Consiglio di Stato Sez. II n. 3545 del 6 maggio 2021
Urbanistica.Effetti della presentazione dell’istanza di sanatoria sul provvedimento sanzionatorio

La presentazione di una istanza di accertamento di conformità, ex art. 36 D.P.R. n. 380 del 2001 non rende inefficace il provvedimento sanzionatorio pregresso; non vi è pertanto alcuna automatica necessità per l’amministrazione di adottare, se del caso, un nuovo provvedimento di demolizione. Essa determina soltanto un arresto dell’efficacia dell’ordine di demolizione, che opera in termini di mera sospensione dello stesso. La domanda di condono edilizio, invece, sospende per esplicita previsione del legislatore il procedimento sanzionatorio e, laddove sia accolta, determina la definitiva inapplicabilità delle sanzioni. Di conseguenza le eventuali ordinanze demolitorie già emanate, pur non essendo illegittime, perdono la propria efficacia e non possono essere portate in esecuzione. L’acquisizione gratuita al patrimonio comunale delle opere edilizie abusivamente realizzate è una misura di carattere sanzionatorio che consegue all’inottemperanza dell’ordine di demolizione. L’obbligatorietà del provvedimento non esclude tuttavia l’applicazione del principio amministrativo di proporzionalità: il bene da acquisire pertanto non solo deve essere individuato con sufficiente precisione, ma nell’applicazione della sanzione l’amministrazione comunale può acquisire l’area in misura graduata e strettamente necessaria all’obiettivo dell’interesse pubblico perseguito


Pubblicato il 06/05/2021

N. 03545/2021REG.PROV.COLL.

N. 03497/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3497 del 2013, proposto dalla Società River Sea S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Piera Sommovigo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Genova, via Malta, n. 2, interno 2 A

contro

il Comune di Ameglia, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per la Liguria, Sez. I, n. 699 del 2013, concernente l’accertamento di inottemperanza all’ingiunzione a demolire opere edilizie abusive


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 30 marzo 2021, il Cons. Antonella Manzione in collegamento da remoto in videoconferenza;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con la sentenza n. 699 del 19 aprile 2013 il T.A.R. per la Liguria ha respinto il ricorso della Società River Sea, proprietaria del centro ippico “Corte di Camisano” nel Comune di Ameglia, per l’annullamento dell’accertamento di inottemperanza all’ingiunzione a demolire (n. 2 del 9 aprile 2011) una tensostruttura in acciaio con copertura di teli in PVC delle dimensioni di m. 59,80 × 23,80, nonché un box prefabbricato in adiacenza ad essa, eseguiti in assenza di titolo autorizzativo, prefigurando l’esecuzione d’ufficio in danno del responsabile dell’abuso. La Società lamentava la violazione degli artt. 31 e 36 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, richiamando l’indirizzo giurisprudenziale in forza del quale l’avvenuta presentazione, nel caso di specie in data 8 luglio 2011, di una domanda di accertamento di conformità, avrebbe dovuto comportare la sospensione del procedimento sanzionatorio e la rivalutazione dell’abusività dell’opera, sia pure al solo fine di verificare la sua eventuale sanabilità (Cons. Stato, sez. IV, 16 settembre 2011, n. 5228). Il Tribunale adito, pur riconoscendo l’esistenza dell’orientamento richiamato dalla parte, a suo dire riferibile peraltro ai soli casi di avvenuta impugnativa dell’ingiunzione a demolire, riteneva di non aderirvi, affermando piuttosto che la presentazione della domanda di sanatoria determina soltanto un arresto dell’efficacia della misura ripristinatoria, nel senso che questa è sospesa, «determinandosi uno stato di temporanea quiescenza dell’atto, all’evidente fine di evitare, in caso di accoglimento dell’istanza, la demolizione di un’opera che, pur realizzata in assenza o difformità dal permesso di costruire, è conforme alla strumentazione urbanistica vigente (cfr., tra le tante, T.A.R. Campania, II Sezione, 4 febbraio 2005, n. 816 e 13 luglio 2004, n.10128)».

2. La Società River Sea (d’ora in avanti, solo la Società) ha impugnato la sentenza del T.A.R. per la Liguria, riproponendo con un unico articolato motivo le doglianze originarie: la presentazione della domanda di sanatoria doveva comportare l’apertura di un nuovo procedimento, a prescindere dall’avvenuta impugnativa dell’ingiunzione a demolire, che andava comunque reiterata all’esito delle nuove valutazioni compiute sulla possibilità di regolarizzazione dell’opera (cfr. ex multis Cons. Stato, sez. V, 19 aprile 2013, n. 2221); l’avvenuta decorrenza dei 60 giorni fissati dal T.U.E. per la pronuncia del Comune sulla stessa ha il significato di inadempimento, non di rifiuto, siccome confermato, oltre che dalla disciplina regionale (art. 49 della L.R. n. 16 del 2008), dal tenore letterale dell’ordinanza cautelare pronunciata dal medesimo T.A.R., ove si dà atto che il relativo procedimento era ancora “pendente”.

3. Il Comune di Ameglia non si è costituito in giudizio.

4. Con istanza versata in atti il 18 maggio 2019, reiterata con identica motivazione in data 19 febbraio 2021, la Società chiedeva disporsi il rinvio della trattazione della causa ovvero la sua cancellazione dal ruolo in ragione della riferita valorizzazione della zona ove si inserisce l’abuso, grazie anche al completamento delle opere di rifacimento dell’argine del fiume Magra.

5. Alla pubblica udienza del 30 marzo 2021, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

6. Preliminarmente il Collegio ritiene di dovere respingere l’istanza di rinvio ovvero di cancellazione della causa dal ruolo, motivata attraverso un generico richiamo al mutamento dello stato dei luoghi, neppure recepito in un qualche atto di pianificazione territoriale, senza alcuna indicazione specifica delle ragioni per le quali esso dovrebbe interferire con gli esiti dell’odierno procedimento. Il Collegio ritiene altresì di attribuire rilievo alla impossibilità di acquisire l’avviso in merito del Comune di Ameglia, che non si è costituito in nessuno dei due gradi di giudizio. L’istituto della cancellazione dal ruolo, infatti, non previsto espressamente dal processo amministrativo, in quanto assimilabile ad una sospensione concordata del giudizio, pare ipotizzare se non l’accordo tra le parti, quanto meno la mancata opposizione di una di esse. Vero è che l’assenza dell’Amministrazione dal processo non può certo essere equiparata ad una opposizione, con ciò risolvendosi in uno svantaggio per l’appellante. Tuttavia nel caso di specie, ove si controverte della validità del segmento terminale di un procedimento sanzionatorio di un abuso edilizio ormai risalente nel tempo, non appare opportuno procrastinare ulteriormente la decisione, tanto più ove ciò si risolva, come avvenuto sino ad oggi, in un ingiustificato immobilismo dell’Ente locale, con conseguente indebita protrazione della sospensione di fatto dell’efficacia di provvedimenti a contenuto necessitato.

7. Nel merito, l’appello è infondato.

8. Elemento essenziale della controversia è l’inquadramento delle conseguenze dell’avvenuta presentazione di un’istanza di sanatoria sul procedimento sanzionatorio per l’originario intervento illecito, vuoi che esso si sia già concretizzato, come nel caso di specie, nell’adozione dell’ingiunzione a demolire, vuoi che il Comune non abbia ancora provveduto al riguardo.

Il Collegio non può disconoscere la presenza al riguardo di un contrasto giurisprudenziale in punto di diritto, seppure con differenti sfumature argomentative, di cui è traccia anche all’interno della Sezione. Segnatamente, a fronte di un indirizzo per cui la presentazione della domanda implica ex se l’inefficacia tout court dell’ordine di demolizione (e degli atti che ne conseguono), con obbligo per l’amministrazione di pronunciarsi nuovamente sull’illecito edilizio sottostante (cfr. ex multis Cons. Stato, sez. VI, 3 marzo 2020, n. 1540; sez. II, 10 agosto 2020, n. 4982; id., 20 dicembre 2019, n. 8637; C.G.A.R.S., 15 maggio 2018, n. 271), vi è un’altra corrente giurisprudenziale favorevole al riconoscimento della inefficacia solo temporanea dell’atto, con sua conseguente “riespansione” all’esito della definizione del procedimento di sanatoria, ovvero di maturazione del termine legalmente stabilito per la sua definizione (in tal senso, fra le molte, Cons. Stato, sez. II, 19 febbraio 2020, n. 1260; id., 13 giugno 2019, n. 3954; sez. VI, 1 marzo 2019, n. 1435; id., n. 5854 del 2018 e 11 ottobre 2018, n. 1171). Sul piano processuale, la prima opzione si risolve nella necessaria declaratoria di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnativa dell’ordinanza a demolire, a seconda che la richiesta di sanatoria sia intervenuta prima o dopo la proposizione della stessa, laddove la seconda implica la possibilità di scrutinare l’atto nel merito, siccome effettuato dal T.A.R. per la Liguria nella sentenza impugnata.

8.1. Tali divergenze si riscontrano specularmente anche nei Tribunali territoriali, con la conseguenza, quanto meno inopportuna, di effetti conformativi differenti da Regione a Regione, spesso stigmatizzati dalla dottrina di settore. Sempre allo scopo di correttamente inquadrare la strategicità della tematica nelle politiche di governo del territorio, e limitando i richiami ai pronunciamenti più recenti, si può dunque ricordare come si sono espressi reiteratamente nel senso della definitiva inefficacia dell’ordine di demolizione a seguito di presentazione dell’istanza di sanatoria il T.A.R. per la Toscana, il T.A.R. per la Lombardia, il T.A.R. per il Molise e il T.A.R. per la Campania, sede di Salerno; per contro, propendono per la temporanea sospensione dell’esecuzione del provvedimento, il medesimo T.A.R. per la Campania, sede di Napoli e il T.A.R. per il Lazio. Si trova dunque affermato che «la presentazione dell’istanza di accertamento di conformità, ai sensi dell’articolo 36 del d.P.R. n. 380 del 2001 e dell’art. 140 della L.R. n. 1/2005, successivamente all’emanazione dell’ordinanza di demolizione, produce l’effetto di rendere inefficace il pregresso provvedimento di demolizione, in quanto il necessario riesame dell’abusività o meno dell’opera obbliga l’Amministrazione ad una nuova valutazione della situazione di abusività che impatta sulla precedente ordinanza di demolizione (emanata, appunto, sul presupposto dell’illegittimità dell’opera), rendendola inefficace; pertanto, anche nel caso in cui l’accertamento ex art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001 o ex art. 140 della L.R. n. 1/2005 si concludesse negativamente, la P.A. sarà comunque tenuta ad emanare una nuova ordinanza di demolizione, con l’assegnazione di un nuovo termine per adempiere; da ciò consegue che l’interesse a ricorrere del privato proprietario viene traslato, innanzitutto, sugli eventuali provvedimenti di rigetto della domanda di sanatoria e, successivamente, sulla nuova ordinanza di demolizione adottata dall’amministrazione in conseguenza al rigetto dell’istanza di sanatoria edilizia» (T.A.R. per la Toscana, sez. III, 21 maggio 2019, n. 749, successivamente ripresa dalla medesima sezione, 4 febbraio 2021, n. 203). Può altresì richiamarsi la sentenza del T.A.R. per la Lombardia (sede di Milano, 23 novembre 2018, n. 2635), che, dopo aver premesso di pronunciarsi «in linea con la consolidata giurisprudenza», ha riferito la lettura data delle norme all’istanza di sanatoria in genere, «sia essa di accertamento di conformità sia essa di condono», avendo entrambe l’effetto di «rendere inefficace l’ordinanza di demolizione delle opere abusive e, quindi, improcedibile l’impugnazione della stessa per sopravvenuta carenza di interesse». In senso diametralmente opposto, può ricordarsi quanto deciso dal T.A.R. per il Lazio (sez. II quater, 1 febbraio 2021, n. 1245), che egualmente richiamando «l’orientamento consolidato della giurisprudenza, pienamente condiviso dal Collegio», ha concluso ricordando come «la presentazione di una istanza di accertamento di conformità ex art. 36 d.P.R. n. 380 del 2001 non rende inefficace il provvedimento sanzionatorio pregresso, non essendovi dunque un’automatica necessità per l’amministrazione di adottare, se del caso, un nuovo provvedimento di demolizione. La domanda di accertamento di conformità determina infatti “un arresto dell’efficacia dell’ordine di demolizione, ma tale inefficacia opera in termini di mera sospensione” (così ex multis e da ultimo: Consiglio di Stato sez. VI, 15 gennaio 2021, n. 488), sicché qualora si formi il silenzio-rigetto per il decorso infruttuoso dei 60 giorni, ai sensi dell’art. 36, comma 3, ovvero l’amministrazione adotti un provvedimento di rigetto espresso, l’ordine di demolizione riacquista la sua efficacia». Infine il T.A.R. per la Campania, sede di Napoli ( 21 gennaio 2021, n. 469), contraddicendo quanto a suo tempo ritenuto dai giudici della sede staccata di Salerno (sez. I, 15 novembre 2013, n. 2266) afferma « che l’istanza di accertamento di conformità ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. n. 380/2001 non incide sulla legittimità della previa ordinanza di demolizione pregiudicandone definitivamente l’efficacia, ma ne sospende soltanto gli effetti fino alla definizione, espressa o tacita, dell’istanza, con il risultato che non dovrà essere riesercitato il potere sanzionatorio e che la demolizione, come nella specie, potrà (e dovrà) essere portata ad esecuzione dall’onerato una volta rigettata l’istanza, decorrendo il relativo termine di adempimento dalla conoscenza del diniego (orientamento consolidato: cfr. per tutte Consiglio di Stato, Sez. VI, 2 febbraio 2015 n. 466)». Al di là, dunque, delle apprezzabili motivazioni e argomentazioni sottese a ciascuna delle richiamate, non è chi non veda come l’effetto pratico delle stesse si risolva in una potenziale gestione a geometria territoriale variabile delle pratiche di sanatoria, con indicazione dell’obbligo di reiterazione del provvedimento demolitorio e conseguente sostanziale remissione nei termini per ottemperare in alcune di esse, laddove ciò risulta almeno di regola sconsigliato in altre.

9. Tanto premesso, il Collegio ritiene necessario chiarire sinteticamente i contorni giuridici della controversia, anche allo scopo di individuare, per quanto possibile, la radice normativa di tali letture contrapposte. Non senza premettere come in realtà le maggiori problematiche, cui il giudice ha tentato di porre rimedio, conseguono alle distorsioni applicative degli uffici, la cui prassi è spesso connotata, soprattutto in ambito urbanistico-edilizio, da eterogeneità gestionali perfino sull’inquadramento terminologico dei singoli interventi (per rimediare alle quali si pensi, da ultimo, all’avvenuta approvazione di un vero e proprio “glossario unico” in attuazione dell’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 222 con decreto del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.81 del 7 aprile 2018). Le lungaggini istruttorie peraltro costituiscono un fattore di criticità spesso portato ad esempio delle difficoltà pratiche connesse all’effettivo utilizzo degli strumenti di semplificazione via via introdotti dal legislatore. La non semplice ricerca di un punto di equilibrio tra la doverosa responsabilizzazione del privato, che deve darsi cura di corredare le proprie istanze con quanto necessario da subito ad attribuire loro consistenza e renderle “esaminabili” dall’Amministrazione e, quale contraltare, l’approccio collaborativo di quest’ultima, si gioca spesso proprio sulla auspicata unicità e tempestività delle richieste di integrazione, evitando la reiterazione dei contatti per il semplice tramite di una valutazione iniziale esaustiva e trasparente ( anche a tale riguardo, si veda la novella all’art. 20 del T.U.E. attuata con il d.l. 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla l. 11 settembre 2020, n. 120, che con riferimento al permesso di costruire ha espressamente previsto che, fermi restando gli effetti comunque prodotti dal silenzio, lo sportello unico per l’edilizia dei Comuni rilasci anche in via telematica, entro quindici giorni dalla richiesta dell’interessato, un’attestazione circa il decorso dei termini del procedimento, in assenza di richieste di integrazione documentale o istruttorie inevase e di provvedimenti di diniego).

10. Va ora ricordato come col termine “sanatoria” vengono tradizionalmente intesi due istituti completamente diversi per presupposti e finalità, il cui unico tratto comune è dato dalla circostanza che entrambi si risolvono nella legittimazione di un intervento successiva alla sua realizzazione.

10.1. L’accertamento di conformità, o “sanatoria ordinaria” consiste dunque nella regolarizzazione di abusi “formali”, in quanto l’opera è stata sì effettuata senza il preventivo titolo o in difformità dallo stesso, ma senza violare la disciplina urbanistica vigente sia al momento della sua realizzazione che a quello di presentazione della domanda (c.d. “doppia conformità”).

La genesi dell’istituto risale alla legge 28 febbraio 1985, n. 47 (art. 13), che ha ripreso, ampliandone la portata, la limitata previsione già contenuta nella l. 28 gennaio 1977, n.10. Prima di allora, già si disquisiva in verità in ordine alla ammissibilità della sanatoria, anche parziale, degli illeciti edilizi, e si era comunque fatto strada l’orientamento in base al quale l’amministrazione poteva rilasciare una licenza postuma per le opere edificate senza o in contrasto con il titolo edilizio, purché conformi allo strumento urbanistico in vigore al momento del rilascio. Oggi la relativa disciplina è stata trasfusa nell’articolo 36 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (T.U.E.), che prevede un procedimento a domanda di parte, sostituito in alcune Regioni dalla presentazione di una S.C.I.A.

11. La parola “condono”, invece, seppure entrata nell’uso comune, a stretto rigore non figura in alcun testo legislativo, complice una certa ritrosia linguistica ad utilizzare un termine evidentemente evocativo della portata sanante di situazioni “sostanzialmente” illecite, previo pagamento di una sanzione pecuniaria che produce l’effetto di estinguere anche la fattispecie penale identificabile nella relativa costruzione. In particolare, in Italia si sono succedute tre leggi di condono: la prima è contenuta nei capi IV e V della l. n. 47/1985, e dunque si collocava almeno in un contesto di nuova regolamentazione della materia con l’introduzione di una serie di strumenti dissuasivi per gli abusi futuri; le successive, invece, si inseriscono in testi del tutto eterogenei e per lo più finalizzati ad esigenze di pubblico erario, e si risolvono nella sostanziale estensione del lasso di tempo entro il quale l’abuso doveva essere stato ultimato per poter fruire del beneficio. Trattasi dell’art. 39 della l. 23 dicembre 1994, n. 724 (c.d. “secondo condono”), la cui disciplina procedimentale è stata completata con la l. n. 662 del 1996; nonché dell’art. 32 della l. 24 novembre 2003, n. 326, di conversione del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, che ha applicato la disciplina del condono, quale risultante da ridetti capi IV e V della l. n. 47/1985, come modificati dall’art. 39 della l. n. 724/1994, alle opere abusive ultimate entro il 31 marzo 2003, seppure ponendo l’ulteriore limite che esse non abbiano comportato un ampliamento del manufatto superiore al 30 % della volumetria originaria o, in alternativa, superiore a 750 metri cubi.

12. Il fatto che le finestre temporali, pure prorogate, per accedere al condono si siano chiuse rispettivamente il 30 novembre 1985, il 31 marzo 1995 e il 10 dicembre 2004, non ha comunque reso obsoleto l’istituto: sebbene siano trascorsi alcuni decenni dalla presentazione delle istanze, infatti, non sono pochi i Comuni italiani presso i quali tali pratiche sono ancora in attesa di definizione, cosicché anche questa tipologia di istanza, al pari di quella ordinaria, deve essere tenuta presente in sede di analisi delle sanatorie edilizie.

12.1. L’art. 35, comma 17, della l. n. 47/1985, prevede che « Fermo il disposto del primo comma dell’articolo 40 [rappresentazione dolosamente infedele]e con l’esclusione dei casi di cui all’articolo 33 [contrasto con vincoli nominativamente indicati ], decorso il termine perentorio di ventiquattro mesi dalla presentazione della domanda, quest’ultima si intende accolta ove l’interessato provveda al pagamento di tutte le somme eventualmente dovute a conguaglio ed alla presentazione all’ufficio tecnico erariale della documentazione necessaria all’accatastamento».

Il significato di accoglimento attribuito al silenzio serbato sulle istanze di condono va comunque conciliato con il rilievo che spesso le stesse non presentano neppure i requisiti minimi ovvero sono prive del corredo documentale obbligatorio perché il termine possa perfino cominciare a decorrere. Sul punto, è sufficiente ricordare quanto più volte affermato da questo Consiglio di Stato, ovvero che la completezza della domanda, «sia nel senso del corredo documentale obbligatorio, che avuto riguardo alle somme dovute, incide sia sulla decorrenza del termine per la formazione del silenzio assenso, sia ai fini della riconosciuta possibilità all’Amministrazione di verificare la congruità dei versamenti effettuati» (cfr. ex plurimis Cons Stato, sez. II, 12 aprile 2021, n. 2952).

Quanto detto non giustifica tuttavia le rilevate giacenze, stante che a maggior ragione a fronte di iniziative inconsistenti sul piano giuridico il Comune dovrebbe determinarsi nel senso dell’archiviazione o del rigetto, anziché attendere una qualche iniziativa compulsiva della parte privata, con ciò riallineando la situazione di diritto a quella di fatto.

13. Ciò a maggior ragione tenuto conto che l’art. 38, comma 1, della legge n. 47 del 1985, prevede espressamente che «La presentazione entro il termine perentorio della domanda di cui all’articolo 31, accompagnata dalla attestazione del versamento della somma di cui al primo comma dell’articolo 35, sospende il procedimento penale e quello per le sanzioni amministrative». Il successivo art. 44 della medesima legge, precisa poi che dalla sua entrata in vigore e fino alla scadenza dei termini per la presentazione della domanda di condono, «sono sospesi i procedimenti amministrativi e giurisdizionali e la loro esecuzione, quelli penali nonché quelli connessi all’applicazione dell'articolo 15 della legge 6 agosto 1967, n. 765, attinenti al presente capo». L’indicazione, comprensibile in ragione della particolare incisività del vaglio richiesto all’Amministrazione, finanche con riferimento alla correttezza dell’oblazione sulla base di indicazioni tipologiche tabellari non sempre di immediata applicabilità, in combinato disposto con i ritardi nella definizione delle pratiche, che seppure incomplete non vengono né respinte né compulsate dalle parti, determina una stigmatizzabile procrastinazione di rimozioni comunque ineludibili giusta la natura permanente dell’illecito edilizio.

14. La maggiore laconicità delle indicazioni del legislatore in materia di sanatoria ordinaria, non implica affatto neutralità o disinteresse alla problematica, sì da rendere la lacuna colmabile liberamente dall’interprete. Al contrario, essa sottintende una scelta ben precisa e del tutto diversa da quella -esplicitata- in materia di condono. E’ proprio la natura e l’incisività delle verifiche richieste in un caso e non nell’altro ad imporre le divergenti conclusioni. La più volte richiamata natura sostanziale dell’illecito, seppure già “colpito” da provvedimento sanzionatorio, ne impone un vaglio di compatibilità con il paradigma normativo a fini di sanatoria. Al contrario, la necessità di istruire la pratica come si trattasse di richiesta di un titolo preventivo, seppure avanzata in maniera postuma, non comporta alcun giudizio di valore, ma solo di astratta conformità e costituisce atto dovuto a condizioni date. L’illiceità dell’intervento, dunque, nel caso del diniego di condono viene “ribadita” perché se ne è in concreto esclusa la sanabilità; nel caso della sanatoria invece viene semplicemente confermata, perché evidentemente l’opera non rientrava nei canoni della mera irregolarità formale e dunque l’abuso, insanabile al di fuori delle cornici temporali speciali ricordate, aveva natura esso pure sostanziale.

14.1. Vero è che sotto la vigenza dell’art. 13 della legge n. 47 del 1985 la giurisprudenza si era significativamente attestata nel senso che la presentazione della domanda di accertamento di conformità non solo impedisse l’esecuzione dell’ingiunzione, imponendo al Comune il previo esame della domanda di sanatoria, ma implicasse anche la necessità, in caso di rigetto, dell’adozione di una nuova misura demolitoria (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 12 novembre 2008, n. 5646; sez. IV, 12 maggio 2010, n. 2844). La conferma, tuttavia, di una disciplina diversificata delle sanatorie conseguita all’entrata in vigore del T.U.E., induce il Collegio ad aderire all’orientamento, anche di recente affermato da altra Sezione del Consiglio di Stato, che vuole distinte le conseguenze giuridiche della presentazione delle relative domande in caso di condono e in caso di accertamento di conformità (cfr. Cons. Stato, sez. VI , 16 febbraio 2021, n. 1432).

15. Rileva infine il Collegio come l’istanza di accertamento di conformità spesso consegua proprio all’avvenuto avvio di un procedimento sanzionatorio, stante che la sua proposizione è consentita fino alla «scadenza dei termini di cui agli articoli 31, comma 3, 33, comma 1, 34, comma 1», ovvero fino all’irrogazione delle sanzioni amministrative (art. 36, comma 1, del T.U.E.). E’ pertanto fisiologico che il relativo procedimento intersechi quello sanzionatorio, che anzi ne costituisce spesso il fattore determinante della decisione, proprio allo scopo di non incorrere nella effettiva demolizione.

In tale ottica, evidenti ragioni di economicità e coerenza dell’azione amministrativa portano a ritenere inevitabile una sospensione temporanea dell’esecuzione del provvedimento demolitorio, ma per il tempo strettamente necessario alla definizione, anche solo tacita, del procedimento. Non vi è ragione di ritenere che il mancato accoglimento dell’istanza ne imponga poi la successiva riadozione, con ciò consentendo al privato, destinatario di un provvedimento sanzionatorio, il potere di paralizzare, attraverso un sostanziale annullamento, intrinseco nella mera presentazione di una domanda, finanche pretestuosa, quel medesimo provvedimento.

Quanto detto pone astrattamente l’esigenza, pure prospettata da taluni interpreti, di “azzerare” quanto meno il termine per la demolizione spontanea in caso di diniego, evitando che il privato che si sia attivato allo spirare dei 90 giorni o del diverso termine accordatogli nel provvedimento, si veda soggetto alla grave conseguenza dell’acquisizione del bene al patrimonio pubblico senza un minimo di tempo per mettersi spontaneamente in regola demolendo l’abuso. L’automatico autonomo dispiegarsi degli effetti dell’ordinanza già emanata, infatti, incide necessariamente anche sulle modalità applicative dell’acquisizione gratuita dell’abuso edilizio, stante che il termine -di 90 giorni o diversamente indicato nel provvedimento- per l’esecuzione spontanea rimane “congelato” soltanto durante la pendenza della pratica di sanatoria, ma nel momento in cui quest’ultima viene rigettata esso riprende automaticamente a decorrere. Va tuttavia ricordato che l’effetto acquisitivo non consegue all’ordinanza ingiunzione a demolire, bensì all’accertamento dell’inottemperanza alla stessa, che per quanto consta nella prassi non avviene mai in maniera meccanicistica alla scadenza del termine, risolvendosi di fatto in una diluizione ulteriore dello stesso. Di tali anomalie della singola fattispecie, inoltre, potrà -recte, dovrà- farsi carico l’Amministrazione, valutando l’opportunità di una rimessione in termini o dilazione degli stessi, ove ad esempio il diniego, sopravvenuto a distanza di molto tempo, consegua ad interlocuzioni istruttorie ostative alla formazione del silenzio rigetto, e che anche per tale ragione abbiano ingenerato nel privato una legittima aspettativa nel buon esito della pratica. Ciò risponde al dovere delle amministrazioni pubbliche di comportarsi secondo correttezza e buona fede nei rapporti con i cittadini, che come la Sezione ha già avuto modo di rilevare (Cons. Stato, sez. II, 20 novembre 2020, n.7237) anche la legislazione ha assecondato progressivamente, inserendone la previsione nella legge fondamentale sul procedimento amministrativo, n. 241 del 1990, a sottolinearne la strategicità (v. comma 2 bis dell’art. 1, rubricato “Principi generali dell’attività amministrativa”, inserito in sede di conversione del già richiamato decreto legge “semplificazioni”).

16. La regola generale per la definizione del procedimento di sanatoria, è, dunque, la sua conclusione in 60 giorni. L’art. 36, comma 3, del T.U.E., infatti, fissa in tale termine quello entro il quale il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale deve pronunciarsi con adeguata motivazione, decorsi il quale la richiesta si intende rifiutata. Soprattutto in passato si è ampiamente disquisito sulla portata della decorrenza infruttuosa di tale termine sia avuto riguardo ai possibili rimedi accordati alla parte, sia in relazione alla pronuncia negativa tardiva del Comune (v. T.A.R. per il Lazio, sez. II, 8 gennaio 1994, n. 2; T.A.R. per la Lombardia, 30 luglio 1996, n. 1257; T.A.R. per il Molise, 9 dicembre 1994, n. 327, nel senso che il giudice può statuire solo l’obbligo di provvedere; contra, T.A.R. per le Marche, 18 dicembre 1992, n. 777; T.A.R. per la Sicilia, 14 giugno 1991, n. 490, che riconoscono un sindacato sul provvedimento tacito). La questione appare ormai superata da un diffuso orientamento giurisprudenziale, cui il Collegio ritiene di aderire, in forza del quale il silenzio dell’Amministrazione sulla istanza di accertamento di conformità di cui all’art. 36 del testo unico sull’edilizia ha un valore legale tipico di rigetto e cioè costituisce una ipotesi di silenzio significativo al quale vengono collegati gli effetti di un provvedimento esplicito di diniego ( cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 1 febbraio 2017, n. 410; id., 6 giugno 2008, n. 2691).

16.1. Di fatto, la norma, al pari della sua omologa del 1985, non prevede il rilascio del permesso di costruire in sanatoria oltre il termine di 60 giorni, «ma non dispone espressamente che il decorso del termine ivi indicato rappresenti, sul piano procedimentale, la chiusura del procedimento e specularmente determini, sul piano sostanziale, la definitiva consumazione del potere, con conseguente cristallizzazione della natura abusiva delle opere» (Cons. di Stato, sez. IV, 2 ottobre 2017, n. 4574). In mancanza, cioè, di un’esplicita prescrizione di decadenza, la decorrenza del termine di sessanta giorni non consuma il potere dell’Amministrazione di provvedere sull’istanza. Per vero, infatti, la previsione in subiecta materia di un’ipotesi di silenzio significativo è stata dettata nell’interesse precipuo del privato, cui è stata in tal modo consentita una sollecita tutela giurisdizionale. Il successivo, eventuale atto espresso di diniego, impugnabile con motivi aggiunti, non è inutiliter datum, posto che il relativo (e doveroso) corredo motivazionale individua le ragioni della decisione amministrativa e consente di meglio calibrare le difese dell’istante che ritenga frustrato il proprio interesse alla regolarizzazione ex post di quanto ex ante realizzato sì sine titulo, ma comunque, come più volte ricordato, nel rispetto della disciplina urbanistica. Di converso, il terzo (a qualunque titolo) controinteressato non è leso dal fatto che, dopo un iniziale contegno inerte, l’Amministrazione in seguito provveda all’accoglimento dell’istanza con atto espresso: a prescindere dal fatto che, maturato il silenzio-rigetto, il terzo che ne abbia interesse può compulsare il Comune affinché adotti i conseguenti provvedimenti sanzionatori, contro l’eventuale accoglimento espresso sopravvenuto il terzo può insorgere in via giustiziale o giurisdizionale e lamentare non un inesistente vizio di tardività, ma eventuali illegittimità sostanziali ostative al positivo riscontro dell’istanza, il cui accoglimento, in presenza dei presupposti di legge, ha, per vero, natura vincolata. Ciò non senza ricordare come le norme sui termini, se non incidono sulla validità del provvedimento amministrativo, rappresentano comunque il parametro alla cui stregua vagliare l’esercizio dell’attività amministrativa sotto il profilo della liceità.

17. In sintesi, la domanda di condono sospende per esplicita previsione del legislatore il procedimento sanzionatorio e, laddove sia accolta, determina la definitiva inapplicabilità delle sanzioni. Di conseguenza le eventuali ordinanze demolitorie già emanate, pur non essendo illegittime, perdono la propria efficacia e non possono essere portate in esecuzione. Il tempo necessario alla definizione della pratica, che implica una effettiva valutazione dell’abuso sotto il profilo della rispondenza ai parametri, anche temporali, imposti dalla legge, rende necessario reiterare l’ingiunzione a demolire, che trova il proprio fondamento non più nella abusività originaria dell’opera, quanto piuttosto nella sua non condonabilità. Questa soluzione è pacifica per la sanatoria straordinaria, anche perché le leggi di condono sono chiare in tal senso. Ciò si riverbera sull’ eventuale provvedimento acquisitivo, il quale, se assunto prima della definizione dell’istanza di condono, è illegittimo è suscettibile di annullamento. Si riverbera altresì sul regime processuale, determinando la inammissibilità ovvero improcedibilità del ricorso avverso l’ordinanza demolitoria eventualmente già adottata, in quanto di fatto caducata (inefficace) dall’avvenuta presentazione della istanza di condono. Diversamente accade per la sanatoria ordinaria. La presentazione di una istanza di accertamento di conformità, infatti, ex art. 36 d.P.R. n. 380 del 2001, non rende inefficace il provvedimento sanzionatorio pregresso; non vi è pertanto alcuna automatica necessità per l’amministrazione di adottare, se del caso, un nuovo provvedimento di demolizione. Essa determina soltanto un arresto dell’efficacia dell’ordine di demolizione, che opera in termini di mera sospensione dello stesso. In caso di rigetto dell’istanza, che peraltro sopravviene in caso di inerzia del Comune dopo soli 60 giorni, l’ordine di demolizione riacquista la sua piena efficacia (cfr. ancora, Consiglio di Stato, sez. VI, 28 settembre 2020, n. 5669).

18. Volendo ora ricondurre al paradigma sopra delineato la fattispecie in controversia, si ha che l’istanza di sanatoria, presentata l’8 luglio 2011, ovvero nell’imminenza della scadenza del termine assegnato per demolire l’abuso con ordinanza n. 2 del 9 aprile 2011, è rimasta sospesa fino all’avvenuta maturazione del silenzio rigetto previsto dall’art. 36, comma 3, del T.U.E. L’accertamento di inottemperanza, peraltro, lungi dall’essere intervenuto alla scadenza esatta del termine assegnato, consegue ad un sopralluogo in data 4 gennaio 2012, il cui esito, oggetto dell’odierno gravame, è stato notificato alla Società il 17 gennaio 2012. La mancata impugnativa dell’ordinanza ingiunzione a demolire, diversamente da quanto affermato dal primo giudice, si palesa neutra ai fini dell’odierna discussione, comunque incentrata sugli effetti della stessa, ovvero sull’accertamento della sua inottemperanza.

19. Quanto ai contenuti del richiamato accertamento di inottemperanza, asseritamente generici con riferimento alla esatta individuazione dell’area da acquisire al patrimonio comunale, il Collegio ritiene che tale atto, in quanto normativamente configurato alla stregua di un atto ad efficacia meramente dichiarativa, si è limitatoa formalizzare l’effetto (acquisizione gratuita del bene al patrimonio comunale) già verificatosi alla scadenza del termine assegnato con l’ingiunzione stessa. L’acquisizione gratuita al patrimonio comunale delle opere edilizie abusivamente realizzate è infatti una misura di carattere sanzionatorio che consegue all’inottemperanza dell’ordine di demolizione. L’obbligatorietà del provvedimento non esclude tuttavia l’applicazione del principio amministrativo di proporzionalità: il bene da acquisire pertanto non solo deve essere individuato con sufficiente precisione, ma nell’applicazione della sanzione l’amministrazione comunale può acquisire l’area in misura graduata e strettamente necessaria all’obiettivo dell’interesse pubblico perseguito. Alla luce di tale principio, il Comune di Ameglia valuterà se visto il tempo trascorso dall’ingiunzione a demolire e dall’accertata inottemperanza sia sufficiente riferirsi alla stessa al fine di perfezionare l’iter acquisitivo, inspiegabilmente ancora non concluso, senza che neppure risulti, stante l’assenza dal processo dell’Amministrazione, lo stato attuale della situazione in fatto e in diritto, con quanto potrebbe conseguirne in termini di responsabilità dei funzionari interessati.

20. Per quanto sopra detto, l’appello deve essere respinto e per l’effetto deve essere confermata la sentenza del T.A.R. per la Liguria n. 699 del 2013, con le precisazioni di cui in motivazione.

21. Nulla sulle spese del grado di giudizio, attesa la mancata costituzione del Comune di Ameglia.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Nulla sulle spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso dalla Sezione Seconda del Consiglio di Stato con sede in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 marzo 2021, tenutasi con modalità da remoto e con la contemporanea e continuativa presenza dei magistrati:

Gianpiero Paolo Cirillo, Presidente

Giancarlo Luttazi, Consigliere

Giovanni Sabbato, Consigliere

Antonella Manzione, Consigliere, Estensore

Francesco Guarracino, Consigliere