Cass. Sez. III n. 18266 del 3 maggio 2023 (UP 13 apr 2023)
Pres. Ramacci Rel. Liberati Ric. Martella
Urbanistica.Rilascio titolo edilizio ed abuso di ufficio

Il rilascio del titolo abilitativo edilizio avvenuto senza il rispetto del piano regolatore generale o degli altri strumenti urbanistici integra la violazione di specifiche regole di condotta previste dalla legge, così come richiesto dalla nuova formulazione dell'art. 323 cod. pen. ad opera dell'art. 16 del d.l. 16 luglio 2020, n. 76, convertito nella legge 11 settembre 2020, n. 120, in quanto l'art. 12, comma 1, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 prescrive espressamente che il permesso di costruire, per essere legittimo, deve conformarsi agli strumenti urbanistici e il successivo art. 13 detta la specifica disciplina urbanistica che il direttore del settore è tenuto ad osservare, non essendovi margini di discrezionalità riguardo al suo rilascio.


RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 12 giugno 2019 il Tribunale di Lecce aveva dichiarato Valerio Giaccari e Francesco Martella responsabili dei reati di cui agli artt. 110 e 734 cod. pen., 44, comma 1, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001, 181 d.lgs. n. 42 del 2004, e 54, 55 e 1161 cod. nav. (loro ascritti in concorso per avere, Giaccari quale proprietario e Martella quale dirigente dell’Ufficio tecnico del Comune di Salve, eseguito interventi edilizi costituiti dalla realizzazione di una struttura commerciale destinata a chiosco – bar con annesso laboratorio della superficie di circa 300 mq., insistente in parte su area demaniale marittima e in parte su area sottoposta a vincolo paesaggistico e idrogeologico, in assenza di titoli demaniali, del permesso di costruire e del nulla osta delle autorità preposte alla tutela del vincolo, dovendo ritenersi illegittimi gli assensi rilasciati con il permesso edilizio n. 190 del 2016, relativo all’installazione di una struttura commerciale a carattere precario e stagionale, essendo stati realizzati interventi di natura stabile e permanente, con la realizzazione di un chiosco – bar con annesso deposito, servizi igienici, impianto idrico, fognario ed elettrico, con adiacente porticato, così deturpando le bellezze naturali, realizzando innovazioni non autorizzate e occupando abusivamente il demanio marittimo; in Pescoluse della Marina di Salve, accertato il 17/2/2016, in permanenza; capo A della rubrica), e, il solo Martella, responsabile anche del reato di cui agli artt. 81 cpv. e 323 cod. pen. (ascrittogli per avere, nella suddetta qualità di dirigente dell’Ufficio tecnico del Comune di Salve, rilasciato il 19/10/2016 un parere tecnico favorevole al mantenimento di una struttura commerciale a carattere precario e di facile rimozione per la realizzazione di una struttura commerciale chiosco – bar in un’area delimitata nel PPTR della Regione Puglia come area di rispetto boschivo nella quale il mantenimento della struttura commerciale costituiva ingombro stabile e quindi non poteva considerarsi ammissibile ai sensi dell’art. 62 del PPTR, nonché in un’area costiera nella quale il mantenimento della struttura era vietato dall’art. 45 del medesimo PPTR, così intenzionalmente procurando un ingiusto vantaggio patrimoniale al titolare della struttura Giaccari, in quanto autorizzava l’edificazione e il mantenimento della struttura turistico balneare di cui al capo A con opere e strutture nuove e di forte impatto ambientale, realizzate in violazione degli strumenti urbanistici vigenti e in contrasto con la prescrizione di ripristino dello stato dei luoghi al 31/10/2016 riportata nella autorizzazione paesaggistica del 15/5/2015; in Salve, il 19/10/2016; capo B della rubrica); Valerio Giaccari era quindi stato condannato alla pena di nove mesi di arresto e 40.000,00 euro di ammenda e Francesco Martella alla pena di un anno di reclusione; con la medesima sentenza erano state disposte la demolizione delle opere abusive e la rimessione in pristino dello stato dei luoghi, a spese di Valerio Giaccari.
Con sentenza del 11 marzo 2022 la Corte d’appello di Lecce, provvedendo sulla impugnazione proposta dagli imputati nei confronti di tale sentenza, ha assolto entrambi gli imputati dal reato di cui all’art. 734 cod. pen. perché il fatto non sussiste; ha assolto il solo Martella dai reati di cui agli artt. 181 d.lgs. n. 42 del 2004 e 54, 55 e 1161 cod. nav., per non aver commesso il fatto; ha riqualificato il fatto di cui al capo b) nella fattispecie di cui agli artt. 56 e 323 cod. pen.; ha rideterminato la pena nei confronti di Martella per tale reato e per quello di cui all’art. 44 d.P.R. n. 380 del 2001 in complessivi cinque mesi di reclusione; ha rideterminato la pena nei confronti di Giaccari per i residui reati ascrittigli in nove mesi di arresto e 39.000,00 euro di ammenda, confermando nel resto la sentenza di primo grado.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il solo Martella, mediante gli Avvocati Silvestro Lazzari e Rocco Vincenti, che lo hanno affidato a cinque articolati motivi.
2.1. Con un primo motivo ha lamentato la mancanza della motivazione con riferimento alla eccezione di nullità della sentenza di primo grado, derivante dalla violazione degli artt. 521 e 522 cod. proc. pen., sollevata con l’atto d’appello e ignorata dalla Corte territoriale.
Ha esposto che mediante tale eccezione era stata evidenziata la chiara differenza strutturale tra il fatto contestato e quello accertato con la sentenza di primo grado, in quanto secondo l’imputazione l’illegittimità dei titoli autorizzatori derivava dall’assenza di titoli demaniali rilasciati dal Capo del Compartimento, nonché del permesso di costruire e del nulla osta delle autorità preposte alla tutela del vincolo paesaggistico, mentre nella sentenza di primo grado era stato attribuito carattere di illegittimità ai provvedimenti emessi dal ricorrente non perché emessi in assenza di validi titoli amministrativi presupposti, bensì per una loro asserita, autonoma e intrinseca, illegittimità rispetto agli strumenti urbanistici e paesaggistici vigenti nell’area oggetto dell’intervento realizzato da Giaccari. Tale eccezione non era, però, in alcun modo stata considerata dalla Corte d’appello, cosicché la stessa non poteva neppure essere considerata come implicitamente esaminata e disattesa, anche perché la Corte d’appello, nel disattendere l’impugnazione del ricorrente, non aveva solamente rilevato l’illegittimità del provvedimento del 24/6/2016 (ossia del permesso stagionale al mantenimento delle opere) e del parere tecnico del 19/10/2016 (reso nell’ambito del procedimento per il rilascio della autorizzazione al mantenimento annuale delle medesime opere), ma aveva dato atto anche di tutte le autorizzazioni o permessi stagionali rilasciati da Martella a Giaccari a far tempo dall’anno 2010. Analogamente, quanto al reato di abuso di ufficio, era stato fatto rilevare, con l’atto di impugnazione, che la responsabilità del ricorrente era stata affermata per la violazione degli artt. 12 e 13 d.P.R. n. 380 del 2001, benché ciò non fosse mai stato oggetto di contestazione, e che l’ingiusto vantaggio patrimoniale per Giaccari era stato individuato nell’esonero dal pagamento degli oneri di urbanizzazione altrimenti dovuti, con argomento del tutto eccentrico rispetto alla contestazione e anche a quanto emerso nel corso del giudizio.
2.2. In secondo luogo, ha denunciato la manifesta illogicità della motivazione, anche sotto forma di travisamento delle prove, nella parte relativa alla conferma della configurabilità del reato di cui all’art. 44 d.P.R. n. 380 del 2001 di cui al capo a), in quanto l’autorizzazione edilizia n. 104 del 24/6/2016, con cui era stata definita la pratica edilizia n. 190 del 2016, relativa alla richiesta di Giaccari di rilascio dell’autorizzazione alla installazione di una struttura a carattere precario e stagionale, era stata rilasciata tenendo conto della autorizzazione paesaggistica con cui era stata verificata la conformità delle opere al PPTR, del parere di conformità igienico – sanitaria della struttura, del nulla osta del servizio forestale regionale, della autorizzazione rilasciata dalla Agenzia delle Dogane, della autorizzazione rilasciata dalla Capitaneria di Porto per realizzare la struttura precaria nell’ambito della fascia di 30 metri dal demanio marittimo, cosicché, tenendo conto dei pareri favorevoli e delle autorizzazioni di tutte le varie autorità preposte alla tutela dei diversi vincoli esistenti nell’area, l’autorizzazione alla installazione di opere precarie rilasciata dal ricorrente risultava essere un provvedimento necessitato e privo di contenuto discrezionale; il parere tecnico urbanistico del 19/10/2016 si inseriva nel diverso e autonomo procedimento amministrativo volto a ottenere l’autorizzazione al mantenimento per tutto l’anno della medesima struttura precaria e atteneva ai soli profili urbanistico – edilizi dell’intervento oggetto della richiesta e non autorizzava affatto il richiedente a mantenere l’opera precaria ma aveva solo l’effetto, interno al procedimento, di consentire che la richiesta proseguisse il suo corso in attesa delle determinazioni delle altre autorità amministrative coinvolte, anche perché tale parere non autorizzava alcun tipo di intervento. Il rilievo attribuito, nella motivazione della sentenza impugnata, alle autorizzazioni al mantenimento di opere precarie rilasciate allo Giaccari a far tempo dall’anno 2010 risulterebbe, quindi, del tutto inconferente rispetto alla contestazione, posto che tali precedenti autorizzazioni non erano mai state oggetto di alcuna censura o rilievo, né, tantomeno, di contestazioni penali, anche perché tali autorizzazioni, come pure quella del 24/6/2016, alla installazione di strutture a carattere precario e stagionale, erano consentite dalla delibera del Consiglio comunale di Salve n. 5 del 31/3/2006. Le valutazioni espresse dal ricorrente, circa la compatibilità tra il mantenimento dell’opera e le sue caratteristiche costruttive, erano correlate esclusivamente allo strumento urbanistico vigente nella zona, e gli altri soggetti preposti alla tutela dei vari vincoli ivi esistenti avrebbero ancora dovuto esprimersi sul punto, secondo le loro attribuzioni, e solo all’esito sarebbe stata valutata la rilasciabilità del permesso di costruire richiesto da Giaccari.
2.3. Con un terzo motivo ha denunciato l’errata applicazione di disposizioni di legge penale e la carenza della motivazione, con riferimento alla affermazione della configurabilità del delitto di tentato abuso di ufficio di cui agli artt. 56 e 323 cod. pen.
Ha contestato, anzitutto, la rilevata violazione di specifiche disposizioni di legge nell’emanazione del parere favorevole del 19/10/2016 (con riferimento al quale è stato ravvisato il delitto di tentato abuso d’ufficio, così riqualificata la condotta di cui al capo B da parte della Corte d’appello di Lecce, rispetto all’ipotesi consumata contestata e ravvisata dal Tribunale di Lecce), in quanto il richiamo compiuto a tal fine dalla Corte d’appello al disposto degli artt. 12 e 13 del d.P.R. n. 380 del 2001 sarebbe errato, trattandosi di precetti estranei alla pratica amministrativa che il ricorrente, nell’ambito delle sue competenze, aveva istruito, riferendosi, nel rilascio del parere favorevole oggetto della contestazione, non ai suddetti artt. 12 e 13 del testo unico dell’edilizia, bensì alla delibera del Consiglio comunale di Salve n. 5 del 31/3/2006, con la quale erano stati stabiliti i criteri per la installazione di opere precarie e stagionale lungo la fascia costiera, e alla successiva analoga delibera n. 41 del 30/9/2008 del medesimo organo territoriale. Ha denunciato anche l’incerta individuazione del vantaggio patrimoniale che la condotta illecita avrebbe procurato, o tentato di procurare, a Giaccari, che era stato prima individuato nella estensione permanente della possibilità di mantenere le opere abusive dallo stesso realizzate, e poi nel mancato pagamento dei relativi oneri di urbanizzazione.
Ha lamentato anche la totale mancanza di motivazione a proposito della matrice intenzionale del dolo in capo al ricorrente, di cui era stata spiegata la sussistenza esclusivamente con il riferimento alla macroscopica illegittimità dell’atto, senza alcun approfondimento circa la presenza di evidenti e macroscopiche incongruenze della pratica amministrativa, o a proposito dei rapporti interpersonali tra l’agente e il soggetto beneficiato dal provvedimento illegittimo, tra l’altro in contrasto con quanto affermato nella medesima sentenza a proposito del reato paesaggistico, di cui era stata esclusa la sussistenza alla luce dell’esistenza di una autorizzazione paesaggistica recente (n. 126 del 2015) sulla quale il ricorrente aveva fatto affidamento.
Ha censurato anche l’affermazione della configurabilità di un tentativo di abuso d’ufficio, fondata sulla rilevanza, all’interno del procedimento amministrativo, del parere favorevole formulato dal ricorrente, senza alcuna illustrazione della idoneità e della univocità degli atti qualificati come tentativo di abuso d’ufficio; in particolare la Corte d’appello aveva omesso di verificare se nella condotta ascritta al ricorrente potevano rintracciarsi elementi capaci di porre in dubbio l’esclusiva direzione finalistica della condotta alla realizzazione dell’evento, in quanto la valutazione spettante al dirigente dell’Ufficio tecnico comunale era solo di compatibilità con gli strumenti urbanistici, essendo rimesse ad altri soggetti le ulteriori valutazioni relative alla assentibilità dell’intervento edilizio, con la conseguente equivocità della condotta, che non poteva dirsi diretta indiscutibilmente verso la realizzazione dell’evento contestato.
2.4. Con un quarto motivo ha lamentato la mancanza e, comunque, la manifesta illogicità della motivazione, nella parte relativa alla determinazione della pena per il delitto tentato di cui agli artt. 56 e 323 cod. pen., essendo stata ridotta la pena minima edittale prevista per il delitto consumato, pari a un anno di reclusione, solamente della metà anziché di due terzi, come pure sarebbe stato possibile, e senza alcuna giustificazione.
2.5. Infine, con un quinto motivo, ha eccepito l’intervenuta estinzione per prescrizione del reato di cui all’art. 44 d.P.R. n. 380 del 2001 di cui al capo a), commesso il 17/2/2017, allorquando era stato eseguito il sopralluogo della polizia giudiziaria ed era stato accertato che il fabbricato ritenuto abusivo era stato interamente completato; poiché al termine massimo quinquennale stabilito per la prescrizione di tale contravvenzione doveva aggiungersi solamente il periodo di sospensione per impedimento del difensore, dal 3/4/2019 al 12/6/2019, pari a complessivi due mesi e nove giorni, detto termine risultava decorso il 26/4/2022, ossia nel periodo intercorrente tra la lettura del dispositivo e il deposito della motivazione della sentenza impugnata, con la conseguenza che essendo ora maturato detto termine la sentenza impugnata avrebbe dovuto essere annullata senza rinvio in relazione al suddetto reato di cui al capo a), in quanto estinto per prescrizione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.

2. Giova premettere, al fine della migliore comprensione della vicenda e delle censure sollevate dal ricorrente, che il Tribunale di Lecce era pervenuto alla affermazione di responsabilità di entrambi gli imputati in relazione a tutti i reati loro contestati sulla base di quanto emerso in occasione del sopralluogo eseguito dalla polizia giudiziaria il 2 febbraio 2017, quando era stato accertato che parte del fondo di proprietà di Giaccari era occupato da un chiosco bar (che avrebbe dovuto, in base alla autorizzazione rilasciata allo stesso Giaccari, essere smontato al termine della stagione estiva, e comunque entro il 31 ottobre 2016), e da opere di non facile rimozione, tra cui un’area pavimentata in cemento della superficie di 125 mq. e un gazebo in legno della superficie di 72 mq. (tra l’altro realizzato su area demaniale marittima), risultando realizzati interventi edilizi non autorizzati per complessivi 300 mq., tra cui il suddetto chiosco bar della superficie di 160 mq. e altre strutture di pertinenza, nonché quella su cui era stata realizzata una pavimentazione stabilmente infissa al suolo, con chianche di pietra di Cursi. Riguardo alla natura dell’intervento il Tribunale aveva sottolineato la abusiva realizzazione degli interventi edilizi, della superficie complessiva di circa 300 mq., in considerazione della loro stabilità, contrariamente a quanto indicato nelle varie autorizzazioni rilasciate a Giaccari, nelle quali le opere erano descritte come precarie e di facile amovibilità al termine della stagione estiva e comunque entro il 31 ottobre. Quanto alla condotta del ricorrente Martella, il Tribunale aveva sottolineato il diniego della autorizzazione paesaggistica al mantenimento delle opere reso il 18/4/2016 dalla Unione dei Comuni di Terra di Leuca (per il contrasto con le disposizioni del PPTR) e il parere favorevole al mantenimento di dette opere reso dal ricorrente Martella il 19/10/2016 e la autorizzazione n. 104 del 24/6/2016 dallo stesso rilasciata, in violazione degli strumenti urbanistici e nella piena consapevolezza di violare numerose norme volte alla tutela del paesaggio, del territorio e dell’ambiente, allo scopo di consentire a Giaccari di conseguire un indebito vantaggio patrimoniale, costituito dalla prosecuzione della sua attività commerciale, mediante il suddetto chiosco – bar e le opere a esso accessorie.
La Corte d’appello ha ribadito la necessità del preventivo rilascio del permesso di costruire per le opere realizzate da Giaccari, in considerazione della loro stabilità e permanenza, ritenendo irrilevante la loro destinazione a una attività commerciale di carattere stagionale, con la conseguente illegittimità della autorizzazione al loro mantenimento rilasciata dal ricorrente il 24/6/2016 e del parere favorevole al mantenimento della struttura commerciale dallo stesso reso il 19/10/2016, volto a procurare un vantaggio patrimoniale allo stesso Giaccari, estendendo in via permanente il già illegittimo provvedimento autorizzativo stagionalmente rilasciato, con esonero dal pagamento degli oneri di urbanizzazione altrimenti dovuti.

3. Ciò premesso, quanto agli aspetti salienti della vicenda e alle valutazioni compiute dai giudici di merito, il primo motivo di ricorso, mediante il quale è stata lamentata la mancanza assoluta della motivazione con riferimento alla eccezione di nullità della sentenza di primo grado per violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza di cui agli artt. 521 e 522 cod. proc. pen., è manifestamente infondato.
Va, infatti, ricordato come, da tempo, nella giurisprudenza di legittimità sia stato affermato il principio secondo cui, in tema di correlazione fra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale sia stata riassunta l’ipotesi astratta prevista dalla legge, così da determinare un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione, da cui scaturisca un reale pregiudizio per i diritti della difesa; ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione di tale principio non va esaurita nel mero confronto, puramente letterale, fra contestazione e oggetto della statuizione di sentenza, perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è insussistente quando l'imputato, attraverso l'iter del processo, si sia venuto a trovare nella condizione concreta di potersi difendere in ordine all'oggetto dell'imputazione così come ritenuta in sentenza (cfr. Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco, Rv. 205619; Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051; conf., ex plurimis, Sez. 4, n. 16900 del 04/02/2004, Caffaz, Rv. 228042; Sez. 4, n. 41663 del 25/10/2005, Cannizzo, Rv. 232423; Sez. 3, n. 35225 del 28/06/2007, Dimartino, Rv. 237517; Sez. 3, n. 15655 del 27/02/2008, Fontanesi, Rv. 239866; Sez. 4, n. 4497 del 16/12/2015, dep. 03/02/2016, Addio e altri, Rv. 265946).
Tale orientamento è stato sviluppato chiarendo che è configurabile la violazione del principio della correlazione tra l'imputazione contestata e la pronuncia solo quando il fatto, ritenuto in sentenza, si trovi rispetto a quello contestato in rapporto di eterogeneità o di incompatibilità, nel senso che sia realizzata una vera e propria trasformazione, sostituzione e variazione dei contenuti essenziali dell'addebito (Sez. 3, n. 9973 del 22/09/1997, Angelini, Rv. 209245; Sez. 6, n. 36003 del 14/06/2004, Di Bartolo, Rv. 229756), precisando che può sussistere violazione del principio di corrispondenza tra accusa e sentenza solo quando tra il fatto descritto e quello accertato non si rinviene un nucleo comune identificato dalla condotta, e si manifesta, pertanto, un rapporto di incompatibilità ed eterogeneità, che si risolve in un vero e proprio stravolgimento dei termini dell'accusa, a fronte dei quali l'imputato è impossibilitato a difendersi (Sez. 4, n. 27355 del 27/01/2005, Capanna, Rv. 231727; Sez. 6, n. 81 del 06/11/2008, Zecca, Rv. 242368; Sez. 6, n. 6346 del 09/11/2012, Domizi, Rv. 254888).
È stato, poi, ulteriormente precisato come, ai fini della valutazione della corrispondenza tra pronuncia e contestazione di cui all'art. 521 cod. proc. pen., debba tenersi conto non solo del fatto descritto in imputazione, ma anche di tutte le ulteriori risultanze probatorie portate a conoscenza dell'imputato e che hanno formato oggetto di sostanziale contestazione, sicché questi abbia avuto modo di esercitare le sue difese sull'intero materiale probatorio posto a fondamento della decisione (Sez. 6, n. 5890 del 22/01/2013, Lucera, Rv. 254419; Sez. 2, n. 46786 del 24/10/2014, Borile, Rv. 261052, nella quale è stato chiarito che non è configurabile la violazione dell'art. 521 cod. proc. pen. qualora la diversa qualificazione giuridica del fatto appaia come uno dei possibili epiloghi decisori del giudizio, secondo uno sviluppo interpretativo assolutamente prevedibile, in relazione al quale l'imputato e il suo difensore abbiano avuto nella fase di merito la possibilità di interloquire in ordine al contenuto dell'imputazione, anche attraverso l'ordinario rimedio dell'impugnazione).
L'obbligo di correlazione tra accusa e sentenza, pertanto, non può ritenersi violato da qualsiasi modificazione rispetto all'accusa originaria, ma soltanto nel caso in cui la modificazione dell'imputazione pregiudichi la possibilità di difesa dell'imputato: la nozione strutturale di "fatto" va, infatti, coniugata con quella funzionale, fondata sull'esigenza di reprimere solo le effettive lesioni del diritto di difesa, posto che il principio di necessaria correlazione tra accusa contestata e decisione giurisdizionale risponde all'esigenza di evitare che l'imputato sia condannato per un fatto, inteso come episodio della vita umana, rispetto al quale non abbia potuto difendersi (cfr. Sez. 5, n. 3161 del 13/12/2007, P., Rv. 238345; Sez. 2, n. 38889 del 16/09/2008, D. Rv. 241446; Sez. 2, n. 18729 del 14/04/2016, Russo, Rv. 266758).
Ne consegue che la violazione dell'art. 521 cod. proc. pen. non sussiste quando nel capo di imputazione siano contestati gli elementi fondamentali idonei a porre l'imputato in condizioni di difendersi dal fatto successivamente ritenuto in sentenza, da intendersi come accadimento storico oggetto di qualificazione giuridica da parte della legge penale, che spetta al giudice individuare nei suoi esatti contorni (cfr. Sez. 5, n. 7984 del 24/09/2012, Jovanovic, Rv. 254648), tenendo anche conto dei possibili sviluppi, interpretativi e sul piano della qualificazione giuridica, della ipotesi d’accusa originaria, che siamo in questa insiti ab origine.
Tali consolidati criteri ermeneutici sono stati ritenuti compatibili con la regola di sistema espressa dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo (sentenza 11 dicembre 2007, Drassich c. Italia), secondo cui, ai sensi dell'art. 6, par. 3, lett. a) e b) della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo sul "processo equo", la garanzia del contraddittorio deve essere assicurata all'imputato anche in ordine alla diversa definizione giuridica del fatto operata dal giudice ex officio (cfr., al riguardo, Sez. 6, n. 45807 del 12/11/2008, Drassich, Rv. 241754; conf. Sez. 5, n. 231 del 09/10/2012, Ferrari, Rv. 254521), quando la diversa qualificazione giuridica avvenga "a sorpresa", determinando conseguenze negative per l'imputato (e, quindi, fondando un suo concreto interesse ad ottenerne la rimozione), che, per la prima volta, e senza mai avere avuto la possibilità di interloquire sul punto, si trovi di fronte ad un fatto storico radicalmente trasformato in sentenza nei suoi elementi essenziali, al punto tale, cioè, da imporre una diversa e nuova definizione giuridica del fatto medesimo, rispetto a quanto contestato, in punto di fatto e di diritto, nell'imputazione, di cui rappresenta uno sviluppo inaspettato (cfr. Sez. 5, n. 7984 del 24/09/2012, Jovanovic, Rv. 254649; conf. Sez. 5, n. 1697 del 25/09/2013, Cavallari, Rv. 258941; Sez. 5, n. 48677 del 06/06/2014, Napolitano, Rv. 261356; Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv. 264438).
Ora, nel caso in esame, la contestazione faceva chiaramente e inequivoco riferimento alla realizzazione, da parte del coimputato non ricorrente Giaccari, di interventi edilizi costituiti dalla realizzazione di una struttura commerciale destinata a chiosco – bar con annesso laboratorio della superficie di circa 300 mq., insistente in parte su area demaniale marittima e in parte su area sottoposta a vincolo paesaggistico e idrogeologico, in assenza di titoli demaniali, del permesso di costruire e del nulla osta delle autorità preposte alla tutela del vincolo.
La responsabilità degli imputati è stata, in primo grado, affermata in relazione a tutte le ipotesi di reato loro contestate, ossia per i reati di cui agli artt. 110 e 734 cod. pen., 44, comma 1, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001, 181 d.lgs. n. 42 del 2004, e 54, 55 e 1161 cod. nav., e, nel giudizio di appello, è stata confermata solamente per il reato urbanistico, ritenuto integrato dalla realizzazione di dette opere in assenza del permesso di costruire, ritenuto necessario in considerazione della loro natura e delle loro caratteristiche costruttive.
Quanto al delitto di abuso di ufficio di cui al capo b), la contestazione, da leggere, evidentemente, anche alla luce del reato urbanistico contestato sub a), a proposito del quale sono stati menzionati entrambi i provvedimenti emessi dal Martella (è cioè sia l’autorizzazione del 24/6/2016 sia il parere favorevole del 19/10/2016), fa riferimento alla autorizzazione da parte del Martella, nella qualità di dirigente dell’Ufficio tecnico del Comune di Salve, a realizzare e mantenere la struttura turistica balneare indicata al capo a), dunque alla complessiva condotta tenuta dal Martella descritta ai capi a) e b) della rubrica, quindi a entrambi i provvedimenti amministrativi dallo stesso adottati (menzionati espressamente al capo a), cosicché, anche riguardo a tale contestazione, risultavano chiare le condotte contestate al ricorrente, che, comunque, nel corso di entrambi i giudizi di merito ha ampiamente controdedotto al riguardo ed è stato posto nella possibilità di difendersi dalla contestazione di aver adottato entrambi gli atti illegittimi in questione, cosicché, anche a questo riguardo, non risulta esservi stata alcuna radicale immutazione dei fatti contestati rispetto a quelli ritenuti nelle sentenze di merito, né alcun pregiudizio ai diritti difensivi dell’imputato, al quale il principio di correlazione tra accusa e sentenza è strumentalmente coordinato.
Non vi è stata, dunque, come è evidente, alcuna immutazione radicale dei fatti contestati rispetto a quelli per i quali è stata affermata la responsabilità degli imputati, in quanto le contestazioni fanno chiaramente riferimento, tra l’altro, alla realizzazione di una pluralità di opere, descritte con sufficiente specificità, della superficie complessiva di 300 mq., e alle loro caratteristiche costruttive e strutturali, tali da richiedere il preventivo rilascio del permesso di costruire per la loro realizzazione, che è la residua ipotesi di reato di cui al capo a), in relazione alla quale è stata confermata la responsabilità degli imputati, e ai due atti amministrativi adottati dal ricorrente, strumentali alla realizzazione e al mantenimento di dette opere abusive, cosicché risulta chiaramente insussistente qualsiasi immutazione del nucleo essenziale dei fatti contestati rispetto a quelli ritenuti nelle sentenze di merito, con la conseguente manifesta infondatezza dei rilievi sollevati sul punto con il primo motivo di ricorso.

3. Il secondo motivo, mediante il quale è stato lamentato un vizio della motivazione con riferimento alla affermazione della configurabilità del reato edilizio di cui all’art. 44 d.P.R. n. 380 del 2001 contestato al capo a), è manifestamente infondato.
Il ricorrente al riguardo afferma, da un lato, la piena legittimità della autorizzazione al mantenimento di opere stagionali e precarie dallo stesso rilasciata il 24/6/2016 (si tratta della autorizzazione n 104 del 2016), in ragione del carattere precario e amovibile delle opere, e, dall’altro, l’irrilevanza del parere favorevole al mantenimento annuale delle medesime opere dallo stesso reso il 19/10/2016, in quanto atto interno al procedimento volto al rilascio del permesso di costruire.
Ora, a prescindere dalla intrinseca contraddittorietà di tale prospettazione, perché prima si afferma la non necessarietà del permesso di costruire, in ragione della natura delle opere e del loro carattere precario, e poi si dà atto della richiesta di tale titolo e della espressione di parere favorevole al loro mantenimento, va osservato che correttamente entrambi i giudici di merito hanno escluso il carattere precario delle opere oggetto della contestazione e hanno rilevato la necessità per la loro realizzazione del preventivo rilascio del permesso  di costruire.
Giova al riguardo ricordare che, per consolidata giurisprudenza di legittimità, per definire precario un immobile, tanto da non richiedere il rilascio di un titolo abilitativo, è necessario ravvisare l'obiettiva e intrinseca destinazione a un uso temporaneo per specifiche esigenze contingenti, non rilevando che esso sia realizzato con materiali non abitualmente utilizzati per costruzioni stabili. (Sez. 3, n. 5821 del 15/01/2019, Dule, Rv. 275697, relativa a fattispecie in cui la Corte ha escluso la natura precaria di una platea in conglomerato cementizio avente una superfice di circa 100 metri quadrati, con tramezzature perimetrali in laterizio di metri 25 di lunghezza in quanto denotante una futura stabile destinazione; conf. Sez. 3, n. 38473 del 31/05/2019, Bossone, Rv. 277837; Sez. 3, n. 380 del 17/10/2019, dep. 2020, Lauro, Rv. 278277; Sez. 3, n. 36552 del 15/06/2022, Crugliano, Rv. 283590).
L'art. 3, comma 1, lett. e), d.P.R. n. 380 del 2001 dispone, infatti, che costituiscono "interventi di nuova costruzione" - assoggettati al previo rilascio del permesso di costruire ex art. 10, comma 1, lett. a), d.P.R. 380/2001 cit., - «quelli di trasformazione edilizia e urbanistica del territorio non rientranti nelle categorie definite alle lettere precedenti» e che, tra l'altro, «sono comunque da considerarsi tali...e.5) l'installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulotte, camper, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, ad eccezione di quelli che siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee o delle tende e delle unità abitative mobili con meccanismi di rotazione in funzione, e loro pertinenze e accessori, che siano collocate, anche in via continuativa, in strutture ricettive all'aperto per la sosta e il soggiorno dei turisti previamente autorizzate sotto il profilo urbanistico, edilizio e, ove previsto, paesaggistico, che non posseggano alcun collegamento di natura permanente al terreno e presentino le caratteristiche dimensionali e tecnico-costruttive previste dalle normative regionali di settore ove esistenti» (la citata lett. e.5 è stata così sostituita dall'art. 10 d.l. 16 luglio 2020, n. 76, recante Misure urgenti per la semplificazione e l'innovazione digitale, conv., con modiff., in I. 11 settembre 2020, n. 120).
Al fine di ritenere sottratta al preventivo rilascio del permesso di costruire la realizzazione di un manufatto per la sua asserita natura precaria, la stessa non può quindi essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data all'opera dal costruttore, ma deve ricollegarsi alla intrinseca destinazione materiale dell'opera a un uso realmente precario e temporaneo per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, con conseguente possibilità di successiva e sollecita eliminazione, non risultando, peraltro, sufficiente la sua rimovibilità o il mancato ancoraggio al suolo (Sez. 3, n. 966 del 26/11/2014, dep. 2015, Manfredini, Rv. 261636, relativa a fattispecie in cui la Corte ha ritenuto penalmente rilevante la realizzazione abusiva di una stalla costruita con pali in legno saldamente ancorati al suolo e copertura in lamiera per soddisfare esigenze permanenti e durature nel tempo; v. anche Sez. 3, n. 36552 del 15/06/2022, Crugliano, Rv. 283590, cit.).
Ciò, del resto, era già stato chiarito dalla Corte costituzionale, che in proposito ha osservato che «la normativa statale sancisce il principio per cui ogni trasformazione permanente del territorio necessita di titolo abilitativo e ciò anche ove si tratti di strutture mobili allorché esse non abbiano carattere precario. Il discrimine tra necessità o meno di titolo abilitativo è data dal duplice elemento: precarietà oggettiva dell'intervento, in base alle tipologie dei materiali utilizzati, e precarietà funzionale, in quanto caratterizzata dalla temporaneità dello stesso» (Corte cost., sent. 23 giugno 2010, n. 278; Corte cost., sent. 9 giugno 2014, n. 189).
Nel caso in esame i giudici di merito hanno chiaramente e correttamente escluso il carattere, indispensabile per poter ritenere non necessario il permesso di costruire, della precarietà strutturale delle opere, evidenziando come sia stata realizzata un’area pavimentata in cemento di 125 mq., edificato un gazebo in legno della superficie di 72 mq. (tra l’altro ricadente nel demanio marittimo), costruita una struttura destinata a chiosco – bar in metallo con infissi in alluminio della superficie di 48 mq., dotata di servizi igienici e impianto idrico e fognario.
È stato, in particolare (cfr. pag. 9 della sentenza di primo grado), evidenziato che l’opera realizzata da Giaccari, con il concorso del ricorrente Martella, possiede “le caratteristiche di un intervento edilizio tutt’altro che precario e facilmente amovibile, avente natura e peculiarità di un’opera stabile e causativa di una modifica irreversibile della morfologia del territorio”.
Risultano, quindi chiaramente infondati i rilievi sollevati dal ricorrente a proposito della non necessarietà del permesso di costruire, stante il carattere stabile e nient’affatto precario delle opere materialmente realizzate da Giaccari; altrettanto manifestamente infondati risultano i rilievi relativi alla estraneità del ricorrente alla realizzazione di tali opere, cui certamente concorse, sia con l’autorizzazione del 24/6/2016 al mantenimento di tali opere, definite come precarie nonostante le opere inequivocabili caratteristiche strutturali; sia con il successivo parere favorevole del 19/10/2016, reso allo scopo di consentire il rilascio del permesso di costruire per poter mantenere dette opere, nonostante il parere contrario di compatibilità paesaggistica.
Ne consegue, in definitiva, la manifesta infondatezza anche dei rilievi sollevati con il secondo motivo di ricorso.

4. Il terzo motivo, mediante il quale sono state lamentate errate applicazioni di disposizioni di legge penale e vizi della motivazione, riguardo alla affermazione della configurabilità del delitto di abuso d’ufficio, nella forma tentata ravvisata dalla Corte d’appello, è, anch’esso, manifestamente infondato.
Quanto alla configurabilità dell’elemento oggettivo di tale reato, di cui è stata contestata la ricorrenza a causa della indebita e comunque errata individuazione delle specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge e che sarebbero state violate, erroneamente indicate dalla Corte d’appello negli artt. 12 e 13 del d.P.R. n. 380 del 2001, va osservato che la giurisprudenza di legittimità ha già affermato, con principio che il Collegio condivide e ribadisce, che il rilascio del titolo abilitativo edilizio avvenuto senza il rispetto del piano regolatore generale o degli altri strumenti urbanistici integra la violazione di specifiche regole di condotta previste dalla legge, così come richiesto dalla nuova formulazione dell'art. 323 cod. pen. ad opera dell'art. 16 del d.l. 16 luglio 2020, n. 76, convertito nella legge 11 settembre 2020, n. 120, in quanto l'art. 12, comma 1, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 prescrive espressamente che il permesso di costruire, per essere legittimo, deve conformarsi agli strumenti urbanistici e il successivo art. 13 detta la specifica disciplina urbanistica che il direttore del settore è tenuto ad osservare (così Sez. 6, n. 31873 del 17/09/2020, Pieri, Rv. 279889), non essendovi margini di discrezionalità riguardo al suo rilascio (come chiarito da Sez. 3, n. 26834 del 08/09/2020, Barletta, Rv. 280266; nel medesimo senso v. anche Sez. 6, n. 13148 del 08/03/2022, Calabrò, Rv. 283111).
Tali decisioni si fondano sul condivisibile principio secondo cui le regole stabilite dagli artt. 12 e 13 del d.P.R. 380 del 2001, tra cui l’obbligo di conformarsi agli strumenti urbanistici, non lasciano spazi di discrezionalità alla pubblica amministrazione investita della richiesta di rilascio di un titolo abilitativo edilizio, cosicché la fattispecie incriminatrice non può certo dirsi indeterminata quando si correli la violazione di regole di condotta previste dalla legge al mancato rispetto degli strumenti urbanistici, né la condotta tipica risulta imprevedibile o indeterminabile, derivando dette regole di condotta esclusivamente dalla esatta osservanza delle disposizioni del testo unico urbanistico e degli strumenti urbanistici che ne sono attuazione e specificazione, con la conseguente evidente infondatezza delle censure sollevate dal ricorrente a proposito della errata individuazione delle disposizioni di legge che sarebbero state violate dal ricorrente nella sua azione amministrativa, in particolare nell’adozione dei provvedimenti autorizzativi e consultivi resi a seguito delle richieste presentate da Valerio Giaccari.
Quanto al vantaggio patrimoniale per quest’ultimo, lo stesso risultava talmente evidente da non richiedere analitica illustrazione, consistendo nella possibilità di mantenere a tempo indeterminato, e non solo per il periodo estivo (per il quale sarebbe comunque stato necessario il permesso di costruire in ragione delle caratteristiche e della consistenza delle opere realizzare, come evidenziato a proposito del residuo reato di cui al capo A), le opere abusivamente realizzate dallo stesso Giaccari e mantenute illecitamente per il periodo estivo in forza della indebita autorizzazione rilasciata dal ricorrente Martella il 24/6/2016, derivando evidentemente da ciò un chiaro vantaggio patrimoniale, consistente nella possibilità di mantenere le opere nella loro consistenza senza rimuoverle al termine della stagione estiva, con un palese risparmio di costi.
L’elemento soggettivo, della intenzionalità della condotta, è stato, altrettanto correttamente, ricavato dalla palese illegittimità del parere favorevole rilasciato dal ricorrente, in quanto lo stesso, anche se privo di immediata portata autorizzativa,  si è inserito in modo determinante nel procedimento amministrativo volto a ottenere il permesso di costruire richiesto dallo Giaccari, dando atto della possibilità di rilascio di tale permesso sul piano urbanistico edilizio, nonostante i plurimi ostacoli al suo rilascio derivanti dalla presenza nell’area interessata dalla realizzazione delle opere di vincoli paesaggistici e idrogeologici e dalla occupazione di aree demaniali, ostacoli palesi in ragione delle caratteristiche delle opere e della loro collocazione, cosicché il parere favorevole rilasciato dal ricorrente non poteva che essere volto, proprio alla luce dei plurimi impedimenti al rilascio del permesso di costruire (concretatisi nel il diniego della autorizzazione paesaggistica al mantenimento delle opere reso il 18/4/2016 dalla Unione dei Comuni di Terra di Leuca per il contrasto con le disposizioni del PPTR), a favorire indebitamente Giaccari.
La configurabilità del tentativo, in particolare l’univocità degli atti, deriva, anch’essa, dalla inequivoca direzione della condotta del ricorrente, consistita nel rilascio del suddetto parere favorevole, a consentire a Giaccari di ottenere, indebitamente (in quanto in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti, stante la prossimità delle opere alla fascia costiera e in particolare a una zona di questa caratterizzata dalla presenza di dune di sabbia e soggetta a particolare protezione), il permesso di costruire.
Il contenuto dell’atto amministrativo adottato dal ricorrente non lascia dubbi sulla sua esclusiva direzione alla realizzazione dell’evento, e cioè all’indebito rilascio del permesso di costruire richiesto da Giaccari, in quanto la valutazione favorevole del dirigente dell’Ufficio tecnico comunale, di compatibilità con gli strumenti urbanistici, ha avuto l’effetto di rimuovere un ostacolo al rilascio di tale permesso, pur essendo rimesse ad altri soggetti le ulteriori valutazioni relative alla assentibilità dell’intervento edilizio, con la conseguente univocità della condotta, indiscutibilmente volta alla realizzazione dell’evento contestato, costituito dal rilascio del titolo abilitativo richiesto dallo Giaccari.
Deve, in definitiva, concludersi per la manifesta infondatezza dei rilievi sollevati dal ricorrente a proposito della configurabilità del reato di cui al capo b), come riqualificato dalla Corte d’appello nella forma del tentativo di abuso d’ufficio.

5. Il quarto motivo, relativo al trattamento sanzionatorio, determinato senza applicare la massima riduzione possibile per il delitto tentato, essendo stata applicata la riduzione di metà anziché di due terzi al minimo edittale di un anno di reclusione previsto per il delitto di cui all’art. 323 cod. pen., è manifestamente infondato, essendo volto a censurare una valutazione di merito, ossia quella in ordine alla misura della pena detentiva, che è stata giustificata adeguatamente dalla ampia illustrazione delle modalità della condotta e dalla sottolineatura della sua gravità, per la pluralità di interessi protetti pregiudicati dalla realizzazione delle opere abusive e l’estensione di queste ultime, tenendo conto del consolidato principio secondo cui non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione del giudice nel caso, come quello in esame, in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale (cfr. Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, Del Papa, Rv. 276288, nella quale è anche stato chiarito che tale media deve essere calcolata non dimezzando il massimo edittale previsto per il reato, ma dividendo per due il numero di mesi o anni che separano il minimo dal massimo edittale ed aggiungendo il risultato così ottenuto al minimo; nel medesimo senso già, in precedenza, Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 271243; Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, Scaramozzino, Rv. 265283; Sez. 2, n. 28852 del 08/05/2013, Taurasi, Rv. 256464).

6. Il quinto motivo, mediante il quale è stata eccepita l’intervenuta estinzione per prescrizione del reato di cui all’art. 44 d.P.R. n. 380 del 2001 di cui al capo a), commesso il 17/2/2017, per essere decorso il 26/4/2022 il relativo termine massimo, tenuto conto della sua interruzione per impedimento del difensore dell’imputato, ossia nel periodo intercorrente tra la lettura del dispositivo e il deposito della motivazione della sentenza impugnata, è manifestamente infondato, in quanto ai fini del computo della prescrizione del reato deve essere preso in considerazione esclusivamente il momento della lettura del dispositivo della sentenza di condanna, che rende la decisione non più modificabile in relazione alla pretesa punitiva, e non quello successivo di deposito della motivazione, che contiene soltanto l'esposizione dei motivi in fatto e in diritto sui quali la decisione è fondata (Cfr. Sez. 7, Ordinanza n. 38143 del 13/02/2014, Foggetti, Rv. 262615; Sez. 1, n. 20432 del 27/01/2015, Lione, Rv. 263365; Sez. 2, n. 46261 del 18/09/2019, Cammi, Rv. 277593).

7. Il ricorso deve, dunque, essere dichiarato inammissibile, a causa della manifesta infondatezza di tutti i motivi ai quali è stato affidato.
L’inammissibilità originaria del ricorso esclude, poi, il rilievo della eventuale prescrizione verificatasi successivamente alla sentenza di secondo grado, giacché detta inammissibilità impedisce la costituzione di un valido rapporto processuale di impugnazione innanzi al giudice di legittimità, e preclude l'apprezzamento di una eventuale causa di estinzione del reato intervenuta successivamente alla decisione impugnata (Sez. un., 22 novembre 2000, n. 32, De Luca, Rv. 217266; conformi, Sez. un., 2/3/2005, n. 23428, Bracale, Rv. 231164, e Sez. un., 28/2/2008, n. 19601, Niccoli, Rv. 239400; in ultimo Sez. 2, n. 28848 del 8.5.2013, Rv. 256463; Sez. 2, n. 53663 del 20/11/2014, Rasizzi Scalora, Rv. 261616; nonché Sez. U, n. 6903 del 27/05/2016, dep. 14/02/2017, Aiello, Rv. 268966).
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento, nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si determina equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 3.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Manda alla cancelleria per la comunicazione del dispositivo ai sensi dell’art. 154 ter disp. att. cod. proc. pen. alla amministrazione comunale di Salve.
Così deciso il 13/4/2023