Cass. Sez. III n. 22117 del 27 maggio 2015 (Cc 29 apr 2015)
Pres. Teresi Est. Pezzella Ric. Di Cecca ed altro
Urbanistica.Ultimazione edificio e criteri di valutazione

In tema di  reati edilizi, deve ritenersi "ultimato" solo l'edificio concretamente funzionale che  possegga tutti i requisiti di agibilità o abitabilità, di modo che anche il suo utilizzo effettivo, ancorché accompagnato dall'attivazione delle utenze e dalla presenza di  persone al suo interno, non è sufficiente per ritenere sussistente l'ultimazione dell'immobile abusivamente realizzato, coincidente generalmente con la conclusione dei lavori di rifinitura interni ed esterni

 


 REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Camera di consiglio
Dott. TERESI Alfredo - Presidente - del 29/04/2015
Dott. GRILLO Renato - Consigliere - SENTENZA
Dott. ORILIA Lorenzo - Consigliere - N. 965
Dott. PEZZELLA Vincenzo - rel. Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. SCARCELLA Alessio - Consigliere - N. 48767/2014
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
DI CECCA GENNARO N. IL 27/04/1965;
MACONE FRANCA N. IL 26/07/1935
avverso l'ordinanza n. 66/2014 TRIB. LIBERTÀ di FROSINONE, del 01/10/2014 sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. VINCENZO PEZZELLA;
sentite le conclusioni del PG Dott. DI NICOLA Paola che ha chiesto dichiarasi l'inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 1 ottobre 2014 il Tribunale di Frosinone, rigettava la richiesta di riesame proposto da DI CECCA GENNARO e MACONE FRANCA, avverso il provvedimento del GIP del Tribunale di Cassino del 5.9.2014, notificato loro 11.9.23014, con cui era stato disposto il sequestro preventivo di alcuni immobili siti in Gaeta, località Ariana, Via Fiacca Km. 26.600 3^ trav., con condanna alle spese del procedimento.
L'incolpazione provvisoria nei confronti degli odierni ricorrenti era la seguente:
a) reato p. e p. dal D.P.R. n. 380 del 1981, art. 44, lett. c), artt. 81 e 110 c.p. perché, mediante più azioni esecutive del medesimo
disegno criminoso, in concorso tra loro, in qualità di committenti ed esecutori dei lavori, eseguivano in assenza del permesso a costruire le seguenti opere:
- un corpo di fabbrica in muratura delle dimensioni in pianta di mt. 24,65 di lunghezza per 6, 00 di larghezza, suddiviso in n. 5 (cinque) unità ricettive di circa 30 mq. ciascuna, ognuna arredata diletto, piano cottura e servizio igienico con frigorifero, impianto tv compreso di decoder satellitare, verosimilmente destinato ad attività ricettiva (anche se all'atto dell'intervento, non vi erano occupanti). Tale struttura presenta una copertura a falda inclinata, con altezza massima di m. 3,17 e minima in. 2,74, costituita da orditura portante in travi di legno lamellare, di sezione cm. 16x12, con sovrastante pannellatura coibentata con tegola pvc.;
- piccolo deposito in muratura delle dimensioni in pianta di m. 2, 70 x in. 2, 10, avente una copertura a falda inclinata, costituita da pannellatura coibentata tipo ISOPAN e tegola pvc, h. massima in. 1,90 e minima m. 1,80.; all'interno di tale struttura è collocato un serbatoio di acqua; il piccolo manufatto è raggiungibile da una scalinata di n. 20, gradini della larghezza di in. 4,00 per una lunghezza di circa in. 12, 00, avente forma a ventaglio e realizzata in mattoncini;
- manufatto in muratura, con copertura a doppia falda inclinata, avente dimensioni in pianta di in. 2,40 x rn. 4,80, costruito a ridosso di un manufatto in legno predisposto per affittacamere che, insieme ad altri due, risulta essere già sotto sequestro e per cui esiste un procedimento penale presso la Procura di Latina;
- struttura in legno lamellare tipo tettoia, delle dimensioni in pianta di mi. 2,35 di larghezza e m. 4,30 di lunghezza, con copertura a falda inclinata costituita da pannellature tipo ISOPAN con tegole in pvc, rispettivamente h. massima interna in. 2.90. h. minima est. M. 2, 48. il tutto a copertura di un forno realizzato in muratura delle dimensioni circa di m. 2,40 x in. 1,20 e adiacente piano in muratura delle dimensioni di m. 2,60 x in. 1,00;
- struttura in legno lamellare, delle dimensioni in pianta di m. 9, 60 di lunghezza per una larghezza di in. 5, 70, adibita a copertura posto auto, avente una copertura a falda inclinata costituita da pannellature tipo ISOPAN con tegole in uve, h, massima in. 3, 20, h. minima mi. 2,80.
Le due strutture da ultimo indicate, sono ancorate con piastre in ferro su di un piazzale in parte pavimentato e in parte battuto di cemento, per un'area di circa in. 12 x 24.
b) del reato p. e p. dal D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181 perché eseguiva le opere di cui al capo e) in area sottoposta a vincolo paesaggistico ambientale in assenza dell'autorizzazione prescritta dall' art. 146 della medesima disposizione di legge. c) del reato p. e p. dall'art. 734 c.p. perché, mediante la realizzazione delle opere di cui al capo a), alteravano le bellezze naturali dei luoghi.
Reati accertati in Gaeta, località Ariana, il 3 settembre 2014. 2. Ricorrono Di Cecca Gennaro e Mancone Franca, a mezzo del proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1:
a. Violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. B) in relazione all'art. 157 c.p., D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, D.Lgs. n. 42 del 2004,
art. 181 e art. 734 c.p. e dell'art. 606, Lett. C) in relazione agli artt. 125 c.p.p., comma 3, artt. 321 e 324 c.p.p.. I ricorrenti deducono la nullità dell'impugnata ordinanza e del confermato decreto di sequestro preventivo, per erronea interpretazione della norma penale che disciplina la causa di estinzione del reato per intervenuta prescrizione con riferimento ai reati edilizio e ambientale, ex art. 606 c.p.p., Lett. B), in relazione all'art. 157 c.p., D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, e art. 734 c.p. e l'inosservanza di norme
processuali previste a pena di nullità, ai sensi dell'art. 606, Lett. C) in relazione all'art. 125 c.p.c., comma 3, artt. 321 e 324 c.p.p.. Rilevano di aver eccepito, in sede di riesame, che tutti i reati avevano natura istantanea seppure con effetti permanenti le cui condotte, però, cessavano con l'ultimazione dell'opera. Precisano, inoltre, sempre in sede di riesame che le opere in sequestro, al momento dell'accertamento, si presentavano completamente ultimate e rifinite, risultando già da tempo abitate. La completa ultimazione dovrebbe, perciò, farsi risalire al luglio 2009, in quanto l'ultimo sopralluogo, citato nel verbale di sequestro, risaliva al 23/7/2009. Ciò in quanto, non essendovi traccia di lavori in corso o di recente esecuzione, in applicazione del principio, in dubio pro reo, la data di ultimazione non poteva che individuarsi nel luglio 2009.
Pertanto ad oggi, andrebbe affermata la ampiamente maturata prescrizione dei reati in contestazione. E in ogni caso, anche a voler ritenere le opere realizzate nel 2010, la prescrizione sarebbe comunque maturata.
L'ordinanza impugnata, sul punto, si sarebbe limitata ad affermare che l'onere di dimostrare una diversa decorrenza del termine di prescrizione, rispetto a quella risultante dagli atti, graverebbe sull'imputato.
Tale motivazione sarebbe errata ed apparente. I giudici della cautela e del riesame avrebbero dovuto rinvenire in atti elementi concreti ed attuali posti a giustificazione e fondamento allo stato del disposto sequestro.
L'orientamento giurisprudenziale seguito nell'ordinanza sarebbe minoritario, se non isolato.
In ogni caso la data della provvisoria contestazione non sarebbe riferibile, e probabilmente nemmeno attribuita, alla data di consumazione dei reati, ma si riferirebbe soltanto alla data di accertamento.
In occasione dell'accertamento le opere erano completamente ultimate, rifinite, arredate e funzionali, non vi era traccia di lavori nemmeno recenti, l'unico precedente accesso in zona risaliva al luglio 2009. Lo stesso esposto che dava origine al procedimento penale, faceva riferimento all'utilizzo delle opere nel corso degli anni. Pertanto andava certamente applicato il principio in dubio pro reo, e i ricorrenti espressamente richiedono che ove rinvenuta l'esistenza di un contrasto giurisprudenziale sull'applicazione di detto principio, il ricorso dovrà essere rimesso alle Sezioni Unite.
b. Violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. e) in relazione all'art. 125 c.p.p., comma 3, art. 321 cod. proc. pen..
L'ordinanza impugnata mancherebbe di motivazione concreta e non meramente apparente in relazione al dedotto difetto di concretezza ed attualità delle esigenze cautelari.
Le opere oggetto di contestazione si presentavano, al momento dell'accertamento e del sequestro, già finite ed ultimate. L'opposto sequestro sarebbe stato realizzato a distanza di molti anni dalla realizzazione degli eventuali reati contestati, palesando l'ultroneità e l'intempestività della misura cautelare reale. Sul punto la motivazione sarebbe inesistente, non vi sarebbe stata alcuna valorizzazione dell'elaborato tecnico, che non ravvisava profili di contrasto paesaggistico.
Chiede pertanto che questa Corte Suprema annulli l'ordinanza impugnata, con o senza rinvio, affinché sia revocato l'opposto decreto di sequestro preventivo, con ogni conseguenza di legge. CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I motivi sopra illustrati sono tutti manifestamente infondati e, pertanto, il proposto ricorso va dichiarato inammissibile. 2. Preliminarmente, va ricordato, in punto di diritto che, ai sensi dell'art. 321 cod. proc. pen., la concessione del sequestro preventivo è subordinata alla sussistenza del pericolo che la libera disponibilità della cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati.
L'art. 325 cod. proc. pen. prevede contro le ordinanza in materia di appello e di riesame di misure cautelari reali che il ricorso per cassazione possa essere proposto per sola violazione di legge. La giurisprudenza di questa Suprema Corte, anche a Sezioni Unite, ha più volte ribadito come in tale nozione debbano ricomprendersi sia gli "errores in iudicando" o "in procedendo", sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice (vedasi Sez. U, n. 25932 del 29.5.2008, Ivanov, rv. 239692;
conf. Sez. 5, n. 43068 del 13.10.2009, Bosi, rv. 245093). Ancora più di recente è stato precisato che è ammissibile il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo, pur consentito solo per violazione di legge, quando la motivazione del provvedimento impugnato sia del tutto assente o meramente apparente, perché sprovvista dei requisiti minimi per rendere comprensibile la vicenda contestata e l'"iter" logico seguito dal giudice nel provvedimento impugnato, (così sez. 6, n. 6589 del 10.1.2013, Gabriele, rv. 254893 nel giudicare una fattispecie in cui la Corte ha annullato il provvedimento impugnato che, in ordine a contestazioni per i reati previsti dagli artt. 416, 323, 476, 483 e 353 cod. pen. con riguardo all'affidamento di incarichi di progettazione e direzione di lavori pubblici, non aveva specificato le violazioni riscontrate, ma aveva fatto ricorso ad espressioni ambigue, le quali, anche alla luce di quanto prospettato dalla difesa in sede di riesame, non erano idonee ad escludere che si fosse trattato di mere irregolarità amministrative,). Di fronte all'assenza, formale o sostanziale, di una motivazione, atteso l'obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, viene dunque a mancare un elemento essenziale dell'atto. Va anche aggiunto che, anche se in materia di sequestro preventivo il codice di rito non richiede che sia acquisito un quadro probatorio pregnante come per le misure cautelari personali, non è però sufficiente prospettare un fatto costituente reato, limitandosi alla sua mera enunciazione e descrizione, ma è invece necessario valutare le concrete emergenze istruttorie per ricostruire la vicenda anche in semplici termini di "fumus".
3. Nel caso in esame, si è senz'altro al di fuori di tali ipotesi perché il Tribunale di Frosinone ha seguito un percorso motivazionale del tutto coerente e logico, laddove ha confutato la tesi difensiva, secondo cui i reati in contestazione dovevano ritenersi prescritti già allo stato degli atti.
Va evidenziato in proposito, che è vero, come ricorda il difensore ricorrente, che c'era stato un precedente accesso della P.G. su quei luoghi nel 2009, ma in quell'occasione era stata sequestrata, come emerge ex actis, diversa porzione del vasto compendio immobiliare. In occasione dell'accesso della G.D.F. di Formia del 3.9.2014 vengono, invece, rinvenute nuove opere edilizie abusive indicate nel relativo verbale di sequestro e successivamente trasfuse, come visto, nel capo di incolpazione.
Quelle opere, effettivamente, nel 2009 non c'erano, a differenza di quelle, di cui pure si da atto nel verbale, che in quel precedente accertamento furono sequestrate. Sono manufatti nuovi, alcuni dei quali, come può desumersi prima facie dal capo d'incolpazione, costruiti in prossimità di quelli. Ma se sono incontrovertibilmente manufatti nuovi non si vede per quale ragione dovrebbe presumersi, che gli stessi siano stati realizzati in prossimità temporale del precedente accertamento e non, al contrario, come logica impone di ritenere più plausibile, in un periodo vicino alla segnalazione che ha allertato la G.D.F. (e che si da atto nel verbale essere datata 13.8.2014).
Il provvedimento impugnato opera, dunque, un buon governo dei principi di diritto più volte ribaditi da questa Corte di legittimità in materia di costruzioni edilizie abusive in zone sottoposte a vincolo paesaggistico.
Nel pervenire al rigetto del gravame cautelare, infatti, i giudici di Frosinone hanno applicato il principio anche recentemente riaffermato il principio - che va qui ribadito- che, in tema di prescrizione, grava sull'imputato, che voglia giovarsi di tale causa estintiva del reato, l'onere di allegare gli elementi in suo possesso dai quali poter desumere la data di inizio del decorso del termine, diversa da quella risultante dagli atti (cfr. ex plurimis, questa sez. 3, n. 27061 del 5/3/2014, Laiso, rv. 259181; conf. sez. 3, n. 48002 del 17/9/2014 , Surano, rv. 261153) Come si ricorda nella motivazione del provvedimento impugnato, alla data del 3.9.2014 la Guardia di Finanza di Formia ha riscontrato immobili, realizzati in difetto di qualsivoglia autorizzazione, già completati. Ma era onere dell'imputato dimostrare che gli stessi erano tali ad una data antecedente a quella dell'accertamento. Peraltro, tale orientamento - secondo il logico argomentare dei giudici del riesame- appare del tutto condivisibile posto che, ragionando a contrario, come indicato dalla difesa, nessun abuso edilizio potrebbe mai essere contestato, perché ogni opera trovata terminata dovrebbe essere fatta risalire all'ultimo accertamento effettuato su quella porzione di territorio, o addirittura, se nessun accertamento di tal genere vi fosse stato, a tempo immemorabile. 4. Questa Corte di legittimità ha costantemente affermato che, in tema di reati edilizi, deve ritenersi "ultimato" solo l'edificio concretamente funzionale che possegga tutti i requisiti di agibilità o abitabilità, di modo che anche il suo utilizzo effettivo, ancorché accompagnato dall'attivazione delle utenze e dalla presenza di persone al suo interno, non è sufficiente per ritenere sussistente l'ultimazione dell'immobile abusivamente realizzato, coincidente generalmente con la conclusione dei lavori di rifinitura interni ed esterni (così, tra tante, questa sez. 3, n. 40033 del 18/10/2011, Cappello, rv. 250826; sez. 3, n. 39733 del 18/10/2011, Ventura, rv. 251424; sez. 3, n. 48002 del 17/9/2014, Surano, rv. 261153).
Si tratta di un principio affermato anche con riferimento al reato previsto dal D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 181, comma 1 qualora la fattispecie sia realizzata, come nella specie, attraverso una condotta che si protrae nel tempo, come nel caso di realizzazione di opere edilizie in zona sottoposta a vincolo, trattandosi di reato che ha natura permanente e che si consuma con l'esaurimento totale dell'attività o con la cessazione della condotta per qualsiasi motivo (sez. 3, n. 28934 del 26/03/2013, Borsani, Rv. 256897). Nella motivazione del provvedimento impugnato si ricorda, quanto alla questione circa la mancanza di attualità del periculum oggi riproposta che, secondo il costante orientamento di questa Corte di legittimità, il sequestro preventivo di cose pertinenti al reato può essere adottato anche su un immobile abusivo già ultimato e rifinito, poiché l'esigenza cautelare richiesta dalla legge per disporre il sequestro preventivo è ipotizzabile anche per reati per i quali sia cessata la condotta o in genere siano perfezionati gli elementi costitutivi, e ciò perché vi sono conseguenze dello stesso reato che la misura cautelare è destinata ad evitare anche dopo che esso abbia esaurito il suo "iter", in quanto le conseguenze che il sequestro preventivo tende ad evitare sono ulteriori rispetto alla fattispecie tipica già realizzata (così sez. 4, n. 17635/2004 in un caso in cui è stato ritenuto ammissibile il sequestro preventivo di una costruzione abusiva già terminata avendo la Corte osservato che le conseguenze che la misura cautelare è destinata ad evitare devono identificarsi, in materia urbanistica, nell'ordinato assetto e sviluppo del territorio e nel corretto uso e governo di esso conforme alla normativa urbanistica).
5. Nel caso in esame, come anticipato, sono stati contestati agli indagati reati connessi alla tutela dei beni paesaggistici, posto che l'area su cui gli abusi sono stati eseguiti è sottoposta a vincolo paesaggistico ambientale.
Ebbene, anche sotto tale aspetto i giudici della cautela hanno fatto buon governo di quanto questa Corte ha affermato circa la natura permanente del reato previsto dal D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 44, comma 1, lett. c), che legittima il sequestro preventivo delle
opere edilizie eseguite in zona sottoposta a vincolo anche nel caso di ultimazione dei lavori, in quanto l'esecuzione di interventi edilizi in zona vincolata ne protrae nel tempo e ne aggrava le conseguenze, determinando e radicando il danno all'ambiente ed al quadro paesaggistico che il vincolo ambientale mira a salvaguardare (cfr. ex plurimis la richiamata sez. 3, n. 30932 del 19/05/2009;
Tortora, rv. 245207).
Va ricordato che già le Sezioni Unite di questa Corte Suprema - con la sentenza 29.1.2003, n. 2, Innocenti - in relazione al reati edilizi ed urbanistici, avevano ritenuto ammissibile il sequestro preventivo di una costruzione abusiva già ultimata, affermando che:
a) il sequestro preventivo di cosa pertinente al reato è consentito anche nel caso di ipotesi criminosa già perfezionatasi, purché il pericolo della libera disponibilità della cosa stessa - che va accertato dal giudice con adeguata motivazione - presenti i requisiti della concretezza e dell'attualità e le conseguenze del reato, ulteriori rispetto alla sua consumazione, abbiano connotazione di antigiuridicità, consistano nei volontario aggravarsi o protrarsi dell'offesa al bene protetto che sia in rapporto di stretta connessione con la condotta penalmente illecita e possano essere definitivamente rimosse con l'accertamento irrevocabile del reato; b) spetta al giudice di merito, con adeguata motivazione, compiere una attenta valutazione del pericolo derivante da libero uso della cosa pertinente all'illecito penale. In particolare, vanno approfonditi la reale compromissione degli interessi attinenti al territorio ed ogni altro dato utile a stabilire in che misura il godimento e la disponibilità attuale della cosa, da parte dell'indagato o di terzi, possa implicare una effettiva ulteriore lesione del bene giuridico protetto, ovvero se l'attuale disponibilità del manufatto costituisca un elemento neutro sotto il profilo della offensività. In altri termini, per i reati edilizi ed urbanistici il giudice deve determinare in concreto, il livello di pericolosità che l'utilizzazione della cosa appare in grado di raggiungere in ordine all'oggetto della tutela penale, in correlazione al potere processuale di intervenire con la misura preventiva cautelare. Per esempio, nel caso di ipotizzato aggravamento del cd. carico urbanistico, va delibata in fatto tale evenienza sotto il profilo della consistenza reale ed intensità del pregiudizio paventato, tenendo conto della situazione esistente al momento dell'adozione del provvedimento coercitivo.
Diversa, tuttavia, deve ritenersi - secondo il consolidato dictum di questa Corte di legittimità che il Collegio condivide e che intende ribadire - la situazione con riferimento ai reati paesaggistici, poiché per tali reati, ai fini della legittimità del provvedimento di sequestro preventivo, la sola esistenza di una struttura abusiva, realizzata senza autorizzazione in area sottoposta a vincolo paesaggistico, integra il requisito dell'attualità del pericolo, indipendentemente all'essere l'edificazione criminosa ultimata o meno, in quanto il rischio di offesa al territorio ed all'equilibrio ambientale (a prescindere dall'effettivo danno al paesaggio) perdura in stretta connessione all'utilizzazione della costruzione ultimata (cfr. questa sez. 3 n. 24539 del 20.3.2013, Chiantone, rv. 255560;
conf. sez. 3, n. 42363 del 18.9.2013, Colicchio, rv. 257226; sez. 3 n. 32247 del 12.6.2003; sez. 3, n. 43880 del 30.9.2004; sez. 2.n.
23681 del 14.5.2008; sez. 3, n. 30932 del 19.5.2009). 6. Il tribunale laziale da una congrua e logica risposta alla produzione da parte della difesa di una relazione di parte (in cui il tecnico incaricato sostiene che per le modalità costruttive le opere sono adeguate alle caratteristiche urbanistiche della zona ed altresì sono prive di impatto ambientale) evidenziando come la sussistenza del richiamato vincolo paesaggistico sull'area, della cui esistenza anche la relazione tecnica da conto, non consente di condividere tali valutazioni.
Ciò in virtù del principio di cui alla richiamata pronuncia di questa Corte regolatrice n. 24539/2013 secondo cui -va ribadito- in tema di sequestro preventivo per reati paesaggistici, la sola esistenza di una struttura abusiva integra il requisito dell'attualità del pericolo indipendentemente dall'essere l'edificazione ultimata o meno, in quanto il rischio di offesa al territorio ed all'equilibrio ambientale, a prescindere dall'effettivo danno al paesaggio, perdura in stretta connessione con l'utilizzazione della costruzione ultimata.
Peraltro appare condivisibile, oltre che pienamente logica, la conseguente conclusione che non possa esservi dubbio che, nel caso in esame l'utilizzo, peraltro presumibilmente a fine di lucro e da parte di un discreto numero di persone, delle opere edili sequestrate, non potrà che aggravare il danno già arrecato all'equilibrio ambientale dell'area.
7. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione
della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 86 del 13.6.2000). alla condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese de, procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 29 aprile 2015.
Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2015