Nuova pagina 2

La disciplina dei rifiuti tra normativa sui rifiuti e normativa sugli scarichi

di Alfredo Montagna

Relazione tenuta al corso "Gestione dei Rifiuti" Rispescia (GR)  maggio 2003 presso il Centro Studi di diritto Ambientale dei CEAG - Legambiente

Nuova pagina 1

La recente evoluzione storica

a)      nel periodo di vigenza del DPR 915/82

L’art. 1 della legge 10 maggio 1976 n. 319, all’art. 1 conteneva uno specifico riferimento agli scarichi diretti ed indiretti allorché precisava come la legge in questione avesse per oggetto “la disciplina degli scarichi di qualsiasi tipo, pubblici e privati, diretti ed indiretti”, individuando altresì come destinazione finale degli stessi “il suolo ed il sottosuolo”.

Nell’altra disposizione fondamentale in materia, il D.P.R. 10 settembre 1982 n. 915, veniva poi previsto, all’art. 2, la applicazione per quanto concerneva “la disciplina dello smaltimento nelle acque, sul suolo e nel sottosuolo dei liquami e dei fanghi” della citata legge n. 319 del 1976, purché non qualificati tossici e nocivi ai sensi dello stesso decreto n. 915.

In relazione a tale quadro normativo la giurisprudenza aveva ricondotto al campo di operatività della legge 319/1976 una serie di fattispecie.

La condotta di gestione dei reflui in vasche a tenuta stagna era stata oggetto di un contrasto giurisprudenziale. Ed infatti secondo Cass. Sez. III 10575 del 23/09/1993 - 20/11/1993  Pres. Accinni G   Est.. Postiglione A, P.M. in proc. Cilento (che Annulla con rinvio, Pret. Sorrento, 15 febbraio 1993) la  legge  10  maggio  1976, n.  319  costituiva il corpo normativo organico più   significativo  in  tema  di  tutela  delle  acque dall'inquinamento,  avendo  per  oggetto, tra l'altro, "la disciplina degli  scarichi  di  qualsiasi  tipo,  pubblici e privati, diretti ed indiretti,  in  tutte  le acque superficiali e sotterranee, interne e marine,  sia pubbliche che private, nonché in fognature, sul suolo e  nel  sottosuolo"  (articolo  1,  primo  comma,  lettera  a). Conseguentemente le norme contenute  in  tale  legge  non potevano non riferirsi  anche a quelle particolari    forme   di  scarico  dei  reflui  di  un  insediamento (produttivo  o  civile)  che  consistono  nello  stoccare  i  residui liquidi   in  vasche  a  tenuta  stagna  per  poi  conferirli  ad  un trasportatore  che li smaltisce in via definitiva conferendoli ad una discarica   autorizzata  ovvero  scaricandoli  in  uno  dei  recapiti indicati nella citata disposizione.

Diversamente Cass. Sez. III 199602078  del 07/05/1996 - 20/06/1996 pres. Chirico C Est. Giampietro P ric. Cilento (Annulla senza rinvio, app. Napoli, 23 novembre 1995) aveva affermato come “In  tema  di  tutela  delle  acque dall'inquinamento, l'immissione di acque   di  rifiuto  (nella  specie  residui  di  lavorazione  di  un caseificio)  in  pozzi  a  tenuta  stagna, periodicamente svuotati da terzi  autorizzati  (le  cosiddette ditte di autospurgo) - qualora non attinga  direttamente  alcuno  dei  corpi  ricettori  indicati  nella lettera  a)  dell'art. 1 legge 10 maggio 1976, n. 319, e cioè "...le acque  superficiali  e  sotterranee,  interne e marine, sia pubbliche che  private,  nonché  in  fognatura,  sul  suolo  e nel sottosuolo" perché  i  pozzi  non  lo consentano in alcun modo - non costituisce una  condotta di "scarico" soggetta al regime autorizzatorio previsto dalla  legge  Merli,  ma  una  distinta operazione di "stoccaggio" di rifiuti,    allo    stato    liquido,    contemplata  e  disciplinata esclusivamente  dal  d.P.R.  10  settembre  1982,  n. 915 come "fase" tipizzata  della più ampia nozione di "smaltimento", di cui all'art. 1 dello stesso decreto.

Il contrasto veniva risolto con la decisione delle Sezioni Unite 199512310 del 27/09/1995 - 13/12/1995 pres. Guasco G Est. Morgigni A ric. Forina (Annulla in parte senza rinvio, App. Bari, 11 ottobre 1994) con il principio di diritto per il quale “Il  d.P.R.  n. 915 del 1982 disciplina tutte le singole operazioni di smaltimento (es: conferimento,  raccolta,  trasporto,  ammasso, stoccaggio)  dei  rifiuti,  siano  essi  solidi  o liquidi, fangosi o sotto  forma di liquami, con esclusione di quelle fasi, concernenti i rifluiti liquidi (o assimilabili),  attinenti  allo  scarico  e riconducibili  alla disciplina stabilita dalla legge n. 319 del 1976, con  l'unica  eccezione  dei  fanghi  e liquami tossici e nocivi, che sono,  sotto  ogni  profilo,  regolati  dal  d.P.R.  n. 915 del 1982. (Fattispecie  in  tema  di  acque  di  lavorazione  delle  olive,  in relazione  alle  quali la S.C. aveva ritenuto che, essendo esse destinate ordinariamente  all'abbandono, andavano  annoverate tra i rifiuti, e in particolare  tra  quelli  speciali,  perche',  giusta quanto disposto dall'art.    2,    comma   quarto,  n.  1  d.P.R.  n.  915,  derivano dall'esercizi  di  impresa  agricola  sul  fondo,  e  in ogni caso da attivita'  agricola,  ne'  perdono  tale  loro  natura allorche' sono collegate  all'attivita'  di  produzione  industriale  dell'olio,  in quanto, sempre  secondo  la  stessa  disposizione,  "derivanti  da lavorazioni  industriali",  con la conseguenza che, mentre lo scarico  di  dette  acque  e le attivita' con esso strettamente collegate sono disciplinati  dalla  legge  n. 319 del 1976, le fasi antecedenti sono regolate dal d.P.R. n. 915 del 1982).

Ulteriori ipotesi di applicazione delle disposizioni di cui alla legge n. 319 venivano poi individuate nella tracimazione di reflui da vasche di raccolta e di deflusso automatico di reflui da vasche realizzate proprio per tale scopo.

 

b) Le novità del D. L.vo 22/1997

Con la entrata in vigore del D. L.vo 5 febbraio 1997 n. 22 le acque di scarico vengono espressamente escluse dal campo di applicazione della normativa sui rifiuti, a meno che non si tratti di rifiuti allo stato liquido, ciò ai sensi dell’art. 8 lett. e) che lo afferma espressamente. Pur in presenza di decisioni di senso contrario va ribadito quanto stabilito a seguito della citata decisione Forina delle S.U., ovvero che la normativa sui rifiuti trovi applicazione per tutte le operazioni di smaltimento di rifiuti liquidi autonome rispetto allo scarico idrico come previsto dalla legge n. 319. (La voce contraria era rappresentata da Cass. Sez. III 199804280 del 13/02/1998 - 09/04/1998 Pres. Dinacci U Est. Onorato PL ric. Ciurletti G. (Annulla senza rinvio, Pretura Trento 29 aprile 1997)   per la quale “In  tema  di  smaltimento  di  rifiuti la definizione di rifiuto come qualunque  sostanza  che  rientri  nelle  categorie  comprese  nel catalogo  dei  rifiuti,  e  della quale il detentore si disfi o abbia deciso  di  disfarsi", comprende anche i rifiuti allo stato liquido (in  presenza  delle  due  citate  condizioni).  Pertanto  l'abbandono incontrollato  sul  suolo  o  l'immissione nelle acque superficiali o sotterranee  di  rifiuti  allo  stato  liquido  compresi nel catalogo europeo  (dei  rifiuti)  andava punito ai sensi dell'art. 50 del decreto legislativo  5  febbraio 1997 n.22; mentre lo scarico di acque reflue non  comprese  nel  suddetto catalogo continuava ad essere disciplinato dalla legge 10 maggio 1976 n.319).

La questione risulta risolta nel senso in precedenza indicato anche per effetto della sentenza 20 maggio 1998 n. 173 della Corte Costituzionale espressasi in senso contrario all’orientamento portato dalla decisione Ciurletti.

Permangono oscillazioni in dottrina sulla applicabilità della disciplina sugli scarichi anche ai rifiuti liquidi pericolosi allorchè venga sversato tramite condotta. Diversamente la Suprema Corte ha ribadito come anche dopo l’entrata in vigore del decreto n. 22, per effetto della disposizione transitoria di cui all’art. 57, comma 1, che equipara i rifiuti tossici e nocivi della precedente normativa (d.p.r. 915 del 1982) ai rifiuti pericolosi della normativa vigente, restano esclusi dalla disciplina sulla tutela delle acque i rifiuti pericolosi (Cass. Sez. III 24 giugno 1999, ric. Belcari).

 

c)      Con l’entrata in vigore del D.L.vo 152/1999

Con la pubblicazione sulla gazzetta ufficiale del 29 maggio 1999 del decreto legislativo 11 maggio 1999 n. 152, Disposizioni sulla tutela delle acque dall’inquinamento, vengono fornite una serie di definizioni utili ai fini della materia che si sta trattando, quale quella di scarico quale “immissione diretta tramite condotta di acque reflue liquide, semiliquide e comunque convogliabili” (art. 1 lett. bb). Nozione che si completa con quanto previsto dall’art. 36 sia con riferimento al divieto di utilizzo degli impianti di trattamento di acque reflue urbane per lo smaltimento dei rifiuti (comma 1), sia con la affermazione che il produttore di rifiuti di cui ai commi 2 e 3 (rifiuti liquidi) ed il trasportatore dei rifiuti sono tenuti al rispetto della normativa in materia di rifiuti prevista dal D. L.vo 22/1997. L’art. 48 prevede altresì che i fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue siano sottoposti alla disciplina dei rifiuti. Una nozione di scarico che va letta in uno con la definizione di condotta, quale concetto di ordine generale che indica una “conduzione”, una convogliabilità, che oltre a ricomprendere canalizzazioni strutturali si allarga a canalizzazioni di fatto, come precisato dalla corte di legittimità allorché si è affermato come la normativa di cui al decreto 152/1999 non impone la presenza di una tubazione che recapiti lo scarico in quanto è sufficiente una condotta, cioè qualsiasi sistema con il quale si consente il passaggio o il deflusso delle acque (Cass. Sez. III 16 febbraio 2000 n. 52, Scaramozza).

In pratica la nozione di scarico introdotta dal D.L.vo 152/1999 costituisce il parametro di riferimento per stabilire, per le acque discarico e per i rifiuti liquidi, l’ambito di operatività delle normative in tema di tutela delle acque e dei rifiuti, così che solo lo scarico di acque reflue liquide, semiliquide e comunque convogliabili, diretto in corpi idrici ricettori, specificamente indicati, rientra in tale normativa; per contro, i rifiuti allo stato liquido, costituiti da acque reflue di cui il detentore si disfi senza versamento diretto nei corpi ricettori, avviandole cioè allo smaltimento, trattamento o depurazione a mezzo di trasporto comunque non canalizzato, rientrano nella disciplina dei rifiuti ed il loro smaltimento va disciplinato ex D.L.vo 22/1997. Così che, come affermato da Cass. Sez. III 199902358 del 24/06/1999 - 03/08/1999 pres. Tonini PM EST. Onorato ric. Belcari (Rigetta, Trib. Pisa, 15 febbraio 1999), “dopo l'entrata in vigore  del  D.lg.  11 maggio 1999, n. 152, intendendosi per scarico il  riversamento  diretto nei corpi recettori, quando il collegamento tra  fonte di riversamento e corpo ricettore e' interrotto viene meno lo  scarico  precedentemente  qualificato  come  indiretto,  per fare posto  alla fase di smaltimento del rifiuto liquido. Conseguentemente in  tale  ipotesi si rende applicabile la disciplina di cui al D.lg. n.  22  del  1997  e  non  quella  della  legge n. 319 del 1976, come  sostituita  dal  D.lg.  n.  152  del  1999.” Principio riaffermato da Cass. Sez. III 18 dicembre 2000 – 28 febbraio 2001 n. 8337, Moscato, che esclude la perseguibilità ai sensi del D. L.vo 152 dello scarico indiretto, rinviando alla eventuale applicabilità del decreto Ronchi.

Le ipotesi a confine, rectius con riferibilità ad entrambe le discipline, hanno determinato la Corte di legittimità ad affermare che “L'impianto  di  depurazione  di un normale insediamento produttivo fa parte  integrante del medesimo e se limita la sua funzione depurativa alle  sole acque reflue del ciclo produttivo da' luogo ad uno scarico in  senso  tecnico sottoposto alla legge 152 del 1999, sia per quanto riguarda  la  preventiva  autorizzazione,  sia  per  l'osservanza dei limiti  legali,  e  non  trova  applicazione  la  distinta  legge sui rifiuti,  in  quanto  il rifiuto liquido e' assorbito nel concetto di scarico  di acque reflue industriali. Solo ove il depuratore raccolga anche  rifiuti  allo  stato  liquido  (quali i solventi) sara' tenuto alla  duplice autorizzazione: regionale, in quanto smaltisce rifiuti, e provinciale o comunale, ex legge 152 del 1999 (Cass. Sez. III 200003628 del 16/11/1999 -05/01/2000 pres. Zumbo A EST. Postiglione A ric. Podella N (Annulla senza rinvio, Trib. Ries. Crotone, 27 maggio 1999).

Peraltro in giurisprudenza si rinvengono posizioni contrarie che sostengono la sopravvivenza dello scarico indiretto ipotizzando la necessità della preventiva autorizzazione nel caso di scarico in vasche a tenuta stagna, dalle quali i reflui venivano successivamente prelevati con autocisterne (Cass. Sez. III 28 settembre 1999 – 5 novembre 1999 n. 12576, Milone). Una posizione che trova conforto nel dettato dell’art. 1, n. 2 lett. e) della Direttiva 76/464 per il quale per Inquinamento deve intendersi “lo scarico effettuato direttamente o indirettamente dall’uomo nell’ambiente idrico di sostanze o energia le cui conseguenze siano tali da mettere in pericolo la salute umana, nuocere alle risorse viventi e al sistema ecologico idrico, compromettere le attrattive o ostacolare altri usi legittimi delle acque”, e che ha fatto affermare alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee che per scarico deve intendersi “qualsiasi atto imputabile ad una persona con il quale è immessa, direttamente o indirettamente, nelle acque una delle sostanze nocive figuranti nell’elenco I o nell’elenco II dell’Allegato alla Direttiva 76/464” (Decisione 29/09/1999 causa C 232/97)

 

d)      La situazione dopo il D.L.vo 258/2000

Il decreto Legislativo 18 agosto 2000 n. 258 ha soppresso l’ipotesi dell’immissione occasionale precedentemente presente nel testo degli artt. 54, comma 1, e 59, comma 5,  in quanto il legislatore ha ritenuto che “la chiara definizione della nozione di scarico prevista dall’art. 2 bb e la formulazione elaborata dalla giurisprudenza anche sotto il vigore della legge 319 del 1976 consentivano di ricomprendere in quest’ultima tutte le immissioni effettuate tramite condotta, anche solo periodiche, discontinue o momentanee” (come recita la Relazione al Decreto 258). Infatti il decreto 152 aveva modificato la precedente disciplina dettata dalla legge Merli distinguendo all’art. 59 tra scarico di acque reflue industriali ed immissione occasionale, e mentre il primo era qualificato nello stesso decreto, la seconda non aveva trovato alcuna definizione finendo con l’indicare tutte le ipotesi di contatto tra reflui, di qualsiasi provenienza e prescindendo dalla continuità, ed i  corpi recettori.

Secondo parte della dottrina la modifica impedirebbe di colmare il vuoto di disciplina per la immissione occasionale attraverso la interpretazione estensiva della nozione di scarico fino a ricomprendervi il concetto di episodicità, sul presupposto che tale interpretazione contrasterebbe con la definizione di scarico fornita dal legislatore nell’art. 2 lett. bb ai sensi del quale sarebbero esclusi dall’ambito di applicazione del decreto 152 gli sversamenti o i rilasci non riconducibili ad una struttura stabile. (Butti. L., La tutela delle immissioni ambientali tra normativa dei rifiuti  e tutela della acque, Incontri del CSM  15/10/2001). In tale ottica l’immissione occasionale di rifiuti liquidi verrebbe a confluire nella previsione dell’art. 14 del D.L.vo 22 che, al comma secondo, dispone che “è altresì vietata l’immissione di rifiuti di qualsiasi genere, allo stato liquido o solido, nelle acque superficiali e sotterranee”, ciò dopo avere comunque vietato, al comma 1, l’abbandono e il deposito incontrollato sul suolo e nel suolo di rifiuti (in genere).

Nel momento in cui non si possa ricondurre la fattispecie alla normativa sui rifiuti (ma ciò vale in genere recuperando le esperienze dell’ecologismo primordiale noto a quanti ricordano la stagione dei cd pretori d’assalto) una prima soluzione è offerta dall’art. 674 c. p. che sanziona il comportamento di chiunque getti o versi in un luogo di pubblico transito o in luogo privato, ma di comune o di altrui uso, cose atte ad offendere o imbrattare  o molestare le persone. Sul punto basta ricordare le numerose pronunce di legittimità che definiscono natura (di pericolo) e condizioni per la integrazione di questo reato. L’altra disposizione individuabile è quella dell’art. 6 del Testo Unico sulla pesca  n. 1604 del 1931, che stabiliva il divieto di scarico nelle acque di sostanze atte ad intorpidirle, a stordire o uccidere i pesci e gli altri animali acquatici.

In questa linea si muove la decisione 14 giugno 2002 – 9 agosto 2002 n. 29651, P.G. in proc. paolini, per la quale l’immissione occasionale, anche se abbia determinato il superamento dei valori limite fissati nelle tabelle 3 e 4 dell’Allegato 5, in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5, non sarebbe più prevista dalla legge come reato a seguito della modifica operata dall’art. 23 , comma 1 lett. e) del D. L.vo 258 all’art. 59 del D. L.vo 152.

 

Una soluzione diversa appare peraltro maggiormente in linea con la ricostruzione del fenomeno nella sua sistematicità, anche in aderenza alla ratio legis che risulta avere ispirato la modifica. Ed infatti non può e non deve essere la valutazione temporale dell’immissione a determinare la scelta sulla natura della stessa, in quanto questa può essere continua, discontinua, periodica, saltuaria, sino ad occasionale, ma conservare sempre la sua natura di scarico. Allorché la decisione della Corte di cassazione 17 dicembre 1999 - 16 febbraio 2000 n. 1774, Scaramozza,  affermava che la normativa di cui al decreto 152 pur distinguendo tra scarico ed immissione occasionale (nella precedente previsione) non imponeva la presenza di una tubazione che recapiti l’immissione, atteso che è sufficiente un qualsiasi sistema con il quale si consente il passaggio o il deflusso delle acque reflue, poneva l’accento sul dato oggettivo dello scarico che è quello della immissione diretta tramite condotta (intesa come qualsiasi sistema per la convogliabilità). Conseguentemente anche dopo le modifiche operate dal decreto 258 permane la rilevanza penale dello scarico che se anche qualificato dal requisito della irregolarità, dell’intermittenza e della saltuarietà, risulti collegato ad un determinato ciclo produttivo industriale ( Cass. Sez. III 7 novembre 2000 – 14 dicembre 2000 n. 12974, Lotti); ma se così è anche l’immissione occasionale di rifiuti liquidi, ma collegati ad un determinato ciclo produttivo, ed effettuato tramite un sistema di convogliabilità, rimane sottoposto alla disciplina del decreto 152 e successive modificazioni.

L’unica ipotesi di immissione occasionale che va ricondotta sotto le previsioni del decreto 22/1997, e successive modificazioni (ove si possa configurare un rifiuto) o delle altre ipotesi tipiche sopra indicate, sarà quella in cui oltre all’episodicità manchi il collegamento strutturale (tramite condotta) e funzionale con un determinato ciclo produttivo industriale.

 

Conclusioni

Alla luce delle riportate riflessioni può affermarsi come la disciplina delle acque trovi applicazione in tutti quei casi nei quali si è in presenza di uno scarico di acque reflue (liquide o semiliquide) in uno dei corpi recettori individuati dalla legge (acque superficiali, suolo, sottosuolo, rete fognaria) effettuato tramite condotta (ovvero tramite tubazioni, o altro sistema stabile) anche se soltanto periodico, discontinuo o occasionale. In ogni altro caso nel quale venga a mancare il nesso funzionale e diretto delle acque reflue con il corpo recettore si applicherà la disciplina in tema di rifiuti, ove configurabile.

Peraltro anche in caso di trasformazione giuridica dell’immissione indiretta da scarico a rifiuto non sempre si verifica la piena applicabilità delle disposizioni di cui al decreto 2271997, così come previsto ex art. 36 (comma 7) del decreto 152/1999 relativamente all’attività di smaltimento di rifiuti liquidi in impianti di trattamento delle acque reflue urbane. Infatti mentre sul produttore e trasportatore di rifiuti costituiti da acque reflue gravano generalmente tutti gli obblighi di cui al decreto Ronchi, il produttore di rifiuti derivanti dalla manutenzione dei sistemi di trattamento delle acque reflue domestiche (art. 36, comma 2, lett. b) deve rispettare i soli obblighi contenuti nell’art. 10 (conferimento al servizio pubblico, a terzi autorizzati, etc), così come il gestore del servizio idrico integrato è tenuto al solo rispetto del disposto dell’art. 12 (tenuta dei registri di carico e scarico e non compilazione del MUD).

D’altro canto non vi è dubbio che nel caso in cui nel medesimo impianto di depurazione si smaltiscano anche rifiuti liquidi il titolare dello stesso dovrà munirsi sia dell’autorizzazione allo carico che di quella allo smaltimento.

Un ultima (?) ipotesi riguarda il trattamento di reflui nel depuratore aziendale, atteso che come acutamente sottolineato dalla dottrina (M. Santoloci) il problema che si può porre in alcuni casi concreti è quale sia il confine tra una vasca che funge da deposito temporaneo per il liquame (così creandosi interruzione non soltanto sostanziale, ma anche giuridico-formale del riversamento diretto) ed una vasca che crei soltanto un momento di stasi transitoria perché connesso al sistema di depurazione.

 

Alfredo Montagna

Magistrato della Corte di Cassazione