Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 555, del 5 febbraio 2015
Urbanistica.Completamento funzionale e mutamento di destinazione

Anche se per completamento funzionale dovrebbe intendersi la realizzazione delle principali opere necessarie per attuare il mutamento di destinazione, incompatibili con l’originaria destinazione, il completamento dell’edificio richiede anche l’effettivo completamento della copertura. Ciò che occorre, dunque, per integrare il presupposto di sanabilità, previsto dalla norma, è una concreta definizione dell’opera nei suoi termini strutturali o funzionali, non l’esecuzione di qualsivoglia lavoro orientato al cambiamento di destinazione. (Segnalazione e massima a cura dio F. Albanese)

N. 00555/2015REG.PROV.COLL.

N. 07748/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7748 del 2010, proposto da: 
Policlinico Portuense s.p.a, Poliservis s.r.l., Saniservis s.r.l., Sanigest s.r.l., tutte in persona dell’amministratore unicopro tempore, rappresentate e difese dagli dall'avv. Valeria Cosentino, con domicilio eletto presso Nicola Luigi Arleo in Roma, via Nizza, 92; 

contro

Comune di Roma, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall'avv. Giorgio Pasquali, domiciliato in Roma, via del Tempio di Giove, 21; 

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE II BIS n. 08939/2009, resa tra le parti, concernente ordine di sospensione di lavori abusivi relativi a cambio di destinazione d'uso da autorimessa pertinenziale ad attività sanitaria, diniego di condono edilizio, ordine di demolizione - risarcimento danni

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Roma;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 gennaio 2015 il cons. Giuseppe Castiglia e uditi per le parti gli avvocati Nicola Luigi Arleo e Giorgio Pasquali;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

In relazione a interventi compiuti nella via Buonvisi, comportanti il cambio di destinazione d’uso da autorimessa pertinenziale ad attività sanitaria, il Comune di Roma - con successive determinazioni dirigenziali del 2005 - ha disposto la sospensione dei lavori, respinto le domande di condono edilizio e ha ordinato la demolizione delle opere.

Il Comune ha ritenuto non condonabili le opere in questione per la mancanza di due requisiti:

- il reperimento della medesima quantità di superficie da destinare a parcheggio (ex art. 3, comma 1, della legge della Regione Lazio 8 novembre 2004, n. 12);

- l’ultimazione delle opere entro il 31 marzo 2003 (ex art. 32, comma 25, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni nella legge 24 novembre 2003, n. 326, e art. 2, comma 1, della citata legge regionale n. 12 del 2004).

I provvedimenti sono stati impugnati dalla società Policlinico Portuense s.p.a., proprietaria dell’immobile, e dalle società Poliservis s.r.l.. Saniservis s.r.l. e Sanigest s.r.l., esecutrici dei lavori.

Con sentenza 17 settembre 2009, n. 8939, il T.A.R. del Lazio, sez. II bis,

- ha dichiarato improcedibile il ricorso contro l’ordine di sospensione per sopravvenuta carenza di interesse, in ragione dell’avvenuta conclusione del procedimento di condono edilizio;

- ha respinto il ricorso contro il diniego di condono, del quale le opere non avrebbero potuto beneficiare perché non ultimate alla data del 31 marzo 2003, come attesterebbe la richiesta di rinnovo della D.I.A., successiva a quella data, per il completamento del parcheggio, riguardo a un procedimento per la realizzazione di un parcheggio interrato, avviato dalle ricorrenti nel 1996 e poi trasformatosi in un progetto di ampliamento delle strutture utili all’attività aziendale sanitaria;

- ha respinto il ricorso contro l’ordine di demolizione, siccome strettamente derivante dalla reiezione della domanda di condono.

Le società ricorrenti hanno interposto appello contro la sentenza.

Dato atto del venir meno dell’interesse a impugnare l’ordine di sospensione, le appellanti sostengono che la sentenza di primo grado sarebbe erronea per avere posto a base la verifica della mancata ultimazione delle opere alla data del 31 marzo 2003.

A questo proposito, i provvedimenti comunali di diniego sarebbero privi di istruttoria e di motivazione, mentre le opere realizzate non sarebbero tardive. Risulterebbe infatti che, alla data indicata, sarebbero state compiute le opere principali necessarie per l’uso diverso da quello a suo tempo assentito, mancando solo gli impianti e le rifiniture di carattere complementare: da un lato, la D.I.A. del 2004 avrebbe riguardato la sola sistemazione esterna della recinzione e la pavimentazione della rampa di accesso al piano interrato; dall’altro, le verifiche del 31 maggio 2004 e del 17 dicembre 2004, cui fanno riferimento per relationem i dinieghi impugnati, accerterebbero solo interventi edili di scarsissima rilevanza.

Ciò sarebbe sufficiente ad attestare l’avvenuto completamento funzionale dell’opera, indipendentemente dalla sua effettiva utilizzazione, e dunque la possibilità del condono richiesto, alla luce degli orientamenti maturati dalla giurisprudenza circa l’interpretazione da darsi all’art. 31 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, nelle ipotesi di mutamento di destinazione d’uso.

Le società appellanti rinnovano la richiesta di prova testimoniale per accertare la data di effettivo completamento ad attività sanitaria delle opere oggetto delle domande di condono, osservano che l’altro dei motivi posti a base dei dinieghi (mancata dimostrazione del reperimento della medesima quantità di superficie da destinare a parcheggio) sarebbe destituito in punto di fatto (le aree sarebbero state acquisite dal Vicariato di Roma), informano che l’ordine di demolizione sarebbe stato annullato con la successiva determinazione dirigenziale n. 2 del 2 gennaio 2007, rinnovano la richiesta di risarcimento del danno.

Il Comune di Roma si è costituito in giudizio per resistere all’appello.

Le società hanno poi depositato documentazione varia, comprendente anche copia della sentenza 31 ottobre 2011 – 12 gennaio 2012, con cui il Tribunale di Roma ha in parte prosciolto per intervenuta prescrizione e in parte assolto la signora Concetta De Simone, quale amministratore o comunque come esponente di alcune delle società in causa, e l’architetto Fabio Natale, quale direttore dei lavori, dai reati edilizi (nonché la sola De Simone dal reato ex art. 483 c.p.) loro ascritti per l’impossibilità di stabilire in quale epoca fossero state iniziate le opere interne rilevate nel corso dei sopralluoghi comunali e dunque consumato il mutamento materiale della destinazione d’uso dell’immobile.

Con successiva memoria, le società invocano l’efficacia vincolante del giudicato assolutorio a norma dell’art. 654 c.p.p., che il Comune contesta.

Le parti si sono successivamente scambiate memorie di replica.

Alla pubblica udienza del 27 gennaio 2014, l’appello è stato chiamato e trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. Nel corso della discussione pubblica, la difesa delle società appellanti ha fatto rilevare la mancanza del fascicolo di primo grado.

Il Collegio ne dà atto, ma si ritiene in grado di poter decidere egualmente nel merito della causa, sulla base della documentazione in atti.

2. In premessa, occorre osservare che la determinazione dirigenziale n. 2 del 2007, richiamata dalle appellanti, non tanto ha annullato l’ordine di demolizione, quanto piuttosto, tenuto conto degli elevati rischi strutturali connessi alla demolizione o allo smantellamento degli impianti installati, lo ha sostituito - in applicazione dell’art. 33 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 - con l’ordine di pagamento di una sanzione pecuniaria di euro 516,46 e di una sanzione aggiuntiva di euro 997.496,00.

Riguardo all’ordine di demolizione, ormai venuto meno, l’appello è dunque improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.

3. Di conseguenza, l’appello rimane circoscritto ai dinieghi opposti dal Comune alle domande di condono edilizio.

A questo proposito, le società appellanti, negli ultimi atti difensivi, insistono sugli effetti a loro favorevoli che discenderebbero dalla sentenza assolutoria, emessa dal Tribunale penale di Roma e passata in giudicato.

Benché gli accertamenti compiuti in sentenza non siano privi di rilievo quanto alla presente controversia, il vincolo di giudicato non sussiste, almeno nei termini in cui le appellanti ritengono di poterlo configurare.

Secondo l’art. 654 c.p.p., sotto determinate condizioni la sentenza penale irrevocabile fa stato, nel giudizio civile o amministrativo, nei confronti dell’imputato, della parte civile o del responsabile civile.

Già questo dato testuale è sufficiente a escludere che le società, estranee al processo penale, possano poi rivendicarne in questa sede l’esito favorevole agli imputati.

Nel merito, la sentenza penale, nell’impossibilità di considerare provato il momento di inizio delle opere interne, ha applicato il canone in dubio pro reo, assumendo l’ipotesi più favorevole agli imputati e collocando la data relativa in epoca antecedente al 31 marzo 2003.

Si tratta, come è evidente, di esigenze e principi propri del processo penale, laddove nell’ambito amministrativo, in tema di condono edilizio, grava sull’interessato l’onere di provare la conclusione (e non, al contrario, l’avvio) dei lavori prima della data prevista dalla legge.

4. Al riguardo, tuttavia, la sentenza va in direzione opposta a quella sperata dalle società, nella parte in cui afferma che “dalle deposizioni e dai verbali di sopralluogo … emerge chiaramente come il personale dell’U.O.T del XV° Municipio e del XV° Gruppo del Corpo di Polizia Municipale di Roma non abbia fatto ingresso all’interno del manufatto … fino al sopralluogo del 31.5.2004 e come in tale data sia stata accertata la presenza all’interno di tramezzature e di impianti già chiaramente destinati all’esercizio di una struttura sanitaria, in seguito solo completata come rilevato dagli operanti in occasione dei sopralluoghi del 3.12.2004 e del 27.5.2005”.

Il giudice penale afferma dunque che al 31 maggio 2004 (e a maggior ragione al 31 marzo 2003) le nuove opere erano state iniziate, non completate.

5. Vero è che il giudice penale non si occupa (né questo era suo compito) del se questo mancato completamento escluda che l’intervento possa considerarsi ultimato funzionalmente ai sensi dell’art. 31, secondo comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, richiamata dalla normativa successiva.

Secondo tale disposizione, “si intendono ultimati gli edifici nei quali sia stato eseguito il rustico e completata la copertura, ovvero, quanto alle opere interne agli edifici già esistenti e a quelle non destinate alla residenza, quando esse siano state completate funzionalmente”.

Richiamando una non recente orientamento di questo Consiglio di Stato (da ultimo: sez. V, 4 luglio 2002, n. 3679), le appellanti sostengono che per “completamento funzionale” dovrebbe intendersi “la realizzazione delle principali opere necessarie per attuare il mutamento di destinazione, incompatibili con l’originaria destinazione” (pag. 15 del ricorso).

La tesi può essere corretta in linea generale, ma va letta anche in coerenza con la costante giurisprudenza di questo giudice, secondo cui il completamento dell’edificio (come richiesto dal primo periodo della disposizione sopra ricordata) richiede anche l’effettivo completamento della copertura (cfr. per tutte sez. V, 19 ottobre 2011, n. 5625; sez. IV, 9 febbraio 2012, n. 683; ivi riferimenti ulteriori).

Ciò che occorre, dunque, per integrare il presupposto di sanabilità, previsto dalla norma, è una concreta definizione dell’opera nei suoi termini strutturali o funzionali, non l’esecuzione di qualsivoglia lavoro orientato al cambiamento di destinazione.

Tuttavia secondo la nota del Gabinetto del Sindaco del 25 luglio 2005, riferita nei provvedimenti di diniego, “nella rappresentazione grafica dello stato dei luoghi risultante dalla D.I.A. del 2 aprile 2003 non solo non risultano le opere di tramezzatura e di apertura varchi, finestre funzionali e necessarie per il mutamento della destinazione d’uso, ma non risulta realizzato ancora neanche il primo piano interrato ed il locale adiacente …”.

Questa affermazione non è contestata.

Segue da ciò che, per quanto si voglia portare il concetto di “completamento funzionale” al limite estremo di estensione, come le appellanti si sforzano di fare, si deve escludere che nella fattispecie, per come le opere sono descritte negli atti riportati, tale completamento possa considerarsi realizzato.

I dinieghi del Comune sono quindi fondati su base documentale, sicché, per considerarli tali, si può prescindere dalla prova testimoniale richiesta dalle appellanti.

6. Si aggiunga poi – sebbene il profilo sia stato trattato solo marginalmente in questa sede di appello – che appare fondato anche l’altro motivo che sorregge il rigetto delle istanze di condono, cioè la mancata dimostrazione dell’aver reperito altrove una superficie equivalente da destinare a parcheggio.

Nell’appello, le società affermano di aver reperito l’area equivalente “già nel lontano anno …”, senza più chiara specificazione (pag. 11). Successivamente (pag. 31) rinviano alla compravendita intervenuta, a tale proposito, con l’Opera romana per la preservazione della fede e la provvista di nuove chiese. L’atto è datato 30 novembre 2005 ed è pertanto posteriore alle determinazioni dirigenziali di diniego del 4 agosto 2005 e, prima ancora, alle domande di condono.

Anche sotto questo profilo, dunque, il rifiuto opposto dal Comune alla domanda di condono è conforme a legge.

7. Dalle considerazioni che precedono, discende che l’appello è in parte improcedibile e in parte infondato.

Tutti gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati ritenuti dal Collegio non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a condurre a una conclusione di segno diverso.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza, conformemente alla legge, e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, in parte lo dichiara improcedibile e in parte lo respinge, secondo quanto esposto in motivazione; per l'effetto, conferma la sentenza impugnata.

Condanna la parte soccombente alle spese di giudizio, che liquida nell’importo di euro 10.000,00 (diecimila/00), oltre agli accessori di legge .

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 gennaio 2015 con l'intervento dei magistrati:

Paolo Numerico, Presidente

Fabio Taormina, Consigliere

Antonio Bianchi, Consigliere

Oberdan Forlenza, Consigliere

Giuseppe Castiglia, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 05/02/2015

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)