Nuova pagina 1

Cass. Sez. III sent.36941 del 12 ottobre 2005 (ud. 12 maggio 2005)
Pres. Savignano Est. Fiale Ric. Gricia
Urbanistica – Pertinenza

Un nuovo vano creato su preesistente manufatto mediante la chiusura di un balcone non costituisce pertinenza difettando di una propria individualità fisica e di una propria conformazione strutturale, nonché il carattere di strumentalità funzionale.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. SAVIGNANO Giuseppe - Presidente - del 11/05/2005
Dott. DE MAIO Guido - Consigliere - SENTENZA
Dott. GRILLO Carlo M. - Consigliere - N. 1003
Dott. GENTILE Mario - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. FIALE Aldo - Consigliere - N. 47248/2003
ha pronunciato la seguente:

 

 

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
GRICIA GIOVANNA, n. a Ferentino il 6.3.1948;
avverso la sentenza 4.7.2003 della Corte di Appello di Roma;
visti gli atti, la sentenza denunziata ed il ricorso;
Udita in Pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere Dott. FIALE Aldo;
udito il Pubblico Ministero nella persona del Dott. D'ANGELO Giovanni che ha concluso per l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, essendo i reati estinti per condono edilizio. Udito il difensore, Avv.to FERRAZZA Claudio, sostituto processuale dell'Avv.to VALERI Roberto, il quale ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 4.7.2003 la Corte di Appello di Roma confermava la sentenza 18.12.2001 del Tribunale monocratico di Frosinone, che aveva affermato la responsabilità penate di Grida Giovanna in ordine ai reati di cui:
- all'art. 20, lett. b), legge n. 47/1985 (per avere realizzato, in assenza della prescritta concessione edilizia, mediante la chiusura di un balcone, un nuovo vano delle dimensioni di mq. 13,75 - acc. in Ferentino, il 21.2.2000);
- agli artt. 17, 18 e 20 legge n. 64/1974 e, unificati i reati medesimi nel vincolo della continuazione ex art. 81 cpv. cod. pen., la aveva condannata alla pena, condizionalmente sospesa, di mesi uno di arresto e lire 12 milioni di ammenda, con ordine di demolizione del vano abusivo.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso la Grida, la quale ha eccepito;
- l'insussistenza del reato, stante la natura "pertinenziale" del manufatto;
- l'eccessività della pena.
All'odierna udienza il difensore ha depositato copia di due istanze di condono edilizio, presentate dalla ricorrente il 10.12.2004, e documentazione di connessi versamenti per l'oblazione e gli oneri concessori.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, perché manifestamente infondato.
1. I giudici del merito correttamente hanno escluso che il nuovo vano abusivo edificato dall'imputata costituisca "pertinenza" del manufatto preesistente, sottratta in quanto tale al regime concessorio ed assoggettata a quello della denunzia di inizio dell'attività.
La nozione di "pertinenza urbanistica" ha peculiarità sue proprie, che la distinguono da quella civilistica: deve trattarsi, invero, di un'opera - che abbia comunque una propria individualità fisica ed una propria conformazione strutturale e non sia parte integrante o costitutiva di altro fabbricato - preordinata ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale, funzionalmente ed oggettivamente inserita al servizio dello stesso, sfornita di un autonomo valore di mercato, non valutabile in termini di cubatura o comunque dotata di un volume minimo tale da non consentire, in relazione anche alle caratteristiche dell'edificio principale, una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell'immobile cui accede (vedi Cass., Sez. 3^, 6.7.2001, Di Girolamo).
La relazione con la costruzione preesistente deve essere, in ogni caso, non di integrazione ma "di servizio", allo scopo di renderne più agevole e funzionale l'uso (carattere di strumentalità funzionale), sicché non può ricondurr alla nozione in esame il sostanziale ampliamento di un manufatto che, per la relazione di congiunzione fisica, costituisce parte integrante e preponderante di esso quale elemento che attiene all'essenza dell'immobile e lo completa affinché soddisfi ai bisogni cui è destinato (vedi Cass., Sez. 3^, 24.11.2000, La Bella);
2. La doglianza riferita Mentita della pena costituisce censura in punto di fatto della sentenza impugnata, che non può essere proposta in sede di legittimità, a fronte di un trattamento sanzionatorio motivatamente e razionalmente correlato all'oggettiva entità del fatto ed alla personalità dell'imputata.
3. La inammissibilità del ricorso:
a) Non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude ogni possibilità sia di fare valere sia di rilevare di ufficio, ai sensi dell'art. 129 c.p.p., l'estinzione delle contravvenzioni alla legge a 64/1974 per prescrizione pur maturata in data anteriore alla pronuncia della sentenza di appello, ma non dedotta ne' rilevata da quel giudice (vedi Cass., Sez. Unite, 22.3.2005, n. 4, ric. Bracale).
b) Non consente di applicare la sospensione del procedimento, ex art. 38 della legge a 47/1985, in relazione alla sanatoria (c.d. condono edilizio) disciplinata dall'art. 32 del D.L. 30.9.2003, n. 269, convertito con modificazioni dalla legge 24.11.2003, n. 326, con espresso richiamo (commi 25 e 28), per quanto in esso non previsto, alle "disposizioni compatibili dei capi 4 e 5 della stessa legge a 47/1985 e dell'art. 39 della legge 23.12.1994, n. 724 (vedi, in tal senso, le argomentazioni svolte in Cass., Sez. 3^: 13.11.2003, Sciaccovelli; 27.11.2003, Nappo; 9.3.2004, Modica; 6.4.2004, Paparusso).
4. Tenuto conto della sentenza 13.6.2000, n. 186 della Corte Costituzionale e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria della inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi-dedotti, nella misura di euro 500,00. P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
visti gli artt. 607, 615 e 616 c.p.p., dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento della somma di euro 500,00 (cinquecento/00) in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 11 maggio 2005.
Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2005