Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 1740, del 27 marzo 2013
Urbanistica.Illegittimità applicazione delle misure di salvaguardia su istanza di permesso di costruire, per PRG modificato

Su istanza di permesso di costruire richiesto sulla base del progetto approvato, il Comune aveva disposto l’applicazione delle misure di salvaguardia nei confronti del PRG adottato e modificato con emendamento. La diversa destinazione impressa all’area di proprietà introdotta dal Comune in sede di controdeduzioni, condivisa senza rilievi dalla Regione, potrebbe essere giudicata legittima solo se traesse il suo fondamento dalle proposte di modificazioni d’ufficio espresse nella fase di approvazione. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 01740/2013REG.PROV.COLL.

N. 08602/2012 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8602 del 2012, proposto da: 
Comune di Giulianova, in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dall'avv. Enrico Ioannoni Fiore, con domicilio eletto presso Valentina Rossi in Roma, via Francesco Saverio Nitti 72;

contro

Sport World Srl, in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dall'avv. Antonino Morello, con domicilio eletto presso Studio Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18;

nei confronti di

Provincia di Teramo;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. dell’ ABRUZZO – Sede di L'AQUILA - SEZIONE I n. 00477/2012, resa tra le parti, concernente applicazione delle misure di salvaguardia su istanza di permesso di costruire



Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Sport World Srl;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 marzo 2013 il Consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti gli avvocati Enrico Ioannoni Fiore e Antonio Morello;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO

Con il ricorso di primo grado era stato chiesto dalla società odierna appellata Sport World S.r.l., l’annullamento dell’atto dirigenziale del Comune di Giulianova 2 maggio 2011 di applicazione delle misure di salvaguardia e della deliberazione consiliare 25 novembre 2009 n. 56.

La detta società aveva esposto in proposito di essere proprietaria di un’area in Giulianova dell’estensione complessiva di mq 18.167 e che parte della stessa era classificata dal vigente PRG come “comparto edilizio di tipo 2, edificabile previa approvazione da parte del consiglio comunale di un progetto complessivo degli interventi e con modalità esecutive da determinarsi in base a convenzione” nel cui ambito della stessa era stato individuato l’isolato B2.418 della estensione di mq 1761 con destinazione prevalentemente residenziale.

Il relativo progetto complessivo era stato approvato con deliberazione consiliare 31.7.2006 n. 86; in seguito, con deliberazione consiliare 19.7.2007 era stata adottata la variante generale al PRG che aveva lasciato inalterata la destinazione del fondo con relativi indici ( essendo stata mutata unicamente la terminologia relativa al lotto edificabile, divenuta B2.c).

La odierna appellata nell’ambito del procedimento di variante aveva presentato osservazioni dirette all’estensione del perimetro del comparto all’intera area di propria pertinenza ed al ridimensionamento delle aree da cedersi.

Tuttavia, con deliberazione consiliare 56/2009, in sede di controdeduzioni alle osservazioni, non soltanto era stato proposto il “non accoglimento dell’osservazione”, ma era altresì stato introdotto un emendamento che aveva modificato in pejus i precedenti parametri attraverso la trasformazione della zona da B2.c a B2.a (indice UF da 0,70 a 0,40 mq/mq; altezza max da m. 10,50 a m. 6,50) e la modifica di ubicazione della area edificabile in senso meno favorevole.

Sulla istanza di permesso di costruire proposta dall’appellata società (febbraio 2011) sulla base del progetto approvato con del. c.c. 86/2006, il Comune aveva disposto l’applicazione delle misure di salvaguardia nei confronti del PRG adottato e modificato dal suddetto emendamento.

L’odierna appellata era insorta sostenendo (quanto all’ atto dirigenziale) l’inapplicabilità della misura di salvaguardia, e comunque l’illegittimità della deliberazione consiliare 56/2009 nella parte in cui aveva introdotto sul PRG adottato un emendamento peggiorativo.

Il primo giudice ha preso in esame, in via preliminare le eccezioni di inammissibilità ed irricevibilità del mezzo, formulate dall’amministrazione comunale, disattendendole.

Quanto al primo profilo, ha rimarcato che la deliberazione consiliare non si era limitata alle controdeduzioni sulle osservazioni( avendo contestualmente approvato un emendamento che aveva modificato la delibera di adozione nella parte relativa all’area della originaria ricorrente): l’atto, lungi dall’essere “privo di effetti immediati”, aveva invece costituito il fondamento per le successive misure di salvaguardia e ne era palese la lesività e, pertanto, la impugnabilità.

Quanto alla dedotta tardività del gravame, il Tar ha osservato che la detta delibera, integrando una variante specifica dei precedenti parametri relativi al lotto della società originaria ricorrente, doveva essere comunicata personalmente ai fini della decorrenza del termine di impugnazione (pur costituendo atto meramente interno al procedimento del quale non era prevista una pubblicità legale).

In ogni caso, pur deducendo una “pacifica” acquisita conoscenza dell’atto in tempi tali da rendere tardiva l’impugnazione, il Comune non aveva dato dimostrazione di tale assunto, non potendo la piena conoscenza essere desunta “per esperienza comune” dalla successiva presentazione del permesso di costruire (febbraio 2011):anche l’eccezione di tardività è stata pertanto disattesa.

Nel merito, il primo giudice ha accolto il ricorso, avendo ritenuto fondato l’assorbente secondo motivo, con cui era stato contestato il potere comunale di integrare il PRG adottato in sede di controdeduzioni alle osservazioni.

Ad avviso del primo giudice, infatti, detta fase procedimentale era finalizzata ad affiancare, alle deduzioni dei privati, l’orientamento del Comune sulle specifiche questioni poste in vista dell'iter finale del piano(per favorirne il più corretto apprezzamento da parte dell'autorità competente all'approvazione).

Trattavasi quindi di una fase in cui il Comune non disponeva di quell'ampia discrezionalità consona alla fase di adozione: la riedizione nella fase endoprocedimentale del medesimo potere discrezionale esercitato all'atto dell'avvio del procedimento si sarebbe posta del tutto in contrasto con la tipicità normativamente scansionata per i singoli momenti dell'attività di pianificazione urbanistica.

Neppure - a giustificazione dell’operato dell’amministrazione comunale – avrebbe potuto opporsi la tesi per cui il Comune avrebbe potuto esercitare in ogni momento il potere pianificatorio: qualora, infatti, l'amministrazione procedente avesse ravvisato la sussistenza delle condizioni che richiedevano un nuovo intervento pianificatorio, avrebbe devuto necessariamente procedere all’adozione di una nuova variante innovativa rispetto al PRG vigente.

La delibera impugnata è stata pertanto ritenuta illegittima nella parte in cui aveva preteso di emendare il contenuto del piano in una fase che non consentiva innovazioni allo strumento in itinere.

L’amministrazione comunale odierna appellante ha proposto una articolata critica alla sentenza in epigrafe sotto tutti i versanti motivazionali suindicati chiedendo la riforma dell’appellata decisione e la reiezione del mezzo di primo grado.

Parte appellata ha depositato una memoria chiedendo la reiezione dell’appello perché infondato, ed ha riproposto i motivi di censure già prospettati in primo grado ed assorbiti dal primo giudice.

Alla camera di consiglio dell’8 gennaio 2013 le parti hanno chiesto il differimento della trattazione della causa che è stata rinviata, al 26 marzo 2013.

Con memoria datata 15 febbraio 2013 l’appellante comune ha ribadito e puntualizzato le proprie difese ripercorrendo le principali tappe del contenzioso giudiziario e ribadendo che doveva essere accolto il primo motivo d’ appello incentrato sulla tardività della proposizione del mezzo di primo grado in quanto l’appellata era ben a conoscenza degli atti avversati.

Quanto al secondo motivo di censura, ha fatto presente che una nota della Soprintendenza preconizzava la richiesta di riformulare il progetto in quanto eccessivamente impattante (la zona era sottoposta a vincolo paesaggistico) di guisa che risultava confermata anche per tal via la esattezza dell’operato del comune.

In ultimo anche il terzo motivo di appello meritava accoglimento.

Quanto invece al motivo del mezzo di primo grado assorbito dal Tar e riproposto dall’appellata, la interpretazione da quest’ultima fornita dell’art. 57 comma 2 della legge regionale n. 18/83 era inaccoglibile.

L’appellata ha depositato in giudizio il provvedimento di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica del 7 marzo 2013 n. 3.

Alla odierna udienza pubblica del 26 marzo 2013 la causa è stata posta in decisione dal Collegio.

DIRITTO



1.L’appello è infondato e deve essere disatteso, il che implica la improcedibilità delle censure di primo grado assorbite e riproposte da parte appellata.

2.Come rilevato nella parte in fatto, il primo giudice ha accolto il mezzo di primo grado nella parte in cui quest’ultimo tendeva ad avversare, immediatamente, la deliberazione consiliare 56/2009 resa in sede di controdeduzioni alle osservazioni, con la quale (non solo era stato proposto il “non accoglimento dell’osservazione” avanzata dalla originaria ricorrente di primo grado ma, anche) era stato introdotto un emendamento che aveva modificato in pejus i precedenti parametri attraverso la trasformazione della zona da B2.c a B2.a (indice UF da 0,70 a 0,40 mq/mq; altezza max da m. 10,50 a m. 6,50) e la modifica di ubicazione della area edificabile in senso (asseritamente) meno favorevole alla odierna appellata.

2.1. Nessuna delle doglianze proposte dall’amministrazione comunale avverso tale capo della gravata decisione appare persuasivo.

2.2. Si rileva anzitutto – sotto un profilo più generale- la endemica contraddittorietà della impostazione dell’amministrazione comunale secondo cui la delibera resa in sede di controdeduzioni non è autonomamente impugnabile in quanto atto privo di rilievo esoprocedimentale.

Tale principio è senza dubbio condivisibile, e costantemente predicato dalla giurisprudenza amministrativa.

Ma – ed è appunto questo il “proprium” della causa, ed insieme l’elemento di criticità della impostazione comunale – ciò può condivisibilmente affermarsi allorchè il comune, in sede di vaglio sulle osservazioni del privato, si limiti a

controdedurre alle stesse senza introdurre ulteriori modifiche al testo del documento di piano sul quale si era innestato il contraddittorio infraprocedimentale con il privato.

Certamente, invece, il detto orientamento non è predicabile nella opposta evenienza (ravvisabile nella fattispecie in esame) in cui l’amministrazione, “approfittando” della contingenza determinatasi dalla presentazione da parte del privato di controdeduzioni (non soltanto non le accolga neppure parzialmente ma) modifichi la prescrizione che aveva dato luogo alla presentazione delle suddette osservazioni.

Esclusa pertanto che sia riscontrabile alcuna inammissibilità originaria del mezzo di primo grado sotto tal profilo, proprio perché, in concreto non si verteva ( o meglio, non si verteva più a cagione dell’operato dell’amministrazione) in una fase meramente endoprocedimentale occorre interrogarsi sulla possibilità – da parte dell’amministrazione comunale- in detta fase di introdurre modifiche all’elaborato originario.

2.3. Il primo giudice, come è noto, ha espresso un convincimento contrario a tale modo di operare.

Il Collegio condivide tale argomentare.

La immanenza del potere pianificatorio comunale non può giustificare lo stravolgimento della regola procedimentale secondo la quale la sequenza “ordinata” della approvazione del piano è scandita da una serie di passaggi -adozione, pubblicazione, presentazione delle osservazioni, controdeduzioni, approvazione- che non consente di “inserire” nuove determinazioni modificative del testo sul quale si era instaurato il contraddittorio, ben potendo invece, successivamente, l’amministrazione comunale intervenire con variante nel modificare il testo originario ove non rispondente (o non più rispondente) al pubblico interesse.

Come rilevato già dal primo giudice il principio è stato esaurientemente motivato nella decisione del Tar del Lazio –Sede di Roma- n. 606/2008, confermata dalla decisione di questa Sezione del Consiglio di Stato n. 684/2009.

Vale la pena, ad avviso del Collegio, riportare per esteso una parte del percorso motivazionale contenuto nella decisione del Tar, che questo Collegio condivide e fa proprio, in quanto puntualmente esplicativo delle regioni che militano in senso contrario all’accoglimento dell’appello ed inducono invece a ribadire l’assorbente giudizio di illegittimità dell’operato dell’amministrazione comunale già reso in primo grado.

Nella detta pronuncia, infatti, si è rimarcato che “alla fase costituita dall'acquisizione delle osservazioni dei privati sulla nuova pianificazione adottata e di controdeduzioni del comune è notoriamente da ricondurre, alla luce di costante e pacifica giurisprudenza, la soddisfazione di interessi cui l'ordinamento amministrativo conferisce un valore molto significativo, quali il contraddittorio, latamente inteso, il raggiungimento del miglior rapporto possibile tra l'autoritatività del provvedimento e il costo a carico del privato, la massimizzazione degli elementi da acquisire al procedimento, la deflazione del contenzioso (C. Stato, IV, 01.07.92, n. 654; 11-10-99, n. 417).

Purtuttavia, la struttura normativamente impressa al passaggio endoprocedimentale in questione è quella tipica dell'acquisizione di un mero apporto collaborativo, non di un rimedio giuridico.

Tale impostazione è attestata dalle argomentazioni espresse dalla giurisprudenza in ordine alla individuazione della sufficiente motivazione delle osservazioni ed opposizioni respinte, per il cui apprezzamento non sempre si richiede una specifica ed analitica confutazione (C. Stato, IV, 20-09-00, n. 4938), nonchè dal tenore del dato normativo dell'art. 9, l. 1150/42 in ordine alla legittimazione a proporre l'osservazione, che non deve essere necessariamente qualificata, potendo essere fatto valere anche un interesse diffuso dei residenti di una determinata zona (CGA, 11-10-99, n. 417).

Vieppiù, le determinazioni amministrative ivi espresse hanno natura di proposta alla Regione (C. Stato, IV, 13-05-92, n. 525; 07-02-91, n. 97).

Di talchè, se appare indubitabile che, come affermato dalla resistente amministrazione, nell'incombere alle controdeduzioni alle osservazioni si versi pur sempre nell'ambito della potestà pianificatoria, va, invece, decisamente negato che la causa della potestà esercitata sia la stessa che si profila nell'esercizio del potere di adozione del piano.

Quest'ultima, invero, è funzionalizzata ad esporre una visione innovativa dell'utilizzo del territorio di competenza.

La fase di espressione del parere sulle osservazioni è, invece, propedeutica ad accompagnare gli elementi acquisiti dai privati in vista dell'iter finale del piano, per favorirne il più corretto apprezzamento da parte dell'autorità regionale all'atto dell'approvazione.”.



In coerenza con la detta impostazione, è stato ivi pertanto ulteriormente osservato che “la sedes materiae sopra decritta è ontologicamente insuscettibile di radicare quell'ampia discrezionalità consona alla fase di adozione invocata dal Comune.

Invero, la riedizione nella fase endoprocedimentale del medesimo potere discrezionale esercitato all'atto dell'avvio del procedimento si porrebbe del tutto in contrasto con la tipicità normativamente scansionata per i singoli momenti dell'attività di pianificazione urbanistica (adozione, pubblicazione, presentazione delle osservazioni, controdeduzioni, approvazione), con ogni connessa ulteriore conseguenza in ordine al vulnus degli interessi tutelati dai passaggi procedimentali già intervenuti.

Né può opporsi che il potere pianificatorio è ex se permanente.

Qualora, infatti, l'amministrazione procedente ravvisi, nella propria discrezionalità, la sussistenza delle condizioni per il riavvio del suo esercizio, ha a disposizione lo strumento della variante.

Corre ancora l'obbligo di precisare che il potere di introdurre d'ufficio modifiche al piano adottato, invocato dal Comune è potestà riservata dalla legge urbanistica ad altra fase del piano (approvazione) e ad altro ente (Regione).

In definitiva la delibera impugnata è illegittima nella parte in cui ha preteso di definire una questione del tutto estranea all'oggetto della determinazione assunta in sede di formazione dello strumento urbanistico.”.

2.3.1.Nessuna delle doglianze contenute nell’appello è in grado di “superare” detto iter argomentativo che il Collegio condivide e fa proprio.

Il principio ivi contenuto, peraltro, non è nuovo né eccentrico: in più occasioni in passato questa Sezione del Consiglio di Stato ha ritenuto illegittimo che “passaggi intermedi” della fase di approvazione venissero utilizzati dai Comuni per inserire prescrizioni “innovative” rispetto al testo oggetto di adozione (si veda la decisione n. 742/2004, laddove si è testualmente affermato “Il Collegio ritiene di poter condividere le puntualizzazioni e le tesi argomentative svolte nell’atto di appello (ed ulteriormente illustrate nelle memorie difensive) che trovano precisa e puntuale conferma nella documentazione versata in atti.

Invero, appaiono corretti e da confermare i principi generali espressi dal giudice di primo grado in ordine ai residui poteri che permangono in capo all’Amministrazione comunale nel momento della adozione della delibera di controdeduzioni alle proposte di modifica apportate dalla Regione, poteri che non comprendono la possibilità di introdurre autonomamente ulteriori modifiche alle originarie previsioni pianificatorie (pgg. 6 e 7 della sentenza).

Si è affermato, di conseguenza, che “la diversa destinazione impressa all’area di proprietà del ricorrente, che è stata introdotta dal Comune in sede di controdeduzioni, ed è stata condivisa senza rilievi dalla Regione, potrebbe essere giudicata legittima solo se traesse il suo fondamento dalle proposte di modificazioni d’ufficio espresse nella fase di approvazione.”.

I detti principi devono essere pertanto ribaditi nella odierna controversia anche nella pacifica considerazione che la detta delibera costituì l’atto presupposto ed il fondamento unico della statuizione in ordine alla applicabilità della “misura di salvaguardia” ostativa all’accoglimento della istanza di parte appellata .

Il ragionamento seguito dal primo giudice va pertanto integralmente confermato.

2.4. Né migliore sorte meritano le censure “pregiudiziali” alla delibabilità di tale motivo del mezzo di primo grado prospettate dall’amministrazione comunale.

2.4.1. E’ certamente infondata quella incentrata su un supposto “difetto di interesse” in capo a parte appellata ad impugnare la detta prescrizione innovativa introdotta in sede di esame delle osservazioni in quanto non peggiorativa della posizione dell’appellata (la difesa del comune addirittura, ne sostiene la portata complessivamente “migliorativa”).

Invero, in disparte la circostanza che l’appellata nella propria memoria di replica ha efficacemente contestato detto asserto, in via assorbente deve rilevarsi che l’interesse a ricorrere va valutato in concreto ed avuto riguardo all’interesse prioritario dedotto in giudizio, il che può non coincidere con la portata complessiva delle modifiche: per dirla in altre parole, il privato che abbia interesse a costruire un edificio con una certa esposizione può ben dolersi della prescrizione impeditiva della realizzazione di tale aspirazione senza che gli si possa opporre che la avversata disposizione gli consenta di realizzare un più esteso immobile di quella precedente. L’interesse va infatti valutato in concreto, ed è indubbio che, nel permanere della volontà privata di avversare una statuizione di amministrazione attiva non pertenga al giudice (salvo eclatanti e macroscopiche evidenze di gravami proposti a meri fini dilatori, tuzioristici, emulativi) sostituirsi alla manifestazione di volontà del titolare del diritto.

2.4.2. Parimenti infondata appare la censura di irricevibilità in parte qua del gravame di primo grado, in quanto asseritamente tardivo poiché diretto ad avversare un atto originariamente lesivo.

Della contraddittorietà di tale impostazione con quella secondo cui la fase procedimentale addirittura avrebbe impedito la proposizione del gravame si è già detto in premessa, e ciò costituisce plastica dimostrazione della complessiva infondatezza della impugnazione oggi al vaglio del Collegio.

Ad ogni buon conto, il Collegio condivide la tesi per cui l’atto aveva natura lesiva.

Senonchè, nella pacifica considerazione che la delibera non fu personalmente comunicata a parte appellata (il che invece, stante la natura lesiva assunta dalla stessa avrebbe dovuto avvenire) l’Amministrazione non può apoditticamente inferire la sicura conoscenza della stessa da parte dell’appellata società in data antecedente alla presentazione della richiesta di permesso di costruire da un inciso discorsivo polisenso contenuto nel ricorso di primo grado, né l’appellante predetta ha aliunde dimostrato la conoscenza della stessa in capo all’appellata in data antecedente al termine decadenziale di proposizione del gravame.

Per pacifica giurisprudenza, infatti, nel giudizio amministrativio l'irricevibilità per tardività, del ricorso giurisdizionale può essere rilevata d'ufficio (anche in mancanza di un'eccezione di parte) tutte le volte che essa risulti provata con certezza dai documenti agli atti del processo. L'eccezione può essere sollevata anche dalla controparte a condizione che la dimostrazione della irricevibilità del ricorso venga fornita attraverso mezzi probatori univoci e chiari, diretti ad accertare in modo sicuro ed inconfutabile che il ricorrente ha proposto il ricorso dopo la scadenza del termine decadenziale decorrente dall'effettiva conoscenza del provvedimento.

E’ noto poi che l'onere della prova della avvenuta piena conoscenza del provvedimento amministrativo impugnato dal ricorrente e della relativa data grava sulla parte che eccepisce la tardività del ricorso e che detta prova debba essere certa ed assoluta (ex multis: Cons. Stato Sez. VI, 28-12-2011, n. 6908).

Si è detto peraltro, nella decisione in ultimo citata, che la prova della piena conoscenza dell'atto impugnato, al fine della declaratoria di irricevibilità del ricorso che incombe sulla parte che solleva la relativa eccezione deve essere valutata in modo rigoroso, senza che sia sufficiente la mera verosimiglianza della conoscenza stessa o qualsiasi forma di presunzione al riguardo: tutti gli argomenti dell’appellante amministrazione comunale secondo cui era “logico” che l’appellata, conoscendo la detta prescrizione introdotta con l’avversata delibera avesse poi presentato l’istanza al fine di ottenere un rigetto impugnabile, si risolvono in mere asserzioni a contenuto deduttivo che, oltre a non chiarire neppure sotto tal profilo perché mai l’appellata non avesse immediatamente impugnato la prescrizione predetta, ove effettivamente conosciuta, non consentono di raggiungere la piena prova né dell’an della pregressa conoscenza né, men che mai, della data in cui ciò sarebbe avvenuto.

3.In ultimo, va sicuramente rigettata l’eccezione di cui all’art. 112 cpc proposta nell’ultimo motivo di appello.

Il Collegio ben conosce la condivisa quanto pacifica giurisprudenza “il principio dispositivo, cui è ispirato anche il processo amministrativo, postula che il ricorrente abbia il potere di scegliere le domande da proporre ed anche la possibilità di indicare l'ordine con il quale ritiene che i motivi, all'interno della domanda, debbano essere esaminati (potendo dichiarare l'interesse all'accoglimento di alcuni di essi solo in via subordinata, per l'ipotesi in cui altri non vengano accolti), pur rientrando nel potere del giudice amministrativo, in ragione del particolare oggetto del giudizio impugnatorio legato all'esercizio della funzione pubblica, decidere l'ordine di trattazione delle censure sulla base della loro consistenza oggettiva e del rapporto fra le stesse esistente sul piano logico - giuridico, non alterabile dalla semplice richiesta dell'interessato.” (Cons. Stato Sez. V, 11-01-2012, n. 82).

3.1. Nel caso di specie il primo giudice ha fatto buongoverno del principio affermato nell’ultima parte della massima che precede, in quanto la censura proposta “in via subordinata” dall’appellata rivestiva in realtà priorità logica e pregiudiziale, per cui bene ha fatto il Tar ad esaminarla per prioritariamente.

In ogni caso, neppure è dato comprendere quale sia (o quale potesse essere) l’interesse dell’appellante a sollevare la relativa censura: se anche - seguendo l’ordine dei motivi prospettato dall’appellata in primo grado- il Tar avesse esaminato la detta censura per ultima, ed avesse per avventura respinto le altre doglianze proposte “prioritariamente”, ugualmente l’esito demolitorio caducante avrebbe investito l’atto applicativo della misura di salvaguardia, di guisa che l’appellante comune non ha alcun interesse a dolersi dell’iter argomentativo seguito dal primo giudice.

Soltanto, per completezza, si rileva conclusivamente che la pretesa di retrogradazione del processo qual esito della ipotizzata violazione del precetto di cui all’art. 112 cpc,sarebbe stato di impossibile realizzazione pertenendo comunque a questo giudice il compito di decidere la causa in appello in quanto anche a volere concordare con il ragionamento prospettato dall’ appellante sarebbe stata soltanto ravvisabile la omessa petizione su alcune censure proposte (quelle principaliter), ma non anche la decisione si una censura mai prospettata dalla originaria parte ricorrente: ex multis,sul punto si veda Consiglio Stato , sez. IV, 19 giugno 2007, n. 3289).

3.2. Né rileva nell’odierno processo la missiva della Soprintendenza per i beni Architettonici e Paesaggistici (prodotta in atti) che, conformemente a quanto sostenuto dal Comune esponente, definisce l’area in questione come “area dichiarata di notevole interesse pubblico dal D.M. 29 luglio 1969 …. Omissis … in particolare la zona ha notevole interesse pubblico perché costituisce con la sua conformazione, un complesso di punti di vista pubblici e di quadri naturali di particolare bellezza visibili dai predetti punti di vista interdipendenti tra di loro, per il concorrere di belvederi dal mare e dalle strade in pianura verso i colli e le alture dell’interno”, trattandosi di atto non gravato e che comunque non potrebbe, ex post, produrre l’effetto di ricondurre a legittimità il disordinato esercizio del potere di pianificazione riscontrato in capo al comune (e peraltro l’appellata ha depositato in giudizio l’autorizzazione paesaggistica rilasciatale nel marzo 2013)

4.Conclusivamente,l’appello va disatteso e la decisione di primo grado va confermata.

5. Sussistono le condizioni di legge per compensare integralmente le spese processuali sostenute dalle parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto,lo respinge.

Spese processuali compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 marzo 2013 con l'intervento dei magistrati:

Marzio Branca, Presidente FF

Fabio Taormina, Consigliere, Estensore

Raffaele Potenza, Consigliere

Umberto Realfonzo, Consigliere

Oberdan Forlenza, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 27/03/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)