Consiglio di Stato Sez. II  n. 2798 del 22 marzo 2024
Urbanistica.Nozione di centro abitato e sua rilevanza urbanistica

La nozione di centro abitato trova riscontro nell’art. 3 del nuovo codice della strada, che, in un’ottica finalistica di diversificazione delle regole di circolazione stradale, lo identifica in un “insieme di edifici, delimitato lungo le vie di accesso dagli appositi segnali di inizio e fine”. Lo stesso va, dunque, individuato nella situazione di fatto costituita dalla presenza di un aggregato di case continue e vicine, comunque suscettibile di espansione, ancorché intervallato da strade, piazze, giardini o simili. La sua rilevanza urbanistica discende, peraltro, dalla legge n. 765 del 1967 (cosiddetta legge ponte) che, introducendo l’art. 41-quinquies nella l. n. 1150 del 1942, lo utilizza quale concetto per disciplinare l’edificazione nei comuni privi di piano regolatore o di programma di fabbricazione e, quindi, dal d.m. 1° aprile 1968, n. 1404, in ordine alle distanze dell’edificazione dal nastro stradale.


Pubblicato il 22/03/2024

N. 02798/2024REG.PROV.COLL.

N. 08266/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8266 del 2023, proposto dai signori Rosa Facchino, Michele Spizzico e Giovanni Spizzico, rappresentati e difesi dall’avvocato Giovanni Matarrese, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia,

contro

il Comune di Bari, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Chiara Lonero Baldassarra e Anna Lucia De Luca, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia,

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Sezione Terza, 25 marzo 2023, n. 552, resa tra le parti, relativa ad una ingiunzione a demolire opere abusive.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Bari;

Vista l’ordinanza dell’8 novembre 2023, n. 4474;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 13 febbraio 2024, il Cons. Antonella Manzione e uditi per le parti l’avvocato Giovanni Matarrese e l’avvocato Chiara Lonero Baldassarra;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con ricorso al T.a.r. per la Puglia il signor Giovanni Spizzico, nella sua qualità di proprietario, e i signori Michele Spizzico e Rosa Facchino, quali usufruttuari dell’immobile posto in Bari, alla via Re Manfredi, n. 9, adibito sin dal 2001 ad esercizio pubblico di somministrazione di alimenti e bevande all’insegna “Alla Taverna dell’Antico Molo”, hanno impugnato l’ordinanza dirigenziale n. 2016/00186 2016/130/00039 del 3 febbraio 2016 recante ingiunzione a demolire il portone in legno e il cancello apposti a chiusura di un corridoio coperto che si affaccia sulla medesima via. Con l’atto in questione il Comune ha inteso contestare l’avvenuta realizzazione, per il tramite di ridetta chiusura, di un ampliamento plano-volumetrico dell’attiguo locale commerciale, irrogando altresì la sanzione pecuniaria di euro 1.032,00 di cui all’art. 47, lett. a), della l.r. Puglia 31 maggio 1980, n. 56 e di euro 154,00 per la mancanza di agibilità (art. 24 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, T.u.e.).

2. Il Tribunale adito ha respinto il ricorso sottolineando la natura reale della sanzione demolitoria, il che toglie rilievo sia alla rivendicata estraneità degli attuali proprietario e usufruttuari alla realizzazione dell’abuso, a loro dire preesistente al momento dell’acquisto dei locali (17 marzo 2000), sia al tempo trascorso cui non può comunque conseguire alcun legittimo affidamento.

3. Con l’odierno appello i signori Spizzico Giovanni e Michele e Facchino Rosa hanno impugnato ridetta sentenza avanzando due ordini di censure, la seconda delle quali articolata in più punti (lettere A, B, C e D).

3.1. Con un primo motivo di gravame lamentano la violazione e la falsa applicazione degli artt. 10, 31 e 33, comma 3, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380. Il primo giudice non avrebbe tenuto conto della documentata preesistenza della chiusura del corridoio da tempo immemore: il locale era infatti già censito all’impianto del catasto urbano con identificativo foglio 30, particella 1854, subalterno 4, quale parte costituente un’unica unità immobiliare, sì da determinare una superficie di mq. 102, comprensiva dello stesso e dei vani corrispondenti al civico n. 9 (già n. 10); tale identificativo deriva dal C.E.U., come si evince dalla nota 6868/69 con riferimento al C.E.U., in mappa in data 8 gennaio 1970; la sua identificazione alla data di vendita per atto del notaio Paolo Di Marcantonio rep. 20126 dell’11 ottobre 1983, riferita alla compilazione del NCEU (1940 circa) lo rappresenta già come chiuso (v. modello 5 relativo alla partita 21144 foglio 93, particella 8, subalterno 3, che all’epoca identificava catastalmente il locale oggetto di causa).

3.2. Con un secondo motivo, lamentano violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione e eccesso di potere per ingiustizia manifesta, illogicità e carenza di motivazione. Il riferimento all’estraneità all’abuso aveva la finalità di negare i presupposti della sanzione demolitoria, non di sottrarsi alla stessa. L’omessa indicazione del volume di cui è causa nella d.i.a. presentata per i lavori effettuati dopo l’acquisto consegue a ridetta obiettiva consistenza fattuale preesistente, di cui peraltro dà atto la concessione edilizia rilasciata pochi mesi prima. Nel caso di specie peraltro avrebbe dovuto trovare applicazione l’art. 9-bis, comma 2-bis, del medesimo T.u.e., sullo stato legittimo dell’immobile - norma che il giudice avrebbe dovuto applicare d’ufficio in forza del principio iura novit curia- sicché, trattandosi di immobile realizzato quando non era necessario alcun titolo edilizio, sarebbe stato sufficiente fare riferimento alle informazioni catastali di primo impianto.

3.2.1. Anche il richiamo alla tutela del legittimo affidamento in ragione del decorso del tempo era da intendere nella medesima accezione, ovvero quale riferimento allo stato legittimo dell’immobile nella consistenza volumetrica indebitamente contestata dal Comune. Nel verbale di accertamento presupposto dell’ordinanza di demolizione, la Polizia municipale premette di essere a conoscenza della concessione edilizia n. 550 del 2000 e, pur correttamente identificando catastalmente il vano oggetto di lite, deduce poi erroneamente che il corridoio coperto sarebbe stato abusivamente chiuso sulla base di quanto emerge dalla sola mappa del catasto terreni (nella fattispecie non utile né pertinente) e non anche da quella estraibile dal N.C.E.U. che, come detto, rende evidente invece che il vano, alla data della concessione, era già chiuso dall’esterno con un portone. Inoltre, la tavola 1 della concessione edilizia n. 550/2000, che reca il «rilievo stato attuale» evidenzia che al civico 9 (già n. 10) di via Re Manfredi l’indicato corridoio di accesso era un ambiente chiuso al passaggio libero dall’esterno, con porte di accesso prospicienti sia al cortile interno che alla strada. Le foto allegate alla concessione a loro volta consentono di visualizzare le porte. Il Comune dunque, ove avesse ravvisato in tale stato di fatto un illecito, ben avrebbe potuto – recte, dovuto – attivarsi sin da allora. Nell’elaborato grafico allegato all’autorizzazione del 21 dicembre 2000 della Soprintendenza per i beni ambientali, architettonici, artistici e storici egualmente si dà atto dell’esistenza di porte esterne, di cui si impone la sostituzione con nuovi portoni in legno (cosa di fatto avvenuta).

3.2.2. La peculiarità della situazione imponeva di tenere conto delle controdeduzioni formulate dai ricorrenti e dei chiarimenti forniti su richiesta dello stesso Comune nel procedimento amministrativo sanzionatorio n. 217/2014, i cui contenuti trovano integrale conferma nella consulenza tecnica d’ufficio depositata dall’architetto Della Pierre nel procedimento penale instaurato per la medesima fattispecie, che ha accertato che: « stando sempre agli atti notarili del 1880 e 1927 ritenuti dallo scrivente essenziali ai fini dell’ incarico il Colella e quindi nessuno non ha mai avuto accesso dal civico n. 9 di Via Manfredi tanto evidentemente poiché dal 1880 tale civico era chiuso da una porta d’ accesso».

3.2.3. Se per regola la motivazione dell’atto di un procedimento sanzionatorio può limitarsi al solo rilievo della illegittimità dell’opera, ciò non può valere nel caso di specie, giusta l’affidamento motivato delle parti sullo stato legittimo dell’immobile.

4. Si è costituito in giudizio il comune di Bari per resistere all’appello e chiederne il rigetto.

4.1. Con memoria in data 2 novembre 2023 ha eccepito la sopravvenuta carenza di interesse all’impugnazione in quanto nelle more della definizione del giudizio innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale –nel quale l’istanza cautelare è stata rinunciata dai ricorrenti –è stata accertata l’inottemperanza all’ingiunzione demolitoria impugnata (verbale n. 94053 del 1° aprile 2019, regolarmente notificato), i cui effetti si sono consolidati, una volta intervenuta la sentenza che ne ha confermato la legittimità. Né a diverse conclusioni può condurre il semplice inoltro al Comune, da parte del difensore delle parti, della nota con cui invoca la declaratoria della estinzione del reato per prescrizione, contenuta nella sentenza del Tribunale penale di Bari n. 538 del 14 febbraio 2017, con la quale si è concluso il procedimento penale avviato sulla vicenda.

4.1.1. Nel merito, ha innanzi tutto ricostruito la nascita della volumetria di cui è causa, richiamando i medesimi atti di parte avversa e segnatamente: atto di compravendita Rep. 20216 dell’11 ottobre 1983 del Notaio Paolo Di Marcantonio, antecedente la ristrutturazione con cambio di destinazione e fusione delle due unità immobiliari, ove il “corridoio” è presente al solo scopo di garantire l’accesso ai locali retrostanti, oggetto della medesima compravendita, mediante ingresso dal n. 9 (già numero 10) di via Re Manfredi; atto di acquisto Rep. 11073 del 17 marzo 2000 del Notaio Michele Labriola, attraverso il quale è stata possibile la fusione delle unità immobiliari in questione (corrispondenti al numero 9, già civico 10), con quelle poste alla stessa via Re Manfredi al civico 11, la cui ristrutturazione con modifica della destinazione d’uso ha fatto venire meno l’originaria funzione ancillare di accesso dal n. 9 (già 10) ai locali posti sul retro del numero 11. Solo a seguito di ciò si sarebbe creata dunque una autonoma volumetria, in sostituzione del primigenio spazio di passaggio. Come dichiarato in sede di presentazione della istanza per la concessione -prot. 26719 del 21 novembre 2000 –, la fusione delle unità era da intendere come “fisica” e non catastale. La documentazione catastale che è stato possibile reperire dà atto di uno spazio destinato al passaggio e non di un volume autonomo. Confermerebbe tale argomento la lite instauratasi con il vicino per l’accertamento prima del possesso (v. sentenza del Tribunale di Bari n. 3421/2012) e poi della proprietà (sentenza del Tribunale di Bari n. 1853/2023) dello spazio in questione, seppure entrambe risolte a favore dell’appellante. Nel richiamare il sopra citato atto notarile rep. 11073 a firma del Notaio Michele Labriola del 17 marzo 2000, ed in particolare le pagg.39 e 40 -ove si ricorda agli odierni appellanti che «quanto venduto si trasferisce alla parte acquirente con tutti i diritti, ragioni, azioni, accessori e pertinenze e con la proprietà della parte del corridoio di accesso prospiciente i detti locali e con la comunione di detto corridoio per parte di esse da via Re Manfredi fino ai predetti locali […]» -precisa che «attualmente il ridetto corridoio è chiuso da due porte di cui la prima è quella su via Re Manfredi e la seconda è quella che immette sul cortile interno definendo di fatto un volume dal punto vista urbanistico. Detto volume –costituito essenzialmente da mura perimetrali, volte e due portoni in ferro –risulta presente in catasto approssimativamente dal 1953, tempo in cui l’immobile era in proprietà alla sig.ra Porcelli Nicoletta fu Francesco che acquista in data 3/03/1953 rep. N. 14547 come accertato a suo tempo dal tecnico del Catasto a seguito di sopralluogo (cfr. rif. Mod. 5) per una superficie di circa 34.25 mq. […]».

4.1.2. Ha infine ricordato come l’intervento abusivo, seppur risalente, è realizzato nel cuore del centro storico della città, e non fuori le mura, sicché, quand’anche anteriore al 1967, avrebbe comunque dovuto essere previamente assentito, ai sensi dell’art. 31 della l.17 agosto 1942, n.1150, nella versione vigente ratione temporis, che richiedeva in ogni caso la licenza edilizia per gli interventi da realizzarsi «nei centri abitati». Il c.d. “borgo antico” della città di Bari costituisce infatti il primigenio insediamento della città, la cui espansione -attraverso la realizzazione del “borgo nuovo”, o “borgo murattiano” - si è verificata solo con la posa della prima pietra al di fuori delle mura medioevali il 24 aprile del 1813 ad opera Gioacchino Murat. La qualificazione del centro abitato può pertanto pacificamente ricollegarsi a dati fattuali ed empirici, giacché se è vero che il concetto di “centro abitato” non va confuso con quello di “centro storico” (Cons. St., sez. IV, 19 agosto 2016, n. 3656), lo è parimenti che la via Re Manfredi era stata inserita nell’elenco delle strade comunali sin dal 1924 (v. nota comunale prot. 35391/2019, doc. 4 fascicolo di controparte).

5. Con l’ordinanza n. 4474 del 2023, segnata in epigrafe, la Sezione ha accolto la domanda cautelare ritenendo necessario l’approfondimento proprio della fase di merito, avuto riguardo in particolare all’avvenuta creazione di volumetria in conseguenza della sostituzione del portone con cancellata, a prescindere dalla natura pubblica o privata del “corridoio” che si è andato a chiudere, per come accertata nei richiamati giudizi civili e penali già intervenuti sulla vicenda.

6. Con memoria del 24 gennaio 2024, gli appellanti, nel richiamare le proprie argomentazioni, hanno evidenziato anche la mancanza di interesse pubblico alla rimozione del portone, che determinerebbe l’accessibilità a chicchessia ad un vano intercluso e cieco, destinato a divenire fattore di insidia per la sicurezza urbana.

6.1. All’udienza del 13 febbraio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

7. In via preliminare, il Collegio ritiene di scrutinare l’eccezione di improcedibilità avanzata dal Comune di Bari, sull’assunto che il verbale di inottemperanza non è stato impugnato, sicché non vi sarebbe più alcun interesse a definire il giudizio sulla sottesa ingiunzione a demolire.

8. La ricostruzione non può essere condivisa.

9. Come la Sezione ha avuto modo di precisare in più occasioni (cfr. Cons. Stato, sez. II, 25 gennaio 2024, n. 806), la notifica del verbale di inottemperanza costituisce una parentesi accertativa/informativa quando il procedimento sanzionatorio è destinato a sfociare nella perdita della proprietà. Essa da un lato consente all’amministrazione di verificare l’elemento materiale dell’illecito, dall’altro mette il suo autore in condizione di difendersi, potendo trattarsi del nudo proprietario, estraneo e finanche inconsapevole della prima fase del procedimento. Risponde dunque ad esigenze di garanzia di difesa, ma anche a logiche di risparmio, stante che l’avvenuta demolizione spontanea, seppure tardiva, soddisfa pienamente e a costo zero le esigenze di buon governo del territorio dell’Amministrazione vigilante. Il rispetto delle scansioni procedurali previste dal legislatore, quindi, lungi dal costituire baluardo meramente formale strumentalmente invocato per procrastinare, ovvero scongiurare, la demolizione dell’abuso, costituisce il giusto punto di incontro fra i contrapposti interessi tutelati, ovvero la salvaguardia dell’ordinato sviluppo del territorio, di cui il previo titolo edilizio costituisce garanzia primaria, e la tutela della proprietà, destinata comunque a recedere laddove il titolare non sacrifichi al suo mantenimento il doveroso ripristino spontaneo dello stato dei luoghi. Il che poi, sotto altro concorrente profilo, conduce a non svalutare il valore del verbale del sopralluogo, in genere demandato alla Polizia municipale, che constata l’omessa demolizione del manufatto abusivo.

9.1. Nel caso di specie, tuttavia, le sanzioni richiamate sono quelle di cui all’art. 33 del T.u.e., riferito alla ristrutturazione edilizia sine titulo o in totale difformità dallo stesso. In tali casi, il Collegio ritiene che il verbale di accertamento dell’inottemperanza costituisca un mero atto istruttorio endoprocedimentale, non avente la funzione di «titolo per l’immissione nel possesso e per la trascrizione nei registri immobiliari, che deve essere eseguita gratuitamente». Non dando luogo ad un procedimento sanzionatorio di secondo livello, infatti, non se ne può neppure inferire la valenza, mutatis mutandis, quale verbale di contestazione dell’illecito ex art. 14 della l. n. 689 del 1981 (che peraltro avrebbe comunque imposto di valutare le osservazioni del destinatario, non meramente dilatorie quali quelle in esame). E tuttavia una volta ricevutolo, la proprietà si è attivata per il tramite del proprio legale per evidenziare ancora una volta le proprie ragioni. La “nota” del 19 novembre 2023, susseguente alla notifica del verbale di inottemperanza, infatti, che l’Amministrazione vorrebbe neutralizzare quale documento privo di significatività che si limiterebbe a richiamare la dichiarata estinzione del reato da parte Tribunale di Bari in composizione monocratica (sentenza del 7 febbraio 2017, n. 538), contiene la ricostruzione dell’intera vicenda allo scopo di compulsare l’attività di autotutela nei confronti dell’ingiunzione a demolire. Dopo aver richiamato le controdeduzioni già svolte nell’ambito del procedimento sanzionatorio originario - ove si documenta l’accatastamento del vano sin dal 1940, esso pure del tutto ignorato da controparte - evidenzia altresì, con riferimento al procedimento penale, come l’agente della polizia municipale che aveva accertato il presunto abuso ha poi dichiarato in tale sede che dagli atti amministrativi non era possibile risalire alla data di installazione del cancello. Richiama poi gli esiti delle azioni civili instaurate da un vicino, indicato anche quale presumibile autore della denuncia anonima dalla quale è scaturita l’intera vicenda.

9.2. Infine, a tutto concedere alla tesi del Comune di Bari, quand’anche il verbale di accertamento dell’inottemperanza di un abuso ivi ricondotto alla ristrutturazione edilizia sine titulo o in totale difformità dallo stesso fosse stato in astratto autonomamente impugnabile, nel caso di specie non ve ne sarebbe stata la necessità, avendone la stessa Amministrazione “congelato” di fatto l’efficacia, nell’evidente attesa degli esiti dell’attuale contenzioso, stante che pur essendo il termine di 90 giorni nuovamente accordato per la demolizione spontanea ampiamente decorso (essendo stato il verbale notificato il 9 aprile 2019), non ne è conseguito alcun avvio del procedimento esecutivo.

10. Nel merito, l’appello è fondato.

11. Punto essenziale della vicenda è la chiusura di un vano, già utilizzato come corridoio d’accesso, successivamente adibito a rimessaggio a servizio del ristorante.

12. Rileva il Collegio come la difesa civica non neghi affatto la preesistenza volumetrica, ma pretenda di dequotarne la sussistenza in ragione dell’originaria finalizzazione, sicché solo la nuova tipologia di utilizzo avrebbe reso il locale “volume autonomo”. La tesi non può essere condivisa. Il volume di un edificio, infatti, espresso in metri cubi vuoto per pieno, è costituito dalla sommatoria della superficie delimitata dal perimetro esterno dei vari piani per le relative altezze effettive misurate da pavimento a pavimento del solaio sovrastante. L’inclusione nella stessa di un determinato locale, dunque, prescinde dalla finalizzazione dello stesso a mero transito per accedere ad altre stanze, ovvero, una volta venuta meno ridetta necessità, a magazzino/deposito. La destinazione d’uso, infatti, ammesso e non concesso possa assumere rilievo quella di una porzione del manufatto comunque a servizio dell’intero, non implica certo la decurtazione dal computo, ovvero la sua inclusione solo in ragione di ridetta mutata finalizzazione.

13. Chiarito quanto sopra, il Collegio reputa dirimente individuare la data di realizzazione dell’immobile nella sua consistenza finale, comprensiva del corridoio, comunque lo si voglia denominare e a prescindere dalla sua concreta utilizzazione. Al riguardo, la giurisprudenza ha da sempre affermato che l’obbligo di comprovare la preesistente consistenza di un immobile all’epoca di edificazione libera grava sulla proprietà. Il privato, cioè, è onerato a provare la data di realizzazione dell’intervento edilizio, non solo per poter fruire del beneficio di una sanatoria, ma anche - in generale - per potere escludere la necessità del previo rilascio del titolo abilitativo, ove si faccia questione di opera risalente ad epoca anteriore all’introduzione del regime amministrativo autorizzatorio dello ius aedificandi. Solo il privato, infatti, può fornire (in quanto ordinariamente ne dispone) inconfutabili atti, documenti o altri elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione del manufatto, mentre l’amministrazione non può, in via generale, materialmente accertare quale fosse la situazione all’interno del suo territorio negli anni precedenti al 1967 (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 6 febbraio 2019, n. 903; id., 4 marzo 2019, n. 1476; 20 aprile 2020, n. 2524; 9 giugno 2023, n. 5668). Come è noto, infatti, solo con l’art. 10 della l. n. 765/1967 (entrata in vigore il 1° settembre 1967), l’obbligo di licenza edilizia è stato esteso a tutti gli interventi edilizi (intesi quali nuove costruzioni, ampliamenti, modifiche e demolizioni di manufatti esistenti, nonché opere di urbanizzazione) eseguiti sull’intero territorio comunale. In precedenza, l’art. 31, comma 1, della l. n. 1150 del 1942 lo prevedeva solo per certi interventi edilizi e limitatamente ad alcune zone territoriali, ovvero, per quanto qui di interesse, i centri abitati e, ove esisteva il piano regolatore comunale, anche le zone di espansione ivi espressamente indicate, salvo quanto dettato per altre zone o per tutto il territorio comunale dal Regolamento edilizio, accompagnato o meno dal Programma di fabbricazione comunale.

14. Al fine di agevolare la prova di tale stato legittimo dell’immobile, laddove si tratti di manufatti che insistono in loco da molti anni, il legislatore ha introdotto il comma 2-bis nell’art. 9-bis del d.P.R. n. 380 del 2001 (d.l. n. 76 del 2020, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 120 del 2020), che consente di attingere ai titoli abilitativi relativi non solo alla sua originaria edificazione, ma anche alle sue successive vicende trasformative.

15. Nel caso di specie, è documentato che il corridoio preesistesse al 1967. La sentenza del Tribunale di Bari n. 1853 del 2023, i cui esiti sono richiamati anche dalla difesa civica, afferma espressamente che il volume di cui è causa «[…] costituito essenzialmente da mura perimetrali, volte e due portoni in ferro risulta presente in catasto approssimativamente dal 1953, tempo in

cui l’immobile era in proprietà alla sig.ra Porcelli Nicoletta fu Francesco che acquista in data 3/03/1953 rep. n. 14547 come accertato a suo tempo dal tecnico del Catasto a seguito di sopralluogo (cfr. rif. Mod. 5) per una superficie di circa 34.25 mq.». Ciò trova conferma in tutte le indicazioni catastali dettagliatamente evocate da parte appellante, nonché nella rappresentazione dello stato dei luoghi al momento della presentazione dell’istanza di rilascio della concessione edilizia del 2000.

15.1. Il Comune ritiene tuttavia di trarre la prova dell’abusività dell’opera dalla mancata produzione della licenza edilizia che comunque sarebbe stata necessaria per chiudere il corridoio, giusta l’insistenza dell’immobile nel “borgo antico”. Affermazione questa che avrebbe potuto avere una qualche plausibilità ove fosse stato versato in atti il titolo originario in forza del quale è stato realizzato il fabbricato, con conseguente prova dell’apertura verso la strada del corridoio, e quindi, indirettamente, della sua chiusura solo in epoca successiva. Diversamente, non è dato comprendere da quale circostanza, anche fattuale, la difesa civica evinca che la chiusura sia sopravvenuta e non originaria, e che solo per la stessa sarebbe stata necessaria una licenza aggiuntiva.

16. Del resto, neppure è stata data prova che per quella zona la «licenza del podestà» fosse davvero necessaria a far data dal 1942, stante che l’ubicazione del fabbricato nel c.d. “borgo antico” non implica affatto la sua riconduzione a ciò che, secondo le indicazioni pianificatorie dell’epoca, doveva essere perimetrato come centro abitato.

17. Come questo Consiglio di Stato ha già avuto modo di precisare (Cons. Stato, sez. IV, 19 agosto 2016, n. 3656), la definizione di centro abitato non è rinvenibile in termini univoci, per cui occorre far riferimento a criteri empirici elaborati dalla giurisprudenza. Esso trova ora riscontro nell’art. 3 del c.d. nuovo codice della strada, che lo identifica in un «insieme di edifici, delimitato lungo le vie di accesso dagli appositi segnali di inizio e fine», che tuttavia nasce per esigenze di diversificazione delle regole di circolazione stradale. Va dunque individuato nella situazione di fatto costituita dalla presenza di un aggregato di case continue e vicine, comunque suscettibile di espansione, ancorché intervallato da strade, piazze, giardini o simili. La sua rilevanza urbanistica discende dalla legge n. 765 del 1967 (cosiddetta legge ponte) che introducendo l’art. 41-quinquies nella l. n. 1150 del 1942, lo utilizza quale concetto per disciplinare l’edificazione nei comuni privi di piano regolatore o di programma di fabbricazione e, quindi, dal D.M. 1° aprile 1968, n. 1404, in ordine alle distanze dell’edificazione dal nastro stradale. Non risponde dunque al preciso disposto del richiamato art. 41-quinquies, comma 6, della l. 17 agosto 1942, n. 1150, assimilare ciò che nel lessico comune fa pensare all’originario nucleo abitato (il “borgo antico”, appunto), alla necessaria perimetrazione di una zona espressamente richiesta dalla legge. Scolorano quindi le considerazioni del Comune di Bari sull’irrilevanza della vetustà della chiusura, in quanto non risulta affatto provata la necessita del titolo edificatorio in quella zona del Comune di Bari sin dal 1942, ammesso e non concesso essa sia sopravvenuta alla realizzazione originaria del manufatto.

18. Anche a non voler dare rilievo ai dati catastali, la concessione edilizia n. 550/2000 del 23 aprile 2001, rilasciata ai signori Giovanni Spizzico e Angela Ranieri per la ristrutturazione con cambio di destinazione d’ uso e fusione di due unità immobiliari, a piano terra, rappresenta chiaramente l’esistenza del corridoio chiuso. In particolare, esso risulta nell’elaborato grafico di rilievo dello stato dei luoghi come corridoio coperto di accesso e nell’elaborato di progetto come trasformazione da corridoio di accesso in locale di deposito e passaggio di servizio, ad uso esclusivo del locale commerciale, nonché nella relazione tecnico-descrittiva dei lavori. Né può assumere rilievo contrario il fatto che esso non sia graficizzato nella successiva d.i.a. n. 2730/01 del 13 settembre 2001, favorevolmente esaminata dall’Amministrazione in data 15 ottobre 2001, in quanto avente ad oggetto interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria all’interno delle predette unità immobiliari, tra le quali non rientra la riapertura del vano mediante rimozione del portone.

19. Per quanto sopra detto, l’appello va accolto e per l’effetto, in riforma della sentenza del T.a.r. per la Puglia n. 552 del 2023, va accolto il ricorso di primo grado.

20. Le spese del doppio grado di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado.

Condanna il Comune di Bari al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio, che liquida in euro duemila/00 (2.000/00) a favore, complessivamente, dei signori Rosa Facchino, Michele Spizzico e Giovanni Spizzico.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare gli appellanti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 febbraio 2024 con l’intervento dei magistrati:

Giovanni Sabbato, Presidente FF

Antonella Manzione, Consigliere, Estensore

Cecilia Altavista, Consigliere

Alessandro Enrico Basilico, Consigliere

Valerio Valenti, Consigliere