Cass. Sez. III n. 23934 del 18 giugno 2021 (UP 25 mar 2021)
Pres. Izzo Est. Noviello Ric. Materia
UrbanistIca.Valutazione unitaria opera edilizia abusiva

La valutazione di un'opera edilizia abusiva va effettuata con riferimento al suo complesso, non potendosi considerare separatamente i singoli componenti, così che, in virtù del concetto unitario di costruzione, la stessa può dirsi completata solo ove siano terminati i lavori relativi a tutte le parti dell'edificio; con incidenza di tale principio anche sul piano della individuazione del "dies a quo" per la decorrenza della prescrizione, che deve riguardare la stessa nella sua unitarietà

RITENUTO IN FATTO

1.La Corte di Appello di Messina, con sentenza del 27 settembre 2019 confermava la sentenza del 26 novembre 2018 del tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, con la quale Materia Michele e Materia Giuseppe erano stati condannati in relazione ai reati di cui agli artt. 110 44 lett. b) DPR 380/01, 110 c.p. 93, 94,  95 DPR 380/01, e 110 c.p. 71 DPR 380/01 181 Dlgs. 42/04.

    2. Avverso la sentenza sopra citata Materia Giuseppe e Materia Michele,  tramite il proprio difensore, hanno proposto ricorso per Cassazione, sollevando quattro motivi di impugnazione.

    1. Rappresentano con il primo, il vizio ex art. 606 comma 1 lett. c) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 177 e ss. cod. proc. pen.  e 601 cod. proc. pen.  Si deduce che il decreto di citazione in appello sarebbe stato notificato in luogo diverso da quello indicato nella sentenza impugnata come domicilio eletto dei ricorrenti (Milazzo via Guido sn.). In particolare, il decreto, per l’udienza di discussione del 27.9.2019, sarebbe stato notificato solo a Materia Michele a mezzo posta, in Milazzo c.da Faraone e a persona diversa dal destinatario della notifica.

    2. Con il secondo motivo deducono il vizio ex art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen. e di violazione di legge in relazione all’art. 533 comma 1 cod. proc. pen.  Si esclude ogni responsabilità dei ricorrenti atteso che le opere contestate andrebbero ascritte alla precedente proprietaria, dante causa degli interventi, oltre che alle ditte esecutrici dei lavori. I ricorrenti sarebbero subentrati nel luglio  del 2011 nella titolarità di opere già ormai realizzate, ad eccezione degli infissi, installati nel settembre del 2012. Cosicchè in occasione dell’accertamento del 27 settembre 2016 si sarebbe appurata la realizzazione e completamento delle opere ad opera della predetta precedente proprietaria, come emerso da relazione tecnica di soprallugo.  La corte di appello inoltre non avrebbe considerato una copiosa documentazione da cui risulterebbe che le opere sarebbero state ultimate prima dell’agosto 2012 ed elencata in ricorso. Da qui la carenza di motivazione, peraltro contraddittoria e/o manifestamente illogica, in ragione della erronea valutazione delle prove acquisite, dimostrative della ultimazione del fabbricato contestato prima dell’atto di donazione adottato a favore del ricorrenti nel luglio del 2011, salvo che per gli infissi, come pure documentato con apposita foto.
Si aggiunge che vi sarebbe l’assenza di ogni prova sulla responsabilità degli imputati, come sull’epoca del commesso delitto, trascrivendosi al riguardo le deposizioni di due testi. La deposizione di uno di essi sarebbe peraltro inutilizzabile trattandosi di soggetto non qualificato, siccome neppure iscritto all’albo dei geometri e privo della necessaria abilitazione quale perito edile.
Quanto agli infissi, pur collocati di seguito alla realizzazione dell’intervento, sarebbero stati installati comunque nello stesso anno finale del 2012, come dimostrato da fatture di acquisto intestate alla originaria proprietaria e da successive fatture del settembre 2012 rilasciate ai due imputati e dimostrative dell’epoca delle installazioni, coincidente con il suddetto mese.
Sarebbe inoltre viziata la motivazione anche nella parte in cui individua la responsabilità degli imputati nonostante la giovane età e da quanto esposto conseguirebbe anche la violazione del canone dell’”oltre ogni ragionevole dubbio”
Si contesta inoltre che l’opera sarebbe stata realizzata senza titolo concessorio, deponendo in senso diverso le risultanze processuali, anche con riguardo al certificato di collaudo delle opere in cemento armato.

    3. Con il terzo motivo deducono i vizi ex art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen.  in relazione all’art. 157 c.p Atteso che l’immobile contestato sarebbe stato realizzato e ultimato nel 2012, i reati risulterebbero prescritti alla data della sentenza di appello. In proposito si rappresenta la mancata prova da parte dell’accusa dell’epoca certa di conclusione delle opere abusive, individuata in sentenza in maniera apodittica, e con violazione del principio di cui al brocardo “in dubio pro reo” di cui all’art. 531 comma 2 cod. proc. pen. ,  con riferimento alla data di accertamento effettuato dalla Polizia Municipale in data 27 settembre 2016.
Sul punto, la motivazione sarebbe carente illogica e contraddittoria, a fronte della intervenuta prova della intervenuta realizzazione del fabbricato già nell’agosto del 2012, con ultimazione dello stsso mediante apposizione degli infissi nel settembre 2012. Del resto lo stesso procuratore Generale, si osserva, ha rappresentato in sede di conclusioni l’intervenuta prescrizione.

4.Con il quarto  motivo deducono i vizi ex art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen.  La pena sarebe eccessiva in rapporto ai fatti e alla giovane età dei ricorrenti e applicata in violazione dei criteri di cui all’art. 133 c.p.
Sarebbe insussistente la motivazione nella parte in cui il beneficio della sospensione condizionale della pena e della non menzione sono stati applicati subordinatamente alla demolizione dell’opera abusiva e alla remissione in pristino dello stato dei luoghi, stante la ratio diversa tra l’istituto della demolizione e quello della sospensione condizionale della pena.  Nulla osta alla concessione dei predetti benefici senza alcuna condizione anche per la possibilità che l’opera possa essere demolita in via amministrativa, per cui la limitazione della libertà non può essere disposta al di fuori delle condizioni di legge. Mentre il beneficio della non menzione si fonda solo su una prognosi favorevole circa la futura astensione dalla commissione di reati, così prescindendo dal verificarsi o meno della condizione cui è stata subordinata.
Sarebbe carente la motivazione anche con riferimento alla determinazione della pena finale, non avendo i giudici considerato le doglianze difensive al riguardo e in particolare escludendo l’applicazione delle attenuanti generiche pur sussistendone i presupposti.

CONSIDERATO IN DIRITTO

    1. Con riguardo al primo motivo e in particolare alla censura inerente la notifica del decreto di citazione in appello nei confronti di Materia Michele, essa risulta manifestamente infondata. Emerge dall’atto di appello che Materia Michele ha eletto domicilio presso il luogo dove è stata effettuata la notifica dell’atto di appello. Ivi la notifica è stata presso la madre, capace e convivente, del Materia. Si tratta di una notifica che appare regolare. Del resto quand’anche si fosse trattato di un luogo diverso dal domicilio legalmente indicato la notifica rispondendo alla esigenza di effettiva comunicazione e conoscenza dell’atto all’interessato, senza che emerga alcun pregiudizio dalla effettuazione della stessa in luogo diverso dal  domicilio indicato dal ricorrente, comunque non integrerebbe un vizio rilevante. E’ noto infatti che il decreto di citazione in appello notificato all'imputato in luogo diverso rispetto al domicilio eletto o dichiarato integra una nullità di ordine generale a regime intermedio, come tale deducibile – come non è invece avvenuto - entro i termini decadenziali previsti dall'art. 182 cod. proc. pen., sempre che non risulti in concreto inidonea a determinare la conoscenza effettiva dell'atto da parte del destinatario, nel qual caso integra invece una nullità assoluta per omessa notificazione ex art. 179 cod. proc. pen. (per caso analogo Sez. 5 - , n. 48916 del 01/10/2018 Rv. 274183 – 01). Al riguardo la deduzione difensiva si limita a contestare la regolarità della notifica, (che invece come detto è stata in concreto regolare), senza tuttavia dedurre, come avrebbe dovuto in caso di notifica in luogo diverso da quello legalmente indicato, il pregiudizio derivato dalla comunicazione assunta come effettuata altrove.   
Diverso è il caso riguardante Materia Giuseppe, per il quale non riuslta effettuata valida notifica, emergendo dagi atti solo la duplice notifica presso la comune madre nell’interesse del solo Materia Michele. Cosicchè risultando la omessa notifica dell’atto di citazione in appello il ricorso è per questa parte fondato.



    2. Quanto al secondo e terzo motivo, da esaminarsi, per quanto sopra detto, solo con riferimento a Materia Michele, essi devono essere valutati congiuntamente in quanto riguardano la ricostruzione dei fatti e delle responsabilità e quindi anche il profilo dell’epoca delle opere, rilevante anche in punto di maturazione della prescrizione.
Con riguardo ai predetti aspetti, la motivazione della sentenza impugnata appare lineare e coerente, come tale immune da vizi e conforme a consolidati principi di legittimità
In particolare i giudici hanno evidenziato come, rispetto alla descrizione del manufatto evincibile dall’atto di donazione del 2011, rilasciato in favore degli imputati, oltre che dalle foto del 2012, l’edificio accertato dalla polizia municipale nel 2016 è risultato profondamente diverso, oltre che solo in parte rifinito. Aspetto quest’ultimo rimasto del tutto incontestato. Cosicchè  non solo è corretta la riconduzione della prosecuzione dell’opera in capo ai ricorrenti, ma anche la deduzione della realizzazione degli interventi abusivi sino all’accertamento del 2016, con esclusione della intervenuta prescrizione a fronte di un abuso ancora incompleto e da reputarsi quindi ancora in corso di realizzazione a quella data. In tal senso del tutto corretto e pertinente è il richiamo al principio per cui la valutazione di un'opera edilizia abusiva va effettuata con riferimento al suo complesso, non potendosi considerare separatamente i singoli componenti, così che, in virtù del concetto unitario di costruzione, la stessa può dirsi completata solo ove siano terminati i lavori relativi a tutte le parti dell'edificio; con incidenza di tale principio anche sul piano della individuazione del "dies a quo" per la decorrenza della prescrizione, che deve riguardare la stessa nella sua unitarietà (Sez. 3, n. 30147 del 19/04/2017 Rv. 270256 – 01 Tomasulo). Si tratta di considerazioni che confutano ampiamente le argomentazioni difensive, peraltro frammentarie laddove trascurano, con deficit di specificità estrinseca ( cfr. Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425), il rilievo, significativo, della sostanziale differenza tra il manufatto ancora documentato nel 2011 e nel 2012, e quello invece accertato nel 2016 e ancora in corso d’opera.
Nè alcun rilievo in termini di inutilizzabilità assume la qualifica rivestita da uno dei testi escussi, che può solo rilevare sul piano della valutazione di affidabilità del teste, peraltro non fatta oggetto di specifiche e argomentate censure.
Consegue la manifesta infondatezza dei motivi esaminati

2. Quanto all’ultimo motivo, va premesso il carattere di novità della censura relativa alla intervenuta subordinazione del beneficio della non menzione rispetto alla demolizione dell’immobile abusivo. Invero dalla sentenza impugnata e dal relativio riepilogo dei motivi di appello, emerge che il ricorrente con l’atto di gravame ha solo contestato la subordinazione alla demolizione del beneficio della sospensione condizionale della pena, senza che sul predetto riepilogo abbia sollevato in questa sede alcuna contestazione. Cosicchè al riguardo trova applicazione il principio secondo il quale sussiste un onere di  specifica contestazione del riepilogo dei motivi di impugnazione, contenuto nella sentenza impugnata, allorquando si ritenga che non sia stata menzionata la medesima questione come già proposta in sede di gravame; in mancanza della predetta contestazione, il motivo deve pertanto ritenersi proposto per la prima volta in cassazione, e quindi tardivo ed inammisisbile (cfr. in tal senso, con riferimento alla omessa contestazione del riepilogo dei motivi di gravame, Sez. 2, n. 31650 del 03/04/2017 Ud.  (dep. 28/06/2017 ) Rv. 270627 – 01 Ciccarelli).
Con riguardo quindi alle censure residue, va ribadito che in tema di reati edilizi, il giudice, nella sentenza di condanna, può subordinare il beneficio della sospensione della pena alla demolizione dell'opera abusiva, in quanto tale ordine ha la funzione di eliminare le conseguenze pregiudizievoli del reato (ez. 3, n. 39471 del 18/07/2017 Rv. 272502 – 01 Pellerito) e che è legittima la sentenza con cui il giudice subordina la concessione della sospensione condizionale della pena all'eliminazione delle conseguenze dannose del reato mediante demolizione dell'opera abusiva, senza procedere a specifica motivazione sul punto, essendo questa implicita nell'emanazione dell'ordine di demolizione disposto con la sentenza, che, in quanto accessorio alla condanna del responsabile, è emesso sulla base dell'accertamento della persistente offensività dell'opera stessa nei confronti dell'interesse protetto (Sez. 3 - , n. 16157 del 26/02/2019 Rv. 275402 – 01).
Quanto al trattamento sanzionatorio, innanzitutto va rilevato come la pena, peraltro vicina ai minimi edittali, sia stata accompagnata da una congrua motivazione coerentemente incentrata sulla valorizzazione delle rilevanti dimensioni dell’opera abusiva. Cosicchè resta insuperato ed applicato l'insegnamento di Sez. U, n. 5519 del 21/04/1979, Pelosi, Rv. 142252, secondo cui è da ritenere adempiuto l'obbligo della motivazione in ordine alla misura della pena allorché sia indicato l'elemento, tra quelli di cui all'ad 133 cod. pen., ritenuto prevalente e di dominante rilievo, non essendo tenuto il giudice ad una analitica valutazione di tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti ma, in una visione globale di ogni particolarità del caso, è sufficiente che dia l'indicazione di quelli ritenuti rilevanti e decisivi (così, in motivazione, anche Sez. 3, n. 19639 del 27/01/2012, Gallo).
Con riguardo alle attenuanti generiche, da una parte è del tutto priva di specificità intrinseca la doglianza, non avendo il ricorrente puntualmente illustrato le ragioni per la loro applicazione; dall’altra il diniego è anche esso adeguatamete motivato alla luce della citata gravità del fatto oltre che della assenza di elementi positivi a favore, trovando riscontro in tal caso sia il principio secondo il quale nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 3, Sentenza n. 28535 del 19/03/2014  Rv. 259899 – 01 Lule), sia quello per cui ai fini della determinazione della pena, il giudice può tenere conto più volte del medesimo dato di fatto sotto differenti profili e per distinti fini senza che ciò comporti lesione del principio del "ne bis in idem" (Nella specie la Corte ha ritenuto immune da vizi la motivazione della Corte d'appello che ha fatto riferimento ai medesimi elementi indicativi della gravità del fatto per determinare la pena in misura superiore al minimo e per negare il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche) (Sez. 3 - , n. 17054 del 13/12/2018 (dep. 18/04/2019) Rv. 275904 – 03 M).
Anche le censure di cui al presente motivo, dunque, devono reputarsi manifestamente infondate.


3.Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso di Matera Michele debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso del predetto ricorrente sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. Con riguardo a Matera Giuseppe invece annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla corte di appello di Reggio Calabria.

P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso di Materia Michele e condanna tale ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Annulla la sentenza impugnata in relazione a Materia Giuseppe con rinvio per nuovo giudizio alla corte di appello di Reggio Calabria.
Così deciso in Roma, il 25 marzo 2021