Cass. Sez. III n. 50500 del 19 dicembre 2023 (CC 23 nov 2023)
Pres. Ramacci Rel. Galanti Ric. Vacchi
Urbanistica.Rilevanza vincolo idrogeologico nel procedimento di rilascio del titolo abilitativo edilizio

Sebbene vada confermato il principio secondo cui l’esecuzione di interventi edilizi in zona sottoposta a vincolo idrogeologico non integra il reato paesaggistico ma quello edilizio, non essendo tale vincolo ricompreso tra quelli tassativamente elencati dalla lett. c) dell’art. 44 TUE, come tali insuscettibili di estensione analogica, appare evidente che l’assenza dell’espresso parere in materia idrogeologica vizia la sequenza procedimentale che ha condotto al provvedimento autorizzativo, rendendolo così illegittimo.

RITENUTO IN FATTO
 
1. Con ordinanza in data 28/06/2023, il Tribunale del riesame di Sassari rigettava la richiesta di riesame proposto dalla difesa di Gianluca Vacchi avverso il decreto di sequestro preventivo disposto dal GIP presso il Tribunale di Tempio Pausania in data 06/06/2023, avente ad oggetto due distinti immobili (corpo A e B) siti nel comune di Arzachena, in riferimento alla denunciata commissione dei reati di cui agli articolo 44, lettera c), d.P.R. 380/2001, 181, lettera a), d. lgs. 242/2004 (e, per il solo coindagato Faggioli Giovanni, artt. 483, 81 cpv., cod. pen.).

2. Avverso tale provvedimento il Vacchi propone, tramite i propri difensori di fiducia, ricorso per cassazione, proponendo le seguenti censure.
2.1. Con il primo motivo lamenta violazione di legge e in particolare dell’articolo 2 cod. pen., dell’articolo 321 cod. proc. pen. e dell’articolo 292, comma 2-ter, dello stesso codice; carenza assoluta di motivazione in relazione ai reati di cui all’articolo 44, lettera c), d.P.R. 380/2001, e 181 del d. lgs. n. 42/2004.
Erroneamente l’ordinanza impugnata ritiene sussistente il reato urbanistico e quello paesaggistico in quanto la presunta mancata acquisizione del parere ai sensi dell’articolo 7 del r.d.l. n. 3267/1923 avrebbe viziato tutta la procedura autorizzativa, ponendosi così la motivazione in contrasto con l’evidente sussistenza di concessione edilizia n. 212/2011.
Inoltre, il provvedimento impugnato non considera che la mancata sussistenza del vincolo idrogeologico è stato oggetto di depenalizzazione nel 1981, ragion per cui non appare possibile far discendere dalla mancata acquisizione del parere il reato urbanistico.
Il principio non può che estendersi anche all’articolo 181 d. lgs. 42/2004, dato che la norma incriminatrice punisce esclusivamente l’esecuzione di opere edilizie in zone paesaggisticamente vincolate laddove, al contrario, è pacifico che nel 2011 venne rilasciata autorizzazione paesaggistica che consentiva la demolizione ricostruzione di fabbricati.
2.2. Col il secondo motivo lamenta violazione di legge e in particolare dell’articolo 2 cod. pen., dell’articolo 321 cod. proc. pen. e dell’articolo 292, comma 2-ter, nello stesso codice, e carenza assoluta di motivazione in relazione ai reati di cui all’articolo 44, lettera c), d.P.R. 380/2001, e 181 del d. lgs. n. 42/2004, e violazione dell’articolo 32 delle norme tecniche di attuazione P.A.I. Sardegna.
Il Tribunale del riesame non considera che il P.A.I. della Regione Sardegna (Piano Stralcio per l’Assetto Idrogeologico) è entrato in vigore solo nel 2015, ossia quando era già stato rilasciato il titolo edilizio del 2011. Omette inoltre di esaminare il motivo di impugnazione secondo cui, anche nelle aree soggette a vincolo PAI HG3 (che peraltro riguarda solo l’edificio a), l’articolo 32 del Piano consente opere di demolizione e ricostruzione.
Omette infine di operare una valutazione differenziata dei due corpi di fabbrica, posto che il secondo è classificato come HG0, ossia a rischio idrogeologico nullo.
2.3. Con il terzo motivo lamenta violazione di legge e in particolare degli articoli 321 e 292 comma 2-ter cod. proc. pen., carenza assoluta di motivazione in relazione ai reati di cui all’articolo 44, lettera, c) d.P.R. 380/2001 e 181 del d. lgs. n. 42/2004, e violazione dell’articolo 14-bis L. 241/1990.
Evidenzia il ricorrente come, per effetto dell’indizione della conferenza di servizi ex art. 14-bis l. 241/1990, si concentrino in un unico contesto logico e temporale le valutazioni e le posizioni delle singole amministrazioni portatrici degli interessi pubblici coinvolti nel procedimento amministrativo; l’unico titolo legittimante all’intervento edilizio è pertanto il provvedimento unico rilasciato dal SUAPE, ed esso non può essere considerato invalido solo perché non è stato acquisito il parere del Corpo forestale dello Stato.
2.4. Con il quarto motivo lamenta violazione di legge e in particolare dell’articolo 321 del codice di procedura penale e dell’articolo 292 comma 2-ter nello stesso codice, carenza assoluta di motivazione in relazione agli articoli 7 R.D. 3267/1923, e 20, R.D.L. 1126/1926.
Censura in particolare il ricorrente l’affermazione del tribunale del riesame secondo cui il 12 settembre 2022 sarebbe stato acquisito (nell’ambito della procedura confluita nella variante n. 537/2022) il nulla-osta di cui all’articolo 20 nel r.d.l. n. 1126/1926, e non anche quello ex articolo 7 R.D. n. 3267/1923.
Il nulla osta, invece, relativo al numero 537/2022, emesso in variante, è indubbiamente legittimo e copre anche l’assenza originaria del parere espresso ai fini idrogeologici.
2.5. Col quinto motivo, lamenta violazione di legge in particolare degli articoli 321, 324, comma 7, e 309, comma 9, cod. proc. pen., nonché carenza assoluta di motivazione, in riferimento alla mancanza di autonoma valutazione e considerazione della villa, o “corpo B”, oggetto di sequestro al pari del “corpo A”, nonostante si trovasse in situazione totalmente diversa, sia in quanto non ricadeva in zona HG3, sia in quanto era stato oggetto di una demolizione della sola parte sommitale per consentire un trasferimento di volumetria residenziale al piano seminterrato, senza variazione della sagoma della porzione seminterrata e del piano terra.
2.6. Con il sesto motivo, lamenta violazione di legge in particolare degli articoli 321, 324, comma 7, e 309, comma 9, cod. proc. pen., nonché carenza assoluta di motivazione in riferimento al requisito del periculum in mora. L’ordinanza impugnata si limita a fare un generico riferimento alla cessazione di efficacia di una ordinanza di sospensione lavori emessa dal comune di Arzachena, senza confrontarsi criticamente con le approfondite allegazioni difensive in merito alla insussistenza del periculum.
In particolare, si evidenziava nell’atto di riesame:
- la spontanea cessazione dei lavori dal dicembre 2022;
- l’essere intervenuta l’ordinanza di sospensione dei lavori in epoca successiva alla cessazione spontanea dei lavori da parte dell’indagato;
- l’essere stato abusivamente adempiuta l’ordinanza di sospensione per il suo residuo contenuto;
- l’avere temperato al successivo ordine di demolizione del 02/03/2023;
- l’essersi, il Vacchi, sempre adoperato per eliminare tutte le irregolarità fin dal momento in cui ne ha preso conoscenza;
- l’assenza di elementi di novità che rendono attuale il periculum in mora;
- la presentazione di richiesta di sequestro preventivo in epoca successiva alla spontanea interruzione dei lavori.
Tutti tali elementi sarebbero stati totalmente pretermessi dal Tribunale di Sassari.
2.7. Con il settimo motivo, lamenta violazione di legge in particolare degli articoli 321, 292, comma 2, 324, comma 7, e 309, comma 9, cod. proc. pen., per mancata identificazione del periculum in mora. L’ordinanza impugnata non motiva in alcun modo in ordine ai requisiti di attualità e concretezza che devono sorreggere l’esigenza cautelare. La sola esistenza di una ordinanza (scaduta) di sospensione lavori non riempie di per sé di contenuto l’obbligo di motivazione.
L’ordinanza, in fatto, si risolve in un tautologismo argomentativo in cui desume la sussistenza del periculum dal mero fumus.
Inoltre, non indica in alcun modo come la eventuale ripresa dei lavori possa essere qualificata in termini di «probabilità».

CONSIDERATO IN DIRITTO
 
    1. Il ricorso è infondato.
Preliminarmente il Collegio evidenzia come, a norma dell’art. 325 c.p.p., il ricorso per cassazione in materia di misure cautelari reali è ammesso soltanto per violazione di legge, per questa dovendosi intendere - quanto alla motivazione della relativa ordinanza - soltanto l’inesistenza o la mera apparenza (v., ex multis, Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, Bevilacqua, Rv. 226710 – 01; Sez. 3, n. 35133 del 07/07/2023, Messina, n.m.; Sez. 3, n. 385 del 6/10/2022, Toninelli, Rv. 283916).
Ciò determina l’automatica inammissibilità di tutti i profili di censura dedotti dal ricorrente, in cui, sotto l’ombrello della violazione di legge e della mancanza assoluta di motivazione (che astrattamente consentirebbero il ricorso per cassazione), in realtà si lamenta una «insufficienza» di motivazione, oppure un mero «vizio» di motivazione (in quanto asseritamente manifestamente illogica o contraddittoria).
In proposito, il Collegio anticipa che l’ordinanza impugnata non appare viziata in alcun punto da carenza assoluta di motivazione, palesandosi al contrario congruamente motivata e giuridicamente corretta, tenuto conto della natura sommaria del giudizio di riesame (v. paragrafo che segue) in ordine alla valutazione della illegittimità dei procedimenti amministrativi oggetto di scrutinio.

2. Ciò debitamente premesso, e circoscritto lo scrutinio del Collegio ai soli profili relativi alla violazione di legge, i primi tre motivi – relativi al rilievo giuridico da attribuire all’omessa acquisizione del parere relativo al vincolo idrogeologico, all’entrata in vigore del P.A.I. per il Comune di Arzachena solo nel 2015, con i suoi riflessi sulla disciplina applicabile in ragione del principio tempus regit actum, e al valore da attribuire alla conferenza di servizi indetta dal Comune in sede di istruttoria - possono essere analizzati congiuntamente.
Essi sono infondati.
2.1. Il Collegio premette che, secondo la giurisprudenza della Corte (Sez. 3, n. 20571 del 28/04/2010, Alberti, Rv. 247189 – 01; Sez. 3, n. 14977 del 25/02/2022, Tilenni, Rv. 283035; Sez. 3, n. 11579 del 19/01/2023, Feronia, n.m.; Sez. 3, n. 48931 del 16/11/2022, Morgera, n.m.), l’accertamento della correttezza dei procedimenti amministrativi è sostanzialmente riservata al giudice di merito, in quanto presuppone necessariamente la verifica degli atti posti in essere dalla pubblica amministrazione, mentre il controllo riservato alla sede di legittimità ha ad oggetto la correttezza giuridica dell’accertamento di merito sul punto.
La Corte ha anche affermato che, in tema di reati edilizi, l’accertamento della correttezza dei procedimenti amministrativi per il rilascio dei titoli abilitativi è un giudizio di fatto, fondato sulla verifica di atti della pubblica amministrazione, riservato al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità, concernente, invece, la correttezza giuridica di detto accertamento (Sez. 3, n. 13075 del 08/02/2019, Rv. 275858; Sez. 5, n. 34508 del 28/05/2021, Cassotti, n.m.).
Il Collegio aggiunge che, considerata la natura sommaria del giudizio cautelare, la verifica della regolarità dei procedimenti amministrativi non può certamente essere effettuata in termini esaustivi in sede di riesame, essendo fondato l’accertamento dell’esistenza del fumus dei reati sulle prospettazioni della pubblica accusa, che non appaiano errate sul piano giuridico ovvero non siano contraddette in modo inconfutabile dalla difesa.
2.2. Scendendo alle valutazioni in punto di diritto, il primo profilo da considerare è quello relativo al valore del nulla-osta a fini idrogeologici e alle conseguenze del suo mancato rilascio.
Sul punto, la Giustizia amministrativa (Consiglio di Stato, Sez. 6, n. 6048 del 25/08/2021) ha stabilito il principio secondo cui, in ragione della autonomia dell’esercizio del potere del rilascio del nulla osta idrogeologico da parte della preposta autorità, esso «precede e condiziona la legittimità dei provvedimenti la cui adozione è collegata alla previa valutazione della compatibilità degli interventi da autorizzarsi con l’assetto idrogeologico dell’area interessata».
Evidenzia, inoltre, il massimo Consesso amministrativo nella succitata pronuncia, come vada escluso in radice che il rilascio di un nulla osta idrogeologico possa realizzarsi per silentium, ostando a ciò il chiaro disposto dell’art. 20, comma 4, l. 7 agosto 1990, n. 241, ad avviso del quale l’istituto del silenzio assenso non si applica «agli atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico, l’ambiente, la tutela dal rischio idrogeologico … [omissis]».
Lo stesso Consiglio di Stato, stavolta in sede di ricorso straordinario al Capo dello Stato (Sez. 2, n.  4562 del 31/10/2012, Cosmo Ricci c. Regione Puglia), ha poi affermato che il R.D. 3267/1923 non prevede alcuna ipotesi di rilascio di nulla-osta «postumo» da parte del soggetto preposto alla tutela del vincolo; ciò determina la conseguenza che le opere realizzate sono insuscettibili di sanatoria mediante il procedimento di accertamento di conformità in sanatoria ex art. 36 del d.P.R. cit..
Tale modalità di regolarizzazione formale dell’abuso, infatti (mediante rilascio di permesso di costruire in sanatoria se l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda) è espressamente limitata alle sole violazioni della disciplina urbanistica ed edilizia, e non può, quindi, accedersi a tale procedura in presenza di inosservanza delle norme apprestate dall’ordinamento per la tutela dei vincoli di altra natura e tipologia, quale quello idrogeologico.
La citata pronuncia del giudice amministrativo si pone in termini difformi rispetto ad una isolata pronuncia di questa Corte (Sez. 3, n. 11960 del 22/12/2010, Comotti, Rv. 249747 – 01) secondo cui «anche in presenza di un vincolo idrogeologico può trovare applicazione la procedura di accertamento di conformità prevista e disciplinata dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 36, ma la conclusione positiva della procedura medesima resta subordinata al conseguimento dell'autorizzazione dell'autorità preposta alla tutela di quel vincolo».
L’apparente contrasto può essere composto ove si consideri che manca, nella legislazione di settore del vincolo idrogeologico, la previsione esplicita di un istituto generalizzato della sanatoria; tuttavia, poiché il legislatore, con l’articolo 61, comma 5, del d. lgs. 152/2006, ha stabilito che le funzioni relative al vincolo idrogeologico di cui al regio decreto-legge 30 dicembre 1923, n. 3267, sono interamente esercitate dalle regioni, esse possono prevedere (in analogia con quanto previsto per la sanatoria «urbanistica») ipotesi di rilascio postumo dell’autorizzazione (è il caso, ad esempio, della Regione Emilia-Romagna, v. Delibera di G.R. n. 1117 dell’11 luglio 2000, par. 2.4.2.).
Pertanto, la procedura di accertamento di conformità sarà possibile solo laddove la disciplina applicabile alla singola Regione preveda la possibilità di un nulla-osta in sanatoria, circostanza che, nel caso di specie, non risulta dalla documentazione a disposizione della Corte.
In ogni caso, dalle pronunce sopra evidenziate si evince che il vincolo idrogeologico costituisce presidio posto a tutela di un bene giuridico diverso da quello della tutela del paesaggio e dell’assetto del territorio, ossia quello dell’assetto idrico e geologico del territorio stesso, ritenuto dal legislatore così importante da costituire, in caso di violazione delle relative norme, elemento preclusivo alla domanda di sanatoria (quantomeno in assenza di regolarizzazione mediante autorizzazione).
Quanto alla violazione della normativa relativa al vincolo idrogeologico, se va confermato il principio secondo cui (Sez. 3, n. 43731 del 24/09/2009, Napoli, Rv. 245208 – 01) l’esecuzione di interventi edilizi in zona sottoposta a vincolo idrogeologico non integra il reato paesaggistico ma quello edilizio, non essendo tale vincolo ricompreso tra quelli tassativamente elencati dalla lett. c) dell’art. 44 cit., come tali insuscettibili di estensione analogica, appare evidente che l’assenza dell’espresso parere in materia idrogeologica vizia la sequenza procedimentale che ha condotto al provvedimento autorizzativo, rendendolo così illegittimo (considerazione che rende priva di pregio la censura di irragionevolezza relativa alla intervenuta depenalizzazione dell’art. 24 r.d. 3267/1923).
In tal senso, il Collegio rammenta come secondo la consolidata giurisprudenza della Corte (Sez. 3, n. 12389 del 21/07/2017, Minosi, Rv. 271170 - 01) l’attività svolta dal giudice in presenza di un titolo abilitativo edilizio illegittimo consiste nel valutare la sussistenza dell’elemento normativo della fattispecie e non nel disapplicare l’atto amministrativo o effettuare comunque valutazioni proprie della pubblica amministrazione, e che «in disparte l’ipotesi dell’illiceità del provvedimento, la illegittimità rilevante per il giudice penale non può che essere quella derivante dalla non conformità del titolo abilitativo alla normativa che ne regola l’emanazione o alle disposizioni normative di settore, dovendosi, al contrario, radicalmente escludersi la possibilità che il mero dato formale dell’esistenza del permesso di costruire possa precludere al giudice penale ogni valutazione in ordine alla sussistenza del reato», per concludere nel senso che «l’attività svolta dal giudice in pre­senza di un titolo abilitativo edilizio illegittimo consiste quindi nel valutare la sussistenza dell’elemento normativo della fattispecie e non nel disapplicare l’atto amministrativo o effettuare comunque valutazioni proprie della P.A.» (Conformi: Sez. 3, n. 46477 del 13/07/2017, Menga, Rv. 273218 – 01; Sez. 3, n. 56678 del 21/09/2018, Iodice, Rv. 275565 – 01).
Non appare, pertanto, apparente la motivazione dell’ordinanza laddove ritiene (pag. 17) che «quando l’autorizzazione riguardante il vincolo idrogeologico è necessariamente connessa, come nel caso in esame, all’intervento edilizio (essendo inserita nella procedura SUAPE per il rilascio del titolo abilitativo, provvedimenti che il citato allegato B ricomprende non a caso nel paragrafo XXI, tra i titoli connessi all’intervento edilizio) la sua assenza si riflette sulla legittimità del provvedimento unico conclusivo nel procedimento amministrativo, prendendo le opere eseguite prive del regolare titolo abilitativo, con la conseguenza che, al di là della eventuale sanzione amministrativa per la violazione delle prescrizioni imposte dal vincolo idrogeologico, viene in rilievo la disciplina di settore che sanziona penalmente la realizzazione di opere in assenza di legittimo titolo abilitativo urbanistico e paesaggistico».
2.3. Quanto alla conferenza di servizi, il Collegio evidenzia come l’articolo 54, comma 1, lettera b), della l. 221 del 28/12/2015, abbia modificato il comma 1-bis dell’articolo 5 del d.P.R. n. 380/2001 nel senso che lo sportello unico per l’edilizia (SUAP) deve acquisire presso le amministrazioni competenti, anche mediante conferenza di servizi ai sensi degli articoli 14, 14-bis, 14-ter, 14-quater e 14-quinquies della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, gli atti di assenso, comunque denominati, delle amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico, dell’assetto idrogeologico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità.
Il successivo comma 2, lettera e), dell’art. 54, ha modificato l’articolo 20, comma 8, del d.P.R. 380/2001, prevedendo che il silenzio-assenso non si perfeziona nei casi in cui sussistano vincoli relativi all’assetto idrogeologico, ambientali, paesaggistici o culturali, per i quali si applicano le disposizioni di cui al comma 9, il quale a sua volta prevede che il termine per la determinazione di cui alla conferenza di servizi (comma 6), qualora l’immobile oggetto dell’intervento sia sottoposto a vincoli di assetto idrogeologico, ambientali, paesaggistici o culturali, decorre dal rilascio del relativo atto di assenso.
Tale disciplina viene integrata, come emerge da pag. 18 del provvedimento impugnato, con l’articolo 31 della l.r. Sardegna n. 24/2016, secondo cui il procedimento presso il SUAPE «è unico», si svolge in conferenza di servizi e non può essere frazionato «per l’acquisizione asincrona dei diversi titoli abilitativi necessari per il medesimo intervento».
Dalla ricostruzione normativa dianzi evidenziata, per quello che il Collegio evince dagli atti sua disposizione, si evince che, laddove sull’immobile gravi un vincolo idrogeologico:
1. non è applicabile la procedura di silenzio assenso;
2. il nulla-osta non può essere surrogato dalla conferenza di servizi;
3. il provvedimento implicito o esplicito, di permesso a costruire non può essere rilasciato in assenza di nulla osta idrogeologico;
4. L’eventuale permesso rilasciato in assenza del suddetto nulla-osta, deve ritenersi illegittimamente rilasciato, con conseguente possibilità, per il giudice penale, di accertare la sussistenza degli elementi costitutivi dei delitti di cui agli articoli in rubrica.
Il Collegio aggiunge un dettaglio importante, riportato nell’impugnata ordinanza: l’omessa acquisizione, all’interno della conferenza di servizi, del parere del CFS, quale autorità preposta al rilascio del nulla-osta a fini idrogeologici, non fu frutto di negligenza dei Forestali o di dimenticanza da parte del Comune che coordinava i lavori della CDS, ma costituì il portato della mendace affermazione del coindagato Faggioli, tecnico incaricato dal Vacchi, il quale (capo c) della rubrica) indicò falsamente nella modulistica che accompagnava le due varianti (nn. 334/20 e 143/22), che l’area non fosse interessata a vincolo ex r.d. 3267/1923 (circostanza, del resto, non censurata dal ricorrente).
Tale mendacio, che ha avuto sicuramente una efficienza causale determinante nel mancato dipanarsi della conferenza di servizi secondo il suo iter regolare, colora pertanto di illiceità «derivata» tutta la sequenza procedimentale, con le conseguenze evidenziate al paragrafo che precede in ordine alla valutazione da parte dell’autorità giudiziaria della sussistenza in concreto degli elementi della fattispecie di reato.
Ritiene, conclusivamente (e correttamente), il Tribunale del riesame, che «il mancato intervento alla conferenza dei servizi dell’amministrazione interessata, per effetto in questo caso della condotta di falso contestata al capo c) della contestazione provvisoria, determina un vizio di illegittimità del procedimento di formazione del titolo abilitativo unico, essendo quel parere (come già osservato) prescritto per legge, sicché il titolo suddetto risulta inefficace e inidoneo ai fini autorizzativi, a nulla rilevando che i pareri urbanistici e paesaggistici endoprocedimentali siano stati favorevoli, considerando che è proprio all’interno della conferenza di servizi che matura il provvedimento finale che tiene conto di tutti i profili pubblici in gioco, il cui esito sarebbe potuto essere influenzato, anche in senso eventualmente negativo per l’istanza del privato, proprio dal parere pretermesso».
Il motivo è pertanto infondato.
2.4. La censura relativa allo jus superveniens è infondata.
Il Collegio, posti i limiti di carattere generale stabiliti nel par.  2.1., evidenzia come il ricorso lamenta la circostanza che il PAI della Regione Sardegna sarebbe entrato in vigore nel 2015, ossia quando già era stato rilasciato l’originario titolo edilizio del 2011.
Esso non si confronta criticamente con i contenuti dell’ordinanza impugnata, la quale chiarisce che (pur dubitando della legittimità originaria dell’originario permesso del 2011) in occasione delle due varianti del 2020 e del 2022 sicuramente il nulla-osta idrogeologico andava acquisito, e non lo fu (pag. 7, penultimo periodo, ord. imp.).
In proposito, precisa a pagina 15 (il corsivo, ora e in appresso, è del Collegio) che «sulla necessità dell’autorizzazione ex art. 7 r.d. 3267/1932, in relazione ai lavori di cui alle prime due varianti citate, è sufficiente richiamare la disciplina regionale in materia di SUAPE vigente all’epoca, come nell’attualità, come risulta dalla Delibera della Giunta Regionale della Sardegna numero 49/19 del 5/12/2019, di attuazione della legge regionale n. 24/2016 istitutiva dello SUAPE (Sportello Unico per le Attività Produttive e per l’Edilizia) nel territorio regionale. In particolare, l’allegato B alla citata delibera, nell’operare la “ricongiunzione dei regimi amministrativi in ambito SUAPE”, individua al paragrafo XXI, tra i titoli connessi all’intervento edilizio, l’ipotesi del vincolo idrogeologico (n. 393), prevedendo il regime dell’autorizzazione e la conferenza di servizi» per tutta una serie di opere (debitamente elencate nel provvedimento), fra cui rientrano quelle oggetto delle due varianti.
In tal modo, il provvedimento impugnato confuta la tesi difensiva secondo cui «le opere non necessitassero di nulla osta ai fini del vincolo idrogeologico “in quanto si tratta di area già antropizzata, trasformata nei decenni scorsi”», motivazione con cui – del pari - il ricorrente non si confronta.

3. Con il quarto motivo di ricorso il ricorrente censura l’affermazione del tribunale del Riesame, secondo cui quello rilasciato dal CFS il 12/09/2022 sarebbe il nullaosta di cui all’articolo 20 nel r.d.l. n. 1126/1926 e non anche quello di cui all’art. 7 r.d. n. 3267/1923.
Il motivo è inammissibile in quanto richiede alla Corte una verifica totalmente fattuale.
Il Collegio si limita a sottolineare in proposito come la prima disposizione riguarda gli interventi di cui all’articolo 19 del r.d.l. 1126/1926, ossia, (in brevità) gli interventi relativi al taglio dei boschi e alla raccolta della resina degli alberi, l’abbruciamento delle sterpaglie, il pascolo.
Per tali interventi non è prescritto un nulla-osta, ma è solo indicata la necessità che vengano impartite delle «prescrizioni»; è inoltre prevista una procedura di silenzio-assenso.
Viceversa, quella prevista dall’art. 7 r.d. 3267/1923 è una vera e propria procedura di «autorizzazione» relativa ad interventi di trasformazione dei boschi in altre qualità di coltura e la trasformazione di terreni saldi in terreni soggetti a periodica lavorazione; tali interventi sono subordinati  a nulla osta del Comitato forestale e alle modalità da esso prescritte, caso  per caso, allo scopo di prevenire i danni di cui all’art. 1 (ossia che i  terreni sottoposti al vincolo possano, con danno pubblico, subire denudazioni, perdere la stabilità o turbare il regime delle acque), per la cui acquisizione è peraltro prevista la convocazione di conferenza di servizi.
Sul punto, l’ordinanza impugnata, in ben tre diversi punti (pagg. 6, 15 e 17) chiarisce e precisa che il parere del 12 settembre 2022 è relativo solo all’ultima variante presentata (non sostanziale, rispetto alla 143/22), la n. 537/2022, e che tale provvedimento era relativo alla procedura di cui all’articolo 20 del r.d.l. n. 1126/1926 e non all’art. 7 r.d. 3267/1923, come risulta anche dalla differenza di procedura eseguita in riferimento alla prassi SUEP, che permette di definire la prima con procedura semplificata.
Esula dal perimetro di scrutinio del Collegio – in quanto di mero fatto - la concreta verifica documentale, peraltro di estrema semplicità (il parere stesso risulta allegato tra le produzioni difensive per il Riesame), circa la concreta riconducibilità o meno del parere reso all’art. 20 del r.d. 16/05/1926, n. 1126.

4. Il quinto motivo, con cui il ricorrente lamenta carenza assoluta di motivazione, in riferimento alla mancanza di autonoma valutazione e considerazione relativa alla villa o “corpo B”, è inammissibile per genericità, non confrontandosi in modo critico con il contenuto del provvedimento impugnato, il quale ha chiarito che (pag. 19) «per le ragioni esposte, sussiste il fumus dei reati di cui agli artt. 44, lettera c) DPR 380/2001, 181, co. 1, d. lgs. 42/2004 e 483 c.p., risultando assorbito ogni ulteriore motivo concernente la difformità del progetto illecitamente assentito di singoli manufatti, facenti parte del complessivo intervento edilizio» [il corsivo è del Collegio].
La motivazione addotta dal Tribunale del riesame riposa, con ogni evidenza, sulla considerazione necessariamente unitaria dell’intervento edilizio, svolto in assenza di titolo abilitativo legittimo, evidenza con cui il ricorrente non si confronta.
Del resto, questa Corte (Sez. 3, n. 36397 del 18/05/2011, Secondini, Rv. 251234 - 01) ha affermato che, laddove l’opera è stata progettata unitariamente, essa costituisce un tutto unico, soprattutto perché il suo impatto ambientale, idrogeologico e urbanistico non può che venire in rilievo globalmente, per consentire all’amministrazione una valutazione complessiva e non parcellizzata.

5. Gli ultimi due motivi – relativi al periculum in mora - possono essere trattati congiuntamente risultando, di fatto, sostanzialmente sovrapponibili.
Essi sono infondati.
La giurisprudenza della Corte è molto rigorosa, nella valutazione della sussistenza del requisito del periculum in mora, in riferimento a manufatti i cui lavori siano ultimati.
 Ad esempio, Sez. 3, n. 50336 del 05/07/2016, Del Gaizo, Rv. 268331 - 01 ha precisato che in tema di sequestro preventivo di manufatti abusivi realizzati in zona soggetta a vincolo paesaggistico-ambientale, il «periculum in mora» non può essere desunto solo dalla esistenza ed entità delle opere ultimate, essendo invece necessario dimostrare che l’effettiva disponibilità materiale o giuridica delle stesse, da parte del soggetto indagato o di terzi, possa ulteriormente pregiudicare il bene protetto dal vincolo, sulla base di un accertamento da parte del giudice circa l’incidenza degli abusi sulle diverse matrici ambientali ovvero il loro impatto sulle zone oggetto di particolare tutela (conf.: Sez. 3, n. 37923 del 10/06/2022, Pinto, n.m.).
Ancora, si è ritenuto (Sez. 3, n. 37923 del 10/06/2022, Pinto, n.m.) che in tema di reati paesaggistici «il periculum in mora non può essere desunto dalla sola esistenza della struttura, ma bisogna accertare, caso per caso, che l’effettiva disponibilità del bene possa deteriorare ulteriormente il bene protetto dal vincolo paesaggistico».
Nel caso di specie, tuttavia, ci si trova di fronte ad opere tuttora in corso.
Trattandosi di opere non ultimate, il Tribunale del riesame ha ravvisato in modo certo non illogico il pericolo di aggravamento delle conseguenze dannose dei reati contestati, in quanto, secondo la giurisprudenza di questa Corte (v. da ultimo Sez. 3, n. 32324 dell’01/06/2022, Arrostuto, n.m.) è legittimo il sequestro preventivo di manufatto non ultimato, in quanto, in tal caso, l’esigenza di impedire la prosecuzione dei lavori di edificazione è, di per sé, condizione sufficiente per disporre e mantenere il sequestro preventivo del manufatto e dell’area ove esso insiste, indipendentemente dalla natura e dalla entità degli interventi da eseguire per ultimarlo (Sez. 3, ord. n.49220 del 06/11/2014, Rv.261215-01).
Il Tribunale, infatti, a pag. 20 dell’ordinanza, dopo aver riportato in modo dettagliato i rilievi critici mossi dalla Difesa, ritiene che «essa non considera il dato successivamente concretizzatosi in fase di indagini, ovvero l’illegittimità del titolo abilitativo e la conseguente irregolarità dell’intero intervento edilizio. L’argomentazione difensiva, pertanto, si colloca in una prospettiva per un verso non più attuale, tenuto conto del limite temporale dell’ordinanza di sospensione, ormai superato, e per un altro verso solo parziale, in quanto rapportata a singole porzioni del complesso immobiliare in costruzione riscontrate di formi dal titolo abilitativo conseguito a seguito delle citate varianti. Purtuttavia, è indubbio che in assenza di un vigente ordine di sospensione dei lavori questi potrebbero oggi proseguire, come correttamente osservato dal giudice impugnato».
Aggiunge il Tribunale del riesame che, medio tempore, «le indagini hanno evidenziato ben altro … ovvero il vizio originario concernente l’intero intervento edilizio per essere stato operatore emesso nel procedimento amministrativo mediante conferenza di servizi il necessario parere in materia di geologica …[omissis] … E’ chiaro pertanto che la cautela non riguarda solo i manufatti irregolari di cui al capo a), oggetto di ordine di demolizione, ma l’intero intervento edilizio che risulta ancora in corso di costruzione, circostanza pacifica e peraltro evidenziata dalla stessa difesa, che ha prodotto la foto aerea della zona … che consente di apprezzare l’esistenza di un vero e proprio cantiere edile, con la presenza di una gru e di alcune ruspe, nonché di manufatti non ancora completati».
Conclude nel senso che la libera disponibilità del complesso immobiliare «che allo stato risulta nella sua totalità abusiva o per assenza originaria di un titolo abilitativo legittimo …[omissis] … consentirebbe agli indagati di proseguire e portare a compimento i lavori, nonché li accedere e permanere senza vincolo alcuno all’interno di edifici realizzati all’interno di un’area caratterizzata allo stato, nel rischio idrogeologico anche elevato di frana, con conseguente rilevante pericolo anche per l’incolumità pubblica».
Come appare evidente, contrariamente a quanto asserito dalla difesa, l’impugnata ordinanza non si è limitata al generico richiamo all’ordinanza di sospensione dei lavori, anche se, a tal proposito, non appare ultroneo rammentare quella giurisprudenza di questa Corte (Sez. 3, n. 47372 del 24/11/2011, Rv. 251964 - 01) secondo cui «l’intervenuta sospensione dei lavori disposta in via amministrativa non comporta, per ciò solo, la mancanza del requisito del "periculum in mora", essendo comunque necessario accertare se detta sospensione possa soddisfare le esigenze poste alla base del vincolo cautelare».
Nel caso di specie, al contrario, è proprio il venir meno del presidio cautelare amministrativo ad essere utilizzato, quale elemento suppletivo di motivazione, per giustificare il pericolo di reiterazione del reato, rendendo la censura evidentemente infondata.
L’ordinanza impugnata chiarisce, del resto, che non può attribuirsi alcun valore differenziato (e qui il riferimento torna anche alla censura formulata nel secondo motivo di ricorso, relativo al fumus, oltre che al quinto, relativo al periculum) ai due corpi di fabbrica, dovendosi fare necessario riferimento all’intervento edilizio nel suo complesso.
I motivi vanno quindi rigettati in quanto infondati.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 23/11/2023.