Consiglio di Stato Sez. II n. 4110 del 24 aprile 2023
Urbanistica.Norme tecniche di attuazione
Qualora negli atti di pianificazione urbanistica si faccia riferimento a determinate categorie di interventi edilizi, il rinvio in questione non può che essere recettizio; se, infatti, tale rinvio non avesse tale natura statica o ricognitiva, ma dinamica, per il suo tramite confluirebbero nel regime derogatorio tutti gli interventi successivamente ricondotti dal legislatore sotto l’egida della nuova definizione, seppure originariamente non valutati, con conseguente sottrazione delle scelte di governo del territorio al comune, soggetto istituzionalmente preposto
Pubblicato il 24/04/2023
N. 04110/2023REG.PROV.COLL.
N. 07819/2022 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7819 del 2022, proposto dal Comune di Grumolo delle Abbadesse, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Dario Meneguzzo e Orlando Sivieri, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio del secondo in Roma, via Cosseria, n. 5;
contro
la Società Alas s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Antonio Ferretto, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Giovanni Nappi in Roma, via Tacito, n. 10;
nei confronti
dello Sportello unico attività produttive associato “Civitas”, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, Sezione Seconda, 12 aprile 2022, n. 550, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Società Alas s.p.a.;
Vista l’ordinanza del 17 novembre 2022, n. 5405;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 28 febbraio 2023 il Cons. Antonella Manzione e uditi per le parti l’avvocato Orlando Sivieri e l’avvocato Stefania Contaldi, in sostituzione dell’avvocato Antonio Ferretto;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Il Comune di Grumolo delle Abbadesse (d’ora in avanti, solo il Comune) appella la sentenza segnata in epigrafe con cui il T.a.r. per il Veneto ha accolto il ricorso proposto dalla Società Alas s.p.a. (d’ora in avanti, la Società) avverso l’ordinanza n. 23 del 9 luglio 2021, con la quale era stata dichiarata l’inefficacia della comunicazione inizio lavori asseverata (CILA) del 19 febbraio 2021, riferita al cambio di destinazione d’uso senza opere da commerciale ad artigianale della porzione contraddistinta al subalterno 4 di un più vasto fabbricato di proprietà della stessa, nonché avverso le note del 12 luglio 2021 e del 16 luglio 2021 del responsabile dello Sportello unico in convenzione con altri Comuni denominato “Civitas”, inerenti la medesima fattispecie.
1.1. L’attività contestata costituisce l’ultimo - in ordine di tempo - di una serie di interventi realizzati sul ridetto compendio immobiliare ubicato in località Vancimuglio, su un’area classificata D.1.1. - zona industriale artigianale con presenza commerciale di completamento - inserita nella “unità minima di intervento” (UMI) n. 29 del Piano particolareggiato di iniziativa pubblica denominato “S.R.11” dalla contiguità con l’omonima strada che collega Vicenza a Padova, adottato con deliberazione n. 63 del 3 novembre 2017 e approvato con deliberazione n. 56 del 15 ottobre 2018. Il regime edificatorio ivi previsto (art. 5 delle norme tecniche di attuazione -N.T.A.) condiziona qualsivoglia attività alla stipula di apposita convenzione, anche in relazione alla necessaria compartecipazione agli oneri di urbanizzazione e funzionalizzazione che, con riferimento all’unità di cui è causa, sono stati quantificati nell’apposita scheda in euro 343.314,20.
1.1.2. La controversia si riferisce all’ambito di estensione delle opere consentite al di fuori di tale regime convenzionale (oneroso), tipizzate in apposito elenco dall’art. 6 delle medesime N.T.A., e segnatamente all’individuazione dell’esatta accezione da attribuire al riferimento a quelle di manutenzione straordinaria «come definite all’art. 3, lettera […] b) del testo unico per l’edilizia (D.P.R. 380 del 2001) e s.m.i.», in relazione al mutamento di destinazione d’uso senza opere, purché la nuova rientri tra le principali ammesse e «comunque, non comporti la necessità di realizzare ulteriori aree a servizi », in quanto entrambi gli interventi sono autonomamente previsti. Va peraltro precisato che le destinazioni ammesse sono soltanto quelle artigianale/industriale e commerciale all’ingrosso, giusta la previsione in tal senso contenuta nell’art. 30 delle N.T.A. al P.R.G. (ora sostituite dall’art. 25 delle norme tecniche operative -N.T.O.- del sopravvenuto Piano degli interventi, adottato con delibera consiliare n. 38 del 23 dicembre 2019), cui fa espresso rinvio l’art. 9 di quelle al P.I.P.
1.1.3. La Società, divenuta proprietaria del lotto in forza di atto notarile datato 18 aprile 2018, ha avviato da subito una serie di attività edilizie rientranti in tale regime derogatorio in quanto comunque riconducibili al paradigma della manutenzione straordinaria, per le quali si è avvalsa degli appositi procedimenti dichiarativi. In particolare, ha inoltrato una prima comunicazione di inizio lavori asseverata in data 18 marzo 2019, cui hanno fatto seguito due varianti, una sulla base di s.c.i.a. del 26 settembre 2019, il cui oggetto abbracciava anche ulteriori interventi di analoga tipologia, l’altra in data 5 agosto 2020, riferita ad opere interne. In data 16 novembre 2020 ha infine chiuso i lavori presentando la s.c.i.a. sostitutiva dell’agibilità di cui all’art. 24 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, corredata da collaudo statico.
2. Il primo giudice, dopo aver rilevato che tutte le iniziative in precedenza intraprese, dettagliatamente enunciate, non avevano comportato alcuna iniziativa inibitoria, ovvero di diniego o rigetto da parte del Comune, ha escluso qualsivoglia legame tra le stesse e l’ultimo intervento e conseguentemente ogni intento elusivo della disciplina pianificatoria da parte della Società, che avrebbe semplicemente sfruttato il regime di maggior favore introdotto dall’art. 10 del d.l. 16 luglio 2020, n. 76, convertito con modificazioni dalla l. 11 settembre 2020, n. 120 (c.d. decreto “Semplificazioni”) con riferimento alla manutenzione straordinaria, implicante ora anche la modifica di destinazione d’uso, in passato vietata. Dopo aver messo «in disparte ogni considerazione in ordine alla possibilità di trasporre nel diritto amministrativo categorie concettuali dagli incerti confini, quali quella dell’elusione o dell’abuso del diritto, elaborate non senza difficoltà ed incertezze applicative in altri rami dell’ordinamento (in particolare in ambito tributario)», ha concluso per la legittimità della CILA del 19 febbraio 2021 in quanto «il mutamento d’uso che realizza un risultato equivalente a quello vietato sarebbe avvenuto quasi due anni dopo (con la CILA ex art.6 bis DPR 380/01 del 19.02.21), in un contesto normativo e regolatorio profondamente mutato per effetto del DL 76/20, convertito L. 120/20, che - quindi - non esisteva neppure nel 2019», quando erano state avviate le prime opere di manutenzione straordinaria.
3. Il Comune sostiene l’erroneità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3, comma 1, lett. b), del d.P.R. n. 380 del 2001, nella versione modificata dal d.l. n. 76/2020, nonché degli artt. 5 e 6 delle N.T.A. del P.P. “S.R.11” e per eccesso di potere per travisamento dei fatti. La doverosa valutazione di tutti gli interventi nella loro unitarietà, diversamente da quanto ritenuto dal primo giudice, farebbe emergere l’intento elusivo della vigente disciplina urbanistica comunale, avendo comportato nel suo complesso una modifica di destinazione d’uso con (le) opere in precedenza assentite. Di ciò sarebbe prova in almeno tre documenti, due dei quali versati in atti del giudizio di primo grado, ma neppure menzionati dal primo giudice: il contratto di affitto datato 4 gennaio 2021 con il quale la Società si impegnava espressamente nei confronti dell’affittuaria, Consutec Group s.r.l., ad ottenerle il cambio di destinazione d’uso da commerciale ad artigianale dei locali ceduti entro il 31 gennaio 2021; la visura camerale riferita all’attività della medesima Consutec Group, che già nel 2019 aveva una propria “sede secondaria” presso il compendio immobiliare di cui è causa; infine la comunicazione mail in data 3 aprile 2018, con la quale l’allora Sindaco del Comune, nelle more della definitiva approvazione del Piano, chiariva alla richiedente Società i percorsi da seguire per addivenire ad un futuro cambio di destinazione d’uso, incompatibile con la perfezionanda disciplina urbanistica, salvo una futura variante.
3.1. Con autonomo motivo di gravame l’amministrazione appellante ha contestato anche il capo della sentenza di condanna alle spese legali (liquidate in € 3.000, oltre accessori di legge e restituzione del contributo unificato), limitandosi tuttavia a chiederne la riforma in correlazione con l’accoglimento dell’appello.
4. Si è costituita in giudizio la Società Alas s.p.a. con memoria in controdeduzione con la quale ha anche riproposto ex art. 101, comma 2, c.p.a., i motivi di censura non esaminati dal Tribunale.
4.1. Con un primo ordine di argomentazioni ha chiarito come, diversamente da quanto opinato dal Comune nella parte in fatto dell’appello, il T.a.r. per il Veneto non avrebbe negato in toto l’esistenza della categoria concettuale dell’abuso o elusione del diritto, ma ne avrebbe escluso la configurabilità in concreto nel caso di specie (Parte II- Diritto, §§ A, B e C del motivo sub II.1.a, pagg. da 10 a 14).
4.1.2. Con riferimento alla asserita violazione degli artt. 3, comma 1, lett. b), del d.P.R. n. 380 del 2001 e 5 e 6 delle N.T.A. del P.P., ha rivendicato l’incidenza della novellata definizione della manutenzione straordinaria conseguita al decreto “Semplificazioni” sulle possibilità di interventi edilizi al di fuori della convenzione, che avrebbe reso quello effettuato conforme sia alla disciplina urbanistica comunale che alla normativa nazionale. Diversamente da quanto sostenuto dal Comune, infatti, in assenza della richiamata riforma, per il cambio di destinazione d’uso senza opere da commerciale a produttiva, giusta la eterogeneità delle relative categorizzazioni ai sensi dell’art. 23 ter del d.P.R. n. 380 del 2001, sarebbe stato necessario il permesso di costruire, trattandosi di intervento parificabile ad una nuova costruzione. L’utilizzo della CILA sarebbe pertanto conseguito al radicale cambiamento del panorama normativo nazionale, evidentemente non preventivabile e come tale neppure “strumentalizzabile” in funzione elusiva preconizzandone la verifica, né sul piano soggettivo, né in termini oggettivi (Parte II, §§A e da B.1 a B.4 del motivo sub II.1.b, pagg. da 14 a 25).
4.1.3. Né il contratto di affitto alla Consutec Group, né la visura camerale riferita all’attività della stessa, comproverebbero alcunché, stante che il primo era successivo agli originari interventi di manutenzione straordinaria e il secondo si riferiva ad una porzione minimale di edificio, ceduto in uso quale mera “base d’appoggio”. Lo scambio di mail con il Sindaco dell’epoca, infine, oltre che costituire una produzione documentale inammissibile, in quanto introdotta in violazione del divieto dei nova, attesterebbe semmai la buona fede della Società, che si era immediatamente premunita di acquisire le informazioni necessarie per poter disporre del proprio bene nel rispetto della legalità (Parte II, ancora motivo sub II.1.b, § B 5 e B7, pagg. 26-27 e 30-31).
4.1.4. La cronologia degli interventi che hanno preso avvio con la CILA del 18 marzo 2019 escluderebbe ogni fondamento alla prospettata elusione con l’attuazione di un preciso disegno preordinato (Parte II, motivo sub II.1.b, § B.6, pagg. 27-30). In ogni caso, la tesi della preordinazione, del tutto priva di riscontro probatorio, sarebbe anche irrilevante, stante che quale che fosse il contesto originario, il risultato eventualmente prefissatosi ab origine era divenuto solo successivamente lecito e come tale doveva essere valutato (Parte II, motivo sub II.1.b, § B.8 e C, pag. 31).
4.1.5. Infine ha ritenuto rinunciate dall’appellante due originarie argomentazioni difensive, in quanto a suo dire non riproposte, ovvero la natura ricettizia e non formale del rinvio alle definizioni del T.u.e. contenuto nell’art. 6 delle N.T.A. al P.P. e la idoneità della CILA ex art.6-bis del medesimo d.P.R. n. 380 del 2001 a legittimare il tipo di intervento manutentivo concretamente posto in essere.
5. Quanto alla riproposizione dei motivi assorbiti e non esaminati nella sentenza di prime cure (che costituiscono la ragione addotta a giustificazione del riconosciuto mancato rispetto delle regole sulla sinteticità degli atti), il ricorso distingue quelli aventi ad oggetto l’ordinanza comunale n. 23 del 9 luglio 2021 (Parte II.2, §§ A e B, pagg. 33-40) da quelli che investono le note del SUAP “Civitas” (Parte II.2, § C, pagg. 40-42).
5.1. L’ordinanza sarebbe viziata sia nella parte in cui ha dichiarato l’inefficacia della CILA, utilizzando un meccanismo inibitorio non previsto per tale tipologia di procedimento dichiarativo, che non troverebbe giustificazione né nel richiamato art. 27 del d.P.R. n. 380 del 2001, né nell’art. 21 novies della l. n. 241 del 1990, del quale comunque non sussisterebbero i presupposti; sia in quella intimatoria del ripristino dello stato dei luoghi, inattuabile in presenza di una situazione edilizia perfettamente legittima e per giunta, giusta la tipologia dell’intervento (che non aveva comportato la realizzazione di opere), incomprensibile nella sua fattibilità concreta.
5.1.2. Quanto alle determinazioni del SUAP, ove si riconoscesse loro natura provvedimentale autonoma, esse risentirebbero dei medesimi vizi ascritti all’ordinanza sindacale, in quanto egualmente richiamanti in maniera impropria il potere sanzionatorio, oltre che viziate per incompetenza, non potendo quest’ultimo essere delegato dal Comune ad un ufficio terzo. In via gradata, la determina conclusiva avrebbe dovuto comunque essere preceduta dalla comunicazione di avvio del procedimento, per contro mancata.
6. Con memoria depositata l’11 novembre 2022 la difesa civica ha ribadito la propria prospettazione. Quanto alla finalità elusiva, ha ricordato come essa figuri anche tra le motivazioni dell’atto impugnato, seppure la Società non ne abbia censurato l’illegittimità nel ricorso di primo grado, ma solo tardivamente, in sede di memoria conclusionale. La natura «di carattere formale e dinamico» del rinvio alla definizione di manutenzione straordinaria contenuta nelle N.T.A. e la idoneità della CILA a legittimarla costituiscono argomentazioni della Società avverso l’atto impugnato, sicché competeva alla stessa - e non al Comune - riproporle. Nella denegata ipotesi che il richiamo all’asserita decadenza dai motivi di appello venisse inteso come riproposizione di quelli di primo grado da parte della Società, ha ribadito la natura recettizia del rinvio operato dalle N.T.A., tale cioè da rendere la disciplina urbanistica in esse contenuta impermeabile alle modifiche sopravvenute in ambito edilizio. Quanto alle conseguenze dell’utilizzo improprio della CILA, in assenza di diverse indicazioni legislative esse non potrebbero che trovare fondamento nell’art. 27, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001. Il ripristino (funzionale) della destinazione d’uso commerciale potrebbe agevolmente essere evitato sottoscrivendo la prevista convenzione. Nessuna rilevanza aggiuntiva avrebbero gli atti del SUAP, che in quanto collettore dei procedimenti incardinati presso gli Enti territoriali competenti, sarebbe chiamato solo ad archiviarli in conseguenza delle determinazioni assunte dagli stessi.
7. Con l’ordinanza del 17 novembre 2022, n. 5405, sull’accordo delle parti, l’istanza cautelare è stata dichiarata improcedibile per intervenuta rinuncia.
8. Nell’imminenza dell’udienza pubblica di trattazione, l’amministrazione appellante e la Società hanno depositato ulteriore memoria e la prima anche una memoria di replica. Il Comune ha da ultimo sostenuto la sopravvenuta carenza di interesse alla decisione da parte della Società, non avendo l’affittuaria Consutec Group s.r.l. conseguito l’autorizzazione all’insediamento del deposito di oli minerali ex art. 1, comma 56, della l. 23 agosto 2004, n. 239 nei locali con riferimento ai quali sarebbe stata necessaria la previa conformazione al vigente regime urbanistico. A tale riguardo la Società ha evidenziato come l’interesse alla decisione prescinda dal buon fine dei rapporti intercorsi con un singolo affittuario, per causa peraltro imputabile esclusivamente allo stesso (la riconosciuta natura insalubre delle proprie attività), attenendo in generale alla rivendicata legittimità dell’intervento effettuato.
9. La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza pubblica del 28 febbraio 2023.
DIRITTO
10. Preliminarmente deve essere esaminata l’istanza formulata dalla Società appellata di autorizzazione al superamento dei limiti dimensionali della propria memoria di costituzione, sviluppata in ben 47 pagine, otto delle quali contenenti il riassunto preliminare. Trattasi di richiesta ex art. 7 del d.P.C.S. n. 167 del 22 dicembre 2016, che ha dato concreto contenuto al rafforzamento e rimodulazione in chiave sanzionatoria del principio di sinteticità degli atti declinato nell’art. 3, comma 2, c.p.a. a seguito dell’introduzione dell’art. 13 ter delle disposizioni di attuazione del codice stesso.
10.1. I presupposti legittimanti tale richiesta sussistono solo «qualora la controversia presenti questioni tecniche, giuridiche o di fatto particolarmente complesse ovvero attenga ad interessi sostanziali perseguiti di particolare rilievo anche economico, politico e sociale, o alla tutela di diritti civili, sociali e politici […]» (art. 5 del decreto). Il che non ricorre nel caso di specie, tanto più che l’appellante non ha superato ridetti limiti. A ben guardare, infatti, la complessità della vicenda consegue piuttosto alla ridondanza argomentativa di una parte in contrapposizione con l’eccesso di sintesi dell’altra, sì da far perdere di vista il suo punto essenziale, ovvero il rapporto tra sopravvenienze normative e pianificazione urbanistica, quanto meno nella parte in cui essa attinge ad elementi definitori contenuti nella prima.
A ciò si aggiunga che la Società non ha neppure chiarito, ovvero dimostrato, le ragioni della mancata formulazione di un’istanza preventiva, laddove l’autorizzazione successiva di cui all’art. 7 del d.P.C.S. è possibile solo «per gravi e giustificati motivi», essendosi limitata sul punto ad addurre una generica tardività del mandato difensivo.
10.2. Tuttavia il mancato accoglimento dell’istanza di superamento non impedisce al Collegio, in un’ottica sostanzialistica e garantista, di esaminare il gravame nel suo complesso e nella totalità delle difese svolte, atteso che sono sovrabbondanti e ridondanti le argomentazioni a sostegno delle censure e non queste ultime, sicchè, fermo che non può non essere stigmatizzata la violazione del principio di sinteticità che costituisce fulcro essenziale del giusto processo, è possibile operare per ciascuna di esse una reductio ad unum, superando pure la frammentazione in paragrafi e sottoparagrafi (che non giova alla linearità dello sviluppo espositivo).
11. Sempre in via preliminare va respinta l’eccezione di sopravvenuta carenza di interesse al ricorso da parte della Società, sollevata dalla difesa civica, non potendo ridetto interesse identificarsi con le possibilità di utilizzo dell’immobile per le finalità industriali da parte dell’attuale affittuaria, venute meno in ragione del mancato conseguimento da parte della stessa del titolo abilitativo regionale necessario allo scopo.
12. Nel merito l’appello è fondato nei sensi e limiti di seguito indicati.
13. Va innanzi tutto sgombrato il campo dal vizio di prospettiva indotto dalla possibile ricostruzione unitaria della vicenda a partire dalla prima CILA presentata dalla Società in data 18 marzo 2019, per giungere all’ultima del 19 febbraio 2021. Una tale ricostruzione infatti non solo finisce per attingere la sfera psicologica del soggetto agente, con le conseguenti difficoltà di dimostrane la sussistenza sul piano probatorio; ma la permea di una sorta di chiaroveggenza regolatoria, indirizzandola da subito verso un obiettivo che a contesto giuridico immutato non era indubbiamente raggiungibile. Sotto tale profilo non può che condividersi la ricostruzione del primo giudice, laddove dopo aver dubitato dell’automatica trasposizione nel diritto amministrativo di categorie concettuali «dagli incerti confini, quali quella dell’elusione o dell’abuso del diritto, elaborate non senza difficoltà ed incertezze applicative in altri rami dell’ordinamento (in particolare in ambito tributario)», ne ha escluso la sussistenza in quanto la Società « si è avvalsa di una sopravvenienza normativa e ha, per così dire, lecitamente “sfruttato” lo ius novum (che a volte favorisce il privato, altre lo penalizza) e le possibilità riconosciutegli dall’evoluzione normativa del concetto di manutenzione straordinaria, che nel 2019 non erano neanche prevedibili e non possono essere valutate a posteriori dal Comune come prova o sintomo di un disegno elusivo, che deve preesistere all’inizio della condotta che si assume illecita e non seguirla». Ciò rende effettivamente inconferente il richiamo, contenuto nell’ordinanza n. 23 del 2021, alla «scissione delle singole pratiche» in violazione «dei principi di buona fede che devono regolare i rapporti tra privati e P.A. ai sensi dell’art. 1, co. 2-bis della l. n. 241/1990», cosicché essa «pare integrare un’ipotesi di abuso del diritto da parte della Ditta, sfruttando la normativa urbanistica ai fini di eludere la medesima». Trattasi invero di affermazioni ultronee che non solo non esauriscono la motivazione del provvedimento, fondata anche, come ricordato dalla difesa civica, sulla inidoneità del titolo edilizio e sulla inammissibilità dell’intervento sotto il profilo urbanistico; ma che soprattutto non incidono sul suo contenuto precettivo, che non si estende alle operazioni edilizie precedenti, pur invocandone la connessione teleologica, in quanto si limita ad ingiungere il ripristino della destinazione commerciale mutata con la CILA del 19 febbraio 2021. Le precedenti opere di manutenzione straordinaria infatti «hanno sempre costituito e costituiscono ancora, singolarmente presi, interventi ammissibili ai sensi del Piano» (pag. 5, penultimo capoverso, dell’ordinanza n. 23 del 2021), diversamente dall’ultimo cambio d’uso funzionale, che riconnettendosi alle precedenti, «comporta l’elusione (e pertanto la violazione) della norma».
14. Lo iato tra gli interventi precedenti e la nuova CILA è segnato inequivocabilmente, in senso diametralmente opposto a quanto sostenuto dall’appellante, proprio dall’entrata in vigore del d.l. 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla l. 11 settembre 2020, n. 120, il quale ha fornito alla Società, a torto o a ragione, lo strumento per provare a conseguire ciò che in passato le era sicuramente precluso.
14.1. Di quanto detto dà formale conferma l’avvenuto inoltro della segnalazione finalizzata all’agibilità, che chiude il ciclo degli interventi edilizi effettuati negli anni passati, certificandone la conformità sotto il profilo igienico-sanitario e urbanistico-edilizio, ivi compreso proprio l’avvenuto rispetto delle destinazioni d’uso consentite (Cons. Stato, sez. II, 17 maggio 2021, n. 3836), che mal si concilierebbe con la preesistente volontà di intervenire nuovamente sullo stesso.
14.2. E’ evidente pertanto l’inapplicabilità alla fattispecie dei principi, consolidati in giurisprudenza, in forza dei quali la natura abusiva di un’opera va valutata sommando le risultanze dei singoli interventi nei quali è stata frazionata, dovendosene considerare l’impatto globale sul territorio, percepibile solo superandone la visione atomistica e parcellizzata (cfr. ex multis Cons. Stato, sez. VI, 18 ottobre 2022, n. 8848).
15. Ciò chiarito, va ricordato in punto di fatto che la Società è proprietaria di un compendio immobiliare ricompreso in un Piano attuativo ad iniziativa pubblica, adottato e poi approvato tra il 2017 e il 2018, che prevede la realizzazione di un corposo numero di opere pubbliche e viarie, il cui onere finanziario è ripartito anche fra i proprietari dei vari lotti. Il relativo regime edificatorio “condizionato” peraltro, come evidenziato dalla difesa civica, è stato successivamente confermato con la deliberazione del Consiglio comunale n. 13 del 30 luglio 2020, di approvazione di una variante che ne ha ribadito la vigenza fino alla prevista scadenza del 2023, non gravata dalla Società, diversamente dalla precedente, avverso la quale pende ricorso straordinario al Presidente della Repubblica.
16. I Piani attuativi (PUA), cui va ricondotto quello denominato “SR 11” di cui è causa, sono notoriamente strumenti con finalità esecutive finalizzati a precisare ed attuare le previsioni del Piano regolatore generale (PRG), o dell’omologo comunque denominato dalla legislazione regionale, siccome atti di più ampio respiro, fornendo elementi ulteriori e di dettaglio che consentano la realizzazione dell’intervento per come concepito nel suo insieme. Sin dalla legge urbanistica fondamentale, n. 1150 del 1942, la fase attuativa degli strumenti di pianificazione generale è stata affidata a provvedimenti pianificatori di dettaglio, originariamente riconducibili al c.d. Piano particolareggiato (art. 13), a portata generale, priva di connotazione individualizzanti un settore di sviluppo. La normativa successiva ha poi introdotto altri strumenti attuativi nel panorama urbanistico nazionale, le cui denominazioni richiamano la specificità dell’oggetto (si pensi, a mero titolo di esempio, oltre ai piani per gli insediamenti produttivi, qui di specifico interesse, a quelli per l’edilizia economica e popolare, ai piani di recupero, ai piani di zona, ai programmi di riqualificazione urbana e sviluppo sostenibile, ecc.), cui se ne sono via via affiancati altri, inseriti dalle rispettive legislazioni regionali.
Gli strumenti attuativi costituiscono dunque lo snodo fondamentale per completare il processo di sviluppo del territorio, consentendo il raggiungimento di un risultato che la previsione generale (e spesso minimale) del Piano regolatore non sarebbe in grado di raggiungere. L’esigenza di una visione unitaria e complessiva della concretizzazione delle disposizioni programmatorie più elevate, evitando situazioni disorganiche e disorganizzate soprattutto in precisi ambiti settoriali, si realizza poi nel rapporto tra piano attuativo e successivo rilascio dei singoli titoli edificatori, dei quali il primo diviene conditio sine qua non, non solo nell’an, ma anche nel quomodo. Il meccanismo, cioè, tipicamente multilivello che connota variamente la disciplina urbanistico-edilizia, implica una trasversalità verticale tra previsioni di massima, obiettivi di settore e strumenti concreti di attuazione: l’ottenimento di un titolo edificatorio relativo ad un fabbricato da realizzarsi all’interno di un Piano attuativo è possibile proprio perché sono stati definiti a priori e a monte tutti gli elementi caratterizzanti la futura urbanizzazione del territorio, nel quale le costruzioni private verranno ad inserirsi, definendo gli standard urbanistici e localizzando attrezzature, infrastrutture, reti, ecc., nonché disciplinando la fase esecutiva e i soggetti esecutori. Il ricorso agli strumenti attuativi costituisce perciò un preciso modello di pianificazione degli interventi per renderne razionale la realizzazione su un’area non urbanizzata, ovvero il cui livello di urbanizzazione non sia ritenuto sufficiente ovvero ancora per il quale si reputi necessario un potenziamento e una riqualificazione delle dotazioni territoriali in vista della specifica direzione di sviluppo che si intenda imprimere loro, anche in funzione di esigenze di miglioramento della vivibilità, di tutela dell’ambiente, ovvero di leva allo sviluppo economico (si pensi alla scelta di concentrare le attività produttive in un’unica zona, connotata da ampie infrastrutture viarie, ubicata lontano dai centri urbani, sì da produrre anche un indiretto effetto di “alleggerimento” dai disagi conseguenti alla compresenza di situazioni eterogenee riferito a questi ultimi). Il Comune è in definitiva chiamato a valutare nelle sue scelte di buon governo del territorio se vi sia un sufficiente rapporto di proporzionalità fra le infrastrutture, lato sensu intese, e i bisogni degli abitanti insediati e di quelli che si prevede vi si insedino, proprio in ragione della scelta urbanistica effettuata, avuto riguardo anche alla tipologia degli insediamenti (residenziali, produttivi, commerciali, ecc.).
17. La Sezione ha già avuto modo di soffermarsi sulla genesi del Piano industriale, quale tipica species del più ampio genus dei Piani attuativi, costituente uno dei primi esempi codificati di compenetrazione tra assetto generale e disciplina di dettaglio (v. Cons. Stato, sez. II, 19 aprile 2022, n. 2953). Attraverso di essi, già previsti dall’art. 27 della l. 22 ottobre 1971, n. 865, i Comuni dotati di piano regolatore o di programma di fabbricazione, oltre ad imprimere un regime giuridico lato sensu “produttivo” ad una determinata zona, garantiscono l’accesso alle aree ivi comprese ad operatori economici che le devono utilizzare in funzione dello stesso. Di regola la loro approvazione contempla anche quella dell’apposito schema di convenzione o atto d’obbligo che contiene gli impegni, da parte del soggetto promotore, alla realizzazione delle necessarie opere di urbanizzazione, o alla compartecipazione agli oneri funzionali alla stessa, le modalità, i termini entro i quali esse devono essere ultimate, le congrue garanzie finanziarie, nonché eventuali ulteriori obbligazioni specifiche che il Comune riterrà opportuno inserire in relazione alla particolarità e consistenza dell’intervento previsto. La causa della convenzione urbanistica, ovvero l’interesse che l’operazione contrattuale è teleologicamente diretto a soddisfare, va valutata non con riferimento ai singoli impegni assunti, ma con riguardo alla oggettiva funzione economico-sociale del negozio, in cui devono trovare equilibrata soddisfazione sia gli interessi del privato che quelli della pubblica amministrazione al corretto assetto del territorio. Ciò ha comportato finanche la riconosciuta legittimità, in assenza di una norma generale che lo vieti, della previsione di contribuzioni ulteriori e maggiorate, che il privato accetti di accollarsi, rispetto a quelle fissate dalla legge, integranti, come tali, la sola soglia minima imprescindibile (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 24 marzo 2023, n. 2996).
17.1. La convenzione accessiva trova ormai idonea collocazione nell’art. 11 della l. n. 241 del 1990, che ha di fatto portato a sistema tutte le astratte possibilità di accordo cui la pubblica amministrazione può addivenire con i privati. Essa non costituisce un contratto di diritto privato, né ha specifica autonomia e natura di fonte negoziale del regolamento dei contrapposti interessi delle parti stipulanti, configurandosi piuttosto come atto intermedio del procedimento amministrativo volto al conseguimento del provvedimento finale, dal quale promanano poteri autoritativi della pubblica amministrazione (cfr. Cons. Stato, sez. II, 19 gennaio 2021, n. 579). In assenza di tale momento pattizio pertanto la fase endoprocedimentale finalizzata al rilascio del titolo, che andrà ad implementarsi del contenuto dello stesso, non può essere portata a compimento. Laddove quindi l’opera sia assentibile con un mero procedimento dichiarativo, egualmente lo stesso non potrà essere attivato, fermi restando i poteri inibitori e sanzionatori espressamente previsti dalla legge per impedirne la prosecuzione o rimuoverne gli effetti.
18. Il regime edificatorio declinato dal Comune di Grumolo delle Abbadesse risponde perfettamente al delineato paradigma, essendo lo ius aedificandi condizionato alla preventiva stipula della convenzione, approvata in bozza quale allegato al Piano, sia per regolare i rapporti economici tra le parti, sia per “controllare” lo sviluppo dell’area in conformità con lo stesso.
L’art. 6 delle N.T.A., tuttavia, rubricato «Modalità di intervento», dopo aver richiamato ridetta regola generale, ne introduce una deroga, limitata ad interventi nominativamente indicati, per lo più sul patrimonio edilizio preesistente, evidentemente ritenuti per consistenza inidonei ad impattare negativamente sulla realizzazione degli obiettivi programmatori generali. La norma consente invero «Prima della sottoscrizione degli impegni riportati nella convenzione […]», distintamente, sia le «opere di manutenzione ordinaria o straordinaria e risanamento conservativo, come definiti all’art. 3 lettere a), b) e c) del Testo unico per l’edilizia (d.P.R. 380 del 2001) e s.m.i.», sia «il mutamento di destinazione d’uso senza opere, qualora la nuova destinazione rientri tra quelle principali ammesse e che, comunque, non comporti la necessità di realizzare ulteriori aree e servizi». Pur non individuando quindi un preciso dies ad quem, entro il quale stipulare comunque la convenzione (ovvero «prima» della sua sottoscrizione, teoricamente procrastinabile ad libitum), gli interventi elencati costituiscono il ravvisato punto di mediazione tra la convergenza di tutte le attività edilizie nella finalità di Piano e la tolleranza di quelle tra esse il cui impatto è stato preventivamente ritenuto neutro rispetto alle stesse.
19. L’unica coerente e ragionevole lettura possibile dell’ambito di estensione degli interventi ammessi dallo strumento di pianificazione urbanistica (in questo, come in ogni altro caso analogo) è quella che li congela alla fase della loro prefigurazione, sicché il rinvio ad eventuali indicazioni normative non può che essere inteso come recettizio. Ove infatti il richiamo contenuto nell’art. 6 della N.T.A. all’art. 3, comma 1, lett. b), del d.P.R. n. 380 del 2001, non avesse tale natura statica o ricognitiva, ma dinamica, per il suo tramite confluirebbero nel regime derogatorio tutti gli interventi successivamente ricondotti dal legislatore sotto l’egida della nuova definizione, seppure originariamente non valutati. Ciò peraltro finirebbe per valere per qualsivoglia tipologia di intervento, sicché ove per ipotesi in futuro il legislatore ampliasse ulteriormente i confini della manutenzione straordinaria, ovvero estendesse quelli del restauro o risanamento conservativo, sfuggirebbe al regime convenzionale e soprattutto agli interessi pubblici sottesi allo stesso, una vasta fetta di situazioni, il cui impatto, anche in termini di carico urbanistico, non era stato necessariamente valutato. Il perimetro derogatorio, cioè, ovvero più in generale, quello permissivo, sarebbe soggetto alle continue fluttuazioni legislative che, seppure nell’apprezzabile intento di semplificare progressivamente le attività edilizie, muterebbero asistematicamente sia i paradigmi definitori, sia la disciplina dei titoli, non solo costringendo l’interprete a non agevoli opere di intarsio e incastro, che non potrebbero non comportare anche ricadute sulle scelte di governo del territorio (si pensi, a mero titolo di esempio, alla annosa vicenda della ristrutturazione edilizia con previa demolizione), ma soprattutto sottraendo le stesse al soggetto istituzionalmente a tanto preposto, cioè al Comune.
19.1. L’affermazione secondo la quale l’eterointegrazione di concetti giuridici che ne presuppongono la valutazione in termini di consistenza va fatta avuto riguardo alla loro formulazione al momento in cui vengono richiamati nella pianificazione urbanistica, non può che assurgere a valenza generale. Laddove, dunque, la scelta urbanistica individua, per giunta in un’elencazione tassativa, gli interventi ammessi, essa non può che avere a mente quelli che siano tali al momento della sua approvazione, costituendone l’accezione valutata una sorta di intrinseca clausola di salvaguardia impermeabile alle loro modifiche successive, salvo diversa esplicita indicazione in senso inverso del legislatore nazionale, ove compatibile con l’assetto delle competenze costituzionalmente sancite.
20. L’affermazione del primo giudice, in forza della quale lo ius novum «a volte favorisce il privato, altre lo penalizza», vale sicuramente con riferimento alle sopravvenute modifiche del regime edilizio; ma non può impattare anche sul contenuto normativo sotteso alle scelte urbanistiche precedentemente approvate, pena la loro vanificazione.
21. Nel caso di specie inoltre la Società - e conseguentemente il primo giudice - ha operato addirittura una commistione tra tipologie di interventi distintamente previsti dalle N.T.A. (la manutenzione straordinaria, da un lato, e il cambio di destinazione d’uso senza opere, dall’altro), ritenendo che la prima consenta con regime dichiarativo ciò che la seconda assoggetta a permesso di costruire.
21.1. Va a tale proposito ricordato che la modifica di destinazione d’uso non costituisce una tipologia di intervento edilizio ex se, bensì piuttosto l’effetto dello stesso. Non a caso la relativa dizione non figura nell’elenco delle definizioni contenuto nell’art. 3 del d.P.R. n. 380 del 2001, ma compare nelle singole declinazioni delle stesse, ora quale limite negativo (come per la manutenzione straordinaria, appunto), ora, al contrario, come possibile esemplificazione contenutistica (come per il restauro e risanamento conservativo di cui alla successiva lettera c), che può determinare un cambio delle destinazioni d’uso, purché compatibile con gli elementi tipologici, formali e strutturali dell’organismo stesso che i relativi interventi devono comunque rispettare). Secondo l’attuale paradigma della manutenzione straordinaria pertanto tale limite negativo non opera più in assoluto, salvo i casi di frazionamento o accorpamento delle unità immobiliari con esecuzione di opere, ma esclusivamente per quelle modifiche che siano «urbanisticamente rilevanti» e «implicanti incremento del carico urbanistico».
22. L’equivoco di fondo nel quale è incorso il primo giudice, assecondando la ricostruzione della Società, consiste nell’introdurre una duplice chiave di lettura tra modifica di destinazione d’uso “all’interno”, per così dire, della manutenzione straordinaria e modifica di destinazione d’uso ex se, per la quale al contrario soltanto continuerebbero a valere ridette categorie. La ricostruzione, cioè, conferisce dignità di autonomo intervento alla modifica di destinazione d’uso quand’anche funzionale o senza opere, sussumendola sotto l’egida della manutenzione straordinaria, laddove in passato tale evenienza era rimessa all’eventuale legge regionale chiamata a declinare «quali mutamenti, connessi o non connessi a trasformazioni fisiche, dell’uso di immobili o di loro parti, sono subordinati a permesso di costruire o a segnalazione certificata di inizio attività» (art. 10 del d.P.R. n. 380 del 2001).
A ben guardare, tuttavia, le modifiche di destinazione d’uso che possono conseguire agli interventi riconducibili al concetto di manutenzione straordinaria, pure dopo la novella del 2020, sono solo quelle tra categorie urbanistiche omogenee, tale essendo l’inequivoco significato della dicitura «urbanisticamente rilevanti» e «non implicanti aumento del carico urbanistico» previsto dall’art. 3, comma 1, lett. b), del d.P.R. n. 380 del 2011, anche nella sua attuale formulazione. Esso va invero individuato avuto riguardo alle previsioni dell’art. 23 ter inserito nel T.u.e. col c.d. decreto legge “Sblocca Italia” (d.l. 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla l. 11 novembre 2014, n. 164), che le ha introdotte al preciso scopo di omogeneizzare le scelte di governo del territorio, evitando frammentazioni finanche terminologiche sicuramente contrarie ai più elementari principi di certezza del diritto e foriere di oneri aggiuntivi per i cittadini-utenti. La disposizione pertanto che riduce a cinque le categorie previste (tra le quali, per quanto di interesse, menziona separatamente la produttiva e direzionale, da un lato, e la commerciale, dall’altro) individua, almeno in termini astratti e generali, raggruppamenti connotati da valutata similarità di carico urbanistico, tanto da qualificare “rilevante”, appunto, il mutamento della destinazione d’uso dall’una all’altra, seppure non accompagnato dall’esecuzione di opere edilizie (c.d. mutamento “funzionale”, appunto). La compatibilità dell’insediamento in determinate zone di categorie urbanisticamente eterogenee attiene al regime pianificatorio locale che può dettagliare le indicazioni nazionali, declinandole in ulteriori specificità, ma non mutarle radicalmente (né ha inteso farlo nel caso di specie, tant’è che le parti convengono sul fatto che, ove non si parli di manutenzione straordinaria, la modifica di destinazione d’uso sarebbe stata parificabile ad una nuova costruzione, necessitante di permesso di costruire).
23. Anche sotto tale profilo la rilevata contrarietà con l’art. 3, comma 1, lett. b), del d.P.R. n. 380 del 2001 sussiste e correttamente è stata richiamata nel provvedimento impugnato in termini di inadeguatezza della CILA a legittimare l’intervento. Tuttavia il relativo motivo non è chiaramente esplicitato dalla difesa civica che in alcuni passaggi del ricorso sembra perfino avallare il procedimento seguito sotto il profilo edilizio, seppure in termini di mero ragionamento astratto, giusta la ribadita inconferenza delle modifiche definitorie rispetto al regime urbanistico applicabile, impermeabile, per quanto sopra esposto, alle oscillazioni contenutistiche dei confini tra manutenzione straordinaria e ristrutturazione, dalla quale è stata “stralciata” la tipologia di intervento di cui in controversia.
24. Vanno a questo punto scrutinati i motivi di ricorso di primo grado non esaminati dal primo giudice e riproposti dalla Società ex art. 101, comma 2, c.p.a.
25. Essa contesta il contenuto dell’ordinanza di ripristino nella parte in cui ha dichiarato la inefficacia della CILA, in quanto utilizzerebbe un procedimento di secondo livello che il legislatore non avrebbe inteso introdurre in relazione a tale tipologia di dichiarazione abilitante; nonché per la parte in cui pretenderebbe di attingere al potere sanzionatorio, esercitato al di fuori dei relativi presupposti, ovvero a fronte di una comunicazione perfettamente valida. In denegata ipotesi, deduce come per potere annullare d’ufficio una dichiarazione di parte vadano comunque effettuate le valutazioni di cui all’art. 21 novies della l. n. 241 del 1990 che in particolare impone, oltre al rispetto delle garanzie partecipative, la presenza di un interesse pubblico prevalente sull’affidamento di controparte nella solidità del proprio titolo giuridico.
26. Va ricordato a tale riguardo come la c.d. comunicazione di inizio lavori asseverata (CILA) con il d.lgs. n. 222/2016 è divenuta il titolo general-residuale, necessario per tutti gli interventi edilizi per i quali le norme del testo unico non impongono la SCIA o il permesso di costruire ovvero che non rientrano ai sensi dell’art. 6 nell’attività edilizia libera. Con tale scelta si è radicalmente cambiata l’opzione normativa di cui al previgente comma 4 del richiamato art. 6 che, al contrario, lasciava aperta la categoria della SCIA e tipizzava in maniera specifica gli interventi sottoposti a CILA. A ciò è conseguito che sono ricondotte alla CILA opere quantitativamente rilevanti, quali - come è dato evincere da una lettura a contrario dell’art. 22 - gli interventi di manutenzione straordinaria leggera, appunto, ovvero quelli che, pur comportando cambi di destinazione d’uso urbanisticamente non rilevanti, non riguardano parti strutturali dell’edificio e non incidono sui prospetti.
26.1. Trattasi tuttavia di uno strumento di semplificazione che non trova un corrispondente nella legge generale sull’azione amministrativa (ma solo in altre normative di settore, come quella sulle attività commerciali) e che si traduce in una ancor più intensa responsabilizzazione del privato, chiamato ad assumersi in prima persona il rischio di avviare un’attività in contrasto con le complesse e talvolta contorte normative di settore, per di più solo in parte confortato dall’asseverazione del tecnico abilitato (che peraltro, secondo il tenore letterale della norma, non deve fare riferimento agli strumenti urbanistici adottati, né a tutte le normative di cui il comma 1 dell’art. 6 bis impone comunque specificamente il rispetto). Diversamente da quanto disposto per la SCIA, sulla conformità tecnico-giuridica della CILA non è previsto un obbligo di controllo ordinario postumo entro un termine perentorio ravvicinato e, di conseguenza, un indice del legittimo avvio dell’attività oggetto della comunicazione, limitandosi la norma a introdurre una sanzione pecuniaria “secca”, pari a mille euro, ridotta di due terzi se la comunicazione è effettuata spontaneamente quando l’intervento è in corso di esecuzione, per il caso di omessa presentazione della stessa, senza in alcun modo disciplinare l’ipotesi in cui la stessa si profili contra legem.
Da qui le questioni sollevate dalla Società circa l’impossibilità di sancire l’inefficacia della comunicazione, nonché, a suo avviso, di attivare il potere di vigilanza previsto in termini generali dall’art. 27 del T.u.e.
27. In mancanza di apposite disposizioni, l’indebito utilizzo dello strumento dichiarativo de quo è stato in passato e autorevolmente ricondotto alle ipotesi di attività edilizia radicalmente sine titulo, senza passare per il tramite della declaratoria di inefficacia, legittimando l’applicazione delle corrispondenti sanzioni. La Commissione speciale chiamata ad esprimersi sul testo provvisorio del d.lgs. n. 222/2016 (parere n. 1784/2016) infatti ha al riguardo affermato che «In tali casi l’amministrazione non può che disporre degli ordinari poteri repressivi e sanzionatori dell’abuso, come peraltro implicitamente previsto dalla stessa disposizione, laddove fa salve “le prescrizioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente, e comunque nel rispetto delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia […]”». La differenza di regime tra la previsione di un potere meramente sanzionatorio (in caso di CILA) e quella di un potere repressivo, inibitorio e conformativo, nonché di controllo postumo in ‘autotutela’ rispetto alla SCIA si spiegherebbe, secondo il parere, «alla stregua dei principi di proporzionalità e di adeguatezza, tenuto conto che nella materia edilizia il legislatore ha costruito un sistema speciale, in cui il controllo dei poteri pubblici è meno invasivo qualora le attività private non determinino un significativo impatto sul territorio, secondo un modello che potrebbe essere chiamato di ‘semplificazione progressiva”», il quale implica che «l’attività assoggettata a CILA non solo è libera, come nei casi di SCIA, ma, a differenza di quest’ultima, non è sottoposta a un controllo sistematico, da espletare sulla base di procedimenti formali e di tempistiche perentorie, ma deve essere ‘soltanto’ conosciuta dall’amministrazione, affinché essa possa verificare che, effettivamente, le opere progettate importino un impatto modesto sul territorio».
28. Tuttavia deve rilevarsi che proprio la mancata previsione di sistematicità dei controlli rischia di tradursi in un sostanziale pregiudizio per il privato, che non vedrebbe mai stabilizzarsi la legittimità del proprio progetto, di talché la presentazione della CILA, considerata anche la modesta entità della sanzione per la sua omissione, avrebbe in sostanza l’unico effetto di attirare l’attenzione dell’amministrazione sull’intervento, esponendolo ad libitum, in caso di errore sul contesto tecnico-normativo di riferimento, alle più gravi sanzioni per l’attività totalmente abusiva, che l’ordinamento correttamente esclude quando l’amministrazione abbia omesso di esercitare i dovuti controlli ordinari di legittimità sulla SCIA o sull’istanza di permesso.
29. Per tale ragione è da preferire la ricostruzione operata da questo Consiglio di Stato (Cons. Stato, sez. IV, 23 aprile 2021, n. 3275), che ha inteso mutuare in subiecta materia i principi via via consolidatisi con riferimento alla separazione tra autotutela decisoria e esecutiva in materia di s.c.i.a. o d.i.a., in particolare dopo la pronuncia della Corte costituzionale n. 45 del 2019. Di esse, infatti, la CILA «condivide l’intima natura giuridica», sicché trovano applicazione i limiti di tempo e di motivazione declinati nell’art. 19, commi 3, 4, 6 bis e 6 ter della l. n. 241 del 1990, in combinato disposto con il richiamo alle «condizioni» di cui all’art. 21 novies della medesima normativa.
30. Anche sotto tali profili l’atto impugnato si presenta esente da censure, in quanto i passaggi procedurali intercorsi, se anche evidenziano sul piano formale comprensibili incertezze di inquadramento dogmatico, attestano su quello sostanziale la tempestività della reazione del Comune all’attività abusiva della Società, tale da escludere qualsiasi necessità di tutela dell’affidamento della stessa: a fronte, infatti, della CILA del 18 febbraio 2021, la comunicazione di avvio del procedimento di ripristino dello stato dei luoghi è del 5 marzo 2021; il primo divieto di prosecuzione dell’attività è del 19 marzo 2021 e il relativo annullamento in autotutela è conseguito al riscontrato mancato rispetto del termine accordato alla parte, peraltro in via di assentita proroga, per presentare le proprie controdeduzioni, che non hanno inciso sull’atto finale, oggetto dell’odierno gravame.
31. Il richiamo pertanto anche alla norma fondante il potere sanzionatorio ben si giustifica nell’ottica della illiceità originaria dell’intervento effettuato, ovvero, in chiave più garantista, consegue alla illiceità comunque sopravvenuta all’esercizio dei poteri inibitori che il Comune ha attivato nei termini di legge (al riguardo, v. Cons. Stato, sez. II, 7 marzo 2023, n. 2371).
32. Quanto infine all’intersecarsi degli atti del Comune con le note dello Sportello unico delle attività produttive “Civitas”, di cui esso si avvale in regime di convenzione con altri enti territoriali della zona, se ne deve escludere la portata lesiva autonoma, ontologicamente incompatibile con la tipologia di funzioni delegate allo stesso, che neppure attingono la repressione degli abusi edilizi. Vero è che la replica formale dei contenuti dei provvedimenti sanzionatori nelle note del S.U.A.P.) rischia di generare un’indebita quanto inopportuna sovrapposizione di piani, che sarebbe opportuno evitare riconducendo l’attività di quest’ultimo a mero snodo di pratiche riferibili a diverse Amministrazioni. Va infatti ricordato come per sua natura lo sportello unico delle attività produttive (S.U.A.P.) costituisca la risposta sul piano organizzativo che l’ordinamento ha inteso contrapporre alla precedente gestione indebitamente frammentata - caratterizzata cioè dal mancato coordinamento fra l’istruttoria dei profili di rilevanza urbanistico edilizia e quelli più propriamente “produttivi” - di talune pratiche burocratiche. Il suo scopo invero è quello di fornire al cittadino un interlocutore unico e una gestione omogenea dei procedimenti che attingono interessi diversi, urbanistici e economici, garantendo concretezza alla visione di insieme di tutti i possibili elementi di sviluppo armonico del territorio che l’intersecarsi degli strumenti urbanistici con la tutela delle esigenze dell’imprenditoria, in un’ottica europeistica di valorizzazione della concorrenza, in comparazione con altre esigenze pubblicistiche, in primis l’impatto con la residenzialità, ormai impongono (sulla finalità di “buon governo del territorio” in accezione globale, comprensiva di istanze ambientali lato sensu intese, della pianificazione commerciale, v. Cons. Stato, sez. II, 14 novembre 2019, n. 7839; id., 6 novembre 2019, n. 7560; sez. IV, 25 giugno 2019, n. 4343; 1° agosto 2018, n. 4734). Da qui, dunque, nel caso di specie, il suo farsi veicolo della sanzione, ma non organo accertatore a sua volta, non avendone né essendosene attribuito in alcun modo le competenze.
33. In definitiva alla stregua delle osservazioni svolti l’appello va accolto nei sensi e limiti sopra esplicitati e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, va accolto il ricorso di primo grado.
33.1. Le questioni vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c. Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati, sono stati ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e, comunque, inidonei a supportare una conclusione di segno diverso.
34. La varietà e parziale novità delle questioni trattate giustifica la compensazione delle spese di entrambi i gradi di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado.
Spese del doppio grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 febbraio 2023 con l’intervento dei magistrati:
Carlo Saltelli, Presidente
Francesco Frigida, Consigliere
Antonella Manzione, Consigliere, Estensore
Carmelina Addesso, Consigliere
Maria Stella Boscarino, Consigliere