Consiglio di Stato Sez. VI n. 3665 del 10 maggio 2021
Urbanistica.Destinazione d’uso di un immobile

La destinazione d’uso è oggettiva, cioè riferita alla tipologia di attività generalmente ammissibile, non meramente soggettiva, in base alla tipologia di soggetti coinvolti

Pubblicato il 10/05/2021

N. 03665/2021REG.PROV.COLL.

N. 00125/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 125 del 2020, proposto da
Pedranzini Ernesto S.r.l., Cecco Sport S.n.c. di Pedranzini Francesco & C., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dagli avvocati Paolo Bertacco, Andrea Manzi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Andrea Manzi in Roma, via Confalonieri n. 5;

contro

Comune di Bormio, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Dario Marchesi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Giovanni Corbyons in Roma, via Cicerone n.44;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Prima) n. 02189/2019, resa tra le parti, concernente per la riforma

- dell'ordinanza n. 1/2014 del 24.1.2014 con la quale il Responsabile dello Sportello Unico dell'Edilizia del Comune di Bormio ha ordinato alle ricorrenti di ripristinare la destinazione assentita nella porzione del piano primo interrato del fabbricato distinto in catasto al foglio n. 17, map. 930 del Comune di Bormio,

- di ogni altro atto presupposto, consequenziale o comunque connesso;

nonché per la condanna dell'Amministrazione resistente al risarcimento dei danni subiti e subendi dai ricorrenti in conseguenza dei provvedimenti impugnati.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Bormio;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 maggio 2021 il Cons. Davide Ponte e uditi per le parti gli avvocati Paolo Bertacco, Andrea Manzi e Dario Marchesi in collegamento da remoto, ai sensi dell’art. 4, comma 1, del decreto legge n. 28 del 30 aprile 2020 e dell'art.25, comma 2, del decreto legge n. 137 del 28 ottobre 2020, attraverso videoconferenza con l’utilizzo di piattaforma “Microsoft Teams” come previsto della circolare n. 6305 del 13 marzo 2020 del Segretario generale della Giustizia amministrativa.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con l’appello in esame le odierne parti appellanti impugnavano la sentenza n. 2189 del 2020 del Tar Lombardia, di rigetto dell’originario gravame; quest’ultimo era stato proposto dalle stesse parti, rispettivamente quali proprietaria dell’immobile ed impresa titolare di attività di riparazione e noleggio sci ivi svolta, al fine di ottenere l’annullamento, dell’ordinanza n. 1/2014 del 24 gennaio 2014 del responsabile dello sportello unico per l’edilizia del Comune di Bormio, con la quale era stato ordinato di ripristinare la destinazione assentita nella porzione del piano primo interrato del fabbricato distinto in catasto al foglio n. 17, mappale 930 del Comune medesimo.

All’esito del giudizio il Tar concludeva nel senso che l’attività di riparazione e noleggio sci avviata all’interno del complesso alberghiero di proprietà della ricorrente Pedranzini, di per sé astrattamente legittima, non potesse essere aperta a soggetti “esterni”, ovvero diversi da quelli che utilizzano la medesima struttura alberghiera ai fini di pernottamento.

Nel ricostruire in fatto e nei documenti la vicenda, parte appellante, contestando le argomentazioni del Giudice di prime cure, formulava i seguenti motivi di appello:

- erroneità della sentenza gravata per violazione degli artt. 24, 97 e 113 della Costituzione e di connessi principi, violazione degli artt. 11 d.lgs. 59/2010, 3 della L. n. 148/2011, 31 e 34 della L. n. 214/2011, 1 della L. n. 27/2012, 21-septies della L. 241/1990, erroneità e lacunosità della motivazione con riferimento alla censura di nullità del provvedimento per violazione e/o elusione in

parte qua della sentenza del TAR Milano n. 2305/2013, nonché dell’ordinanza del Consiglio di Stato n. 4664/2013, in relazione ai principi di liberalizzazione del settore commerciale;

- errore di giudizio sul prospettato eccesso di potere per travisamento ed erronea valutazione dei fatti, difetto dei presupposti, difetto di motivazione, carenza di istruttoria, contraddittorietà, illogicità manifesta, violazione degli artt. 14 , 31 e 32 del D.P.R. 380/2001 e degli artt. 40 e 54 della L.R. n. 12/2005, e della delibera C.C. n. 24/2009, sviamento, anche nella parte in cui la sentenza non ha ravvisato che l’ordine di demolizione impugnato in primo grado risulta fondato su un radicale errore in fatto, nella parte in cui il Comune ha ritenuto sussistente un’abusiva “trasformazione d’uso” rispetto alla destinazione alberghiera, a fronte della mera attività di noleggio attrezzatura sportiva che non ha comportato alcuna trasformazione abusiva d’uso;

- analoghi vizi per travisamento dei fatti per insussistenza della pretesa difformità dal permesso di costruire in deroga n. 126/2009;

- errore di giudizio, ulteriore violazione e falsa applicazione degli artt. 14, 31 e 32 cit. e degli artt. 40 e 54 della L.R. n. 12/2005, eccesso di potere per difetto dei presupposti, incompetenza, in quanto gli atti ammettevano esplicitamente l’insediamento dell’esercizio commerciale aperto al pubblico.

L’amministrazione comunale appellata si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto dell’appello.

Con ordinanza n. 740 del 2020 veniva accolta la domanda cautelare di sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata, stante la sussistenza dei “necessari presupposti, sia in termini di fumus boni juris, stante il carattere oggettivo della destinazione urbanistica (nel caso di specie limitata invero solo dal punto di vista soggettivo) ed il contenuto degli atti allegati all’originario titolo edilizio, sia in termini di periculum in mora, a fronte della natura e degli effetti degli atti impugnati nonché dei paventati danni all’attività economica, senza che nel bilanciamento di interessi prevalgano peculiari e distinti interessi pubblici”; veniva altresì fissata udienza di merito.

Alla pubblica udienza dell’8 ottobre 2020 la causa veniva rinviata su concorde istanza delle parti in pendenza di trattative.

Alla pubblica udienza del 6 maggio 2021 la causa passava in decisione.

DIRITTO

1. L’appello è fondato sulla scorta degli elementi già prospettati in sede cautelare, con conseguente sussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’art. 74 cod. proc. amm.

2. A fronte della complessità in fatto della fattispecie, occorre procedere alla ricostruzione (non svolto nella sentenza appellata, con ogni evidente conseguenza in termini di completezza dell’esame) dell’excursus della controversia, così come emergente dall’analisi degli atti prodotti, necessario al fine di compiutamente qualificare, sia le opere in contestazione, sia i passaggi procedimentali oggetto delle plurime deduzioni svolte in sede di gravame.

2.1 In data 16 giugno 2009 la società Pedranzini Ernesto s.r.l. presentava al Comune di Bormio una richiesta di permesso di costruire in deroga al vigente P.R.G., per la realizzazione di lavori di ampliamento ed adeguamento funzionale del fabbricato di sua proprietà sito di fronte alla stazione di partenza della funivia che porta agli impianti sciistici di Bormio 2000, allo scopo di potervi insediare un’attività alberghiera.

Tale progetto prevedeva si dall’origine la compresenza di funzioni di carattere accessorio ben definite (spaccio, servizi accessori e attività commerciale).

2.2 Con delibera consiliare n. 24 del 3 agosto 2009, il Comune di Bormio accoglieva il progetto ed approvava il rilascio del titolo in deroga per l’esecuzione degli interventi di ampliamento e adeguamento funzionale del fabbricato, “come risulta dagli elaborati descritti nella parte narrativa e che qui espressamente si richiamano e si intendono integralmente trascritti” (cfr. doc n. 3 pag 8).

2.3 Dall’analisi degli allegati alla delibera di approvazione, emerge il dettaglio della struttura approvata: n. 8 appartamenti destinati alla locazione per brevi periodi, oltre all’alloggio del gestore (famiglia Pedranzini), uno spaccio di prodotti agricoli al piano terra angolo nord-est, due piani ad uso servizi accessori alla struttura turistico ricettiva, un’attività commerciale di vendita-noleggio sci ed attrezzi sportivi (doc 3 pag 14).

In seguito ed in coerenza a tale approvazione, la Pedranzini provvedeva a redigere il prescritto atto di asservimento e mantenimento della destinazione alberghiera impegnandosi al rispetto di tutti i criteri ivi riportati.

2.4 All’esito di tale percorso veniva rilasciato dal dirigente comunale il permesso di costruire n. 126/2009 del 6 novembre 2009.

2.5 A seguito dell’ultimazione delle opere di ampliamento dell’edificio, approssimandosi la stagione invernale 2011-2012, la Pedranzini e successivamente – in seguito ad affitto di ramo d’azienda – l’altra parte odierna appellante Cecco Sport s.n.c., avviavano l’attività di noleggio e riparazione sci, rivolta al pubblico.

2.6 In data 22 novembre 2011 il Sindaco e l’Assessore all’urbanistica del Comune di Bormio comunicavano alla Pedranzini che l’attività di noleggio e riparazione sci poteva essere considerata quale attività accessoria alla struttura alberghiera ma non apribile al pubblico, pena la violazione delle obbligazioni assunte nel 2009 con l’atto di asservimento. Tale nota non veniva seguita da atti definitivi e l’attività di noleggio e riparazione sci proseguiva per tutta la stagione invernale 2011-2012.

2.7 In vista della stagione invernale 2012-2013, la Pedranzini (istanza 5 novembre 2012 sub doc n. 9) richiedeva parere preliminare sulla possibilità di attivare un negozio di vicinato per la vendita al dettaglio di attrezzature e abbigliamento sciistico da insediare negli spazi a destinazione commerciale presso la struttura ricettiva di proprietà.

Tale istanza veniva riscontrata negativamente (doc n. 10, datato 6 dicembre 2012) dal Sindaco del Comune di Bormio con una nota critica, tesa ad evidenziare il contrasto dell’iniziativa con i contenuti della delibera di Consiglio Comunale n. 24/2009.

2.8 In data 27 dicembre 2012 la Pedranzini presentava una s.c.i.a. in merito all’avvio di una nuova attività commerciale di vendita al dettaglio di articoli sportivi (esercizio di vicinato) nei locali a ciò destinati dal permesso di costruire in deroga sopra richiamato.

A tale iniziativa faceva riscontro negativo l’ordine inibitorio prot. 567/08/06/24 del 18 gennaio 2013 con cui il Comune intimava alla Pedranzini di astenersi dall’avviare l’attività commerciale di vicinato segnalata ovvero, qualora l’attività fosse stata nel frattempo avviata, di cessare immediatamente la prosecuzione della stessa.

2.9 Avverso tale atto inibitorio la Predranzini proponeva ricorso al Tar Lombardia, che accoglieva la domanda cautelare.

Il Comune adottava quindi un nuovo provvedimento ostativo (ordinanza di demolizione n. 9/2013) all’insediamento dell’attività commerciale nella struttura alberghiera, qualificando l’iniziativa come “variante essenziale” al permesso (cfr. doc n. 12).

Anche tale atto veniva impugnato dinanzi al Tar, con motivi aggiunti

2.10 All’esito del giudizio di merito il Tar respingeva il ricorso con sentenza n. 2305 del 15 ottobre 2013.

Nell’ambito della pronuncia, pur dinanzi al rigetto delle tesi di parte ricorrente, i Giudici di prime cure svolgevano le seguenti considerazioni relative agli oneri istruttori ulteriori facenti capo al Comune: “il principio di legalità impone, in ogni caso, al Comune resistente di verificare la pretesa del ricorrente alla luce dei sopravvenuti sviluppi legislativi. Questo stesso Tribunale, con una recentissima sentenza (sez. I, 10 ottobre 2013, n. 2271) ha chiarito in quali termini le recenti innovazioni normative (nella specie, l’art. 11, comma 1 lett. e) del D.lgs. n. 59 del 2010, nonché l’art. 34 comma 3, lett. a del D.lgs. 201/2011) subordinano oramai, la legittimità degli atti di pianificazione urbanistica che dispongono limitazioni o restrizioni all’insediamento di nuove attività economiche in determinati abiti territoriali, ad uno scrutinio molto più penetrante di quello che si riteneva essere consentito in passato; e ciò per verificare, attraverso un’analisi degli atti preparatori e delle concrete circostanze di fatto che a tali atti fanno da sfondo, se effettivamente i divieti imposti possano ritenersi correlati e proporzionati a effettive esigenze di tutela dell’ambiente urbano o afferenti all’ordinato assetto del territorio sotto il profilo della viabilità, della necessaria dotazione di standard o di altre opere pubbliche; dovendosi in caso contrario, reputare che le limitazioni in parola non siano riconducibili a motivi imperativi di interesse generale e siano, perciò illegittime”.

2.11 In sede di appello cautelare con l’ordinanza n. 4664 del 27 novembre 2013 questo Consiglio, nel rigettare la domanda cautelare di appello, formulava analoga indicazione al Comune: “dovendo l’amministrazione comunale effettuare la valutazione di compatibilità come indicato al paragrafo VII della sentenza impugnata alla luce dei citati sviluppi legislativi in materia di libero commercio”.

2.12 A fronte della perdurante inerzia del Comune, le società odierne appellanti formulavano una diffida (cfr. nota del 29 novembre 2013) affinché la p.a. provvedesse, in ottemperanza alle richiamate statuizioni giudiziali a rivalutare la propria posizione nei confronti dell’attività commerciale inibita, procedendo di conseguenza alla revoca in autotutela del provvedimento precedente.

2.13 In data 6 dicembre 2013 il Comune riscontrava negativamente l’istanza, ritenendo – oltre a ribadire le tesi già prospettate - che l’indicazione giurisdizionale predetta fosse una mera “possibile opzione operativa”, non seguita a fronte della proposizione dell’appello.

2.14 Veniva quindi presentata una nuova s.c.i.a. in data 6 dicembre 2013, ancora una volta inibita tramite l’ordinanza sanzionatoria n. 1 del 24 gennaio 2014, in cui il Comune contestava ad entrambe le società ricorrenti l’uso difforme dei locali al piano interrato rispetto a quanto assentito dal permesso di costruire in deroga, in quanto l’attività di noleggio sci risulta rivolta in modo indifferenziato al pubblico e non solo ai clienti della struttura alberghiera.

2.15 Tale atto veniva impugnato dinanzi al Tar che, in sede cautelare, accoglieva l’istanza proposta sospendendo gli effetti dell’ordinanza di demolizione impugnata.

Peraltro, con la sentenza oggetto del presente appello Resa in data 18 ottobre 2019), il ricorso veniva poi respinto nel merito.

3. Così ricostruita la complessa fattispecie è possibile procedere all’esame dei motivi di appello, che può svolgersi in termini unitari, stante il carattere assorbente delle deduzioni relative alla insussistenza della contestata trasformazione d’uso ed alla mancata considerazione degli indicati – in sede giurisdizionale – ordini di considerazione dei principi in tema di liberalizzazione commerciale.

3.1 In linea di diritto, la destinazione urbanistica ha carattere oggettivo, essendo irrilevante l’estensione dell’utilizzo a diverse tipologia di clienti dell’attività che legittimamente viene svolta, sulla scorta della destinazione commerciale prevista e quindi assentita.

3.2 Nel caso di specie, l’analisi del titolo edilizio legittimante la realizzazione dell’immobile interessato dalla vicenda sopra riassunta, evidenzia la sussistenza della invocata destinazione posta a base della s.c.i.a. inibita con l’ordinanza impugnata in prime cure.

In particolare, la Tavola 1 allegata sia alla Delibera C.C. 24/2009 sia al successivo atto di asservimento, indica che una porzione del primo piano interrato, avente una superficie complessiva di mq. 285 è identificata come “vani interrati commerciali”.

3.3 In coerenza con il principio predetto, poi, nessuno degli atti rilevanti (il permesso di costruire, la delibera del consiglio comunale, l’atto di asservimento, gli elaborati tecnici allegati) indica che la predetta attività commerciale debba intendersi rivolta esclusivamente alle persone alloggiate nella struttura alberghiera.

Ciò assume rilievo dirimente, rendendo l’attività conforme al titolo e, conseguentemente, legittima.

Né, peraltro, una opposta previsione limitativa avrebbe logica urbanistica, atteso che, come anticipato, la destinazione d’uso è oggettiva, cioè riferita alla tipologia di attività generalmente ammissibile, non meramente soggettiva, in base alla tipologia di soggetti coinvolti; che nel caso di specie, peraltro, lo sono solo sul versante passivo, cioè di fruitori esterni rispetto a coloro che svolgono l’attività.

3.4 In altri termini il rispetto della destinazione urbanistica dell’immobile riguarda la parte che legittimamente, in base alla pianificazione ed al titolo, utilizza il bene; laddove sia prevista destinazione ed utilizzo commerciale, la legittimità urbanistico - edilizia è rispettata, senza che, in assenza di specifiche limitazioni normative o di piano (la cui ragionevolezza e legittimità andrebbe ulteriormente vagliata) possa rilevare una specifica categoria soggettiva limitata di utenti.

3.5 In proposito, le stesse precedenti statuizioni rese dagli organi della giustizia amministrativa intervenuti (Tar Lombardia e Consiglio di Stato, nei provvedimento sopra richiamati), con riguardo alla porzione di immobile in questione, hanno indicato al Comune di Bormio la necessità di verificare ed applicare la normativa più recente che, in termini di principio, ha imposto la liberalizzazione delle attività commerciali. Di conseguenza, l’interpretazione perseguita dal Comune (e dal Tar ora nella sentenza qui appellata), oltre a porsi logicamente contro i principi urbanistici predetti, viola anche quelli da ultimo richiamati. In tale ottica, l’affermazione contenuta negli atti comunali che tale indicazione sarebbe una mera opzione operativa per la società, si scontra con la formulazione letterale degli ordini giudiziali e con la natura dei principi ivi richiamati, incombenti – in primo luogo – sullo stesse amministrazioni.

3.6 Proseguendo nell’esame degli atti di causa, il permesso di costruire in deroga del 2009, legittimante la realizzazione dell’immobile coinvolto dalla controversia, riconosce la destinazione commerciale assegnata ai vani interrati, in coerenza con gli atti urbanistici di assenso a monte.

In dettaglio, la tavola 1 del permesso in deroga, recante il “Progetto autorizzato”, individua i locali di cui si tratta come “vani interrati commerciali 285,00 mq”.

A fronte di tale dato, nessuna modifica in senso limitativo può trarsi dalla successiva variante n. 17/2011 avente ad oggetto opere interne non rilevanti ai fini di causa, in quanto non incidenti sulla consistenza e valenza del titolo nella generalità e nelle parti non coinvolte. In proposito, eventuali mere diciture di riferimento non possono avere rilevanza modificativa del titolo in generale e delle parti non concretamente interessate dalle varianti interne. In sostanza, non è ammissibile una interpretazione riduttiva, innovativa, del titolo, oltre le limitate parti oggetto di specifica variante.

3.7 Ogni diversa interpretazione perseguita dal Comune contrasta con i principi e le risultanze predette, fermo l’onere di approfondire ed applicare altresì i principi in tema di liberalizzazione commerciale. Né la non condivisa opzione ermeneutica comunale può trovare fondamento in presunti vincoli derivanti dalla pregressa sentenza del Tar (n. 2305 del 2013), in specie a fronte della natura e della consistenza delle affermazioni ivi rese al riguardo, favorevoli alle odierne appellanti e condivise in sede cautelare da questo Consiglio.

4. Alla luce delle considerazioni che precedono l’appello è fondato e va quindi accolto; per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, va accolto il ricorso di prime cure.

Le spese del doppio grado di giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di prime cure.

Condanna parte appellata al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio in favore di parte appellante, liquidate in complessivi euro 5.000,00 (cinquemila/00), oltre accessori dovuti per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 maggio 2021 con l'intervento dei magistrati:

Giancarlo Montedoro, Presidente

Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere

Alessandro Maggio, Consigliere

Oreste Mario Caputo, Consigliere

Davide Ponte, Consigliere, Estensore