Cass. Sez. III n. 8550 del 5 marzo 2012 (Ud. 7 feb. 2012)
Pres. Squassoni Est. Ramacci Ric. Fracassi
Urbanistica. Violazione di sigilli e ruolo del custode

In tema di violazione di sigilli, la nomina a custode costituisce un "munus publicum" obbligatorio che prescinde anche dall'accettazione del custode e che non richiede, per la nomina dello stesso, ulteriori formalità rispetto a quelle indicate dalla legge, tanto che il soggetto nominato custode rimane investito della relativa funzione per il solo fatto della nomina, portata debitamente a sua conoscenza.

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. SQUASSONI Claudia - Presidente - del 07/02/2012
Dott. GRILLO Renato - Consigliere - SENTENZA
Dott. AMOROSO Giovanni - Consigliere - N. 332
Dott. RAMACCI Luca - rel. Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. ROSI Elisabetta - Consigliere - N. 30383/2011
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) FRACASSI NERINA ANNA N. IL 21/04/1950;
avverso la sentenza n. 1366/2009 CORTE APPELLO di ROMA, del 20/04/2011;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 07/02/2012 la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCA RAMACCI;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Lettieri Nicola, che ha concluso per l'inammissibilità;
udito il difensore avv. Martoriello Massimo di Roma. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 20 aprile 2011, la Corte d'Appello di Roma riformava parzialmente la decisione del Tribunale di quella città in data 13 febbraio 2008, appellata da FRACASSI Nerina Anna, dichiarando non doversi procedere nei suoi confronti in ordine alle contravvenzioni di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b), artt. 64, 65, 71 e 72 perché estinte per intervenuta prescrizione, rideterminando la pena per la residua imputazione (artt. 81 e 349 c.p.). Avverso tale pronuncia la predetta proponeva ricorso per cassazione. Con un primo motivo di ricorso deduceva il vizio di motivazione, rilevando che la Corte territoriale aveva confermato la condanna per il delitto di violazione di sigilli considerandola erroneamente proprietaria dell'area, appartenente, invece, all'amministrazione comunale di Frascati come espressamente indicato nell'atto d'appello e senza tener conto del fatto che l'affermazione di penale responsabilità era intervenuta senza che ella fosse stata resa edotta degli obblighi conseguenti all'affidamento della custodia del bene, non essendo sufficiente la mera indicazione in tal senso contenuta nel verbale di sequestro, tanto che lo stesso ufficiale di polizia giudiziaria che lo aveva redatto non era stato in grado di indicare quali fossero tali obblighi in sede di deposizione testimoniale.
Con un secondo motivo di ricorso lamentava la errata applicazione della legge penale nella qualificazione giuridica del fatto, a suo dire inquadrarle nella fattispecie di cui all'art. 350 c.p. in assenza della prova della sussistenza del dolo.
Insisteva, pertanto, per l'accoglimento del ricorso. MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso è inammissibile.
La Corte territoriale ha, invero, ripetutamente qualificato la ricorrente come proprietaria dell'area, attributo che viene contestato in ricorso.
Occorre osservare, a tale proposito, che la deduzione verte su un accertamento in fatto operato dai giudici del merito sulla base dell'esame della documentazione acquisita il cui contenuto, come indicato in sentenza, non è stato oggetto di contestazione e, pertanto, sottratto al sindacato di legittimità perché sorretto da adeguata motivazione.
Non appare determinante, in ogni caso, l'eventuale erroneo riferimento alla ricorrente quale proprietaria dell'area, poiché è di tutta evidenza che tale attributo viene indicato al solo scopo di evidenziare la materiale disponibilità dell'area medesima in capo all'imputata quale indizio della committenza delle opere, che non richiede necessariamente la proprietà dei terreno ove viene realizzato l'intervento abusivo.
La decisione impugnata, peraltro, non si fonda esclusivamente su tale assunto, avendo i giudici dell'appello ulteriormente specificato che, comunque, la ricorrente non aveva dedotto alcunché a sua difesa all'atto della nomina a custode e che la reiterazione della violazione di sigilli, consumata il giorno 8 ed il giorno 9 aprile 2004, era sintomo evidente di un interesse all'esecuzione dell'intervento abusivo.
Tali argomentazioni paiono pertanto a questa Corte pienamente conformi a legge ed ampiamente sufficienti per giustificare l'iter logico giuridico seguito dai giudici del gravame.
Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi con riferimento alla mancata informazione degli obblighi conseguenti alla custodia dei beni. Deve ricordarsi, a tale proposito, che l'art. 81 disp. att. c.p.p. stabilisce che "quando è nominato un custode" questi dichiara di assumere gli obblighi di legge e sottoscrive il verbale. L'inosservanza di queste formalità non esime il custode, che abbia assunto l'ufficio, dall'adempimento dei suoi doveri e dalla relativa responsabilità disciplinare e penale".
Si tratta dunque di un "munus publicum" obbligatorio che prescinde anche dall'accettazione del custode e che non richiede, per la nomina dello stesso, ulteriori formalità rispetto a quelle indicate dalla legge, tanto che il soggetto nominato custode rimane investito della relativa funzione per il solo fatto della nomina, portata debitamente a sua conoscenza.
La espressa indicazione nel verbale di sequestro, da parte della polizia giudiziaria operante, di aver reso edotto il custode degli obblighi derivanti dalla nomina non è pertanto assolutamente necessaria e, se esistente, costituisce dato fattuale significativo della conoscenza, da parte del custode stesso, dei doveri imposti dall'assunzione della funzione.
L'ulteriore questione circa la mancata conoscenza di tali obblighi da parte dell'ufficiale di polizia giudiziaria che ha materialmente redatto il sequestro non è, invece, deducibile in questa sede, essendo precluso al giudice di legittimità l'accesso agli atti del processo e non sarebbe comunque rilevante a fronte del dato documentale che prova come, all'atto del sequestro, tale informazione venne fornita alla custode.
Parimenti infondato risulta il secondo motivo di ricorso. Va preliminarmente ricordato che questa Corte ha già avuto modo di chiarire come il reato di violazione di sigilli si distingua dall'ipotesi di agevolazione colposa di cui all'art. 350 c.p. per l'elemento psicologico, perché nel primo caso la condotta del custode è dolosamente finalizzata a porre in essere la violazione dei sigilli, mentre nella seconda detta violazione consegue alla negligenza e trascuratezza del custode medesimo (Sez. 3, n. 22784, 14 maggio 2004; Sez. 6, n. 1945, 17 febbraio 1994; Sez. 6, n. 6246, 4 luglio 1984).
Alla luce di tale principio, che va condiviso e riaffermato, deve osservarsi che, nella fattispecie, la Corte territoriale ha chiaramente evidenziato la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato contestato nella reiterazione della condotta dopo una prima riapposizione dei sigilli precedentemente violati. Tale dato fattuale, correttamente valutato, è certamente idoneo a ritenere pienamente configurato l'elemento soggettivo del reato, cosicché la decisione impugnata si prospetta, anche sul punto, del tutto immune da censure, superando agevolmente il vaglio di legittimità.
Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile e alla declaratoria di inammissibilità - non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa della ricorrente (Corte Cost. 7-13 giugno 2000, n. 186) - consegue l'onere delle spese del procedimento, nonché quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di Euro 1.000,00. P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma di Euro 1.000,00. Così deciso in Roma, il 7 febbraio 2012.
Depositato in Cancelleria il 5 marzo 2012