Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 3142, del 23 giugno 2015
Urbanistica.L’esistenza di una destinazione urbanistica più favorevole non è sufficiente a fondare un’aspettativa qualificata

L’esistenza di una precedente diversa previsione urbanistica non comporta per l’Amministrazione la necessità di fornire particolari spiegazioni sulle ragioni delle diverse scelte operate, anche quando queste siano nettamente peggiorative per i proprietari e per le loro aspettative, dovendosi in tali altri casi dare prevalente rilievo all’interesse pubblico che le nuove scelte pianificatorie intendono perseguire. Più specificamente, la mera esistenza, nella pianificazione previgente, di una destinazione urbanistica più favorevole al proprietario non è circostanza sufficiente a fondare in capo a quest’ultimo quell’aspettativa qualificata la cui sussistenza, imporrebbe all’Amministrazione un obbligo di più puntuale e specifica motivazione rispetto a quella, di regola sufficiente, basata sul richiamo alle linee generali di impostazione del Piano. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 03142/2015REG.PROV.COLL.

N. 09406/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello nr. 9406 del 2013, proposto dai signori Lorenzo CAMPODONICO, Alessandro CAMPODONICO, Manuela CAMPODONICO, Andrea CATALANI e Liana ALLEGREZZA, rappresentati e difesi dall’avv. Edoardo Maria Stecconi, con domicilio eletto presso l’avv. Gianmarco Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18, 

contro

- la PROVINCIA DI ANCONA, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Claudia Domizio, con domicilio eletto presso l’avv. Giovanni Bonaccio in Roma, piazzale Clodio, 56, IV piano, int. 8; 
- il COMUNE DI SENIGALLIA, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Laura Amaranto, con domicilio eletto presso l’avv. Filippo Lubrano in Roma, via Flaminia, 79/A; 

per la riforma

della sentenza del T.A.R. delle Marche nr. 286/2013 e per il conseguente annullamento: a) della delibera del Consiglio Provinciale nr. 123/1997 con la quale è stata approvata la variante generale al P.R.G. di Senigallia, limitatamente alla decisione di modificare la destinazione d’uso dell’area di proprietà dei ricorrenti, da zona residenziale a zona di tutela del fiume; b) della delibera del Consiglio Provinciale nr. 195/96 limitatamente alla decisione di proporre la suddetta modifica ex art. 28 della legge regionale 5 agosto 1992, nr. 34; c) della delibera del Consiglio Comunale di Senigallia nr. 5/1997 limitatamente alla decisione di accogliere la predetta modifica di destinazione proposta dalla Provincia.

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Provincia di Ancona e del Comune di Senigallia;

Viste le memorie prodotte dagli appellanti (in data 28 aprile 2015) e dalla Provincia di Ancona (in data 14 aprile 2015) a sostegno delle rispettive difese;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, all’udienza pubblica del giorno 19 maggio 2015, il Consigliere Raffaele Greco;

Uditi per le parti l’avv. Stecconi per i ricorrenti, l’avv. Amaranto per il Comune di Senigallia e l’avv. Domizio per la Provincia di Ancona;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

I signori Lorenzo Campodonico e Alessandro Campodonico (quali eredi dell’architetto Claudio Campodonico, a sua volta erede della signora Tania Allegrezza), la professoressa Manuela Campodonico, il signor Andrea Catalani e l’avvocato Matteo Catalani (in qualità di altri eredi della signora Tania Allegrezza) e la signora Liana Allegrezza hanno proposto appello per la riforma della sentenza con la quale il T.A.R. delle Marche ha respinto il ricorso proposto dai medesimi istanti per l’annullamento della delibera del Consiglio Provinciale di Ancona con cui era stata approvata la variante generale al P.R.G. del Comune di Senigallia, nella parte relativa alla decisione di modificare la destinazione d’uso dell’area di proprietà dei ricorrenti da zona residenziale a zona di tutela del fiume, e degli atti preordinati, connessi e consequenziali.

A sostegno dell’appello i ricorrenti hanno articolato i seguenti motivi:

1) violazione dei principi desumibili dagli artt. 1 e 3 della legge 7 agosto 1990, nr. 241; violazione dei principi desumibili dall’art. 7 della legge 17 agosto 1942, nr. 1150; eccesso di potere per carenza assoluta di motivazione (atteso che la prescrizione provinciale non era stata affatto motivata, essendosi limitata ad imporre il mutamento di destinazione sulla base della sola circostanza di fatto che l’area dei ricorrenti era inclusa all’interno della fascia sottoposta a tutela permanente, senza considerare minimamente le precedenti destinazioni urbanistiche attribuite dallo stesso Comune in sede di prima adozione del piano, trascurando gli strumenti urbanistici precedenti che avevano riconosciuto già la destinazione edificatoria dell’area dei ricorrenti ed inoltre senza considerare che l’area dei ricorrenti era interclusa tra lotti edificati: ciò che la rendeva assimilabile a quelle fattispecie che fanno sorgere in capo ai privati una legittima aspettativa tale da imporre all’Amministrazione di motivare in maniera mirata e puntuale le differenti scelte urbanistiche);

2) violazione sotto altro profilo dei principi desumibili dall’art. 1 della legge 7 agosto 1990, nr. 241; violazione dei principi desumibili dall’art. 7 della legge 17 agosto 1942, nr. 1150; eccesso di potere per contraddittorietà (nella parte in cui il Comune e la Provincia hanno ritenuto in un caso, cioè in quello dei ricorrenti, che il fatto che l’area fosse ricompresa nel perimetro della fascia di tutela integrale, automaticamente e in modo assoluto, escludesse ogni possibilità edificatoria, mentre per il lotto vicino situato nella zona limitrofa, ricadente anch’esso nella medesima fascia, che residuasse una certa discrezionalità e che non fosse automatica l’esclusione della edificazione, pervenendo ad una destinazione parzialmente diversa);

3) violazione sotto altro profilo dei principi desumibili dall’art. 1 della legge 7 agosto 1990, nr. 241; violazione dei principi desumibili dall’art. 7 della legge 17 agosto 1942, nr. 1150; eccesso di potere per errore o travisamento dei fatti (relativamente all’errore del T.A.R. nel non considerare che l’area dei ricorrenti era nella sostanza una zona di completamento, trovandosi nel centro abitato, essendo confinante con il perimetro del P.E.E.P. e costituendo un piccolo lotto residuo con tanto di strada di collegamento ed urbanizzazioni già realizzate: ciò che rendeva ad essa non applicabile l’art. 29 delle N.T.A. del P.P.A.R., operante solo nei tratti esterni delle aree urbanizzate).

Si è costituita in giudizio la Provincia di Ancona, opponendosi all’accoglimento dell’appello e insistendo sulla legittimità, fondatezza ed esplicita motivazione degli atti amministrativi assunti.

Si è altresì costituito il Comune di Senigallia, a sua volta deducendo l’infondatezza dell’appello e instando per la conferma della sentenza impugnata.

All’udienza del 19 maggio 2015, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Gli odierni appellanti, signor Lorenzo Campodonico ed altri, sono comproprietari di un’area sita nel centro abitato di Senigallia, confinante su un lato con il fiume Misa che attraversa l’intera città, compresa parte del suo centro storico.

I ricorrenti assumono che l’area è ricompresa in una zona già urbanizzata e circondata su tre lati da preesistente edificazione, tanto che sull’area stessa si affaccia la strada pubblica a servizio del realizzato P.E.E.P. e corrono gli impianti di fognatura cui sono allacciati gli edifici già realizzati.

2. Con il precedente P.R.G. del 1975, l’area aveva destinazione edificatoria e la medesima destinazione era stata confermata con la variante parziale al P.R.G. adottata nel 1987 e definitivamente approvata dalla Regione nel 1993, quando era già in vigore e operante il Piano paesistico e ambientale regionale (P.P.A.R.), variante che addirittura ne qualificava una porzione come “area di completamento”.

3. Con deliberazione provinciale nr. 195 del 12 novembre 1996, la Provincia di Ancona ha approvato la variante al P.R.G. del Comune di Senigallia con proposte di modifica ai sensi dell’art. 27, comma 1, della legge regionale delle Marche 5 agosto 1992, nr. 34, e l’ha rinviata al Comune stesso perché si pronunciasse ai sensi dell’art. 28 della stessa l.r. sulle modifiche proposte, le quali contemplavano la cancellazione della destinazione edificatoria sia per l’area degli odierni istanti, sia per l’area limitrofa, prescrivendo per entrambe il vincolo di inedificabilità a tutela del fiume Misa, ai sensi dell’art. 29 delle N.T.A. del P.P.A.R.

4. Con successiva delibera nr. 5 del 12 febbraio 1997 il Comune ha controdedotto alle proposte di modifica avanzate dalla Provincia, ma ha accettato la proposta di cancellare la destinazione edificatoria dell’area dei ricorrenti e, invece, ha respinto l’identica proposta di cancellazione dell’edificazione per l’area limitrofa.

5. La Provincia, in sede di approvazione definitiva, ha cancellato l’edificabilità nell’area delle ricorrenti mantenendola invece per l’area limitrofa.

6. Gli odierni appellanti hanno, pertanto, impugnato innanzi al T.A.R. delle Marche le determinazioni testé citate e gli atti ad esse preordinati, connessi e consequenziali, articolando tre motivi di diritto, riproposti anche nel presente grado di appello.

7. Con la sentenza in epigrafe, il giudice adito ha respinto l’impugnativa e, in particolare:

- ha ritenuto chiara la prescrizione della deliberazione Provinciale 12 novembre 1996, nr. 195, nel porre il Comune di fronte all’alternativa di adeguarsi o di controdedurre, di modo che la soluzione adeguatrice, scelta dal Consiglio Comunale, non richiedeva alcuna motivazione, dovendosi fare riferimento alle argomentazioni della Provincia che,per relationem, costituivano anche le argomentazioni del Comune, il quale aveva mostrato così di condividerle e di farle proprie secondo lo schema dell’atto complesso di approvazione degli strumenti urbanistici, che si perfeziona con la concorde volontà di entrambi gli enti;

- non ha ravvisato alcuna contraddittorietà relativamente alle statuizioni previste per l’area limitrofa, trattandosi di situazioni differenti che potevano quindi legittimare una differente disciplina urbanistica;

- ha, infine, ritenuto che, indipendentemente dal contesto territoriale di riferimento, non fosse emerso alcun elemento per affermare che l’area in questione fosse dotata delle necessarie opere di urbanizzazione.

8. Gli odierni appellanti hanno impugnato la predetta sentenza, ritenendola errata ed ingiusta per le ragioni esposte nella narrativa in fatto.

9. La ricostruzione in fatto, come sopra riportata e risultante dagli atti anche di prime cure, non risulta contestata dalle parti costituite (salvo, come si vedrà, per quanto attiene alla condizione di pregressa urbanizzazione dell’area de qua), per cui, ai sensi dell’art. 64, comma 2, cod. proc. amm., deve considerarsi idonea alla prova dei fatti oggetto di giudizio.

10. Tutto ciò premesso, l’appello è infondato e va conseguentemente respinto.

11. Più specificamente, principiando dal primo motivo di appello, questo nella sua sostanza si articola in due distinte subcensure:

a) primariamente si assume che la prescrizione provinciale non sarebbe stata affatto motivata, essendosi limitata ad imporre il mutamento di destinazione sulla base della sola circostanza di fatto che l’area dei ricorrenti era inclusa all’interno della fascia sottoposta a tutela permanente, senza considerare minimamente le precedenti destinazioni urbanistiche attribuite dallo stesso Comune in sede di prima adozione del piano;

b) in secondo luogo, si lamenta il fatto che l’area de qua sarebbe semmai non edificata, ma interclusa tra lotti edificati, ciò che la renderebbe assimilabile a quelle fattispecie che fanno sorgere in capo ai privati una legittima aspettativa tale da imporre all’Amministrazione di motivare in maniera mirata e puntuale laddove intenda ledere dette aspettative (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 11 settembre 2012, nr. 4806).

11.1. Quanto al primo profilo, la Sezione condivide l’avviso del primo giudice secondo cui la motivazione è correttamente ricavabile per relationem dal richiamo alla prescrizione imposta dall’Amministrazione provinciale, la quale a sua volta aveva evidenziato la necessità di adeguare lo strumento urbanistico generale all’art. 29 delle N.T.A. del P.P.A.R., che sostanzialmente vincolava ad imprimere una destinazione non edificatoria alle aree non urbanizzate limitrofe al fiume Misa.

È pacifico ormai l’indirizzo giurisprudenziale secondo cui l’esistenza di una precedente diversa previsione urbanistica non comporta per l’Amministrazione la necessità di fornire particolari spiegazioni sulle ragioni delle diverse scelte operate, anche quando queste siano nettamente peggiorative per i proprietari e per le loro aspettative, dovendosi in tali altri casi dare prevalente rilievo all’interesse pubblico che le nuove scelte pianificatorie intendono perseguire (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 15 maggio 2012, nr. 2759; nello stesso senso, Cons. Stato, sez. IV, 13 luglio 2011, nr. 4242; id., 12 maggio 2011, nr. 2683; id., 24 febbraio 2011, nr. 1222; id., 12 marzo 2009, nr. 1477).

Più specificamente, la mera esistenza, nella pianificazione previgente, di una destinazione urbanistica più favorevole al proprietario non è circostanza sufficiente a fondare in capo a quest’ultimo quell’aspettativa qualificata la cui sussistenza, ad avviso della consolidata giurisprudenza, imporrebbe all’Amministrazione un obbligo di più puntuale e specifica motivazione rispetto a quella, di regola sufficiente, basata sul richiamo alle linee generali di impostazione del Piano (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. IV, 7 aprile 2015, nr. 1767; id., 18 novembre 2014, nr. 5661; id., 31 luglio 2014, nr. 4042; id., 25 giugno 2013, nr. 3476; id., 26 ottobre 2012, nr. 5492; id., 4 maggio 2010, nr. 2545).

11.2. Venendo poi all’ulteriore argomento fondato sull’essere l’area de qua non edificata ma interclusa, è pur vero che anche questa, secondo parte della giurisprudenza, sarebbe un’ipotesi di aspettativa qualificata tale da imporre all’Amministrazione un rafforzato onere motivazionale (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 4 dicembre 2013, nr. 5765; id., 18 novembre 2013, nr. 5453; id., 7 novembre 2012, nr. 5665).

Tuttavia, è quanto meno discutibile che tale principio possa applicarsi ad un caso come quello che qui occupa, laddove l’imposizione della destinazione non edificatoria non discende da autonome e discrezionali valutazioni del pianificatore, ma è conseguenza indefettibile dell’applicazione di una distinta prescrizione di tutela ambientale.

Per altro verso, la questione di quale fosse lo stato dei luoghi dell’area per cui è causa, e in particolare dell’essere o meno questa “urbanizzata”, e quindi esclusa dall’ambito di applicazione del citato art. 29 delle N.T.A. del P.P.A.R., forma specifico oggetto della censura reiterata con il terzo motivo d’appello, sulla quale si tornerà appresso.

12. Va poi respinto anche il secondo motivo di appello, col quale è reiterata la doglianza di disparità di trattamento rispetto ad altra area limitrofa, cui è stata impressa dalla medesima variante una destinazione parzialmente edificatoria (BR2).

Su questo punto il primo giudice ha rilevato la non identità delle situazioni tra le due aree limitrofe, con argomentazioni che in questa sede possono condividersi.

Rispetto poi alle deduzioni di parte appellante, incentrate sulla contraddittorietà dell’avere l’Amministrazione escluso per l’una area, ed ammesso per l’altra, il residuare di una discrezionalità valutativa nella destinazione urbanistica da imprimere ai suoli, va precisato che nella specie, più che una questione generale di sussistenza (o esclusione) di un margine di discrezionalità in sede di pianificazione, rileva la circostanza che la prescrizione ambientale de qua, anche alla luce dell’art. 3, lettera c), delle medesime N.T.A. (dettante il regime generale delle prescrizioni di tutela in questione), vincolava il Comune ad adottare destinazioni di zona che comunque limitassero al minimo l’edificazione, in modo da salvaguardare il valore paesistico–ambientale dell’area.

Ne discende che, in considerazione della diversa morfologia e ubicazione delle due aree - quella dei ricorrenti immediatamente confinante con il fiume Misa, l’altra in una zona intermedia a ridosso del centro storico – risulta del tutto ragionevole che il Comune solo per la seconda, in vista della realizzazione del parco pubblico, abbia optato per un regime che prevedesse una modesta edificabilità nella parte adiacente all’abitato in cambio della cessione volontaria di altre aree da destinare al parco.

Al di là di ciò, ed alla luce dei rilievi che precedono, la doglianza di parte attrice potrebbe al più giungere a dimostrare l’illegittimità della diversa scelta compiuta per il suolo limitrofo: e, al riguardo, giova richiamare il noto principio secondo cui nessuno può invocare la disparità di trattamento, a fronte di provvedimenti illegittimi adottati dalla p.a. nei confronti di terzi, al fine di reclamare eguale illegittimità in proprio favore (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 12 marzo 2015, nr. 1296; id., sez. VI, 1 ottobre 2014, nr. 4867).

13. Con il terzo motivo, infine, gli appellanti ripropongono la censura secondo cui la prescrizione di cui al citato art. 29 delle N.T.A. del P.P.A.R. non si applicherebbe nella specie, trattandosi di “area urbanizzata”, per la quale la medesima disposizione espressamente esclude il regime di tutela ambientale.

Sul punto, la Sezione condivide l’orientamento del T.A.R. sul punto, dal momento che non vi è prova dell’urbanizzazione dell’area in questione.

Al riguardo, è importante evidenziare che la nozione di “aree urbanizzate” discende non già da un opinabile e soggettivo apprezzamento dello stato dei luoghi, ma è contenuta nella disposizione definitoria – cui lo stesso art. 29 rinvia – di cui al precedente art. 27, comma 5, delle stesse N.T.A., che qualifica le dette aree come “le zone omogenee A, B, e D di completamento, rispondenti ai requisiti di cui all’articolo 2, lettera b del D.M. 2 aprile 1968, nr. 1444, anche se altrimenti denominate negli strumenti urbanistici, nonché le zone F, di cui al succitato decreto, già prevalentemente urbanizzate e parzialmente dotate di attrezzature con esclusione delle aree costiere di cui all’art. 32, decimo comma, lettera a), punto 1)”.

Ciò premesso, è evidente che gli appellanti non hanno dimostrato che l’area de qua rispondesse a tali requisiti, limitandosi a richiamare il dato, evincibile dalle deduzioni della stessa Amministrazione, dell’essere detta area inserita nel “centro storico” di Senigallia: circostanza quest’ultima la quale, oltre a essere del tutto compatibile con la necessità di tutelare il bacino del fiume Misa in considerazione della particolare orografia dei luoghi interessati, non è ex se sufficiente né idonea a dimostrare che nella specie si trattasse di “aree urbanizzate” nel senso sopra chiarito.

14. Alla luce dei rilievi fin qui svolti, si impone una decisione di reiezione dell’appello con l’integrale conferma della sentenza impugnata, le questioni appena vagliate esaurendo la vicenda sottoposta alla Sezione in quanto risultano toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 cod. proc. civ., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante: cfr. ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., sez. II, 22 marzo 1995, nr. 3260 e, per quelle più recenti, Cass. civ., sez. V, 16 maggio 2012, nr. 7663).

Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione, e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

15. Sussistono giuste ragioni per la compensazione delle spese, in considerazione della peculiarità della vicenda amministrativa esaminata.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.

Compensa tra le parti le spese del presente grado del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 maggio 2015 con l’intervento dei magistrati:

Paolo Numerico, Presidente

Raffaele Greco, Consigliere, Estensore

Diego Sabatino, Consigliere

Antonio Bianchi, Consigliere

Giulio Veltri, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 23/06/2015

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)