Cass. Sez. III n. 49719 6 dicembre 2019 (PU 25 set 2019)
Pres. Lapaloricia Est. Ramacci Ric. Del Prete
Urbanistica.Reati edilizi e responsabilità del coniuge  per il fatto materialmente commesso dall’altro

In tema di reati edilizi la responsabilità di un coniuge per il fatto materialmente commesso dall’altro può essere rilevata sulla base di oggettivi elementi di valutazione quali il comune interesse all’edificazione, il regime di comunione dei beni, l’acquiescenza all’esecuzione dell’intervento, la presenza sul luogo di esecuzione dei lavori, l’espletamento di attività di controllo sull’esecuzione dei lavori, la presentazione di istanze o richieste concernenti l’immobile o l’esecuzione di attività indicative di una partecipazione all’attività illecita.


RITENUTO IN FATTO


1. La Corte di Appello di Catania, con sentenza del 28 novembre 2018 ha confermato la decisione con la quale, in data 27 febbraio 2015, il Tribunale di quella città aveva affermato la responsabilità penale di Angela CAMPAGNA per i reati a lei ascritti in concorso con il marito, il quale richiedeva ed otteneva l'applicazione della pena ai sensi dell'art. 444 cod. proc. pen., relativamente alla costruzione, in zona sismica ed in assenza dei necessari titoli abilitativi, di un edificio per civile abitazione di superficie pari a 120 metri quadri con struttura portante in laterizio, completo di tetto di copertura con orditura in legno e coppi, che veniva completato in epoca successiva al sequestro preventivo emesso dal GIP, così violando i sigilli, configurandosi pertanto i reati di cui agli artt. 81, 110, 349 cod. pen., 44, 93, 94 e 95 d.P.R. 380\01, in Belpasso fino al 3 gennaio 2013, data del secondo accertamento.
Avverso tale pronuncia la predetta propone ricorso per cassazione tramite il proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2. Con un primo motivo di ricorso deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione,  lamentando che l'affermazione di responsabilità nei suoi confronti sarebbe fondata esclusivamente sulla mera sottoscrizione di un verbale, mancando quindi la prova della sua colpevolezza al di là di ogni ragionevole dubbio.

3. Con un secondo motivo di ricorso deduce la violazione di legge ed il  vizio di motivazione sostenendo che la Corte territoriale avrebbe erroneamente calcolato la sospensione dei termini di prescrizione dei reati, che sarebbero pertanto maturati prima della pronuncia della sentenza impugnata.

4. Con un terzo motivo di ricorso deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche, lamentando che i giudici del gravame non avrebbero tenuto conto del comportamento processuale e della personalità dell'imputata.
Insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.


CONSIDERATO IN DIRITTO


1. Il ricorso è inammissibile perché basato su motivi manifestamente infondati.

2. Occorre ricordare, con riferimento alle censure formulate nel primo motivo di ricorso, che in tema di responsabilità per abuso edilizio del proprietario (o comproprietario) dell’area non formalmente committente la costante giurisprudenza di questa Corte richiede la disponibilità di indizi e presunzioni gravi, precise e concordanti che sono stati individuati, ad esempio, nella piena disponibilità, giuridica e di fatto, della superficie edificata e dell'interesse specifico ad effettuare la nuova costruzione (principio del "cui prodest");  nei rapporti di parentela o di affinità tra l'esecutore dell'opera abusiva ed il proprietario; nell'eventuale presenza "in loco" del proprietario dell’area durante l'effettuazione dei lavori; nello svolgimento di attività di materiale vigilanza sull'esecuzione dei lavori; nella richiesta di provvedimenti abilitativi anche in sanatoria; nel particolare regime patrimoniale fra coniugi o comproprietari; nella fruizione dell'opera secondo le norme civilistiche dell'accessione ed in tutte quelle situazioni e quei comportamenti, positivi o negativi, da cui possano trarsi elementi integrativi della colpa e prove circa la compartecipazione, anche morale, all'esecuzione delle opere, tenendo presente pure la destinazione finale della stessa. Grava inoltre sull'interessato l'onere di allegare circostanze utili a convalidare la tesi che, nella specie, si tratti di opere realizzate da terzi a sua insaputa e senza la sua volontà (così Sez. 3 n. 35907 del 29/05/2008, Calicchia, non massimata, che riporta anche gran parte degli esempi sopra indicati e ampi richiami a precedenti pronunce. Conf.  Sez. 3, n. 38492 del 19/5/2016, Avanzato, Rv. 268014; Sez. 3, n. 52040 del 11/11/2014, Langella e altro, Rv. 261522; Sez. 3, n. 44202 del 10/10/2013, Menditto, Rv. 257625; Sez. 3, n. 25669 del 30/5/2012, Zeno, Rv. 253065).

3. Con specifico riferimento al rapporto di coniugio, si è osservato che la compartecipazione di un coniuge nel reato materialmente commesso dall’altro non può essere desunta dalla mera qualità di comproprietario.
Sono stati pertanto successivamente individuati, quali elementi indizianti: il fatto che entrambi i coniugi siano proprietari del suolo su cui è stato realizzato l'edificio abusivo e che entrambi abbiano interesse alla violazione dei sigilli per completare l'opera al fine di trasferire la loro residenza (Sez. 3 n. 28526 del 30/5/2007, Mele, non massimata); l'abitare nel luogo ove si è svolta l'attività illecita di costruzione; l'assenza di manifestazioni di dissenso; il comune interesse alla realizzazione dell'opera (fattispecie relativa ad imputata la quale, benché formalmente residente in altro comune, conviveva con il marito, era con il predetto in regime di comunione di beni e ne condivideva anche le iniziative patrimoniali, tanto da rimanere coinvolta, in un precedente giudizio, unitamente al coniuge, in altri illeciti edilizi: Sez. 3 n. 23074 del 16/4/2008, Di Meglio, non massimata); il regime patrimoniale dei coniugi (comunione dei beni); lo svolgimento di attività di vigilanza dell'esecuzione dei lavori; la richiesta di provvedimenti abilitativi in sanatoria e la presenza in loco all'atto dell'accertamento (Sez. 3 n. 40014 del 18/9/2008, Mangione, non massimata).

4. Tali principi, negli esatti termini appena indicati, sono stati richiamati in altra pronuncia (Sez. 3, n. 51489 del 18/9/2018, Bellu, Rv. 274108, non massimata sul punto) ove si è affermato che in tema di reati edilizi la responsabilità di un coniuge per il fatto materialmente commesso dall’altro può essere rilevata sulla base di oggettivi elementi di valutazione quali il comune interesse all’edificazione, il regime di comunione dei beni, l’acquiescenza all’esecuzione dell’intervento, la presenza sul luogo di esecuzione dei lavori, l’espletamento di attività di controllo sull’esecuzione dei lavori, la presentazione di istanze o richieste concernenti l’immobile o l’esecuzione di attività indicative di una partecipazione all’attività illecita.
Tale affermazione deve pertanto essere qui ribadita, considerando quanto in precedenza indicato ai fini della soluzione della questione prospettata in ricorso.

5. Ciò posto, deve rilevarsi che la sentenza impugnata risulta perfettamente allineata ai principi dianzi menzionati, avendo fondato l’affermazione di responsabilità penale sulla base di alcuni elementi fattuali, opportunamente valorizzati, perfettamente coincidenti ad alcuni degli elementi indizianti individuati dalla giurisprudenza di questa Corte.
Segnatamente, si è posto in evidenza che l’edifico oggetto di contestazione è stato realizzato su terreno del quale la ricorrente ha la proprietà in comunione con il marito, sicché è divenuto anche di sua proprietà per accessione; che l’imputata, all’atto del sequestro, si era dichiarata proprietaria dell’immobile venendone nominata custode e che, all’atto del successivo accertamento, l’immobile sequestrato risultava completato ed abitato dalla famiglia della donna.
Del tutto correttamente, dunque, i giudici del merito hanno ritenuto tali circostanze pienamente indicative di una corresponsabilità dell’imputata la quale, peraltro, nulla aveva obiettato circa la presenza delle opere all’atto del primo sequestro e che, dopo il completamento delle stesse in violazione dei sigilli precedentemente apposti, vi era andata ad abitare insieme ai suoi familiari, risultando invece prive di riscontro e contraddette dagli accertamenti effettuati le dichiarazioni rese dal marito coimputato, il quale aveva affermato che all’epoca dei lavori si era separato dalla moglie, la quale era andata a vivere con i propri genitori ed aveva deciso di costruire la casa al fine di riconquistarla dando una casa alla famiglia che versava in condizioni economiche precarie.

6. Anche il secondo motivo di ricorso risulta manifestamente infondato.    
La Corte territoriale ha indicato in sentenza:
- che l'udienza del 3 maggio 2017 era stata rinviata al 4 ottobre 2017 per l'adesione del difensore all'astensione dalle udienze, per complessivi 154 giorni;
- che le udienze del 4 ottobre 2017,  21 febbraio 2018 e 18 aprile 2018 erano state rinviate per i legittimi impedimenti del difensore, con conseguente sospensione dei termini di prescrizione dei reati per complessivi 176 giorni;
- che l'udienza del 27 giugno 2018 era stata rinviata per adesione del difensore all'astensione dalle udienze, con conseguente sospensione dei termini di prescrizione dei reati per 154 giorni.
La Corte di appello ha dunque dato atto di un periodo di sospensione per complessivi 484 giorni.
Conseguentemente, il termine più breve, per i reati contravvenzionali, andava a scadere il 2 maggio 2019, dopo la pronuncia della sentenza impugnata.
Tali dati risultano confermati dall’esame dei contenuti dei verbali di udienza, la cui consultazione non è preclusa a questa Corte, stante la natura della questione prospettata.
A fronte di ciò, la ricorrente propone un diverso conteggio dei periodi di sospensione, che indica in complessivi 186 giorni, senza tuttavia spiegarne in alcun modo le ragioni, essendosi limitata ad indicare, del tutto apoditticamente, che i giorni di sospensione da considerare sarebbero quelli da lei indicati e non anche quelli specificati dai giudici dell’appello.
E’ inoltre appena il caso di ricordare che, per unanime giurisprudenza, in tema di sospensione della prescrizione, il limite di sessanta giorni previsto dall'art. 159, comma primo, n. 3, cod. pen., non si applica nel caso in cui il differimento dell'udienza sia determinato dalla scelta del difensore di aderire alla manifestazione di protesta indetta dalle Camere penali, con la conseguenza che, in tal caso, il corso della prescrizione può essere sospeso per il tempo, anche maggiore di sessanta giorni, ritenuto adeguato in relazione alle esigenze organizzative dell'Ufficio procedente. Ciò in quanto l’adesione alla astensione dalle udienze non costituisce un impedimento a comparire in senso tecnico (cfr. Sez. 3, n. 11671 del 24/2/2015, Spignoli, Rv. 263052 ed altre prec., tutte conformi).

7. Anche l’infondatezza del terzo motivo di ricorso, risulta, infine, di macroscopica evidenza.
Invero, il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche presuppone la sussistenza di positivi elementi di giudizio e non costituisce un diritto conseguente alla mancanza di elementi negativi connotanti la personalità del reo, cosicché deve ritenersi legittimo il diniego operato dal giudice in assenza di dati positivi di valutazione (Sez. 3, n. 19639 del 27/1/2012, Gallo, Rv. 252900; Sez. 1, n. 3529 del 22/9/1993, Stelitano, Rv. 195339 ;  Sez. 6,  n. 6724 del 1/2/1989, Ventura, Rv. 181253) ciò che è avvenuto nel caso di specie, ove la Corte di appello, nel giustificare il diniego per tali ragioni, ha posto anche in evidenza come l’affermazione che la realizzazione delle opere al fine di  sopperire alle esigenze abitative del nucleo familiare era rimasta priva di riscontro e non ne giustificava, in ogni caso, la realizzazione in assenza di qualsivoglia titolo abilitativo, richiamando anche l’attenzione sulla oggettiva consistenza del manufatto.

8. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile e alla declaratoria di inammissibilità  consegue l’onere delle spese del procedimento, nonché quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di euro 2.000,00.
L'inammissibilità del ricorso per cassazione per manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e, pertanto, preclude la possibilità di dichiarare le cause di non punibilità di cui all'art. 129 cod. proc. pen., ivi compresa la prescrizione intervenuta nelle more del procedimento di legittimità (Sez. 2, n. 28848 del 8/5/2013, Ciaffoni, Rv. 256463, Sez. 4, n. 18641 del 20/1/2004, Tricomi, Rv. 228349; Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, D. L, Rv. 217266).



P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 2.000,00 (duemila) in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in data 25/9/2019