Cass. Sez. III n. 15992 del 8 aprile 2013 (cc. 6 mar. 2013)
Pres. Teresi Est. Andreazza Ric. Dello Iacono
Beni Culturali. Requisiti del reato di cui all’art. 733 c.p.

Tra i requisiti del reato di cui all’art. 733 c.p. vi è quello della derivazione, dalla condotta posta in essere, di un danno al patrimonio archeologico nazionale, atteso che il nocumento costituisce una condizione obiettiva di punibilità, nonché la consapevolezza, da parte dell'agente proprietario della cosa danneggiata, del rilevante pregio del bene, anche se in assenza della imposizione del vincolo

RITENUTO IN FATTO

1. D.I.G. e D.I.M. hanno presentato ricorso per cassazione nei confronti dell'ordinanza con cui il tribunale del riesame di Avellino ha confermato il decreto di sequestro preventivo in data 22/06/2012 della proprietà dei ricorrenti per il reato di cui all'art. 733 c.p., come evincibile dal decreto di sequestro stesso.

2. In sintesi, ed esponendo anche analiticamente varie vicende che avrebbero interessato, sin dagli anni settanta, i mappali in questione, per i quali erano state anche rilasciate concessioni edilizie condizionate al solo obbligo del costruttore di eseguire saggi preliminari di scavo onde individuare eventuali reperti archeologici, lamentano che il Tribunale non abbia considerato la documentazione offerta, tra cui anche provvedimenti di organi giurisdizionali amministrativi (di annullamento dei provvedimenti di occupazione da parte della P.A.), che proverebbe il diritto esclusivo dei ricorrenti sull'area e la mancanza in loco di alcun sito archeologico; contestano inoltre che sia loro attribuibile la condotta di danneggiamento al preteso patrimonio archeologico nazionale atteso che, una volta restituiti loro, in forza di provvedimento del giudice amministrativo, i mappali in questione, l'operata demolizione del muro di cinta aveva reso possibile l'ingresso nei fondi di chiunque; lamentano che il proprio jus aedificandi sia stato arbitrariamente bloccato sine die; si dolgono inoltre dell'intervenuta notifica da parte del Ministero, di vincolo archeologico in data 13/03/1975 in ragione della presenza di una "Torre degli orefici" quale struttura in laterizio a pianta rettilinea e di abusivi sbancamenti del fondo operati da terzi nonchè dell'artefatta creazione di un vincolo archeologico per effetto del trasporto da altri luoghi di mattoni e tufi non vecchi.

Con motivi nuovi depositati il 18/02/2013 D.I.G. lamenta vizio di motivazione in ordine alla integrazione della condizione obiettività di punibilità del nocumento al patrimonio archeologico propria del reato di cui all'art. 733 c.p. avendo inoltre il provvedimento impugnato omesso di esplicitare per quali ragioni il bene oggetto del presunto danneggiamento sarebbe da considerare di rilevante pregio; in particolare lo stesso non avrebbe esplicitato per quali ragioni le sentenze del Tar Campania indicate dal ricorrente e la relazione del commissario ad acta da detto Tar nominato non assumerebbero alcun rilievo tenuto conto in particolare che una di esse (ovvero la sentenza n, 65 del 1981), ha annullato il decreto del Ministero dei Beni e Attività culturali in data 7/5/1976 dispositivo del vincolo archeologico diretto di cui alla L. n. 1089 del 1939 sulla proprietà dei germani D.I., mentre le altre hanno annullato il decreto ministeriale di proroga dell'occupazione temporanea dell'area, il decreto di dichiarazione di pubblica utilità delle opere di conservazione e scavo e il decreto di acquisizione D.P.R. n. 327 del 2001, ex art. 43. A fronte di ciò il Tribunale avrebbe dovuto spiegare in relazione a quale evento storico sarebbe da considerare di interesse archeologico nazionale l'intera area dei germani L.I. e i reperti ivi esistenti. Inoltre una motivazione esauritasi nella ritenuta irrilevanza delle consulenze tecniche d'ufficio espletate dinanzi al Tar Campania per il fatto che le stesse sarebbero risalenti nel tempo e finalizzate ad altro scopo, è motivazione sfornita di ogni coerenza logica. Da tali atti sarebbe anzi data evincere la mancanza di uno dei presupposti espressamente richiesti dall'art. 733 c.p., ovvero la consapevolezza in capo ai ricorrenti del particolare pregio del bene.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. I ricorrenti, pur evocando, nel contesto di un contenzioso di lunga data con la Soprintendenza e il Ministero dei beni culturali, una lunghissima serie di vicende, iniziate circa quarant'anni orsono, che avrebbero interessato i fondi di loro proprietà, su cui sussisterebbero i beni danneggiati, la cui attinenza al provvedimento impugnato si stenta a cogliere, hanno tuttavia lamentato, in particolare, sia in ricorso che, segnatamente D.I.G. nei motivi aggiunti, come il Tribunale non abbia dato conto della affermata irrilevanza, rispetto al provvedimento di sequestro impugnato, in relazione all'interesso storico - archeologico dei beni gravati dal vincolo cautelare, di provvedimenti assunti in sede di giurisdizione amministrativa e di altri atti ad essi connessi. In particolare, come riepilogato sopra, i ricorrenti lamentano che il Tribunale non avrebbe esplicitato per quali ragioni le sentenze del Tar Campania già indicate e la relazione del commissario ad acta da detto Tar nominato non assumerebbero alcun rilievo tenuto conto in particolare che una di esse (ovvero la sentenza n. 65 del 1981), avrebbe annullato il decreto del Ministero dei Beni e Attività culturali in data 7/5/1976 dispositivo del vincolo archeologico diretto di cui alla I. n. 1089 del 1939 sulla proprietà dei germani D.I., mentre le altre avrebbero annullato il decreto ministeriale di proroga dell'occupazione temporanea dell'area, il decreto di dichiarazione di pubblica utilità delle opere di conservazione e scavo e il decreto di acquisizione D.P.R. n. 327 del 2001, ex art. 43.

Tale doglianza è fondata.

Va premesso che questa Corte, pur restando fermo che il giudizio in ordine alla misura cautelare reale resta pur sempre, in necessaria coerenza con la fase delle indagini preliminari, che è di delibazione non piena, ed in assenza del requisito della gravità indiziaria, un giudizio di apprezzamento della plausibile sussistenza del fatto, ha progressivamente richiesto che, nella valutazione del fumus commissi delicti quale presupposto di misure cautelari reali, il giudice del riesame debba tener conto, in modo puntuale e coerente, delle confutazioni e degli elementi offerti dagli indagati che possano avere influenza in particolare sulla configurabilità e sulla sussistenza del fumus stesso (tra le altre, Sez. 3, n. 27715 del 20/05/2010, Barbano, Rv. 248134; Sez. 3, n. 26197 del 05/05/2010, Bressan, Rv. 247694).

Quanto poi al reato di cui all'art. 733 c.p., va ricordato che tra i requisiti dello stesso vi è quello della derivazione, dalla condotta posta in essere, di un danno al patrimonio archeologico nazionale, atteso che il nocumento costituisce una condizione obiettiva di punibilità, nonchè la consapevolezza, da parte dell'agente proprietario della cosa danneggiata, del rilevante pregio del bene, anche se in assenza della imposizione del vincolo di cui alla legge n. 1089 del 1939 (Sez. 3, n. 4000 del 29/11/2000, Feleppa, Rv.
218546; vedi anche Sez. 3, n. 3967 del 01/03/1995, Balzan, Rv. 202074).

Ciò posto, nella specie, il Tribunale, cui erano stati appunto dedotti, per il tramite del richiamo alle sentenze del Tar Campania e della relazione del commissario ad acta da esso nominato di cui sopra, elementi in astratto incidenti, in senso favorevole ai ricorrenti, sulla configurabilità del fumus del reato nei termini desumibili dai principi appena richiamati, si è limitato, sul punto, ad affermare la non incidenza delle relazioni tecniche esperite in tali sedi sul fumus stesso sulla mera base di parametri visibilmente inconferenti quale l'epoca di effettuazione delle stesse e il differente scopo cui tali relazioni erano finalizzate. Non sfugge, quindi, che, così facendo, il Tribunale ha finito per fornire, in ordine alle doglianze sollevate, una motivazione soltanto apparente e tale, pertanto, da integrare il vizio di violazione di legge richiesto dall'art. 325 c.p.p., comma 1; ne consegue come l'ordinanza impugnata vada annullata con rinvio al Tribunale di Avellino, in diversa composizione, per nuova valutazione sul punto.

P.Q.M.

Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Avellino per nuovo esame.
Così deciso in Roma, il 6 marzo 2013.