Ecocidio: Analisi di una proposta

di Carlotta Maria CAPIZZI

Indice

Introduzione 2

Profili comparatistici della tutela ambientale 4

PARTE I: I CRIMINI AMBIENTALI 9

Il bene tutelato 9

Il fatto tipico e il suo grado di gravità 13

L’elemento soggettivo 15

PARTE II: L’ECOCIDIO, UNA BREVE ANALISI 16

Dalla sicurezza del pianeta al crimine di ecocidio 16

La difficoltà di definizione del crimine di ecocidio 19

Il valore da proteggere: la sicurezza del pianeta e il futuro dell’umanità 20

Problematiche giurisdizionali 22

Conclusioni 25

Bibliografia 27

Introduzione

La difesa, protezione e tutela della persona umana, sia nella sua individualità che nella sua collettività, non possono prescindere dalla conservazione e promozione di un ambiente salubre e idoneo alla nascita, crescita e sviluppo della forza creatrice insita nell’uomo in quanto animale, espressione di un disegno eco-biologico prima che di un progetto sociopolitico.

L’uomo è legato all’ambiente che lo circonda da un nesso indissolubile, scorre fra umanità e natura una relazione viscerale, insostituibile e fondamentale, capace di influire non solo sulla salute umana, ma anche sulla sua dignità.

Quale altro fenomeno potrebbe incidere maggiormente sulle condizioni di vita di una società di un ambiente avverso alla sopravvivenza?

La necessità di tutelare sé stesso tramite l’ambiente circostante ha storicamente indotto l’essere umano a inserire la natura come elemento da difendere tramite l’emanazione di leggi, sia a livello nazionale che internazionale. Tuttavia, solo recentemente è ri-emersa l’ipotesi (o la necessità) di estendere la tutela ambientale al panorama penale internazionale.

Il proliferare delle attività umane potenzialmente idonee a ledere in maniera irreparabile l’ecosistema e, di conseguenza, i suoi abitanti, ha indotto la comunità internazionale a interrogarsi sulla possibilità di creazione di una nuova categoria di crimini internazionali, identificabile nell’ecocidio.

La potenziale novazione dei crimini internazionali comporta una serie di riflessioni rispetto agli elementi tradizionali di un reato (bene tutelato, fatto tipico, colpevolezza, sanzione) che risultano particolarmente complessi rispetto alla natura polivalente del bene ambiente. Peraltro, la tutela ambientale è, principalmente, preventiva, e non repressiva o retributiva, quindi comporta alcune riflessioni anche rispetto ad alcuni principi del diritto penale contemporaneo, come quello di offensività.

Si apre quindi un nuovo capitolo, non solo rispetto al diritto penale internazionale, ma anche alla teoria del reato e di quella della pena, si impone al diritto penale una nuova considerazione di sé stesso, una lettura dei suoi istituti che sia filtrata dalle peculiarità dell’oggetto in questione.

Una comprensione chiara dello scenario che si profila dall’ipotesi di un nuovo crimine internazionale non può che passare dall’analisi dello stato dell’arte tra le legislazioni nazionali oggi presenti e, quindi, da una ricerca comparata degli elementi e delle idee che hanno trovato fondamento in costituzioni e leggi ordinarie; per poi concentrarsi sulla proposta di crimine elaborata, in particolare dall’opera ad oggi più significativa, quella di Neyret.

Questo scritto si propone di offrire una panoramica sugli elementi essenziali cui il crimine di ecocidio sarebbe composto attraverso la lettura di uno dei maggiori contributi ad oggi presenti 1 , nonché delle possibili problematiche che la sua effettiva introduzione potrebbe comportare.

Profili comparatistici della tutela ambientale

L’importanza della tutela ambientale, quindi la tutela dell’ecosistema intesa come tutela della terra, dell’aria, dell’acqua e del suolo, si riflette nella posizione che questa occupa all’interno di numerose costituzioni mondiali. Infatti, il diritto a un ambiente ecologicamente equilibrato, viene riconosciuto come uno dei diritti fondamentali, da numerose costituzioni mondiali, tra cui quelle cilena, brasiliana, boliviana, spagnola, portoghese e svizzera. La tutela ambientale si considera prodromica e necessaria per la difesa della dignità umana, valore che trova fondamento non solo in qualsiasi costituzione ma anche nella moltitudine di convenzioni internazionali a tutela dei diritti umani. Dignità che rappresenta uno dei cardini attorno cui, oggi, si sviluppano sia l’idea di diritto che quella di giustizia, le quali crescono nel rispetto della stessa.

Osservando l’evoluzione del diritto ambientale si nota un cambio di prospettiva nella concezione dell’ambiente, il quale è passato dal venir concepito e tutelato solo in quanto, e nel limite in cui, strumentale alla vita umana e al miglioramento della stessa, al venir protetto indipendentemente dalla sua idoneità a facilitare o migliorare le condizioni di vita degli uomini. Il cambio di prospettiva si coglie sopratutto in relazione ai possibili limiti alla tutela ambientale: nel caso in cui si consideri il diritto a un ambiente sano come meramente strumentale all’uomo, si riconosce la possibilità per quest’ultimo di porre quasi qualsiasi tipo di limite alla difesa dell’ecosistema, limiti che sarebbe sufficiente giustificare come necessari per assicurare la realizzazione di interessi umani in conflitto con la “salute” dell’ambiente, mentre, il riconoscimento di una tutela ambientale rivolta all’ecosistema in sé considerato, impone il rispetto di tale tutela anche se in opposizione a interessi umani, costringe a un bilanciamento di valori e interessi più articolato e complesso, in considerazione, anche, della dignità umana difesa attraverso l’ambiente e difficilmente superabile da interessi economici o politici.

In Germania la tutela ambientale è stata introdotta nel 1994 all’articolo 20a della Legge Fondamentale per la Repubblica Federale di Germania (Grundgesetz der Bundesrepublik Deutschland). L’articolo 2 non enuncia un vero e proprio diritto ad un ambiente sano ma pone a carico dello Stato l’obbligo di tutelare i fondamenti naturali della vita tramite l’esercizio del potere legislativo, assumendosene la responsabilità verso le generazioni future. Si nota come la legislazione tedesca abbia attribuito rilevanza a una caratteristica peculiare del diritto ambientale e cioè l’influenza che il deterioramento ambientale potrebbe avere sulla futura umanità, cogliendo quindi uno degli aspetti più problematici rispetto al diritto penale dell’ambiente. Solitamente si vuole prevenire la lesione di un diritto nel tempo presente, si tende a pensare e configurare la protezione umana come rivolta verso la generazione attuale, le leggi vogliono, tradizionalmente, prevenire pericoli contemporanei, non si preoccupano di difendere l’umanità da un potenziale danno futuro. Tuttavia, nella considerazione dei danni ambientali si profila la possibilità che questi incidano più sulle generazioni future che su quella presente, il diritto penale si trova quindi costretto a dover sanzionare comportamenti presenti che potrebbero causare danni enormi nel futuro. S’impone una valutazione preventiva delle conseguenze di determinate azioni lesive per l’ambiente , la quale si sostanzia nella creazione di fattispecie di reati a pericolo concreto (ma talvolta anche astratto) che potrebbero non allinearsi ai principi di determinatezza e offensività come tradizionalmente intesi.

Sulla stessa lunghezza d’onda si pone la costituzione portoghese, la quale, similmente alla Germania, inserisce la tutela ambientale come uno dei doveri fondamentali dello Stato, il quale è tenuto a proteggere e valorizzare il patrimonio culturale del popolo portoghese, difendere la natura e l’ambiente e preservare le risorse naturali 3 .

Diversa tendenza si riscontra invece in Francia, dove la tutela ambientale non viene ricompresa nel novero dei doveri dello stato ma si impone come diritto fondamentale dell’uomo. La Francia ha, infatti, adottato una “Carta ambientale”, la quale nel preambolo pone le caratteristiche essenziali della tutela ambientale, tra cui il rilievo del diritto ad un ambiente salubre come diritto fondamentale dell’uomo. La Carta ribadisce il principio di precauzione per cui le attività umane devono svolgersi in maniera eco-sostenibile, integrando sviluppo economico, sociale e tutela ambientale.

La Spagna sembra trovare un compromesso fra la tendenza tedesca e quella francese all’articolo 45 della sua costituzione, prevedendo sia un diritto ad un ambiente sano che un dovere in capo allo stato di difesa dell’ambiente stesso 4 .

Infine, merita una breve menzione il diritto italiano, il quale non riconosce espressamente il diritto a un ambiente salubre o ecologicamente equilibrato direttamente all’interno del testo costituzionale ma è possibile pervenire ad esso in maniera indiretta attraverso una lettura in tal senso orientata dell’articolo 9 della costituzione e dell’articolo 117.

Le nazioni sudamericane hanno particolarmente a cuore la questione ambientale, la quale è al centro di diverse normative per la sua tutela e difesa. Rispetto alla tendenza europea, il Sud America sembra concentrarsi sulla sicurezza ambientale come un diritto appartenente alla collettività della popolazione e non come diritto di un singolo, viene quindi cambiato il centro focale dell’attenzione del legislatore, dal singolo individuo all’individuo come parte di un gruppo.

Un primo spunto di riflessione è l’articolo 41 5 della costituzione argentina, il quale non solo impone la preservazione delle risorse naturali, ma obbliga la sensibilizzazione della popolazione tramite l’educazione al rispetto dell’ecosistema. È curioso notare come il Paese abbia scelto di tutelare un bene essenziale sia per la generazione presente che per quella futuro tramite, da una parte, l’obbligo di preservazione delle risorse attuali e, dall’altra, l’educazione delle stesse future generazioni che dovranno convivere con le azioni presenti al rispetto dell’ambiente in cui vivono, alla sua preservazione e tutela.

Una menzione particolare merita anche la costituzione cilena, poiché racchiude non solo la sintesi delle problematiche che ogni legislatore si trova a dover fronteggiare quando viene incaricato di elaborare una normativa ambientale, ma anche una serie di considerazioni sul bene giuridico all’interno dei lavori preparatori. Infatti, durante la stesura del testo costituzionale, mentre Alejandro Silva Bascunan sosteneva che l’idea della tutela ambientale fosse implicita nel concetto di “bene comune” e quindi che una menzione espressa della stessa fosse ridondante dei valori e principi già presenti all’interno dell’articolato, Ortuzar ha precisato che il riconoscimento espresso della necessità di porre l’ambiente come centro d’imputazione autonomo di diritti fosse fondamentale per la garanzia della tutela dello stesso poiché presupposto necessario per l’esercizio dell’azione giurisdizionale.

La tutela ambientale è espressa al paragrafo 8 dell’articolo 19 della costituzione cilena, il quale è la norma di apertura del titolo III della costituzione, rubricato: dei diritti e dei doveri costituzionali e così recita:(La Constitución asegura a todas las personas) el derecho a vivir en un medio ambiente libre de contaminación. Es deber del Estado velar para que este derecho no sea afectado y tutelar la preservación de la naturaleza. La ley podrá establecer restricciones específicas al ejercicio de determinados derechos o libertades para proteger el medio ambiente.”

L’articolo è frutto di un compromesso fra idee diverse ma non necessariamente opposte, prodotto di un intenso dibattito tra una posizione che ritiene il diritto ambientale implicito in ogni carta costituzionale moderna ed una che, a contrario, sostiene la necessità d’esplicitazione di tale diritto, a scapito di qualsiasi tipo di incomprensione o malinteso. Il diritto sociale ad un ambiente salubre incontra, nella costituzione cilena, il dovere costituzionale della sua protezione e si sostanzia in tre microcosmi da considerare.

Il primo è il mandato di protezione (mandato di proteccion) che viene esplicitato a carico dello Stato e che si suddivide a sua volta nel dovere di vigilare affinché il diritto non venga compromesso, sostanziandosi quindi nel principio di precauzione che orbita sul diritto ambientale, nel dovere di protezione dell’ambiente stesso e nella tutela alla preservazione dell’ecosistema in rispetto alla funzione che questo assume in relazione alle generazioni future.

Il secondo è costituito dalla clausola di restrizione degli altri diritti, ad esempio del diritto di proprietà, mentre il terzo dal catalogo dei diritti e dei doveri che vengono presi in considerazione dal testo costituzionale.

La disposizione fa anche risaltare la continuità nazionale fra generazioni presenti e future tramite la clausola che impone allo Stato di tutelare la preservazione della natura, attuando il principio di precauzione che sembra risultare come cardine necessario e fondamentale sia dalle norme europee che da quelle sudamericane. Il principio di precauzione si traduce, nelle costituzioni di tutto il mondo, come fondamentale e imprescindibile nella legislazione ambientale, in quanto unico elemento in grado di cogliere a pieno la natura e lo scopo della normativa a tutela dell’ecosistema, anche a scapito dei principi penalistici tradizionali.

L’analisi fra diverse legislazioni fa emergere alcuni cardini su cui si sviluppano le discipline costituzionali nazionali.

In particolare, emerge, da una parte, la difficoltà di definizione del bene “ambiente”, poiché sfuggevole e di difficile quantificazione, da un’altra, la necessità di una tutela in larga parte precauzionale e da ultima la difficoltà di categorizzazione del bene per la difficoltà di inserirlo a pieno titolo nei diritti fondamentali dell’uomo e per la necessità di riconoscergli importanza autonoma e indipendente, nonostante il suo nesso viscerale con la vita umana e il suo sviluppo. Tutto ciò si traduce in una tensione fra una concezione del bene ambiente come strumentale allo sviluppo della vita umana ed un’altra che lo inquadra come indipendente e autonomo, un attrito fra una teoria c.d. antropocentrica ed un’altra nominata ecocentrica.

La tutela ambientale nell’Unione Europea

Un ultimo accenno merita la direttiva 2008/99/CEE rispetto all’introduzione dei crimini ambientali negli stati membri, in quanto la disciplina adottata dall’Unione Europea viene ripresa in più punti dal progetto proposto da Neyret.

In primo luogo, il progetto proposto dal gruppo di giuristi che hanno contribuito alla stesura del progetto di convenzione per ecocrimini ed ecocidio riprende il collegamento del requisito di inosservanza di norme amministrative con quello della gravità delle condotte. In questo modo sia la direttiva che il progetto Neyret evitano di stabilire sia uno standard di tutela sbilanciato verso l’alto, tramite l’incriminazione solo di condotte di danno, che uno sbilanciato verso il basso, basato esclusivamente sulla mera disobbedienza di norme extra-penali 6 . La scelta risulta in linea con i principi di sussidiarietà e proporzionalità di cui all’articolo 5 TFUE ed evitano di stabilire standard eccessivamente alti di tutela che avrebbero privato i legislatori nazionali della possibilità di sottrarre alla disciplina penale le infrazioni minori.

Uno dei nodi critici della direttiva è l’utilizzo di termini eccessivamente vaghi 7 , i quali non hanno corrispondenti nelle categorie dogmatiche e che quindi necessitano di specificazioni ulteriori da parte dei legislatori statali per due ragioni, la prima è la necessità di evitare nozioni in aperto contrasto con il principio di determinatezza, la seconda il bisogno di una definizione tecnica degli elementi costitutivi. L’evidente necessità d’intervento da parte dei legislatori nazionali apre la porta alla possibilità che vengano utilizzate definizioni diverse negli Stati, provocando un’inaccettabile disparità di trattamento. Inoltre, è possibile che gli stessi legislatori facciano ricorso a termini non completamente precisi, innescando una reazione a catena di vaghezza terminologica, difficile da superare.

La disciplina europea, infine, fissa l’elemento soggettivo richiesto nel dolo o nella colpa grave; il quale viene ripreso dalla commissione Neyret con una definizione espressa di quello che si deve intendere con l’espressione “colpa grave”.

PARTE I: I CRIMINI AMBIENTALI

Il bene tutelato

L’elaborazione di una fattispecie di crimine internazionale non può prescindere da una definizione chiara e ben delineata del bene giuridico che s’intende tutelare con la nuova norma. L’importanza dell’individuazione dell’oggetto di tutela è fondamentale affinché la disposizione sia conforme al principio di legalità, pietra miliare del diritto penale moderno e del diritto penale internazionale. La determinazione del bene e la sua esaustiva definizione, infatti, permettono di rispettare il principio di determinatezza e tassatività, individuando i confini entro cui il diritto penale potrà e dovrà agire, permettendo a chiunque entri in contatto con la norma di indirizzare il proprio comportamento in modo che questo non violi la norma considerata e non urti il bene oggetto di tutela. La definizione del bene tutelato permette, inoltre, non solo di delimitare l’oggetto di tutela, ma anche di orientare il metodo di incriminazione in modo da difendere nella migliore declinazione possibile il diritto considerato 8 .

Una prima osservazione può essere rivolta verso la difficoltà di definizione del termine “ambiente” o “natura”. I due epiteti sembrano poter comprendere, potenzialmente, qualsiasi entità. Non essendo questo il luogo per una digressione eccessiva sul dibattito rispetto alla definizione di ciò che effettivamente sia l’ambiente, ci si limita a sottolineare che il termine “ambiente” appare poco preciso e incapace di delineare chiaramente cosa s’intenda con il suo utilizzo. Volendo rifarsi al suo significato etimologico, questo significa “tutto ciò che sta intorno” (così come nelle altre lingue europee, environment inglese, environnement francese, umwelt tedesco) ma questa definizione non appare sufficiente per un discorso giuridico in quanto, da un lato non specifica se ci si riferisca al solo ambiente effettivamente naturale o anche a quello c.d. antropizzato e su cui, quindi, sia intervenuto l’uomo e, dall’altro, non si capisce se questo si riferisca al solo ambiente o anche a altri beni giuridici, intrinsecamente collegati a questo, quali la tutela del paesaggio e dei beni culturali, la difesa di acqua, aria e suolo dagli inquinamenti e al governo del territorio 9 .

Inoltre, nel diritto penale ambientale, non solo non si rinvengono definizioni univoche rispetto all’interesse tutelato e, quindi, a cosa s’intenda con il termine “ambiente”, ma si riscontra come molte delle legislazioni presenti considerino il diritto ambientale come una disciplina “accessoria”.

Nella maggior parte dei casi, infatti, le sanzioni provengono dalla violazione di una regolamentazione amministrativa e non dalla violazione di norme penali. Si nota quindi una tendenza, da una parte e super penalizzare norme accessorie e, dall’altra, a over penalizzare comportamenti che potrebbero danneggiare l’equilibrio dell’ecosistema in maniera irreversibile 10 .

Risulta necessario ri-organizzare il sistema in modo che risulti organico, con, da una parte, il ridimensionamento dell’utilizzo dello strumento penale ma, dall’altra, una determinazione precisa dei criteri d’incriminazione che definisca il campo di applicazione del diritto amministrativo e del diritto penale nell’ambito della tutela ambientale. La confusione rispetto all’operatività delle due branche del diritto, quella amministrativa e quella penale, non può che essere un ostacolo al soddisfacimento del principio di legalità poiché non permette la chiara identificazione dello spazio entro cui operano le norme penali.

A tal proposito sono stati individuati tre moti verso cui il diritto ambientale dovrebbe tendere, il primo è l’armonizzazione nazionale della materia degli ecocrimini, il secondo l’unificazione rispetto al crimine di ecocidio, il terzo la depenalizzazione di comportamenti e condotte non sufficientemente gravi da legittimare l’intervento del diritto penale 11 .

Risulta necessaria una breve precisazione sulla differenza fra ecocrimini ed ecocidio. I primi sono condotte di minore rilevanza e non idonee a porre in pericolo la sicurezza del pianeta e, essendo considerati di entità minore rispetto all’ecocidio, sono, nel progetto di Neyret, suscettibili di un processo di armonizzazione da parte degli Stati ma non di unificazione, poiché non si rinviene la necessità di una tutela universale verso gli stessi. Risulta sufficiente il riconoscimento da parte degli Stati della loro pericolosità e la messa in moto di procedure idonee al loro contrasto. L’ecocidio, d’altra parte, è la categoria che Neyret identifica come un nuovo crimine internazionale, quindi caratterizzato dal carattere della sua massività e suscettibile di un processo di unificazione a livello internazionale.

Un primo passo da intraprendere risiede, quindi, nella definizione dell’ambito di estensione delle norme penali, alla luce dei principi guida del diritto penale, non si può pensare ad una categoria di reati che non sia adeguatamente definita, se da un lato, infatti, ignorantia legis non excusat, dall’altro, la legge deve essere conosciuta, o per lo meno conoscibile. Peraltro, l’articolo 8 della dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, impone che la legge possa punire solo ove strettamente necessario. È quindi necessario stabilire quando risulta necessario l’intervento penale nella repressione e prevenzione di disastri ambientali anche alla luce della concezione del diritto penale come extrema ratio di un sistema giuridico.

A tal proposito si possono individuare sostanzialmente due teorie definitorie, da una parte si può fare affidamento a un approccio ecocentrico, dall’altra ad uno antropocentrico 12 .

Il primo punto di vista pone l’accento sulla tutela dell’equilibrio della biosfera e degli ecosistemi, quindi attribuisce al diritto penale il compito di difendere e tutelare l’ambiente dall’alterazione del suo equilibrio fisico, chimico, biologico. L’approccio in considerazione considera la natura come un’entità a sé stante, scevra dalle sue funzionalità e utilità per la vita umana e si pone di tutelare il bene giuridico come autonomo e indipendente dai bisogni umani, come se l’ambiente fosse un soggetto di diritto autonomo 13 . L’ambiente viene considerato nella sua indipendenza e non nella sua strumentalità rispetto al miglioramento delle condizioni di vita umane. Il secondo punto di vista, invece, sostiene che la tutela ambientale non possa essere liberata dalla sua intrinseca connessione con la vita umana e quindi ritiene che l’ambiente rilevi come bene giuridico meritevole di considerazione e difesa solo in quanto strumentale alle attività umanoidi 14 .

La maggiore differenza fra i due approcci si coglie nei limiti che questi pongono alla tutela, nel caso di un approccio ecocentrico il valore protetto potrà imporre limiti invalicabili a determinate condotte, nello specifico quelle idonee ad alterare l’equilibrio dei sistemi naturali, nel caso, invece, di un approccio antropocentrico sarà possibile, nella maggior parte dei casi, derogare alla tutela ambientale grazie ad autorizzazioni amministrative poiché la tutela ambientale verrà bilanciata con i bisogni umani, in un continuo gioco di equilibri e compromessi.

Le legislazioni nazionali attuali mostrano come non sia preferito un approccio rispetto all’altro, alcune nazioni si rifanno alla teoria ecocentrica ed altre a quella antropocentrica. L’articolo 325 del Codigo Espanol, ad esempio, adotta la visione ecocentrica, così come la direttiva 2008/99/CEE, la quale richiede il rischio concreto di un danno immediato e sostanziale e pretende la prova di un nesso causale e potenziale danno, nesso che, nell’ambito dei reati ambientali, tra l’altro, risulta quasi impossibile da dimostrare.

L’articolo 173 della Loi Francais (Code de L’envirronement), invece, opta per una disciplina antropocentrica in cui la protezione avviene tramite l’anticipazione della tutela stessa, è necessario chiedere un’autorizzazione amministrativa che valuterà e bilancerà i danni ambientali con i bisogni umani. La scelta francese sembra, tuttavia, porsi in contrasto con il principio penale dell’effettività del danno e quindi sembra scegliere una tecnica di tutela non completamente aderente ai principi penalistici moderni, quali quello di determinatezza e tassatività.

Una normativa internazionale che voglia risultare accettabile e credibile dalla maggior parte degli Stati mondiali dovrebbe cercare un punto di equilibrio fra le due teorie di tutela, in modo da bilanciare sia le istanze ecocentriche che quelle antropocentriche. Questo potrebbe rinvenirsi nella elaborazione di una norma che preveda un pericolo di danno astratto per l’equilibrio degli ecosistemi che derivi dalla violazione di una norma amministrativa. Questa impostazione permetterebbe di evitare di criminalizzare comportamenti che non hanno una soglia di gravità tale da legittimare l’intervento del diritto penale ma, allo stesso tempo, consentirebbe di difendere l’ecosistema in sé stesso e non come elemento strumentale alla soddisfazione di bisogni umani 15 .

Il panorama che si delineerebbe da un sistema basato sull’ibridazione dei due modelli di tutela si sostanzierebbe in tre zone di interesse giuridico, le quali sono state immaginate dal gruppo Neyret a struttura piramidale. Alla base della piramide si porrebbero tutte le condotte appartenenti meramente all’ambito amministrativo e per cui depenalizzate. Nel gradino successivo, invece, si porrebbero gli ecocrimini di giurisdizione interna ad ogni stato. All’apice della piramide invece vi sarebbe la condotta di ecocidio, appartenente al novero dei crimini internazionali 16 .

Un sistema così delineato permetterebbe sia di soddisfare determinati bisogni umani che di evitare che questi risultino in opposizione alla necessità di preservare l’equilibrio dell’ecosistema per le generazioni future. Si lascerebbe uno spazio ponderato alle condotte non penalmente sanzionate e sanzionabili, senza intaccare la necessità di criminalizzare comportamenti idonei a danneggiare definitivamente l’ecosistema o, peggio, a mettere a repentaglio la sicurezza del pianeta.

Il bene giuridico tutelato avrebbe, quindi, sia una valenza ecocentrica che antropocentrica in quanto nessuno dei due aspetti verrebbe ignorato dalla normativa internazionale. Ci sarebbe quindi una tutela inderogabile dell’ecosistema individuata dal crimine di ecocidio, di cui si discuterà successivamente, così come la possibilità per l’uomo d’incidere sul diritto ambientale in maniera socialmente accettabile, in rispetto alla disciplina degli ecocrimini.

La proposta di Neyret delinea quindi un sistema di tutela graduale e riesce a trovare un compromesso fra le due maggiori teorie d’approccio alla tutela ambientale, quella ecocentrica e quella antropocentrica.

Il fatto tipico e il suo grado di gravità

Il fatto tipico si caratterizza, tradizionalmente, come un danno verso il bene giuridico tutelato, danno che viene provato tramite la dimostrazione di un nesso causale fra la condotta posta in essere dall’agente e il danno al bene considerato 17 . Nell’ambito dei danni ambientali, tuttavia, anche la teoria del nesso causale si modifica e modella intorno alle peculiarità del bene in considerazione. Risulta, infatti, non solo estremamente difficile, ma quasi impossibile, provare il nesso fra una condotta potenzialmente lesiva della sicurezza del pianeta e un danno ambientale 18 . L’ostacolo della prova del nesso causale viene parzialmente superato tramite la previsione degli ecoreati come crimini a pericolo astratto, per cui la realizzazione del danno costituirebbe un’aggravante. Questa soluzione rappresenta un compromesso fra l’esigenza tipicamente penalistica di rispetto del principio di effettività e determinatezza e quella tipica del diritto ambientale di prevenire i possibili danni all’ecosistema, in quanto difficilmente eliminabili una volta compiuti.

Più precisamente si considera la messa in pericolo dell’ambiente nel caso degli ecocrimini, per cui il fatto di creare un rischio per l’ambiente o di esporre qualcuno al rischio di morte o di lesioni gravi è sufficiente per giustificare l’intervento del diritto penale. Tuttavia, è evidente come l’eccessiva generalità dell’espressione di un pericolo astratto possa porsi in contraddizione con i più evidenti principi penalistici di determinatezza e tassatività, per questo si dovrebbe richiedere una degradazione sostanziale alla composizione, struttura o funzionamento dell’ecosistema e non un qualsiasi danno. Il concetto di danno sostanziale viene ripreso dalla direttiva europea 2008/99/CEE, la quale non si accontenta della mera possibilità di un danno all’ambiente ma richiede la concretezza dello stesso. Nella disciplina degli ecocrimini i legislatori rivestono importanza fondamentale poiché sono chiamati a stabilire, secondo norme generali ed astratte, la tipologia, la qualità e la quantità delle sostanze e dei comportamenti che sono idonei a danneggiare l’ecosistema. In questo modo si garantisce un margine di discrezionalità ai singoli stati, evitando un’ingerenza eccessiva del diritto internazionale all’interno delle legislazioni nazionali, la quale sarebbe difficilmente accettata.

La condizione d’illiceità diventa quindi un requisito essenziale delle infrazioni al diritto ambientale, in quanto s’identifica con la linea di confine fra spazio d’intervento del diritto amministrativo e area di competenza del diritto penale, segna la differenza fra fatto tipico rilevante a livello penale e fatto tipico irrilevante. Il modello d’incriminazione proposto risulta “ibrido”, in quanto prevede la collaborazione delle due branche del diritto. L’intervento del diritto amministrativo nel caso di violazioni di regolamenti amministrativi a carattere preventivo, indipendentemente dal rischio per la sicurezza del pianeta e l’applicazione diritto penale, invece, nel caso di comportamenti, dolosi o colposi, che comportino la morte, la grave lesione o il rischio di queste per una persona. La commissione Neyret, quindi, ritiene che la linea di confine fra diritto amministrativo e penale debba risiedere nel danno agli individui, le condotte nocive per l’ambiente diventano incriminabili nel momento in cui comportano la morte, gravi lesioni o il rischio di una delle due, per la vita dell’uomo 19 .

Successivamente alla delimitazione fra eco-crimini e illeciti amministravi, rimane da stabilire ove risieda il confine fra eco-crimini ed ecocidio. È necessario stabilire quando una condotta di danno per l’ambiente inizi a ricoprire rilievo internazionale e, quindi, stabilire cosa differenzi il crimine di ecocidio rispetto agli ecoreati.

L’elemento proprio del crimine di ecocidio viene individuato nel danno alla sicurezza del pianeta, per cui si richiede un’azione sistematica e generalizzata di attacco alla sicurezza dello stesso. In sintonia con l’articolo 8 (b) (iv) dello Statuto della Corte Penale internazionale, Neyret ipotizza un danno grave e permanente dell’aria, del suolo o dell’acqua, della fauna o della flora, causanti la morte o gravi lesioni a una popolazione, o alla sua terra o alle sue risorse. Rispetto al crimine di ecocidio si coglie l’influenza della teoria ecocentrica, per cui ci sono condotte che non possono venire scusate poiché idonee a provocare danni all’ecosistema di gravità tale da risultare irreparabili, mentre, nella definizione degli eco-crimine si percepisce l’influenza della teoria antropocentrica, poiché è l’integrità umana che viene posta ad elemento discriminante fra illecito amministrativo e reato.

L’elemento soggettivo

Nella costruzione di un reato è fondamentale chiarire quale grado di colpevolezza l’agente deve avere nel compiere la condotta condannata. Quindi chiarire quale ruolo giochi la volontarietà della condotta nella descrizione della fattispecie criminosa. Un comportamento volontariamente in contraddizione con la norma incriminatrice si rivela come una manifesta ostilità all’ordine sociale e desta maggiore allarme sociale, mentre un atteggiamento di semplice inosservanza involontaria dei divieti posti dalle norme suscita meno rimproverabilità. Il grado di colpevolezza, quindi, aiuta a definire la gravità dell’infrazione stessa e, di conseguenza, quali sanzioni sono più adatte a soddisfare le tradizionali funzioni della pena (retributiva, restitutiva, riparativa) 20 .

L’elemento soggettivo richiesto è diverso per gli eco-crimini e per l’ecocidio, anche in considerazione della diversa gravità delle due condotte, la colpevolezza deve necessariamente essere costruita in maniera graduata. Gli eco-crimini, nonché gli illeciti amministrativi contro l’ambiente, sono idonei a venire perseguiti se compiuti con dolo o con negligenza, mentre il crimine di ecocidio richiede necessariamente un elemento volitivo pregnante, quindi il dolo. Nella definizione dell’elemento soggettivo dell’ipotetico crimine di ecocidio si riscontra la necessità di delimitare l’ambito di punibilità al dolo e quindi alla volontà di mettere in atto un piano sistematico e generalizzato in grado di danneggiare mettere a repentaglio la sicurezza del pianeta. Il carattere intenzionale dell’ecocidio si giustifica sia in considerazione del fatto che per i crimini internazionali “tradizionali” viene richiesto il dolo e quindi si vuole porre la nuova fattispecie in linea con le norme pregresse, sia della circostanza per cui molti danni ambientali vengono causati in seno ad attività lecite, senza la volontà di danneggiare l’ecosistema o l’umanità. Tuttavia, onde evitare una sostanziale inapplicabilità della norma (se nessuna condotta è volontaria allora il crimine di ecocidio risulterebbe quanto meno pleonastico), risulta necessario allargare lo spazio di applicabilità della norma al dolo eventuale, attribuendo la responsabilità penale di un crimine di ecocidio non solo a chi era intenzionato a distruggere l’ecosistema, ma anche a chi, ben consapevole dei rischi delle sue azioni e delle conseguenze delle stesse, li ha accettati proseguendo con la sua condotta criminale 21 .

Volendo tracciare una sintesi di ciò che emerge dalle considerazioni del V capitolo di Neyret si può concludere che la proposta da lui sostenuta si basa su tre considerazioni. La prima vede come non penalmente sanzionabili i crimini contro l’ambiente realizzati mediante un’autorizzazione amministrativa, la seconda vede come incriminabili i crimini che mettano in pericolo la salute umana e la terza ipotizza la presenza del crimine di ecocidio, in grado di mettere a repentaglio la sicurezza e la salute del pianeta. Rispetto a questi tre blocchi di condotte si riconoscono come punibili sia per dolo che per colpa i primi due (crimini autorizzati a livello amministrativo e crimini contro le persone), mentre s’incrimina solo per dolo (anche eventuale) la condotta di ecocidio.

Il sistema così delineato da Neyret è in grado, da una parte, di armonizzare le legislazioni nazionali rispetto agli eco-crimini, lasciando comunque un margine discrezionale nella determinazione di quali atti sfuggono al diritto amministrativo e nella definizione della “negligenza” rispetto al requisito della colpevolezza e, dall’altra, di unificare la disciplina rispetto alle condotte di distruzione massiva che ledono la sicurezza dell’intero pianeta, tramite l’introduzione del crimine di ecocidio.

PARTE II: L’ECOCIDIO, UNA BREVE ANALISI

Dalla sicurezza del pianeta al crimine di ecocidio

L’introduzione di una nuova fattispecie di reato non può che costringere il giurista, da una parte, ad interrogarsi sul valore che ritiene sia degno di tutela e, dall’altra, sugli elementi che sono idonei a giustificare tale tutela. Nel caso dell’elaborazione della fattispecie dell’ecocidio il bene cui il giurista si propone di dare difesa è la sicurezza del pianeta ( surete de la planete).

Non volendo dare una definizione perfetta del concetto di “sicurezza del pianeta” ma essendo consapevoli della sfuggevolezza dell’espressione, risulta comunque necessario sottolineare come questa sia non solo un concetto intuitivamente comprensibile ma si possa considerare sia come riferita al pianeta inteso come un’entità idonea ad essere un centro autonomo d’imputazione di diritti, quindi un pianeta scevro dal suo rapporto di strumentalità con l’essere umano e considerato in quanto tale, sia come pianeta in relazione con i suoi abitanti, in particolare con gli uomini 22 . Conseguentemente è ipotizzabile la creazione di due condotte alternative di ecocidio, da una parte quella di un attentato grave e permanente all’aria, all’atmosfera, al suolo e alle acque, dall’altra quella idonea a provocare la morte, l’infermità permanente o malattie incurabili a una popolazione 23 .

La sicurezza del pianeta viene quindi definita come le due facce di una stessa moneta, da una parte collegata alla salute della Terra, dall’altra come elemento strutturalmente collegato alla salute e incolumità dell’uomo. Facce che sono tendenzialmente dipendenti fra loro, è probabile che una condotta che possa massivamente distruggere l’ecosistema, sia anche in grado di attentare alla sopravvivenza di una popolazione.

Stabilita la natura della sicurezza del pianeta, rimane da chiedersi come e perché risulti necessario sanzionare determinate condotte umane che si pongono in opposizione alla sicurezza dell’ecosistema e dei suoi abitanti a livello internazionale. Rimane sostanzialmente da chiedersi perché sia necessaria la tutela ambientale al massimo grado di elaborazione criminale, quello dei crimini internazionali.

Nonostante ad oggi non vi sia una convenzione sulla criminalizzazione della condotta di ecocidio, lo stesso risulta comunque riconosciuto come un oggetto di diritto internazionale. Quindi si potrebbe sostenere che l’ecocidio costituisce un divieto senza convenzione 24 . Questa affermazione sembra porsi in evidente e sostanziale contrasto con il principio di determinatezza proprio del diritto penale, poiché uno dei pilastri di tale principio è la determinazione dei comportamenti illeciti in maniera esplicita, quindi scritta, mentre l’ecocidio sembra essere una sorta di consuetudine penale internazionale.

Tuttavia, da una parte il diritto penale internazionale non può prescindere dalle regole sottese alle discipline giuridiche internazionalistiche e, di conseguenza, dall’articolo 38 della International Court of Justice, il quale prevede, come fonte di diritto non scritta, la consuetudine, dall’altra non sembrano mancare indizi normativi della proibizione dell’ecocidio o di crimini che minano alla sicurezza del pianeta, come gli articoli 1 e 2 rispettivamente della dichiarazione di Stoccolma e di quella di Rio.

Inoltre, si ricorda come il diritto internazionale dei conflitti armati punisca apertamente e dichiaratamente gli attentati all’ambiente 25 .

Ci sono infine gli accordi ambientali multilaterali (ad esempio gli accordi sulla prevenzione dell’inquinamento) che, sebbene non esplicitino il divieto di ecocidio, lo rendono evidente. Una lettura incrociata degli stessi, infatti, non può che far pervenire alla conclusione per cui un atteggiamento di distruzione massiva del pianeta sia non solo da condannare ma, altresì, già condannato.

Si può quindi agevolmente concludere come, non solo il divieto di ecocidio sia presente nella prassi comportamentale degli Stati, ma venga anche riconosciuto come un obbligo giuridico dagli stessi e, si può, di conseguenza, dedurre la soddisfazione dei due requisiti richiesti per il riconoscimento di una consuetudine internazionale, l’usus e l’ opinio iuris 26 .

Partendo dal riconoscimento del divieto di ecocidio come consuetudine internazionale è possibile progredire nell’analisi della rilevanza del crimine e chiedersi se questo possa essere considerato ius cogens 27 . Il riconoscimento di una norma come ius cogens è difficile e laborioso, sia perché implica la natura intrinseca di tale divieto, sia perché non esiste un’istituzione internazionale volta all’accertamento di tali norme. Sembra possibile allargare il ristretto novero di norme di ius cogens in modo da ricomprendervi l’ecocidio 28 . Se si accetta il valore di ius cogens al crimine di ecocidio e quindi se gli si attribuisce il valore di divieto universalmente riconosciuto, viene da chiedersi perché si senta la necessità di promuovere una convezione a proposito, la quale, seguo l’iter logico seguito fino ad ora, risulterebbe sostanzialmente inutile, poiché andrebbe solo a ripetere un divieto già accettato dagli stati.

La necessità di una convenzione per la prevenzione e repressione del crimine di ecocidio si sostanzia nei suoi effetti. Infatti, questa permetterebbe di unificare sia il divieto che la repressione del crimine in considerazione. La convenzione imporrebbe agli stati di prevenire, punire e collaborare alla repressione del crimine di ecocidio imporrebbe a questi tre tipologie di obbligazioni. La prima si sostanzia nell’obbligo di trasposizione di un divieto cui gli stati sono già soggetti a livello internazionale nel diritto interno, in modo da rendere possibili responsabili di ecocidio non solo gli Stati ma anche le persone fisiche o giuridiche.

La seconda nell’obbligo di mettere in atto procedure di collaborazione internazionali e la terza nell’accettazione di un sistema giurisdizionale volto a stabilire procedure autonome di controllo e di punizione delle condotte di ecocidio.

La difficoltà di definizione del crimine di ecocidio

Nella costruzione di una nuova fattispecie penale è necessario interrogarsi sui suoi elementi fondanti, in particolare sulla gravità del danno richiesto, sull’interesse tutelato, sui comportamenti idonei a configurare la condotta di ecocidio e sull’elemento soggettivo della fattispecie.

Risulta complicato definire sia i comportamenti idonei ad integrare la fattispecie di ecocidio, sia i danni che a questa si ricollegano. In considerazione dell’importanza delle fattispecie di crimini internazionali, infatti, si corre il rischio di plasmare una norma non in linea con i principi di offensività e gravità normalmente richiesti per fattispecie di questa importanza.

Nel caso dell’ecocidio la difficoltà di definizione potrebbe venire superata ipotizzando il crimine come suddiviso in tre condotte distinte: quella di “umanocidio”, quella di “biocidio” e quella di “geocidio”, idonee rispettivamente ad attentare alla sicurezza dell’umanità, della biodiversità e della preservazione dello spazio naturale 29 . Si considererebbe la condotta di umanocidio come la più grave e quindi come quella in grado di assorbire le altre due condotte in caso di un possibile concorso fra esse. Tuttavia, questa teoria non è esente da critiche, rischia, infatti, di produrre confusione rispetto al bene giuridico che s’intende tutelare e, la stessa gerarchia proposta, rischia di non risultare sempre di chiara applicazione in considerazione delle caratteristiche peculiari degli attentati all’ambiente. È possibile che un comportamento umano si ponga in contrasto con la tutela ambientale ma risulti fondamentale per lo sviluppo e il miglioramento delle condizioni di vita di una popolazione 30 . È evidente come la sicurezza del pianeta, dell’ecosistema, dell’uomo e della preservazione ambientale siano interconnesse fra loro e, di conseguenza, come risulti difficile e complesso stabilire come dovrebbe svilupparsi la tutela a livello internazionale.

Il modello d’incriminazione proposto da Neyret si basa sia sullo Statuto di Roma che sulla Direttiva europea per la protezione ambientale, in modo da facilitare la prevedibilità delle tecniche d’incriminazione, poiché già presenti nel panorama internazionale. L’individuazione dei comportamenti idonei a provocare una responsabilità penale per ecocidio non vengono quindi tassativamente elencati, ma viene proposta una clausola per cui sono ricompresi nella fattispecie: “ tutti gli atti di carattere analogo commessi intenzionalmente”, in modo da permettere alla norma di ricomprendere non solo i comportamenti e le azioni pericolosi per la sicurezza del pianeta in tempi contemporanei, ma anche possibili condotte future, ora non ipotizzabili poiché sconosciute.

In ultimo, l’elemento soggettivo viene ricondotto al solo “intent ”, in linea con quanto richiesto dall’articolo 30 dello Statuto di Roma per gli altri crimini internazionali. Tuttavia, in considerazione della peculiarità delle azioni che potrebbero integrare la fattispecie di ecocidio e in considerazione del fatto per cui raramente queste vengono poste in essere in maniera completamente volontario, l’elemento soggettivo viene allargato fino a ricomprendere anche le condotte di dolo eventuale. In questo modo diviene possibile incriminare non solo chi effettivamente abbia commesso il crimine mosso da dolo diretto, ma anche chi, sarebbe dovuto essere a conoscenza delle conseguenze delle sue azioni 31 .

Il valore da proteggere: la sicurezza del pianeta e il futuro dell’umanità

Identificare il valore da proteggere è essenziale per risolvere il problema del concorso delle qualificazioni di umanocidio, biocidio e geocidio. Il conflitto di interessi che potrebbe sorgere dalla tutela degli innumerevoli valori in gioco deve venire risolto in maniera da chiarire come la pluralità di beni insiti nella sicurezza del pianeta trovi riconoscimento nella condotta di ecocidio. Analizzando alcuni codici penali che già prendono in considerazione la condotta di ecocidio 32 si nota come unica costante quella del carattere massivo della distruzione della flora e della fauna e quindi la necessità che questa sia idonea a causare una catastrofe ecologica. Lo statuto di Roma prevede, al suo articolo 8 (2) (b), dove prende in considerazione i possibili danni ambientali nella definizione dei crimini di guerra, anche un elemento temporale per cui richiede che i danni siano non solo gravi, ma anche duraturi. La “sicurezza del pianeta” (“ La sûreté de la planète ”), infatti, passa, inevitabilmente, attraverso la difesa sia delle generazioni attuali che di quelle future, rendendo necessarie tecniche e stili normativi che riconoscano il principio di precauzione e risolvano un possibile conflitto d’interessi generazionale. Questo sorge, soprattutto, nel momento in cui attraverso la tutela attuale del pianeta si perviene alla tutela delle generazioni future ma si ostacola il miglioramento della vita alla generazione attuale. A titolo di esempio si può rivolgere l’attenzione verso attività come l’eliminazione di una specie animale che risulta pericolosa per la sopravvivenza di una popolazione umana, sebbene questa risulti necessaria, appunto, per evitare la scomparsa di un gruppo di uomini, potrebbe risultare nociva per l’equilibrio dell’ecosistema e, di conseguenza, risultare pericolosa per la sopravvivenza delle generazioni future. A tal proposito si prospettano alcuni nodi critici da sciogliere.

In primo luogo, non è immediato decidere quale generazione meriti maggiore tutela e non è banale determinare quali attività presenti potrebbero nuocere alla salute planetaria in futuro, poiché gli effetti delle cause odierni non sono sempre di facile previsione.

In secondo luogo, una tecnica normativa volta alla protezione del futuro sarebbe una novità all’interno della legislazione penale e, per questo, necessiterebbe di tecniche di incriminazione particolari, tra cui l’utilizzo del c.d. principio di precauzione 33 .

Nonostante le evidenti difficoltà di superamento dell’impasse creatosi, è evidente come l’analisi della tutela presente e futura dell’uomo debba giocare un ruolo fondamentale nell’elaborazione del crimine di ecocidio.

Un secondo aspetto critico è la precisione nella descrizione della norma di ecocidio. Questa deve permettere alla disposizione di non risultare anacronistica dalla nascita per la troppa precisione nella definizione dei comportamenti idonei a ledere la sicurezza del pianeta ma non deve neanche ricomprendere un numero eccessivo di condotte e così risultare omnicomprensiva. Una possibile soluzione è l’inserimento di una clausola d’analogia per consentire alla norma di adattarsi allo scorrere del tempo, in modo analogo a quanto già fatto nello Statuto di Roma, all’articolo 7 per i crimini contro l’umanità. Permettere il ricorso all’analogia in maniera esplicita potrebbe risultare in un sacrificio eccessivo del principio di legalità e provocare una minore certezza giuridica data dalla minore precisione della disposizione e minore prevedibilità dei fatti costituenti reato. Inoltre, la scelta di un diritto ambientale aperto all’utilizzo dell’analogia comporta conseguenze maggiori per gli stati, poiché impone loro un trasferimento di poteri dal legislatore al giudice, che si vedrebbe aumentato il suo potere discrezionale, in quanto avrebbe la possibilità di determinare se un determinato fatto costituisce reato o meno 34 . Diverrebbe quindi di cruciale importanza il metodo di selezione dei giudici, poiché bisognerebbe scegliere personalità connotate da grande imparzialità e forte etica professionale.

La scelta di un sistema di tutela “aperto” o “chiuso” si riflette, inevitabilmente, sulla presa di posizione di un tipo di politica giuridica, la quale si modella rispetto al valore che si ritiene prevalente, una struttura “chiusa” e stabile sarà più idonea alla tutela delle generazioni attuali, mentre un sistema “aperto” e in divenire sarà più idoneo alla tutela delle generazioni future.

Si possono quindi individuare due tipologie di modelli di tutela, uno reattivo ed uno anticipativo.

Il primo si basa sulla necessità di tutelare le generazioni attuali e di un sistema penale basato sui principi di legalità e certezza giuridiche. La certezza giuridica viene quindi preferita rispetto alla tutela ambientale, la generazione presente a quella futura.

Il secondo, al contrario, ritiene più impellente la difesa delle generazioni future, tramite una struttura giuridica in divenire e suscettibile di vedersi applicato l’istituto dell’analogia. Si preferisce quindi la preservazione dello spazio naturale rispetto alla difesa degli interessi economici contemporanei. Questo potrebbe comportare insicurezza poiché le regole di diritto non vengono definite nel momento della loro adozione ma nel momento della sentenza ma risulta più adatto alla prevenzione di disastri ambientali massivi.

Il progetto di introduzione del crimine di ecocidio del gruppo Neyret si basa sul modello anticipativo, proponendo la preferenza del principio di precauzione su quello di stretta legalità, in vista sia delle caratteristiche del bene tutelato, la sicurezza del pianeta, sia della imprevedibilità degli effetti di azioni contemporanee nel futuro. Il modello anticipativo risulta quindi più idoneo ad evitare catastrofi future.

Problematiche giurisdizionali

Ultimo rilievo che si ritiene di dover affrontare, seppur brevemente, è il sistema giurisdizionale di tutela che l’ecocidio presume, per cui una breve considerazione degli aspetti meno sostanziali di una proposta di crimine internazionale e più procedurali.

Soprattutto in considerazione della tendenziale commissione di crimini ambientali da parte di enti giuridici e non di individui singolarmente identificati, è necessario stabilire se s’intende allargare la tutela offerta dallo Statuto di Roma, inserendo in quest’ultimo un sistema d’incriminazione anche per le persone giuridiche, in modo da permettere alla Corte Penale Internazionale di giudicare dei crimini ambientali o se s’intende istituire un nuovo organo deputato al giudizio dei suddetti reati.

Ci sono due approcci da tenere in considerazione nella costruzione di un nuovo sistema giurisdizionale: l’approccio giurisdizionale e quello istituzionale.

Le regole giurisdizionali si propongono di stabilire l’ambito di competenza delle corti nazionali e di quelle internazionali, in modo da consentire un processo equo ed evitare la violazione del ne bis in idem.

In considerazione della difficoltà di applicazione del criterio territoriale in relazione ai crimini ambientali, è necessario interrogarsi sull’applicabilità degli altri criteri tradizionali: quello della personalità attiva, passiva e quello della giurisdizione universale.

Il criterio della personalità attiva non risulta ottimale poiché sarebbe difficile stabilire quale nazione è investita del compito di giudicare nel caso di crimini commessi da multinazionali o da attori appartenenti a diverse nazionalità e questa parentesi di incertezza giurisdizionale prima che giuridica non è auspicabile si presenti.

Quello della personalità passiva, invece, risulta in parte assorbito dal criterio territoriale (tendenzialmente le vittime saranno gli abitanti del territorio ove si espande il fenomeno ambientale nocivo) e parzialmente in secondo piano se si considera il valore primario protetto l’ambiente secondo una visione ecocentrica e non antropocentrica. Inoltre, i crimini ambientali sono caratterizzati dalla loro apolidia, di fatto difficilmente coinvolgono lo spazio territoriale di un solo Stato, tendono, al contrario e per loro natura, ad espandersi in maniera incontrollata. Se quelle internazionali sono “norme viaggiatrici 35 ”, di conseguenza le norme penali ambientali internazionali avranno come oggetto “crimini viaggiatori 36 .

La soluzione migliore sembrerebbe essere quella d’istituire una Corte Internazionale dell’Ambiente, chiamata a giudicare dei crimini ambientali 37 . Questo permetterebbe, da una parte, di superare le problematiche relative al criterio della territorialità, poiché la Corte si baserebbe sul criterio universale e, dall’altra, darebbe maggiore rilievo all’importanza dei crimini ambientali. La consacrazione di questi alla giurisdizione di una corte costruita ad hoc per la loro sorveglianza, infatti, imporrebbe di considerare questi ultimi alla stessa stregua degli altri crimini internazionali.

Tuttavia, è innegabile che il proliferare di corti penali internazionali e l’eventuale (ma probabile) sovrapporsi di giurisdizioni (interne, internazionali di vario tipo) non può che essere un ostacolo alla creazione di un sistema chiaramente definito ed efficiente. Quindi si potrebbe pensare semplicemente di allargare le competenze della Corte Penale Internazionale, in modo che questa sia atta a giudicare anche del crimine di ecocidio. Tuttavia, questo presupporrebbe sia una modificazione non indifferente dello Statuto di Roma (bisognerebbe non solo introdurre il crimine di ecocidio, ma anche ipotizzare espressamente la responsabilità penale degli enti), che una confusione concettuale. La Corte Penale Internazionale, infatti, è un organo nato per giudicare crimini internazionali che minano alla sicurezza dell’umanità, non alla sicurezza del pianeta. La previsione della giurisdizione della Corte Penale Internazionale rispetto al crimine di ecocidio creerebbe, quindi, confusione sia normativa che concettuale.

In ultimo si potrebbe ipotizzare, è questa la via proposta da Neyret, una Corte autonoma e indipendente, quindi con uno Statuto proprio, ma appoggiata alla struttura della Corte Penale Internazionale, quindi con gli stessi giudici o una parte di essi. Questo permetterebbe di marcare, da una parte, la differenza fra i crimini contro l’umanità e quelli contro l’ambiente e, dall’altra, eviterebbe una cacofonia giurisdizionale.

Conclusioni

La tutela ambientale ha sempre rivestito un ruolo fondamentale per le società umane, alla ricerca di un equilibrio con la natura e con il territorio, tuttavia il progresso delle scienze e della tecnica non ha sempre permesso e incentivato uno sviluppo ecosostenibile del miglioramento della vita umana. La “rivoluzione geologica di causa antropologica 38 ” ora in atto ha imposto all’uomo di consapevolizzarsi rispetto ai danni che ha provocato all’ambiente e ai rischi che l’umanità stessa potrebbe correre in futuro, in quest’ottica, il giurista è chiamato in prima persona a elaborare tecniche idonee di tutela e protezione dell’ecosistema, onde evitare danni irreparabili e dalle conseguenze disastrose.

In particolare, la sicurezza del pianeta non può prescindere dalla collaborazione fra Stati, i danni ambientali più significativi, infatti, sono facilmente in grado di superare i confini nazionali, sfuggendo alle normative interne e a qualsiasi tipo di controllo. La comunità internazionale è quindi chiamata a essere protagonista nella elaborazione di un sistema in grado di tutelare, da una parte, l’ecosistema in sé considerato e, dall’altra, l’umanità nelle sue generazioni presenti e future.

L’introduzione di una nuova categoria di crimine internazionale, consistente nel crimine di ecocidio, rappresenterebbe una soluzione in grado, non solo di positivizzare un divieto già presente nel novero delle consuetudini internazionali, ma anche di unificare sia le legislazioni nazionali rispetto agli attacchi massivi e sistematici verso la sicurezza del pianeta, che le risposte sanzionatorie rispetto agli stessi. Tuttavia, nonostante i vantaggi che la previsione del crimine di ecocidio apporterebbe, questo provocherebbe la necessità di rivalutare alcuni dei principi tradizionali del diritto penale, nonché degli elementi costitutivi del reato (bene tutelato, fatto tipico ed elemento soggettivo) e del sistema giurisdizionale.

La natura poliedrica del bene ambiente impone al giurista di tracciare nuovi metodi di tutela, idonei a soddisfare le esigenze di prevenzione ai danni ambientali, così come quelle di imputazione di responsabilità penale per le persone giuridiche e di adattamento dell’elemento soggettivo rispetto ai disastri ambientali. Le peculiarità intrinseche al crimine di ecocidio non sono completamente soddisfatte nello Statuto di Roma, il quale andrebbe riformato in alcuni dei suoi pilastri per consentire ai crimini ambientali di entrare nella giurisdizione della Corte Penale Internazionale, riforma che non necessariamente riuscirebbe a trovare un equilibrio fra gli elementi costitutivi dei crimini internazionali “tradizionali” e l’ecocidio.

Il progetto di Neyret sembra riuscire a sciogliere la matassa creata dai nodi critici provocati dalla prospettiva d’introduzione di un nuovo crimine internazionale tramite una convenzione autonoma e indipendente dallo Statuto di Roma ma appoggiata a questo nella sua struttura. Convenzione che definisce un microcosmo interno al diritto penale internazionale in grado di modellare gli istituti penali tradizionali intorno ai crimini ambientali e all’ecocidio, senza invadere il campo d’azione del diritto penale internazionale classico e senza rischiare di infierire negativamente sui crimini internazionali già previsti.

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2 Art. 20 (a:) “Der Staat schützt auch in Verantwortung für die künftigen Generationen die natürlichen Lebensgrundlagen und die Tiere im Rahmen der verfassungsmäßigen Ordnung durch die Gesetzgebung und nach Maßgabe von Gesetz und Recht durch die vollziehende Gewalt und die Rechtsprechung.”

3 Art. 9 (e): “Proteger e valorizar o património cultural do povo português, defender a natureza e o ambiente, preservar os recursos naturais e assegurar um correto ordenamento do território.”

4 Art. 45: “1. Todos tienen el derecho a disfrutar de un medio ambiente adecuado para el desarrollo de la persona, así como el deber de conservarlo.2. Los poderes públicos velarán por la utilización racional de todos los recursos naturales, con el fin de proteger y mejorar la calidad de la vida y defender y restaurar el medio ambiente, apoyándose en la indispensable solidaridad colectiva.3. Para quienes violen lo dispuesto en el apartado anterior, en los términos que la ley fije se establecerán sanciones penales o, en su caso, administrativas, así como la obligación de reparar el daño causado.”

5 Art. 41: “1. Todos los habitantes gozan del derecho a un ambiente sano, equilibrado, apto para el desarrollo humano y para que las actividades productivas satisfagan las necesidades presentes sin comprometer las de las generaciones futuras; y tienen el deber de preservarlo. El daño ambiental generará prioritariamente la obligación de recomponer, según lo establezca la ley. 2. Las autoridades proveerán a la protección de este derecho, a la utilización racional de los recursos naturales, a la preservación del patrimonio natural y cultural y de la diversidad biológica, y a la información y educación ambientales.3. Corresponde a la Nación dictar las normas que contengan los presupuestos mínimos de protección, y a las provincias, las necesarias para complementarlas, sin que aquéllas alteren las jurisdicciones locales. 2 Se prohíbe el ingreso al territorio nacional de residuos actual o potencialmente peligrosos, y de los radiactivos.”

6 In questo modo: “il restringimento dell’obbligo di incriminazione alle violazioni ambientali più gravi sembrava realizzare con efficacia la vocazione funzionalista del diritto comunitario, il cui intervento veniva opportunamente circoscritto alle sole misure necessarie per colmare le lacune di tutela degli ordinamenti nazionali e per dare adeguata attuazione alle politiche comunitarie del settore.” Licia Siracusa, L’attuazione della direttiva europea sulla tutela dell’ambiente tramite il diritto penale, intervento al convegno “La riforma del diritto penale dell’ambiente in prospettiva europea”, Associazione Internazionale di diritto penale, Gruppo Italiano, Roma, 04/02/2010, 22/02/2011, penale contemporaneo.

7 Ad esempio, l’utilizzo di “danno rilevante” e “negligenza grave”.

9 Cecchetti, M., Principi costituzionali per la tutela dell’ambiente, Milano, 2000, 11

11 Ibid .

13 Recentemente la Corte Suprema Colombiana ha riconosciuto all’ambiente la personalità giuridica, compiendo un passo verso una concezione ecocentrica del diritto ambientale e dell’ecosistema in sé.

16 Ibid.

17 G. Fiandaca, E. Musco, Diritto Penale Parte Generale, 2017.

18 Una prova della difficoltà di stabilire un nesso causale certo rispetto ai disastri ambientali deriva dalla vicenda Monsanto.

20 G. Fiandaca, E. Musco, Diritto Penale Parte Generale, 2017.

22 Viene ripresa la differenza fra la concezione ecocentrica e quella antropocentrica.

24 Une interdiction sans convention, Laurent Neyret, Des écocrimes à l’écocide. Le droit pénal au secours de l’environnement , Bruylant, Paris, 2015, P. 114.

25 Art. 1, Convenzione sul divieto dell’uso di tecniche di modifica dell’ambiente a fini militari e ad ogni altro scopo ostile, 10/12/1976, in vigore dal 05/09/1978.

Art. 35, primo protocollo addizionale alle Convenzioni di Ginevra.

26 Jan Klabbers, International Law, Cambridge University Press, 2016, p. 26-29.

27 Le norme di ius cogens sono considerate, nel diritto internazionale, di carattere imperativo (cogenti, inderogabili), formatesi in via consuetudinaria e con posizione gerarchica sovraordinata rispetto alle altre norme internazionali. Vengono definite dall’ Art. 53 della Vienna Convention on the Law of the Treaties come: “Peremptory norm of general international law is a norm accepted and recognized by the international community of States as a whole as a norm from which no derogation is permitted and which can be modified only by a subsequent norm of general international law having the same character.” Jan Klabbers, International Law, Cambridge University Press, 2016, p. 60-61.

28 Per un approfondimento sulla valenza dell’ecocidio come norma di Ius Cogens si veda: Laurent Neyret, Des écocrimes à l’écocide. Le droit pénal au secours de l’environnement , Bruylant, Paris, 2015, P. 118-121.

30 Provocare l’estinzione di una specie animale potrebbe, ad esempio, da un lato salvare alcune vite umane ma, dall’altro, alterare gli equilibri dell’ecosistema e minare alla sopravvivenza della razza umana in futuro.

32 Codici penali del Vietnam, Armenia, Georgia, Bielorussia, Kazakhstan, Ucraina, Moldavia, Russia, Tagikistan e Kirghizistan.

33 In mancanza di una definizione universalmente accettata si può delineare nei suoi aspetti generali: nel caso in cui ci siano evidenze scientifiche, non interamente dimostrate, che collegano a determinate attività, determinati rischi, il principio di precauzione impone di adottare tutte le misure necessarie per eliminare o controllare il pericolo, anche evitando di porre in essere le attività in questione, se necessario. La mancanza di prove scientifiche certe non può essere sufficiente ad ammettere pratiche potenzialmente pericolose per beni primari quali, appunto, l’ambiente. Antonella Massaro, Principio di precauzione e diritto penale: Nihil Novi Sub sole? , Penale Contemporaneo, 09/05/2011.

34 Sebbene ci siano stati europei, come la Danimarca, che esplicitamente prevedono la possibilità dell’applicazione dell’analogia nei loro codici penali, la tendenza maggioritaria è quella di escludere l’analogia dai codici penali, onde evitare indebiti restringimenti del principio di legalità.

35 Mireille Delmas-Marty , Criminalité économique et atteintes à la dignité de la personne , Les processus d'internationalisation, Vol. 7, Paris, M.S.H., 2001, p.122

38 L’espressione è stata coniata da Paul Krutzen, premio Nobel per la chimica e ideatore del neologismo: “Antropocene”. Paul Krutzen, Benvenuti nell’antropocene, Mondadori, 2005