Cons. Stato Sez.V sent. n. 1258 del 7 marzo 2003

 

REPUBBLICA ITALIANA   N. 1258/03 REG.DEC.

  IN NOME DEL POPOLO ITALIANO  N. 1314/96 REG.RIC

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Quinta Sezione ANNO 1996

ha pronunciato la seguente

DECISIONE

 

sul ricorso in appello n.1314/96 , proposto dal Comune di Bari, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Renato Verna dell’Avvocatura comunale, ed elettivamente domiciliato in Roma , alla Via Flaminia, 79 presso lo studio dell’avv. Roberto Ciociola,

contro

 DE.MAR. srl, in persona del suo legale rappresentante, difesa e rappresentata dagli avvocati Giuseppe Giannelli e Franco Gagliardi La Gala, elettivamente domiciliata presso Luigi Gardin, in Roma, alla via Laura Mantegazza n.24,

per l’annullamento

della sentenza del TAR per la Puglia n.243 del 22 dicembre 1994, pubblicata il 6 aprile 1995.

Visto l’appello con i relativi allegati.

Visto l’atto di costituzione in giudizio della DE.MAR.srl.

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese.

Vista l’ordinanza n. 563 del 1996 con la quale questo Collegio ha respinto l’istanza cautelare di sospensione degli effetti della sentenza impugnata.

Visti tutti gli atti di causa.

Relatore il Consigliere Paolo De Ioanna alla pubblica udienza del 5 novembre 2002.

Uditi gli avvocati come da verbale d‘udienza.

Considerato in fatto e ritenuto in diritto quanto segue:

Fatto.

1. Con la sentenza appellata , il TAR per la Puglia ha riunito i ricorsi nn.117/93 e 3502/94, ha dichiarato improcedibile il ricorso n.117/93 ed ha accolto il ricorso n.3502/94, annullando , per l’effetto, il diniego di concessione edilizia oggetto dell’impugnazione in primo grado. La controversia introdotta con i due ricorsi riuniti attiene alla legittimità del diniego di concessione edilizia relativo al progetto n.271/85, avanzato dalla DE.MAR srl, avente ad oggetto la realizzazione di un impianto di stabulazione mitili e acquacultura nel territorio del Comune di Bari ( Torre a Mare).

2. La questione si incentra sulla necessità della preventiva adozione di uno strumento attuativo e di recupero riferito alla zona de qua, quale presupposto necessario per procedere poi al rilascio di singole concessioni edilizie. Il diniego si fonda sulla previsione dell’art.32 N.T.A. del vigente PRG, degli artt.20 e 21 della legge regionale n.56 del 1980, dell’art.29 della legge n.47 del 1985 e dell’art.1 della legge regionale .n.30 del 1990. Il giudice di primo grado ha opinato nel senso che la deliberazione di Consiglio Comunale n.1369 del 15 settembre 1989 avrebbe già chiarito la natura autonoma del progetto in questione e la sua conformità con la specifica destinazione della zona , per la quale era stata già adottata ed approvata apposita variante di PRG: il progetto sarebbe quindi realizzabile anche in assenza di un piano particolareggiato, pure richiesto per la zona dall’art.32 N.T.A.

3. Il giudice di primo grado ha poi escluso che la necessità della adozione di un piano particolareggiato trovi fondamento nella previsione dell’art.29 della legge n.47 del 1985. Nel caso in esame la natura degli abusi edilizi commessi è tale da porsi in contrasto con vincoli non derogabili posti da leggi statali o regionali: il potere dispositivo del Comune non è in condizione di sanare tali abusi, secondo quanto previsto dall’art.33 della stessa legge n.47. In ogni caso sarebbe comunque mancata la volontà del Comune di procedere, in modo appropriato nei tempi e nei modi ,al recupero urbanistico della zona, secondo quanto previsto anche dalla legge regionale n.26 del 1985. La sentenza appellata si fonda sulla considerazione che l’ampia istruttoria tecnica che ha preceduto l’adozione della delibera n.1369del 1989, avrebbe chiarito in modo convincente che , nel caso di specie, non occorreva procedere all’adozione di un piano attuativo di bonifica della zona, in quanto: a) gli accertamenti tecnico sanitari avrebbero stabilito che il progetto proposto dalla DE.MAR. presenta una sua completa auto sufficienza in ordine al sistema di smaltimento delle acque di captazione delle stesse dal mare; b) tale auto sufficienza è tale da escludere la necessità di dover previamente intervenire sulla zona circostante con opere di urbanizzazione: il degrado esterno non costituisce un elemento che può essere validamente invocato per bloccare il rilascio di una concessione che è frutto di un processo tecnico valutativo che ha già escluso la necessità di ulteriori interventi urbanistici attuativi.

4. Il Comune di Bari ha proposto appello. La DE. MAR. srl resiste. Con ordinanza cautelare n. 536 del 1996, è stata respinta da questo Collegio l’istanza di sospensione degli effetti della sentenza impugnata. La causa è stata trattenuta in decisione nella pubblica udienza del 5 novembre 2002.

Diritto.

1. L’appello si fonda sull’assunto che in applicazione dell’art.2 della legge regionale n.30 del 1990, il rilascio della concessione edilizia per la costruzione dell’impianto di stabulazione de quo doveva essere preceduto dall’adozione di un piano attuativo. In particolare, l’appello contesta l’impianto argomentativo della sentenza che risulta fondato sulla tesi che la delibera consiliare n.1369 del 1989 , in quanto anticipazione del piano particolareggiato e riferita ad un’area destinata comunque ad insediamenti tecnologici, tenuto conto del suo approfondito impianto istruttorio, presenterebbe ex se valenza di strumento attuativo, pienamente autonomo.

 La variante di destinazione del PRG, sicuramente intervenuta nel 1978, non farebbe venir meno , secondo il Comune appellante, la necessità di adottare comunque un ulteriore piano attuativo quale strumento pianificatorio che deve in ogni caso precedere il rilascio della singola concessione edilizia: e tale strumento attuativo non potrebbe essere identificato nella delibera consiliare che ha approvato il progetto di impianto di stabulazione in questione : tale approvazione non potrebbe ex se operare quale anticipazione e sostituzione del piano particolareggiato.

2..La tesi del Comune non è fondata. In linea generale è ben possibile che una deliberazione consiliare, a determinate condizioni , possa operare come elemento anticipatorio di un piano particolareggiato, purchè in coerenza col PRG e le sue varianti. La tecnica della legge regionale n.30 del 1990 non porta affatto alla conclusione che tutte le deliberazioni comunali che hanno valenza di anticipazione motivata di piani particolareggiati o attuativi devono senza eccezione considerarsi caducate ; ne’ la sua portata innovativa va ricostruita nel senso di una sua generale capacità di richiedere sempre e comunque nuovi atti di programmazione esecutiva, attuativa o particolareggiata , prima della concessione di nuove concessioni, a prescindere dalla valutazione concreta dell’operato del Comune nei casi specifici.

Lo scopo del comando legislativo regionale è quello di creare le condizioni generali che permettano di autorizzare nuovi insediamenti edilizi privati contemporaneamente o dopo la realizzazione delle urbanizzazioni necessarie al fine di evitare l’utilizzazione di parti del territorio in carenza delle strutture urbanistiche essenziali. E’ in questo contesto interpretativo che deve essere valutato il comportamento del Comune di Bari ed il suo rapporto con un operatore economico che intendeva investire sulla base di una ragionevole valutazione degli atti urbanistici dell’ente locale.

3. Nel 1978 , il Comune ha adottato una variante al Piano regolatore , destinata specificamente a consentire la realizzazione di un mercato ittico ed un impianto di stabulazione mitili. Sulla base di questa variante è del tutto plausibile il comportamento di un operatore economico che si insedia nelle aree vocate alla nuova destinazione ed avvia le procedure per i necessari atti concessori edilizi per la realizzazione del nuovo impianto.

Ora il Comune ha negato il rilascio della concessione edilizia prima ritenendo necessaria l’adozione di un piano di recupero , ai sensi dell’art.29 della legge n.47 del 1985 e poi appellandosi all’art.2 della legge regionale n.30 del 1990. Nella presente fase di giudizio la questione si concentra solo sulla portata dell’art.2 della legge regionale citata.

 

4. Nel 1985 la società appellata presentò il progetto per la costruzione di un impianto di stabulazione mitili e acquicoltura: alla domanda seguì una lunga fase istruttoria che , sotto il profilo tecnico e sanitario, pervenne alla conclusione che il progetto aveva una sua coerenza , non presentava pericoli per la pubblica salute ed insisteva su un’area non soggetta a vincoli paesaggistici. Al primo diniego di concessione edilizia , sulla base della asserita necessita di un piano di recupero ai sensi dell’art.29 della legge n. 47 del 1985, seguì , su sollecitazione cautelare del TAR della Puglia adito, una nuova e più aggiornata istruttoria biologica e sanitaria che condusse a risultati positivi, come documentato in atti. La concessione edilizia venne nuovamente negata , questa volta ritenendosi necessaria l’adozione di un piano attuativo o particolareggiato ai sensi della richiamata legge regionale n.30 del 1990.

5.Ora , ai fini della presente decisione, assume un significato centrale l’esatta delimitazione della valenza della delibera del consiglio comunale n.1369 del 15 settembre 1989; adottando tale deliberazione, l’organo consiliare espressamente valutò che era possibile realizzare il progetto di stabulazione in assenza di un piano particolareggiato, in quanto tale progetto presentava una sua autonomia tecnica ed una sua conformità con la specifica destinazione di zona.Tutta l’istruttoria tecnica sottostante all’adozione della delibera de qua è conformata in modo da raccogliere elementi idonei a decidere sulla necessità o meno del piano particolareggiato. L’Amministrazione comunale ha dunque valutato in modo esplicito questo punto , pervenendo alla conclusione che non era necessario il piano particolareggiato,ne’ nel prosieguo di tempo si è attivata per dotarsi di un tal piano di maggior dettaglio.

In particolare, dagli atti emerge che il progetto dell’ impianto di stabulazione presentava un sistema di smaltimento delle acque e di captazione delle stesse dal mare giudicato idoneo sotto il profilo sanitario ed in particolare del tutto autonomo, rispetto alla situazione di urbanizzazione dell’area.

6. L’esistenza di abusi edilizi nell’area circostante e la necessità di risanare ,sul piano urbanistico , una zona segnata da elementi di degrado non appaiono come profili in condizione di inficiare ex post il percorso valutativo che aveva già condotto l’ente locale a ritenere l’impianto coerente con l’assetto urbanistico in vigore e dotato di una sua autonoma capacità di inserirsi , senza pericoli per la pubblica sanità ed in coerenza con la variante del PRG , nel tessuto urbano interessato.

In questo senso, il richiamo all’art.2 della legge regionale n.30, non è conferente: la valenza delle legge regionale è quella descritta in precedenza, e dunque l’operato dell’ente locale va esaminato nella sua coerenza e logicità alla luce degli elementi interni che hanno condotto prima ad assentire l’impianto e poi a negare la concessione edilizia sulla base , da ultimo , di una norma regionale che non può essere invocata come parametro esterno di una valutazione che resta invece tutta legata, nella sua legittimità, alla ragionevolezza e plausibilità del suo percorso interno; percorso che ha condotto l’ente a negare la concessione edilizia sulla base di un’ asserita carenza di un presupposto invece non necessario. In conclusione, per mettere in discussione l’autonomia tecnica, progettuale, sanitaria ed urbanistica del progetto in questione, secondo le risultanze della deliberazione n.1369 del 1989, l’ente locale non può invocare la necessità di un piano attuativo , stabilito dalla legge regionale n.30: tale piano, sulla base dell’assetto urbanistico in vigore non è necessario e l’ambito applicativo della legge regionale in questione non lo impone nel caso in esame.

7. Per le considerazioni svolte l’appello deve essere respinto. Sussistono giusti motivi per compensare interamente le spese di lite tra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe, lo respinge.

Spese di lite interamente compensate tra le parti.

Ordina alla Pubblica Amministrazione di dare esecuzione alla presente decisione.

Così deciso in Roma , nella Camera dei Consiglio del 5 novembre 2002, con la partecipazione di:

 

Agostino Elefante Presidente

Giuseppe Farina Consigliere

Marco Lipari Consigliere

Marzio Branca Consigliere

Paolo De Ioanna Consigliere estensore.

 

 

L'ESTENSORE IL PRESIDENTE

F.to Paolo De Ioanna F.to Agostino Elefante

IL SEGRETARIO

F.to Antonietta Fancello