Consiglio di Stato Sez. VI n.1395 del 8 aprile 2016
Urbanistica.Provvedimenti repressivi e affidamento del privato

L’illecito edilizio ha carattere permanente, che si protrae e che conserva nel tempo la sua natura, e l’interesse pubblico alla repressione dell’abuso è in re ipsa. L’interesse del privato al mantenimento dell’opera abusiva è necessariamente recessivo rispetto all’interesse pubblico all’osservanza della normativa urbanistico –edilizia e al corretto governo del territorio. Non sussiste alcuna necessità di motivare in modo particolare un provvedimento col quale sia stata ordinata la demolizione di un manufatto, quando sia trascorso un lungo periodo di tempo tra l’epoca della commissione dell’abuso e la data dell’adozione dell’ingiunzione di demolizione, poiché l'ordinamento tutela l'affidamento solo qualora esso sia incolpevole, mentre la realizzazione di un’opera abusiva si concretizza in una volontaria attività del costruttore contra legem

N. 01395/2016REG.PROV.COLL.

N. 07077/2012 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7077 del 2012 proposto da
Rosina Caruso, rappresentata e difesa dagli avvocati Alfredo Gualtieri e Aristide Police, con domicilio eletto presso l’avv. Aristide Police in Roma, Via di Villa Sacchetti, 11;

contro

Comune di Rossano Calabro, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall'avv. Giovanni Spataro, con domicilio eletto presso l’avv. Francesco Lilli in Roma, Via di Val Fiorita, 90;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CALABRIA - CATANZARO -SEZIONE I, n. 548 dell’11 maggio -7 giugno 2012, con la quale è stato respinto, con spese a carico della ricorrente, il ricorso promosso dalla signora Rosina Caruso nei confronti del Comune di Rossano avverso i seguenti atti e provvedimenti comunali: a) determinazione dirigenziale del 15 settembre 2009 di rigetto di domanda di condono edilizio presentata dalla dante causa signora Isabella Russo il 30 settembre 1986; b) ordinanza dirigenziale n. 60/09 del 25 novembre 2009 concernente diffida a demolire opera abusiva (manufatto in muratura a due piani fuori terra realizzato in località Zolfara in zona demaniale marittima) e a ripristinare lo stato dei luoghi; c) ordinanza dirigenziale n. 4/2010 del 2 febbraio 2010 di demolizione di opera abusiva e ripristino dello stato dei luoghi;

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Rossano Calabro;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del 25 febbraio 2016 il cons. Marco Buricelli e uditi per le parti gli avvocati Gualtieri, Police, e Lilli, per delega di Spataro;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

1. Con la sentenza n. 548 del 2012 il Tar Calabria ha respinto, con spese a carico della parte soccombente, il ricorso e i motivi aggiunti proposti dalla signora Rosina Caruso avverso e per l’annullamento degli atti e dei provvedimenti specificati in epigrafe relativi, in particolare, a un diniego di condono edilizio opposto alla ricorrente nel 2009 e ad atti repressivi successivi riguardanti l’edificazione abusiva di un manufatto in località Zolfara, su area demaniale.

Il diniego di sanatoria del 15 settembre 2009 si fondava sui seguenti “considerato che” : trattandosi di fabbricato eretto interamente su area demaniale, il richiedente non ha prodotto la necessaria dichiarazione di disponibilità dell'Ente proprietario a concedere onerosamente l'uso del suolo su cui insiste la costruzione per come previsto dall'art.32 legge 47 /1985 e s.m.i; considerato altresì che la domanda di condono è priva del certificato catastale e visura catastale recente, del titolo di proprietà del suolo sul quale ricade l'immobile o della disponibilità da parte dell'ente proprietario a concedere il suolo ai sensi dell'art. 32 della legge 47/85, di documentazione fotografica, della dichiarazione indicante la data di ultimazione dell'opera, dell'autorizzazione paesaggistico ambientale in sanatoria (vincolo di cui all'art. 142 comma 1 lettera a) del D.L.vo 42/2004), della relazione sullo smaltimento delle acque nere e sull'approvvigionamento idrico,

della dichiarazione sullo stato dei lavori, di perizia giurata sullo stato e dimensioni dell'opera, della relazione circa la superficie e la volumetria determinati ai sensi dell'art.51 della legge 47/85, del certificato di idoneità statica, del certificato di residenza storico, dei versamenti oneri concessori nella misura prevista dalla legge, degli elaborati grafici e planimetrici….

Il rigetto dell’istanza di condono si basava dunque in primo luogo sulla mancanza della dichiarazione di disponibilità dell'Ente proprietario a concedere onerosamente l'uso del suolo demaniale su cui insisteva il fabbricato de quo, in secondo luogo sulla mancanza dell'autorizzazione paesistico ambientale in sanatoria (vincolo di cuí all'art. 142 comma 1, lett. a) del d. lgs. n. 42/04), e infine su una serie di carenze documentali della domanda stessa, puntualmente elencate nella motivazione del diniego in questione.

Il Tar, in sentenza, ha, dapprima, disposto consulenza tecnica d'ufficio rivolta a descrivere i luoghi per cui è causa, indicando in particolare se il terreno sul quale è stato realizzato il manufatto in muratura a due piani fuori terra appartiene al demanio pubblico e indicando inoltre, qualora si accerti che il terreno non appartiene al demanio pubblico, a quale distanza dal confine di tale demanio il manufatto sia stato realizzato.

Quindi, acquisita la relazione di c.t.u. , il giudice di primo grado ha respinto il ricorso disattendendo, in via preliminare, le eccezioni comunali a) di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in favore di quello ordinario, b) di tardività del ricorso e c) di inammissibilità dello stesso per omessa notifica del gravame al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti; e rilevando, nel merito, l’infondatezza di entrambi i “gruppi di censure” formulati:

-del primo gruppo di motivi, imperniato sulla violazione dell’art. 2 della l. n. 241 del 1990 –conclusione del procedimento, sull’assunto dell’avvenuto superamento di ogni termine ragionevole per la conclusione del procedimento e per l’adozione del provvedimento finale, stante il lunghissimo tempo trascorso dalla istanza di condono, risalente al 1986; e sulla base della dedotta violazione dell’affidamento oltre che della tesi per cui, essendo stato il manufatto realizzato nel 1965, non era richiesto alcun titolo autorizzatorio;

-e del secondo gruppo di censure, diretto a contestare la tesi del Comune per cui il fabbricato risulta costruito su area demaniale. A quest’ultimo proposito la sentenza, ritenuta l’insussistenza dei presupposti per disporre la reiterazione della consulenza tecnica d'ufficio, ha richiamato e condiviso argomentazioni e conclusioni della relazione peritale, dalla quale risulta che il terreno ove insiste l’opera sanzionata con l’ordinanza di demolizione è di proprietà del demanio pubblico dello Stato e, in particolare, del demanio marittimo.

2. Con atto notificato il 3 ottobre 2012 e depositato in segreteria il successivo 9 ottobre la signora Caruso ha appellato la sentenza.

Con i “motivi di diritto” l’appellante:

a) da pag. 10 a pag. 12 dell’atto d’appello, nel dedurre violazione dell’art. 67 del cod. proc. amm. , ha chiesto di annullare la sentenza e di rimettere la causa al giudice di primo grado ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 105 del cod. proc. amm. (si veda anche l’istanza cautelare del 12 giugno 2015, in atti, da pag. 4);

b) da pag. 13 a pag. 17 la signora Caruso ha contestato la correttezza delle conclusioni del c.t.u. , secondo le quali il terreno identificato in Catasto al foglio di mappa SID n. 12 particella 893, derivante dall’originaria particella n. 1, oggi posseduto dalla signora Caruso Rosina, della superficie di mq. 720,30 e su cui insiste un fabbricato a due piani fuori terra costruito in epoca remota, ricade nella sua interezza nella proprietà del Demanio pubblico dello Stato Ramo Marina Mercantile;

c) da pag. 18 a pag. 24 ha valorizzato argomentazioni e statuizioni della sentenza del Tar del Lazio n. 11889 del 2010, di accoglimento di un ricorso proposto nel 2002 dalla stessa signora Caruso avverso l’ingiunzione di sgombero della Capitaneria di Porto di Crotone n. 82 del 18 dicembre 2001 (muovendo dall’assunto della identicità tra il fabbricato oggetto della controversia decisa dal Tar del Lazio e il manufatto al quale si riferisce la decisione del Tar Calabria), rilevando che il Tar di Catanzaro smentisce la tesi del Tar di Roma secondo il quale ultimo il lotto di terreno su cui insiste il manufatto non è ricompreso tra i beni del demanio marittimo;

d) da pag. 24 a pag. 27 l’appellante ha criticato la pronuncia impugnata nella parte in cui sono stati respinti i profili di censura basati sulla contraddittorietà dell’azione amministrativa e sulla violazione del principio del legittimo affidamento, anche avuto riguardo al considerevole lasso di tempo trascorso dalla commissione dell’abuso; oltre che su carenze motivazionali attinenti alla ponderazione dell’interesse pubblico;

e) infine, a pag. 27 l’appellante ha censurato come erronea, severa e ingiusta, la statuizione di condanna alle spese (per € 2.340, oltre a IVA e CPA e agli oneri per la c.t.u.).

Di qui, la richiesta conclusiva di accoglimento dell’appello e di riforma della sentenza, eventualmente con rinvio della causa al giudice di primo grado ex art. 105 del cod. proc. amm. .

3. Resiste il Comune.

4. Con ordinanza n. 3160 del 2015 la Sezione ha sospeso l’esecutività della sentenza ritenendo sussistente il pregiudizio grave e irreparabile di cui all’art. 98 del cod. proc. amm. .

5. All’udienza del 25 febbraio 2016 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

6. L’appello è infondato e va respinto.

La sentenza impugnata non merita le critiche che le sono state rivolte.

6.a) Anzitutto è infondata e va rigettata la richiesta di annullamento della sentenza con rinvio della causa al giudice di primo grado ai sensi dell’art. 105 cod. proc. amm. per avere, il consulente tecnico d'ufficio (CTU), depositato in via diretta in segreteria la relazione finale senza inviare preventivamente lo schema ai consulenti di parte (CTP), e per avere trasmesso ai CTP la relazione finale anziché soltanto lo schema di relazione da integrare in via conclusiva con le controdeduzioni alle eventuali osservazioni del CTP: il CTU ha infatti inviato ai CTP la relazione peritale dando ai consulenti termine per osservazioni, osservazioni che però non sono pervenute e ciò è sufficiente per respingere la richiesta di annullamento con rimessione della causa al Tar ex 105 cod. proc. amm. .

Più in dettaglio, dagli atti risulta che:

-con ordinanza istruttoria n. 430 del 2011, il Tar aveva designato il CTU assegnando allo stesso 90 giorni per il deposito della relazione tecnica, e prevedendo inoltre che le altre parti potessero nominare propri consulenti di parte;

-con ordinanza n. 1654 del 2011 il Tribunale ha rilevato che la relazione tecnica, predisposta dal CTU, era stata redatta senza rispettare, come segnalato dalla ricorrente, le modalità previste dall’art. 67 cod. proc. amm. il quale prescrive, alle lettere da c) ad e) : c) la trasmissione, ad opera del consulente tecnico d'ufficio, di uno schema della propria relazione alle parti ovvero, se nominati, ai loro consulenti tecnici;

d) la trasmissione al consulente tecnico d'ufficio delle eventuali osservazioni e conclusioni dei consulenti tecnici di parte;

e) il deposito in segreteria della relazione finale, in cui il consulente tecnico d'ufficio dà altresì conto delle osservazioni e delle conclusioni dei consulenti di parte e prende specificamente posizione su di esse. Nell’ordinanza si precisava che l’art. 67 prevede che il (CTU) debba inviare alle parti ovvero ai loro consulenti uno schema della propria relazione e che tale relazione debba dare conto delle osservazioni e delle conclusioni di parte e prendere specificamente posizione su di esse, e si disponeva di conseguenza che il CTU integr(asse) la consulenza alla luce di quanto previsto dalla riportata disposizione codicistica entro trenta giorni dalla comunicazione o notificazione della presente ordinanza;

-il CTU ha quindi trasmesso la relazione peritale ai consulenti di parte, prima dell’udienza alla quale la causa era stata rinviata con la citata ordinanza n. 1654 del 2011, ponendoli nella condizione di presentare osservazioni il che, però, non è avvenuto;

-i consulenti non hanno infatti ritenuto di formulare osservazioni e all’udienza dell’11 maggio 2012 il ricorso è passato in decisione.

In questo contesto, a differenza di quanto ritiene la ricorrente e odierna appellante, il CTU non è incorso in una inosservanza “fatale” della specifica scansione temporale e procedurale stabilita dal citato art. 67, comma 3; né ha commesso un errore procedurale insuperabile tale da implicare l’ordine giudiziale di rinnovazione della CTU.

Conformemente a ciò che si è statuito nella sentenza impugnata, rimane il fatto che il CTU, in tempo utile rispetto all’udienza dell’11 maggio 2012, cui la causa era stata rinviata, ha trasmesso la relazione ai CTP (i quali, in base a quanto afferma l’appellante, avevano già predisposto proprie relazioni), ponendoli nella condizione di presentare osservazioni cosa che, però, non è stata compiuta.

Quanto rilevato con l’ordinanza interlocutoria n. 1654 del 2011 non ha dunque inciso sulla regolarità dell’attività di consulenza tecnica e sui suoi esiti, e se irregolarità vi è stata in un primo momento, essa è stata sanata ponendo i CTP nella condizione di colloquiare con il CTU.

6.b) e 6.c.) Per quanto riguarda i motivi d’appello riassunti sopra ai punti 2.b) e 2.c), il Collegio osserva anzitutto che l’intera controversia si impernia, essenzialmente, sul carattere demaniale, o meno, del terreno sul quale è stato realizzato il manufatto.

In particolare, l’appellante contesta l’assunto dell’Amministrazione, fatto proprio dal Tar, secondo cui viene in questione un fabbricato edificato su area demaniale.

In realtà, quanto alla correttezza di considerazioni e conclusioni del CTU, ritiene il Collegio che, diversamente da ciò che sostiene l’appellante, dalle risultanze dell’attività svolta dal CTU non emergano contraddizioni di sorta o, quantomeno, contraddizioni tali da poter sovvertire l’esito della causa.

Infatti, dalla relazione peritale –che anche questo Collegio d’appello considera nel complesso attendibile e sostanzialmente immune da vizi logici- si ricava che:

-il terreno per cui è controversia è individuato nel Catasto del Comune di Rossano al foglio di mappa n. 12, particella n. 893, levato dal SID dell'anno 1956 ed aggiornato nell'anno 1992, derivante dall'originaria particella n. 1 del foglio di mappa dell'impianto dell'UTE levato nell'anno 1937 e riprodotto nell'anno 1956;

-il terreno è di proprietà del Demanio Pubblico dello Stato -Ramo Marina Mercantile. Sul punto non emerge alcuna contraddittorietà atteso che

Il CTU ha argomentato e concluso come segue:

- dalle risultanze dei rilievi la recinzione del terreno, nei punti rilevati, sovrapponendola con la mappa catastale redatta dal S.I.D. nell'anno 1956, ove viene riportata la dividente linea di delimitazione "Demanio / Proprietà privata", individuata con la procedura di delimitazione effettuata dalla Capitaneria di Porto del Compartimento Marittimo di Crotone come da verbale redatto in data 4.6.1952 rep. n. 142 registro n. 25, regolarmente approvato dal Ministero della Marina Mercantile Direzione Generale della Pesca e del Demanio Marittimo con dispaccio n. 2468(C 5.35 in data 27.04.1954, coincide esattamente con l'ubicazione riportata sulla mappa anzidetta individuata con la particella n. 893; per cui il terreno ove la stessa insiste è di proprietà del Demanio Pubblico dello Stato Ramo Marina Mercantile;

- la sovrapposizione della recinzione del terreno, nei punti rilevati, con la mappa catastale d'impianto canapina redatta dall'UTE nell'anno 1937, superata dall'avvenuta delimitazione degli arenili di Rossano e Mirto Crosia come già detto nell'anno 1952 con regolare verbale mai contestato dai frontisti" ha dato un risultato sostanzialmente simile con l'unica differenza che "dalle risultanze dei rilievi detta recinzione invade per mq. 670,00 la proprietà del demanio Pubblico dello Stato Ramo Marina Mercantile e per mq. 50.30 la proprietà dell'OVS (Opera per la Valorizzazione della Sila).

Come correttamente osserva l’appellato, l'area è quasi tutta interamente demaniale e non esiste, pertanto, alcuna contraddittorietà, o alcuna contraddittorietà significativa, tra le argomentazioni centrali dell'elaborato peritale –corroborate dall’affermazione secondo cui dagli accertamenti effettuati presso l’Ufficio Urbanistica del Comune lo strumento urbanistico vigente –PRG e piano territoriale ASI approvato nel 2001- classifica la zona ove si trova il terreno per cui è lite come Area Demaniale –Demanio Pubblico dello Stato Ramo Marina Mercantile, mentre nel PCS –piano comunale di spiaggia, l’area è classificata come zona sottoposta in parte a nuova viabilità lungomare in cui sono evidenziati i fabbricati da demolire-, e le conclusioni alle quali è giunto il CTU.

In modo corretto pertanto la sentenza ha rilevato che dalla –condivisibile- relazione peritale risulta che il terreno ove insiste l’opera sanzionata con l’ordinanza di demolizione è di proprietà del demanio pubblico dello Stato, e in particolare del demanio marittimo.

E in maniera altrettanto corretta il Comune, nel diniego di condono, ha posto in evidenza il fatto che, trattandosi di fabbricato eretto su area demaniale, la richiedente non aveva prodotto la necessaria dichiarazione di disponibilità dell’Ente proprietario a concedere onerosamente l’uso del suolo su cui insiste la costruzione per come previsto dall’art. 32 Legge n. 47/1985 e s.m.i. .

Quanto poi all’affermata contraddittorietà tra le statuizioni della sentenza del Tar del Lazio n. 11889 del 2010 e le conclusioni, diverse e sfavorevoli alla Caruso, cui è pervenuto il Tar Calabria con la decisione qui appellata, questo Collegio osserva, con la sentenza impugnata, che la decisione del Tar del Lazio n. 11889 del 2010 (riformata, tra l’altro, da Cons. Stato, sez. VI, n. 458 del 2015 –v. p. 5. , per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo), fa riferimento ad un terreno, sito pur sempre in località Zolfara del Comune di Rossano, ma avente diversi dati identificativi catastali. Si tratta, infatti, di una particela diversa rispetto a quella per cui è causa (ossia la part. 1 del fg. 12 e non la part. 893 del fg. 12).

Dagli atti risulta inoltre che la Capitaneria di porto, sulla scorta di dati cartografici, evidenzia come la particella ove insiste il manufatto per cui è ricorso non ha nulla a che vedere con quella indicata nella sentenza del Tar del Lazio, che dista circa 650 metri dal manufatto oggetto dell’ingiunzione di demolizione.

6.d) Sull’assenza di profili di contraddittorietà significativi nell’azione comunale si è già detto sopra, al p. 6.b/c).

Sopra si è anticipato che l’appellante ha riproposto i vizi di violazione del principio del legittimo affidamento, anche avuto riguardo al considerevole lasso di tempo trascorso dalla commissione dell’abuso, e di difetto di motivazione non avendo, il Comune, “speso” neppure una parola sull’ “interesse pubblico” sotteso alla demolizione di un fabbricato ultimato da diverse decine d’anni, anche in comparazione con il sacrificio del contrapposto interesse privato.

Anche questo ulteriore profilo di censura non può trovare accoglimento.

In via preliminare e in termini generali, la giurisprudenza amministrativa nettamente maggioritaria è nel senso che:

-la repressione degli abusi edilizi è espressione di attività strettamente vincolata e non soggetta a termini di decadenza o di prescrizione, potendo la misura repressiva intervenire in ogni tempo, anche a notevole distanza dall’epoca della commissione dell’abuso;

-l’illecito edilizio ha carattere permanente, che si protrae e che conserva nel tempo la sua natura, e l’interesse pubblico alla repressione dell’abuso è in re ipsa. L’interesse del privato al mantenimento dell’opera abusiva è necessariamente recessivo rispetto all’interesse pubblico all’osservanza della normativa urbanistico –edilizia e al corretto governo del territorio. Non sussiste alcuna necessità di motivare in modo particolare un provvedimento col quale sia stata ordinata la demolizione di un manufatto, quando sia trascorso un lungo periodo di tempo tra l’epoca della commissione dell’abuso e la data dell’adozione dell’ingiunzione di demolizione, poiché l'ordinamento tutela l'affidamento solo qualora esso sia incolpevole, mentre la realizzazione di un’opera abusiva si concretizza in una volontaria attività del costruttore contra legem. Non può ammettersi cioè un affidamento meritevole di tutela alla conservazione di una situazione di fatto abusiva. Colui che realizza un abuso edilizio non può dolersi del fatto che l'amministrazione lo abbia prima in un certo qual modo avvantaggiato, adottando solamente a notevole distanza di tempo i provvedimenti repressivi dell'abuso non sanabile (v. ex plurimis, Cons. Stato, sez. IV, 3182/2013, VI, 6072/2012 e IV, 4403 /2011, 79/2011, 5509/2009 e 2529/2004);

-d’altra parte, ammettere la sostanziale “estinzione” di un abuso per il decorso del tempo vorrebbe dire accettare una sorta di sanatoria extra ordinem, di fatto, che opererebbe anche quando l’interessato non ha ritenuto di avvalersi del corrispondente istituto previsto e disciplinato dalla normativa di sanatoria di cui alle leggi nn. 47/85, 724/94 e 326/03, ove ne sussistano, beninteso, le condizioni, senza neanche pagare le somme dovute a titolo di oblazione stabilite dalla normativa sopra citata, il che non sarebbe conforme a principi basilari di ragionevolezza e parità di trattamento nell’esercizio del potere amministrativo;

-il collegio non ignora che per un diverso orientamento, più sensibile alle esigenze del privato, su cui v. ad esempio Cons. Stato, sez. VI, n. 2512 del 2015, sez. V, n. 3847 del 2013, n. 883 del 2008 e n. 3270 del 2006, il notevole lasso di tempo trascorso dalla commissione dell'abuso e il protrarsi dell'inerzia dell'amministrazione preposta alla vigilanza potrebbero evidenziare la sussistenza di una posizione di legittimo affidamento in capo al privato, rispetto al quale graverebbe sul Comune un obbligo motivazionale “rafforzato” circa il pubblico interesse, evidentemente diverso da quello al mero ripristino della legalità, idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato.

Nella specie si ritiene, tuttavia, tenuto anche conto della particolarità della situazione (costruzione eseguita su area demaniale), di condividere la sentenza impugnata anche nella parte in cui ha rilevato, con Cons. Stato, Sez. IV, 4 maggio 2012, n. 2592, che quantunque il principio della tutela dell'affidamento trovi ormai piena applicazione con riguardo ai rapporti tra cittadino ed amministrazione - e ciò influisca, nella materia dei titoli edilizi, sul potere dell'amministrazione di rimuovere in sede di autotutela i provvedimenti ampliativi emanati in precedenza, tanto più se tra il rilascio del titolo e il provvedimento di riesame intercorre un notevole lasso di tempo e non sia ravvisabile la colpa del destinatario della statuizione favorevole -, deve ritenersi però che nel caso della mancata repressione di un abuso edilizio la situazione sia affatto differente: il fattore tempo non agisce qui in sinergia con l'apparente legittimità dell'azione amministrativa favorevole, a tutela di un'aspettativa conforme alle statuizioni provvedimentali pregresse, ma opera in antagonismo con l'azione amministrativa sanzionatoria. Per le funzioni di vigilanza e controllo, in mancanza di una espressa previsione normativa in deroga, vale, invero, il principio dell'inesauribilità del potere, e pertanto il comportamento illecito dei privati è sempre sanzionabile, qualunque sia il tempo trascorso e qualunque sia l'entità dell'infrazione : va dunque posto l’accento sulla non configurabilità di un affidamento alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, in forza di una legittimazione fondata sul tempo (cfr. da ultimo, Consiglio Stato, sez. IV, 31/08/2010, n. 3955; sez. V, 27/04/2011, n. 2497; sez. VI, 11/05/2011, n. 2781; sez. I, 30/06/2011, n. 4160).

L’orientamento giurisprudenziale, minoritario, per vero, ma che si pone tuttavia come “valvola di sicurezza” per situazioni del tutto particolari, con cui si considera necessaria una motivazione “rinforzata” sull’interesse pubblico alla demolizione qualora sia trascorso un notevolissimo periodo di tempo tra la commissione dell’abuso e l’adozione dell’ingiunzione di demolizione, non può pertanto trovare applicazione del caso qui in esame.

6.e) Infine, per giurisprudenza pacifica il regolamento delle spese rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito, e nella specie non risulta essere stato esercitato in modo irragionevole.

7. Peraltro, nonostante l’esito complessivo della controversia, con riferimento alle spese del secondo grado di giudizio il Collegio ravvisa, in base al combinato disposto di cui agli articoli 26, comma 1, c. p. a. e 92, comma 2, c. p. c. , in talune pecularità della vicenda trattata, eccezionali ragioni per l’integrale compensazione delle spese tra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge confermando, per l'effetto, la sentenza impugnata.

Spese del grado di giudizio compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 25 febbraio 2016 con l'intervento dei magistrati:

 

Sergio Santoro, Presidente

Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere

Dante D'Alessio, Consigliere

Andrea Pannone, Consigliere

Marco Buricelli, Consigliere, Estensore

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 08/04/2016

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)