte del giudice penale dell'atto amministrativo concessorio (Sez. U, n. 11635 del 12/11/1993, Borgia, Rv. 195359 - 01). Sicché, allorché il giudice accerta l'esistenza di profili di illegittimità sostanziale del titolo abilitativo non pone in essere la procedura di disapplicazione riconducibile all'art. 5 della legge 20 marzo 1865 n. 2248, allegato E, atteso che viene operata una identificazione in concreto della fattispecie con riferimento all'oggetto della tutela da identificarsi nella salvaguardia degli usi pubblici e sociali del territorio regolati dagli strumenti urbanistici (Sez. 3, n. 21487 del 21/03/2006, Tantillo, Rv. 234469 - 01). È perciò sufficiente valutare la sussistenza dell'elemento normativo della fattispecie, posto che la conformità della costruzione e della concessione ai parametri di legalità urbanistica ed edilizia è elemento costitutivo dei reati contemplati dalla normativa urbanistica (Sez. 3, n. 41620 del 02/10/2007, Emelino, Rv. 237995 - 01).
3.9.Affermare l’inesistenza del permesso di costruire e contestualmente la sua illegittimità è operazione del tutto “innocua” a fini penalistici perché non inquina, né vizia il ragionamento del giudice che si faccia carico di applicare la fattispecie di cui all’art. 44, lett. b), d.P.R. n. 380 del 2001.
3.10.In ogni caso, giova ribadirlo, non sussiste affatto, alla luce delle considerazioni che precedono, la dedotta contraddittorietà motivazionale.
3.11.Quanto al richiamo ai procedimenti amministrativi relativi al rilascio dei precedenti permessi di costruire del 2014 e del 2017, con riferimento, in particolare, agli elementi di fatto di cui alle lettere da a) ad f) di pag. 9 della sentenza impugnata, è appena il caso di evidenziare, per un primo profilo, che tale pagina riporta e sunteggia il contenuto della sentenza di primo grado laddove, per un secondo profilo, viene spiegata, dai Giudici di merito, quale fosse, ancora a quelle date, la destinazione urbanistica dell’area di sedime e perché tale destinazione (agricola) persistesse alla data di adozione di tutti i permessi di costruire, anche l’ultimo, a dimostrazione della pervicacia dimostrata dagli amministratori pubblici nel voler consentire a tutti i costi la realizzazione dell’opera in questione (è sufficiente leggere per intero la pagina 9).
3.12.Il ricorrente deduce, al contrario, che la destinazione agricola era stata modificata a seguito della approvazione del PIP da parte del Comune di Altilia.
3.13.L’art. 30, legge reg. Calabria, n. 19 del 2002, disciplina il procedimento per l'elaborazione e l'approvazione dei Piani attuativi unitari (P.A.U.) e delle loro modifiche ed integrazioni. La norma attribuisce alla giunta comunale il compito di elaborare il piano, il quale è adottato dal Consiglio e successivamente depositato, corredato dai relativi elaborati, presso la sede comunale per i venti giorni successivi alla data di affissione all'albo pretorio dell'avviso di adozione del piano.
Entro lo stesso termine, il Comune acquisisce i pareri, i nulla osta e gli altri atti di assenso comunque denominati previsti dalle leggi in vigore per la tutela degli interessi pubblici. A tal fine il responsabile del procedimento può convocare una Conferenza dei servizi. Entro lo stesso termine chiunque può presentare osservazioni in forma scritta, anche fornendo nuovi o ulteriori elementi conoscitivi e valutativi. Successivamente alla scadenza dei termini di deposito, il Consiglio comunale decide sulle eventuali osservazioni; provvede, ove queste implichino modifiche, ad adeguare i P.A.U. alle determinazioni della Conferenza dei servizi e rimette gli atti al consiglio per la relativa approvazione, che deve avvenire entro e non oltre 60 giorni dalla data di scadenza del termine per la presentazione delle osservazioni, inviandone una copia alla Provincia ed alla Regione. Se non vi sono variazioni, non è necessaria la riapprovazione del P.A.U. da parte del Consiglio comunale; lo stesso diventa esecutivo scaduti i termini del deposito sopra indicati.
3.14.La Corte di appello (e prima ancora il Tribunale) afferma che la deliberazione consiliare n. 3 del 2007 non aveva approvato alcunché sia perchè il progetto redatto dall’Arch. Fiorillo, incaricato della redazione del piano, aveva provveduto alla stesura di un piano non esecutivo, sia perché non erano mai mai stati attivati gli adempimenti successivi alla sua adozione. Il Tribunale, al riguardo, precisava che dalla stessa delibera di adozione risultava la delega all’ufficio tecnico degli adempimenti successivi intesi alla approvazione definitiva e che il piano sarebbe stato oggetto di apposita discussione consiliare in fase di approvazione.
3.15.Il ricorrente sostiene, al contrario, che, non essendovi state osservazioni, il Piano non andasse (ri)approvato ma il punto è che il piano stesso non è mai stato davvero adottato per la semplice ragione che - a tutto voler concedere - non sono mai stati posti in essere gli adempimenti successivi alla adozione (pubblicazione, avviso di deposito, acquisizione di pareri, nulla-osta e altri atti di assenso o convocazione della conferenza dei servizi). Le censure difensive non sfuggono al rilievo critico che, altrimenti ragionando, non si comprende perché ancora nel 2014 e poi nel 2017 l’area oggetto di intervento venisse qualificata (e riconosciuta dalla giunta comunale) come agricola in base all’allora vigente Piano di Fabbricazione e fossero stati avviati i procedimenti per il rilascio dei permessi di costruire in deroga del 2014 e del 2017 (di qui la coerenza del loro richiamo nella ricostruzione della vicenda e nella qualificazione dell’area ancora come agricola). Peraltro, lo stesso permesso di costruire n. 1 del 2019 era stato a sua volta emesso in deroga ai sensi dell’art. 14 d.P.R.n. 380 del 2001.
Destinazione agricola che, ricorda la Corte di appello, era stata ripetutamente attestata nei certificati di destinazione urbanistica rilasciati fino a quello del 29 maggio 2021 rilasciato dopo il sequestro nel quale si attestava per la prima volta che si trattava di zona destinata ad insediamenti produttivi.
3.16.L’inammissibilità del motivo rende inammissibile lo scrutinio dei motivi aggiunti che, peraltro, in disparte le inammissibili deduzioni fattuali e allegazioni documentali non consentite in questa sede, non introducono elementi tutto sommato diversi da quelli dedotti con il motivo principale e sono anche essi generici.
3.17.Il terzo motivo è inammissibile per carenza di interesse del ricorrente a proporlo non essendo egli il destinatario della formula del dispositivo corretta successivamente alla sua pubblicazione.
3.18.Il ricorrente non è interessato nemmeno a coltivare l’ultimo motivo poiché l’ordine di demolizione può essere emesso nei soli confronti del proprietario delle opere abusive o di colui che, disponendone materialmente, è in condizione di adempiere, ma non nei confronti di soggetti, quali il direttore dei lavori o gli esecutori materiali, che abbiano concorso alla realizzazione del reato in virtù di un rapporto obbligatorio con il titolare del diritto reale o del potere di fatto sul terreno o sull'immobile preesistente, in quanto tale rapporto personale risulta autonomo rispetto a quello che lega all'opera abusivamente realizzata il proprietario o il committente (Sez. 3, n. 41856 del 15/10/2021, Mantova, Rv. 282797 - 01; Sez.
3, n. 17991 del 21/01/2014, Ciccone, Rv. 261497 - 01, che na ha tratto la conseguenza che il giudice, nel disporre la condanna dell'esecutore e/o del direttore dei lavori per il reato di cui all'art. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001, non può subordinare il beneficio della sospensione condizionale della pena alla effettiva eliminazione delle opere abusive).
4.Il ricorso di Davide Maria Perrone.
4.1.I primi due motivi (e relativo motivo aggiunto) sono inammissibili per le stesse ragioni già illustrate in sede di esame dei corrispondenti motivi del ricorso di Mauro Roberto Crispino.
4.2.Il terzo motivo è fondato.
4.3.Il dispositivo pubblicato all’udienza del 15 ottobre 2024 (e trascritto nella sentenza impugnata) così recita per la parte di interesse: «assolve Perrone Davide Maria dal reato ascritto al capo 3) della rubrica perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato e, per l’effetto, ridetermina la pena allo stesso inflitta per il reato sub capo 1) della rubrica in mesi 6 di arresto ed € 3.200 di ammenda».
4.4.Con due separate ordinanze del 13 gennaio 2015, la Corte di appello ha corretto l’errore materiale contenuto nel dispositivo letto in udienza nel senso che deve intendersi aggiunto “conferma nel resto” (prima ordinanza) e nel senso che, con riferimento al Perrone, dove è scritto «in misura pari a mesi 6 di arresto ed € 3.200 di ammenda (p.b. mesi 9 di arresto ed € 4.800 di ammenda, ridotta ex art. 62 bis c.p.)», deve leggersi e intendersi «in misura pari a mesi quattro di arresto ed € 3.200,00 di ammenda (p.b. mesi 6 di arresto ed € 4.800 di ammenda, ridotta ex art. 62 bis c.p)» (seconda ordinanza). Il dispositivo della sentenza depositata riporta - come detto - il dispositivo così come letto in udienza (e non corretto).
4.5.Il ricorrente concentra le proprie doglianze sulla seconda ordinanza e lamenta, al riguardo, l’impossibilità di qualificare come “materiale” l’errore e, per altro profilo, la adozione dell’ordinanza in assenza di camera di consiglio partecipata con conseguente violazione del contraddittorio.
4.6.Quest’ultimo rilievo è fondato e, per quanto si dirà, assorbente.
4.7.Secondo l’ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, l'adozione "de plano", senza fissazione della camera di consiglio ed avviso alle parti, del provvedimento di correzione di errore materiale comporta una nullità di ordine generale ex art. 178 cod. proc. pen. (Sez. 4, n. 8612 del 08/02/2022, Halili, Rv.282933 - 01; Sez. 3, n. 36350 del 23/03/2015, Bertini, Rv. 265638 - 01; Sez. 1, n. 1674 del 09/01/2013, Ioculano, Rv. 254230 - 01; Sez. 3, n. 1460 del 03/12/2008, dep. 2009, Sanna, Rv. 242270 - 01).
4.8.Ciò nondimeno, poiché l’ordinanza riguarda il trattamento sanzionatorio, non è necessario annullare con rinvio il provvedimento impugnato potendo provvedere direttamente la Corte di cassazione riducendo della metà la pena applicata secondo quanto dispone l’art. 442, comma 2, cod. proc. pen., come modificato dall’art. 1, comma 44, legge n. 103 del 2017, norma invocata dal ricorrente. La pena viene così fissata nella misura di mesi due arresto e 1600 euro di ammenda.
4.9.L’ultimo motivo è manifestamente infondato.
4.10.Come già ampiamente spiegato in sede di scrutinio del secondo motivo del ricorso comune a entrambi i ricorrenti, l’inesistenza (rectius, assenza) del permesso di costruire legittima l’adozione dell’ordine di demolizione dell’opera anche quando l’assenza è conseguenza della illegittimità del titolo. L’assenza del titolo contemplata quale elemento costitutivo del reato di cui all’art. 44, comma 1, lett. b) e c), d.P.R. n. 380 del 2001, non determina, quando frutto di illegittimità, una diversa latitudine applicativa dell’art. 31, comma 9, stesso decreto: l’assenza del titolo è requisito unico tanto ai fini della integrazione del reato quanto ai fini della demolizione dell’opera, essendo irrilevanti le ragioni della assenza stessa.
4.11.Inoltre, il divieto della "reformatio in peius" che, nel caso di impugnazione proposta dal solo imputato, l'ordinamento processuale impone al giudice di appello, attiene alle ipotesi di aggravamento - per specie o quantità - della pena, di applicazione di nuova o più grave misura di sicurezza, di pronunzia di proscioglimento con formula meno favorevole o di revoca di benefici; in detto divieto non è compreso l'ordine di demolizione della costruzione abusiva, impartito dal giudice ai sensi dell’art. 31, comma 9, d.P.R. n. 380 del 2001, trattandosi non di pena accessoria, ma di sanzione amministrativa di tipo ablatorio, consequenziale alla sentenza di condanna e la cui irrogazione costituisce atto dovuto (Sez. 5, n. 13812 dell’11/11/1999, Giovannella, Rv. 214608 - 01; Sez. 4, n. 10660 del 13/02/2024, Durango, non mass.; Sez. 3, n. 26531 del 13/03/2024, Monticelli, non mass., secondo cui l’ordine può essere impartito direttamente dalla Corte di cassazione; in questo senso, Sez. 3, n. 47064 del 02/11/2022, Mancusi, non mass.; Sez. 3, n. 18509 del 15/1/2015, RG. in proc. Gioffrè, Rv. 263557; Sez. 3, n. 1365 del 18/9/1992, P.M. in proc. Marchese, Rv. 192057).
5.Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso di Mauro Roberto Crispino consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., essendo essa ascrivibile a colpa del ricorrente (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l'onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente nella misura di € 3.000,00. Il Collegio intende in tal modo esercitare la facoltà, introdotta dall’art. 1, comma 64, legge n. 103 del 2017, di aumentare, oltre il massimo edittale, la sanzione prevista dall’art. 616 cod. proc. pen. in caso di inammissibilità del ricorso considerate le ragioni della inammissibilità stessa come sopra indicate.
6.Entrambi i ricorrenti devono essere condannati al pagamento delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di Perrone Davide Maria limitatamente alla pena che ridetermina in mesi due di arresto ed euro 1.600 di ammenda. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso di Perrone Davide Maria.
Dichiara inammissibile il ricorso di Crispino Mauro Roberto che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Condanna, inoltre, gli imputati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi euro 3686,00 oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 12/06/2025.