Consiglio di Stato Sez. II n.343 del 14 gennaio 2020
Urbanistica.Onere della prova epoca di realizzazione di un abuso
In tema di abusi edilizi, l'onere della prova in ordine all'epoca di realizzazione di un abuso edilizio grava sull'interessato che intende dimostrare la legittimità del proprio operato, e non sul Comune, il quale, in presenza di un'opera edilizia non assistita da un titolo che la legittimi, ha solo il potere-dovere di sanzionarla secondo la previsione normativa e tale onere può ritenersi a sufficienza soddisfatto solo quando le prove addotte risultano obiettivamente inconfutabili sulla base di atti e documenti che, da soli o unitamente ad altri elementi probatori, offrono la ragionevole certezza dell'epoca di realizzazione del manufatto
Pubblicato il 14/01/2020
N. 00343/2020REG.PROV.COLL.
N. 09280/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9280 del 2009, proposto dal signor
Giuseppe Opisso, rappresentato e difeso dagli avvocati Marcello Vignolo e Massimo Massa, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Antonia De Angelis in Roma, via Portuense, n. 104;
contro
Il Comune di Carloforte non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna (Sezione Seconda) n. 63/2009, resa tra le parti, concernente la demolizione di un fabbricato e la rimessione in pristino dello stato dei luoghi.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 novembre 2019 il Cons. Carla Ciuffetti, nessuno comparso per le parti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con la sentenza in epigrafe il Tar per la Sardegna, Sezione seconda, ha respinto il ricorso con cui l’odierno appellante aveva avversato l’ordinanza n. 14, in data 19 febbraio 1996, recante ingiunzione di demolizione di manufatto realizzato sine titulo. Il ricorrente in primo grado deduceva l’illegittimità dell’ordinanza sia in quanto priva dell’indicazione del termine entro il quale effettuare la demolizione, sia per la preesistenza del manufatto in questione alla data di entrata in vigore dell’art. 10 della l. n. 765/1967, poiché realizzato nel 1962.
2. L’odierno appellante deduce l’erroneità della sentenza in epigrafe in quanto:
a) a causa della mancanza di indicazione del termine entro il quale eseguire la demolizione, per effetto delle disposizioni della l. n. 1150/1942 e dell’art. 15 della l. n. 10/1977, che stabilisce che l’immobile è acquisito al patrimonio comunale se, nel termine assegnato dal sindaco, il proprietario non ha eliminato l’abuso, il manufatto sarebbe stato acquisito in via automatica al patrimonio comunale, in violazione dell’art. 6 della l.r. n. 23/1985 che consentiva al proprietario di fruire di un termine per riparare all’abuso commesso;
b) il Tar non avrebbe tenuto conto delle prove documentali (atto accatastamento dell’anno 1994 e autocertificazione della preesistenza del manufatto al 1 settembre 1967) e di quelle testimoniali presentate nel procedimento penale svolto a carico dell’appellante; inoltre, non ammettendo la prova testimoniale richiesta dall’interessato in primo grado, il primo giudice avrebbe fondato la decisione di rigetto solo sulla tesi difensiva dell’Amministrazione, fondata unicamente sugli accertamenti della polizia municipale.
3. Con memoria 28 ottobre 2019, l’interessato ha chiesto l’ammissione della produzione di un documento che non aveva potuto reperire in primo grado, costituito da un nota in data 13 maggio 1996 del responsabile dell'Ufficio tecnico del Comune di Carloforte, indirizzata al segretario generale comunale. L’appellante evidenzia che tale nota “conferma che al momento in cui i vigili comunali accertarono il presunto abuso, nell'immobile in questione non erano in corso i lavori di nuova costruzione, ma soltanto quelli di manutenzione”.
4. Venendo all’esame del motivo di appello sub 2. lett. a) il Collegio constata che non risulta adottato alcun provvedimento di acquisizione del manufatto in questione al patrimonio comunale. Dunque la tesi dell’appellante in merito ad un’acquisizione automatica del manufatto al patrimonio comunale non pare trovare conferma nei fatti. In ogni caso, il Collegio condivide la tesi del Tar per cui nella fattispecie trova comunque applicazione l’art. 6, co. 4, della l.r. n.23/85 che stabilisce che “se il responsabile dell'abuso non provvede alla rimozione o alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall’ingiunzione, il bene e l’area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive, sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune”. Ciò sia per il “rapporto di complementarietà tra la normativa nazionale e quella regionale, costituendo la prima necessaria cornice della seconda”, sia per l’esplicito richiamo nell’atto impugnato all’art. 6, co. 12, della l.r. n.23/1985, all’epoca vigente, a dimostrazione – come evidenziato dal primo giudice che “l’intero regime sanzionatorio doveva considerarsi soggetto alle disposizioni regionali che ne contemplavano la disciplina di dettaglio, compresa, quindi, la previsione del termine per eseguire la demolizione e la possibilità di richiedere la concessione in sanatoria”.
5. Anche il motivo di appello sub 2. lett. b) è infondato.
In merito alle doglianze dell’appellante circa la mancata ammissione della prova testimoniale richiesta in primo grado il Collegio osserva che tale prova, inammissibile nella giurisdizione di legittimità prima del 16 settembre 2010, “ora ammessa dall’art. 63, comma 3, Cod. proc. amm., nel processo amministrativo di legittimità - essenzialmente documentale, perché incentrato sulla domanda di tutela dell’interesse legittimo a fronte di un procedimento amministrativo (cfr. Corte cost., 18 maggio 1989, n. 251) -, costituisce un’extrema ratio per consentire al giudice di formarsi un convincimento sui fatti storici rilevanti al fine della decisione” (Cons. Stato, sez. VI, 31 marzo 2014, n. 1522). Inoltre, “le prove raccolte nel giudizio penale possono essere utilizzate dal giudice amministrativo al fine della cognizione del fatto storico, anche come fonte esclusiva, purché le loro risultanze siano sottoposte a un autonomo vaglio critico (principio pacifico: per tutte, Cons. Stato, IV, 5 aprile 2013, n. 1904 e 12 luglio 2012, n. 4120)” (Cons. Stato, sez. VI, n. 1522/2014).
Tanto premesso, il Collegio rileva che è pacifico l’indirizzo giurisprudenziale per cui “in tema di abusi edilizi, l’onere della prova in ordine all’epoca di realizzazione di un abuso edilizio grava sull’interessato che intende dimostrare la legittimità del proprio operato, e non sul Comune, il quale, in presenza di un’opera edilizia non assistita da un titolo che la legittimi, ha solo il potere-dovere di sanzionarla secondo la previsione normativa” e tale onere “può ritenersi a sufficienza soddisfatto solo quando le prove addotte risultano obiettivamente inconfutabili sulla base di atti e documenti che, da soli o unitamente ad altri elementi probatori, offrono la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione del manufatto” (Cgars., sez. giur., 25 luglio 2018, n. 446). Nella fattispecie occorre constatare che la preesistenza del fabbricato al 1 settembre 1967 costituisce un dato che è rimasto indimostrato nel corso del presente giudizio. A tal fine, in disparte ogni valutazione ai sensi dell’art. 104, co. 2, cpa, resta irrilevante il documento depositato dall’appellante nel presente grado di giudizio, in quanto esso si limita ad evidenziare l’impossibilità dell’Amministrazione di risalire alla data di costruzione dell’immobile e che il proprietario aveva dichiarato di aver eseguito lavori di manutenzione sull’immobile, ma non apporta elementi di certezza in ordine alla databilità dell’opera.
6. Per quanto sopra esposto, l’appello deve essere respinto. Non si fa luogo a pronuncia sulle spese processuali del presente grado di giudizio, non essendosi costituito in giudizio il Comune di Carloforte.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata. Nulla sulle spese del secondo grado.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 novembre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Giulio Castriota Scanderbeg, Presidente
Giancarlo Luttazi, Consigliere
Francesco Frigida, Consigliere
Cecilia Altavista, Consigliere
Carla Ciuffetti, Consigliere, Estensore