Consiglio di Stato Sez. II n. 342 del 14 gennaio 2020
Urbanistica. Vincoli di piano regolatore
I vincoli di piano regolatore, ai quali si applica il principio della decadenza quinquennale, ai sensi dell'art. 2, l. 19 novembre 1968, n. 1187, sono soltanto quelli che incidono su beni determinati, assoggettandoli a vincoli preordinati all'espropriazione o a vincoli che ne comportano l'inedificabilità e, dunque, svuotano il contenuto del diritto di proprietà, incidendo sul godimento del bene tanto da renderlo inutilizzabile rispetto alla sua destinazione naturale ovvero diminuendone in modo significativo il suo valore di scambio. Invece, la previsione di una determinata tipologia urbanistica, quale nella specie relativa alla realizzazione o conservazione di parco urbano o di quartiere, non configura un vincolo preordinato all'espropriazione né comporta l'inedificabilità assoluta, trattandosi di una prescrizione diretta a regolare concretamente l'attività edilizia e quindi, costituente esercizio di potestà conformativa che sfugge al ricordato limite temporale
Pubblicato il 14/01/2020
N. 00342/2020REG.PROV.COLL.
N. 04914/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4914 del 2009, proposto dai signori Preite Francesco e Preite Emanuele, rappresentati e difesi dagli avvocati Corrado Marzullo e Corrado Orienti, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Gian Marco Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18,
contro
il Comune di Gravina di Puglia, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Nino Sebastiano Matassa, con domicilio eletto presso lo studio Placidi S.r.l. in Roma, via Barnaba Tortolini, 30,
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Terza) n. 1683/2008, resa tra le parti, concernente il rigetto dell’istanza di ritipizzazione di un suolo.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Gravina di Puglia;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 10 dicembre 2019, il Cons. Paolo Giovanni Nicolò Lotti e uditi per le parti gli avvocati Maria Elena Maratia, su delega di Corrado Orienti, e Clizia Calamita di Tria, su delega di Nino Sebastiano Matassa;
FATTO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Bari, sez. III, con la sentenza 9 luglio 2008, n. 1683, ha respinto il ricorso, proposto dall’attuale parte appellante, per l’annullamento della deliberazione del Consiglio comunale n. 10 del 6 febbraio 2003.
Secondo il TAR, sinteticamente:
- con la deliberazione impugnata si è disposto di non dovere provvedere sull’istanza di ritipizzazione che i ricorrenti hanno avanzata motivando la loro richiesta con la decadenza, ai sensi dell’art. 2 della legge 19 novembre 1968, n. 1187, del vincolo di inedificabilità gravante sul terreno, di cui sono comproprietari;
- il P.R.G. ha destinato il predetto suolo a “Parco Urbano F2” e a “Verde agricolo speciale E2” e, in particolare, il parco urbano, è assimilato alla zona agricola in virtù delle analoghe finalità ambientali e di conservazione del territorio urbano;
- l’art. 26 delle norme tecniche di attuazione del Comune di Gravina in Puglia, nel disciplinare le “Zone F2 - Parco urbano”, ha stabilito che, nelle more della creazione dei parchi, l’attività edilizia è svolta seguendo le regole dettate dall’art. 22 delle N.T.A., commi 2 e 3, dettato per l’edificazione nelle “Zone E2 - Verde agricolo speciale”;
- ciò comporta l’attribuzione alle aree di una vocazione comunque edificatoria, non essendovi alcun vincolo preordinato all’esproprio, né vincoli di inedificabilità assoluta;
- la legittimità delle indicazioni dell’anzidetto strumento di pianificazione generale è stata contestata in ritardo, non essendo stata denunciata entro il termine a pena di decadenza decorrente dalla pubblicazione del piano, risalente all’anno 1994, e, comunque, senza avere notificato l’atto introduttivo del presente giudizio anche alla Regione Puglia, coautrice del P.R.G.;
- il suolo resta pur sempre edificabile secondo le modalità, che, stabilite dall’art. 22, commi 2 e 3, delle N.T.A., in relazione ai terreni inclusi nelle zone E2 - Verde agricolo speciale, che non sono manifestazione di potere espropriativo, ma hanno natura conformativa della proprietà, con la conseguenza che non comportano vincoli per la proprietà privata, ma definiscono i caratteri generali dell’edificabilità in ciascuna delle zone in cui è suddiviso il territorio comunale.
La parte appellante contestava la sentenza del TAR deducendone l’erroneità e riproponendo, in sostanza, i motivi del ricorso di primo grado.
Con l’appello in esame chiedeva l’accoglimento del ricorso di primo grado.
Si costituiva il Comune appellato chiedendo la reiezione dell’appello.
All’udienza pubblica del 10 dicembre 2019 la causa veniva trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Deve preliminarmente rilevarsi che, secondo una giurisprudenza ormai consolidata di questo Consiglio (di recente, Consiglio di Stato n. 5276-2011, ma cfr., ex multis, anche Consiglio Stato, sez. IV, 10 giugno 2010, n. 3700), i vincoli di piano regolatore, ai quali si applica il principio della decadenza quinquennale, ai sensi dell’art. 2, l. 19 novembre 1968, n. 1187, sono soltanto quelli che incidono su beni determinati, assoggettandoli a vincoli preordinati all’espropriazione o a vincoli che ne comportano l’inedificabilità e, dunque, svuotano il contenuto del diritto di proprietà, incidendo sul godimento del bene tanto da renderlo inutilizzabile rispetto alla sua destinazione naturale ovvero diminuendone in modo significativo il suo valore di scambio.
Invece, la previsione di una determinata tipologia urbanistica, quale nella specie relativa alla realizzazione o conservazione di parco urbano o di quartiere, non configura un vincolo preordinato all’espropriazione né comporta l’inedificabilità assoluta, trattandosi di una prescrizione diretta a regolare concretamente l’attività edilizia e quindi, costituente esercizio di potestà conformativa che sfugge al ricordato limite temporale (cfr. art. 11, l. 17 agosto 1942, n. 1150).
Gli strumenti dedicati all’attuazione della pianificazione urbanistica si distinguono, infatti, tra vincoli espropriativi e vincoli conformativi, secondo una linea di discrimine che ha un preciso fondamento costituzionale, in quanto l’art. 42 Cost. prevede separatamente l’espropriazione (terzo comma) e i limiti che la legge può imporre alla proprietà al fine di assicurarne la funzione sociale (secondo comma).
I vincoli espropriativi, che sono soggetti alla scadenza quinquennale, concernono beni determinati, in funzione della localizzazione puntuale di un’opera pubblica, la cui realizzazione non può quindi coesistere con la proprietà privata.
Non può invece attribuirsi carattere ablatorio ai vincoli che regolano la proprietà privata al perseguimento di obiettivi di interesse generale, quali il vincolo di inedificabilità, c.d. “di rispetto”, a tutela di una strada esistente, a verde attrezzato, a parco, a zona agricola di pregio, verde, etc. (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 1° luglio 2015, n. 3256; Sez. IV, 31 agosto 2018, n. 5125; Sez. IV, 28 dicembre 2012, n. 6700).
2. Nel caso in esame, peraltro, la normativa regolamentare e di piano consente la realizzazione di strutture previste dalle N.T.A. del Comune, prevedendo altresì una destinazione non rimessa alla necessaria iniziativa pubblica e, quindi, attuabile, senza previa ablazione del bene, anche ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata.
Infatti, il Comune di Gravina, con la delibera di C.C. n. 10 del 6 febbraio 2003 ha ritenuto di non dover procedere alla ritipizzazione dell’area di proprietà degli attuali appellanti, in quanto si tratta di terreno non interessato da un vincolo di natura espropriativa, ricadente in zona F2 – Parco Urbano e, pertanto, già compiutamente disciplinato dall’art. 26 delle N.T.A., nonché dall’art. 22 delle N.T.A. (zone E2 – verde agricolo speciale), il quale comunque prevede una vocazione edificatoria attuabile anche da parte dei privati.
Il Comune evidenziava, inoltre, che la proposta di ritipizzazione degli appellanti prevedeva un incremento delle capacità insediative con compromissione della dotazione di standard prevista dal P.R.G. a livello generale, in modo incompatibile, all’evidenza, con la vocazione dell’area urbanistica in esame.
3. Peraltro, questo Consiglio, con la già citata sentenza 10 giugno 2010, n. 3700, si è già espresso proprio con specifico riferimento alla medesima fattispecie contenuta nel P.R.G. del Comune di Gravina.
Con tale pronuncia, relativa ad un’istanza di ritipizzazione da parte di proprietari di aree aventi la medesima destinazione urbanistica, è stata già del tutto condivisibilmente sancita la piena legittimità dell’art. 26 delle NTA del PRG del Comune di Gravina, ed il carattere conformativo del vincolo imposto dalla norma, con funzione di definizione, in via generale e astratta, di tipizzazione urbanistica dell’area, con la conseguenza che lo stesso vincolo non è soggetto a decadenza.
Benché, infatti, la decadenza del vincolo preordinato all’espropriazione, determinata dall’inutile decorso del termine quinquennale di cui all’art. 2, comma 1, L. n. 1187-1968 dalla data di approvazione dello strumento urbanistico generale comunale, obblighi il Comune a procedere alla riqualificazione dell’area rimasta priva di disciplina urbanistica, per cui l’Amministrazione ha il dovere di provvedere esplicitamente sulla istanza di ritipizzazione presentata dal proprietario del fondo su cui insisteva il vincolo, tuttavia, nel caso di specie, non è ravvisabile alcun obbligo da parte del Comune di effettuare la riqualificazione urbanistica di zona, non essendosi in presenza di intervenuta decadenza di vincoli preordinati all’esproprio.
Rientrano invero pacificamente nella disciplina di cui all’art. 2, L. 19 novembre 1968, n. 1187, i vincoli preordinati all’espropriazione, ovvero aventi carattere sostanzialmente espropriativo, perché capaci di svuotare incisivamente la proprietà, limitando le facoltà di godimento del bene in modo tale da renderlo inutilizzabile rispetto alla sua destinazione naturale, ovvero diminuendone in modo significativo il valore.
Una tale evenienza non può riscontrarsi nel caso di specie, nel quale la destinazione a “parco urbano”, recata dal P.R.G. per l’area in questione, va collegata alla potestà di conformazione in sede pianificatoria, valida a tempo indeterminato.
Lo stesso art. 26 delle NN.TT.A. delinea l’utilizzazione di dette aree nei termini seguenti: nei nuovi parchi sono ammesse soltanto piccole costruzioni per i guardiani, per impianti zoologici ed attrezzature mobili per chioschi, ristori e parchi divertimento, sempre nell’assoluto rispetto dell’alberatura esistente; la concessione e l’autorizzazione relativa alle suddette opere è limitata nel tempo. Nelle more della creazione dei parchi, nelle suddette zone è consentita l’edificazione secondo le modalità di cui all’art. 22 delle N.T.A., commi 2 e 3 (coltivazione agraria, costruzioni industriali, industrie estrattive e cave, costruzioni per industrie nocive e pericolose). Al contrario, alla luce dei criteri individuati dalla Corte costituzionale (cfr. la nota sentenza 20 maggio 1999, n. 179), i vincoli di piano regolatore, ai quali si applica il principio della decadenza quinquennale, ai sensi dell’art. 2 della legge 19 novembre 1968, n. 1187, sono soltanto quelli che incidono su beni determinati, assoggettandoli a vincoli preordinati all’espropriazione od a vincoli che ne comportano l’inedificabilità e, dunque, svuotano il contenuto del diritto di proprietà incidendo sul godimento del bene tanto da renderlo inutilizzabile rispetto alla sua destinazione naturale, ovvero diminuendone in modo significativo il suo valore di scambio.
Invece, la previsione di una determinata tipologia urbanistica non configura un vincolo preordinato all’espropriazione né comportante l’inedificabilità assoluta, trattandosi di una prescrizione diretta a regolare concretamente l’attività edilizia.
4. Nel caso di specie, la destinazione a parco urbano attribuita alle aree in questione, come specificata dal citato art. 26 delle NN.TT.A. del P.R.G., è suscettibile di dar luogo alle utilizzazioni sopraricordate, in relazione alle tipologie di intervento ivi consentite, che, in assenza di espressa esclusiva riserva alla mano pubblica, possono essere attuate anche ad iniziativa privata o promiscua e senza necessità di previa ablazione del bene.
Inoltre, deve evidenziarsi, a fugare ogni equivoco, che la locuzione contenuta nella rubrica della norma (zone “Fc”- Parco urbano) vale ad indicare non l’attribuzione esclusiva all’intervento pubblico della realizzazione delle opere ivi considerate, quanto, piuttosto, il profilo funzionale ed oggettivo dell’idoneità delle stesse a soddisfare i bisogni della collettività.
D’altra parte, che nel caso di specie, per effetto del citato art. 26, debba ritenersi consentita anche ad iniziativa del proprietario la realizzazione di opere e strutture intese all’effettivo godimento del bene (circostanza, questa, che, come s’è visto, esclude la configurabilità di uno svuotamento incisivo del contenuto del diritto di proprietà, permanendo, comunque, la utilizzabilità dell’area rispetto alla sua destinazione naturale) risulta evidente anche alla luce della circostanza che, così come accade per la pianificazione attuativa di iniziativa privata, mentre è riservata al Consiglio comunale l’approvazione del “progetto generale” ivi previsto, l’attuazione del piano, in mancanza di esplicita riserva affidata all’Amministrazione, è prevista per intervento urbanistico diretto, rispettando gli indici di fabbricabilità previsti.
Ne discende, in conclusione, che, nella fattispecie in esame, non si è in presenza di un vincolo urbanistico di localizzazione preordinato all’esproprio, ma di un vincolo di destinazione a carattere conformativo della proprietà privata, come tale posto al di fuori dello schema ablatorio e delle connesse garanzie costituzionali e di cui non può dunque dirsi venuta meno l’efficacia a séguito di decadenza, con conseguente insussistenza del preteso obbligo dell’Amministrazione comunale di dettare una nuova disciplina urbanistica dell’area interessata (cfr. citata sentenza Consiglio di Stato, n. 3700-2010).
Alla luce di tali pacifici principi, è del tutto corretto l’operato dell’Amministrazione comunale, che ha adottato la delibera impugnata in puntuale attuazione delle previsioni del PRG.
Infatti, la delibera impugnata reca una ampia ed esaustiva motivazione in ordine alle ragioni ostative all’accoglimento dell’istanza di ritipizzazione dell’area, evidenziando, da un lato, che la stessa comporterebbe “un incremento delle capacità insediative e compromissione dell’attuale dotazione di standard prevista dal PRG a livello generale”, e dall’altra che le norme del piano nella fattispecie non comportano un vincolo preordinato all’esproprio né di inedificabilità assoluta.
5. Gli appellanti, già nel ricorso in primo grado, nel contestare la legittimità della delibera n. 10-2003, hanno censurato direttamente le disposizioni del P.R.G. e, in particolare, gli artt. 22 e 26 delle NN.TT.AA.; nell’atto di appello, si ribadisce che la disciplina urbanistica a parco urbano imposta all’area sarebbe ingiusta ed irragionevole, oltre che illegittima.
Gli appellanti evidenziano in modo critico che, nel 1994, quando è stato adottato il P.R.G., l’Amministrazione avrebbe destinato il suolo a zona F2 - parco urbano ed avrebbe previsto che, nelle more dell’attuazione dei parchi, l’area sia edificabile secondo le modalità stabilite dall’art. 22 delle NN.TT.AA. zone E2 - verde agricolo speciale.
Tale censura è stata dichiarata irricevibile e inammissibile dal TAR per decadenza, non essendo stata sollevata entro il termine ex art. 21, L. n. 1034-1971 e, avverso tale pronuncia di decadenza, peraltro condivisibile, gli appellanti non muovono alcuna censura, non potendo quindi criticare in questa sede le relative scelte pianificatorie, peraltro afferenti al merito dell’azione amministrativa.
6. Conclusivamente, alla luce delle predette argomentazioni, l’appello deve essere respinto, in quanto infondato.
Le spese di lite del presente grado di giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe indicato, lo respinge.
Condanna parte appellante al pagamento delle spese di lite del presente grado di giudizio in favore del Comune appellato, spese che liquida in euro 4.000,00, oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 dicembre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Raffaele Greco, Presidente
Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Consigliere, Estensore
Fulvio Rocco, Consigliere
Giancarlo Luttazi, Consigliere
Francesco Frigida, Consigliere