Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 4855, del 30 settembre 2013
Urbanistica.Inizio dei lavori idoneo ad impedire la decadenza del titolo edilizio

L’inizio dei lavori idoneo ad impedire la decadenza del titolo edilizio può ritenersi sussistente quando le opere intraprese siano tali da evidenziare l’effettiva volontà da di realizzare l’opera, non essendo a ciò sufficiente il semplice sbancamento del terreno e la predisposizione degli strumenti e materiali da costruzione, ovvero, detto altrimenti, l’inizio dei lavori non è configurabile per effetto della sola esecuzione dei lavori di scavo di sbancamento e senza che sia manifestamente messa a punto l’organizzazione del cantiere e sussistendo altri indizi che dimostrino il reale proposito di proseguire i lavori sino alla loro ultimazione, con la conseguenza che la declaratoria di decadenza del titolo edilizio per mancato inizio dei lavori entro il termine fissato è illegittima solo se sono stati perlomeno eseguiti lo scavo ed il riempimento in conglomerato cementizio delle fondazioni perimetrali fino alla quota del piano di campagna entro il termine di legge, o se lo sbancamento realizzato si estende un’area di vaste dimensioni. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 04855/2013REG.PROV.COLL.

N. 05172/2005 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5172 del 2005, proposto da: 
Ste. Ros. Immobiliare S.r.l., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. Donato Pennetta, con domicilio eletto in Roma presso l’Avv. Nicola Petracca, via Ennio Quirino Visconti, 20;

contro

Comune di Atripalda (Av), in persona del Sindaco pro tempore, costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall’Avv. Guido Matarazzo, con domicilio eletto in Roma presso lo studio dell’Avv. Luigi Napolitano, via Sicilia, 50;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per la Campania, Sede di Salerno, Sez. II, n. 178 dd. 23 febbraio 2005, resa tra le parti e concernente diniego richiesta di proroga e di variante di concessione edilizia



Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 8 marzo 2013 il Cons. Fulvio Rocco e uditi per l’appellante Ste. Ros. Immobiliare S.r.l. l’Avv. Donato Pennetta e per l’appellato Comune di Atripalda l’Avv. Giovanni Matarazzo su delega dell’Avv. Guido Matarazzo;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO e DIRITTO

1.1.Con concessione edilizia n. 1650/98 dd. 18 marzo 1998 il Comune di Atripalda (Av) ha assentito all’attuale appellante, Ste.Ros. Immobiliare S.r.l., l’ampliamento di un fabbricato esistente, di sua proprietà.

Tale ampliamento, secondo quanto precisato dalla stessa Ste.Ros., consisteva nella realizzazione di una piccola foresteria a fianco dell’edificio esistente.

Ste.Ros. precisa di aver debitamente corrisposto al Comune tutti gli oneri concessori dovuti e di aver comunicato in data 12 marzo 1999 l’inizio dei lavori, attrezzando il cantiere nonché “avviando e completando materialmente tutte le operazioni di scavo necessarie allo sbancamento e gettando le fondazioni dell’intero manufatto da realizzare (come si evince anche dalle foto allegate e depositate anche in primo grado” (così a pag. 1 dell’atto introduttivo del presente giudizio d’appello).

Ste.Ros. afferma – altresì – che l’impresa incaricata di tali lavori incontrava notevoli difficoltà di ordine economico e finanziarioe che pertanto essa è stata sostituita da altro appaltatore in data 14 ottobre 1999.

La medesima appellante riferisce pure che “nel frattempo le mutate esigenze funzionali ed abitative” avevano reso necessaria la richiesta, presentata al Comune in data 23 gennaio 2002, di una variante al progetto originario; e che, “in merito a ciò, ed in base al fatto che nei 60 giorni successivi il suddetto Comune non evadeva tale pratica, considerando anche che il 12 marzo 2002 sarebbero venuti a scadenza i tre anni per l’ultimazione dei lavori”, essa “presentava al Comune”medesimo “in data 11 marzo 2002 apposita istanza motivata per ottenere la proroga del termine di ultimazione dei lavori. Facendo seguito a tale richiesta il Responsabile del procedimento effettuava sopralluogo sul cantiere e concludeva proponendo il rigetto dell’istanza di proroga dei lavori in quanto… non riteneva che le operazioni effettuate”da Ste.Ros. “e sopra menzionate potessero costituire un effettivo “inizio dei lavori”” (cfr. ibidem, pag. 2).

In data 12 aprile 2002 la Commissione edilizia comunale ha espresso parere favorevole su tale proposta di rigetto e, in dipendenza di ciò, con provvedimento n. 908 dd. 15 maggio 2002 il Responsabile del III Settore del Comune di Atripalda ha contestualmente respinto sia la domanda di variante della predetta concessione edilizia n. 1650/98, sia - implicitamente - la domanda di proroga di quest’ultima, risultando la stessa decaduta per mancato inizio dei lavori entro l’anno.

1.2. Con ricorso proposto sub R.G. 1931 del 2002 innanzi al T.A.R. per la Campania, Sede di Salerno, Ste.Ros. ha pertanto chiesto l’annullamento di tale provvedimento, deducendo innanzitutto l’avvenuta violazione dell’art. 4 della L. 28 gennaio 1977 n. 10 in quanto la pronuncia di decadenza della concessione edilizia richiedeva l’adozione da parte del Comune di un autonomo ed esplicito provvedimento, e non già di una pronuncia meramente implicita al riguardo.

La stessa Ste.Ros. ha – altresì – dedotto in tale primo grado di giudizio l’avvenuta violazione dell’art. 7 e ss. della L. 7 agosto 1990 n. 241 per omessa comunicazione dell’avvio del relativo procedimento, nonché violazione sotto ulteriore profilo dell’art. 4 della L. 10 del 1977 in quanto dal sopralluogo, difformemente da quanto reputato dal Comune, avrebbe dovuto evincersi l’avvenuta realizzazione di lavori idonei ad affermare che gli stessi avevano avuto concretamente inizio.

1.3. Si è costituito in tale primo grado di giudizio il Comune di Atripalda, chiedendo la reiezione del ricorso.

1.4. Con ordinanza n. 1000 dd. 8 agosto 2002 la Sezione II dell’adito T.A.R. ha accolto la la domanda di sospensione cautelare del provvedimento impugnato presentata da Ste.Ros. rilevando in proposito - e “fatti savi ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione” - che la decadenza di un titolo edilizio deve essere dichiarata formalmente.

1.5. In dipendenza di ciò, con provvedimento n. 13120 dd. 5 novembre 2002 il medesimo Responsabile del III Settore del Comune di Atripalda ha dichiarato in via espressa la decadenza della concessione edilizia n. 1650/98 dd. 18 marzo 1998 per mancato inizio dei lavori entro l’anno; e, con successivi provvedimenti n. 14817 e n. 14819, entrambi assunti in data 10 dicembre 2002, lo stesso Responsabile ha rispettivamente respinto la richiesta di proroga e quella di variante.

1.6. Con motivi aggiunti di ricorso Ste.Ros. ha chiesto l’annullamento anche di tali provvedimenti, deducendo avverso la dichiarazione di decadenza della concessione edilizia l’avvenuta violazione degli artt. 7 e 8 della L. 7 agosto 1990 n. 241 per omesso inoltro dell’avviso di avvio del relativo procedimento, nonché l’avvenuta violazione dell’art. 4 della L. 10 del 1977 ed eccesso di potere per difetto d’istruttoria, carenza ed illogicità della motivazione e carenza dei presupposti.

Nei riguardi dei provvedimenti nn. 14817 e 14819 dd. 10 dicembre 2002 è stata dedotta la loro illegittimità in via derivata.

1.7. Il Comune di Atripalda ha aderito anche al contraddittorio processuale instauratosi per effetto di tali motivi aggiunti di ricorso, concludendo per la reiezione degli stessi.

1.8.- Con sentenza n. 178 dd. 23 febbraio 2005 la Sez. II ha dichiarato improcedibile l’impugnativa originariamente proposta da Ste.Ros. stante l’intervenuta rinnovazione del procedimento da parte del Comune, il quale in esito alla fase cautelare del procedimento giudiziale ha adottato nuovi provvedimenti interamente sostitutivi di quello inizialmente impugnato e – per l’appunto – impugnati a loro volta da Ste.Ros. con motivi aggiunti.

Questi ultimi sono stati respinti dall’adito T.A.R., posto che:

1) nessuna violazione degli artt. 7 e 8 della L. 241 del 1990 poteva ravvisarsi nella specie, in quanto l’assolvimento di tale onere – di natura eminentemente strumentale poiché deputato a consentire all’interessato la presentazione di difese e deduzioni – doveva reputarsi superfluo risultando Ste.Ros. comunque puntualmente già informata delle intenzioni del Comune per effetto del contenzioso da essa instaurato (Cfr. sul punto Cons. Stato, Sez.V., 28 maggio 2001 n. 2884);

2) neppure sussistevano gli asseriti vizi della violazione dell’art. 4 della L. 10/del 1977 e dell’eccesso di potere per difetto d’istruttoria, carenza ed illogicità della motivazione e carenza dei presupposti, posto che l’esistenza dei presupposti indispensabili per configurare un effettivo inizio dei lavori, al fine di scongiurare la decadenza, non va valutata in via generale ed astratta, ma con specifico e puntuale riferimento all’entità e alle dimensioni dell’intervento edificatorio autorizzato, anche al fine di evitare che il termine stabilito possa essere eluso con ricorso a lavori fittizi e simbolici (così, ad es., Cons. Stato, Sez. V,1 ottobre 2003 n. 5648 e 16 novembre 1998 n. 1615): e – per l’appunto – per il caso di specie andava considerato che dall’esame della documentazione versata nella causa, ed in particolare dal verbale di sopralluogo redatto dai tecnici comunali il 21 marzo 2002 e posto alla base della declaratoria di decadenza n. 13120 dd. 5 novembre 2002 risultava che “l’intera entità dei lavori sino ad allora realizzati consisteva in un modesto scavo recintato delle dimensioni di circa 2 metri”, essendo dunque “sin troppo evidente come tale esigua attività sia del tutto inidonea a scongiurare l’intervenuta pronuncia decadenziale, cui hanno fatto seguito, come necessitato corollario, i dinieghi di proroga e di variante” (cfr. pag. 6 della sentenza impugnata).

Il T.A.R. ha comunque integralmente compensato tra le parti le spese e gli onorari di tale primo grado di giudizio.

2.1. Con l’appello in epigrafe Ste.Ros. chiede ora la riforma di tale sentenza, deducendo innanzitutto l’avvenuta violazione degli artt. 7 e 8 della L. 241 del 1990 anche da parte del giudice di primo grado: e ciò con riguardo sia sotto il profilo del difetto di motivazione della sentenza impugnata, sia sotto il profilo della violazione dei principi di diritto che assistono l’annullamento degli atti di secondo grado.

Con un ulteriore motivo d’appello Ste.Ros. ripropone inoltre anche nel presente grado di giudizio l’anzidetta censura di violazione dell’art. 4 della L. 10 del 1977 e di eccesso di potere per difetto d’istruttoria, carenza ed illogicità della motivazione, nonché per carenza dei presupposti.

2.2. Si è costituito anche nel presente grado di giudizio il Comune di Atripalda, concludendo per la reiezione dell’appello.

3. Alla pubblica udienza dell’8 marzo 2013 la causa è stata trattenuta per la decisione.

4.1. Tutto ciò premesso, l’appello in epigrafe va respinto.

4.2. Innanzitutto, per quanto attiene ai motivi dedotti da Ste.Ros. in ordine all’asseritamente avvenuta violazione degli artt. 7 e 8 della L. 241 del 1990 sia con riguardo al difetto di motivazione della sentenza impugnata per quanto attiene alla valutazione delle relative censure formulate nel primo grado di giudizio, sia sotto il profilo della violazione dei principi di diritto che assistono l’annullamento degli atti di secondo grado, il Collegio ribadisce – concordando sul punto con il contenuto della sentenza impugnata – che le norme dettate in tema di partecipazione al procedimento amministrativo non devono essere applicate in via del tutto meccanica e a fini meramente strumentali, essendo esse deputate non solo ad una funzione difensiva a favore del destinatario dell’atto conclusivo del procedimento, ma anche a formare nell’Amministrazione procedente una più completa e meditata volontà e dovendosi, comunque, ritenere che il vizio derivante dall’omissione di comunicazione non sussista nei casi in cui lo scopo della partecipazione del privato sia stato comunque raggiunto o manchi l’utilità della comunicazione all’azione amministrativa (cfr. sul punto,ex plurimis, Cons. Stato, Sez. III, 20 giugno 2012 n. 3595).

Segue dunque ciò, anche in dipendenza dei principi stabiliti dall’art. 21-octies della L. 241 del 1990, che non può configurarsi la violazione di tale obbligo di comunicazione nel caso in cui il soggetto inciso sfavorevolmente da un provvedimento non dimostri che, ove fosse stato reso edotto dell’avvio del procedimento , sarebbe stato in grado di fornire elementi di conoscenza e di giudizio tali da far determinare in modo diverso le scelte dell’Amministrazione procedente dell’azione amministrativa (cfr. ibidem).

Nel caso di specie assume pertanto valore dirimente la circostanza che Ste.Ros. non dimostra che l’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento conclusosi con l’adozione del provvedimento n. 13120 dd. 5 novembre 2002 di decadenza della concessione edilizia n. 1650/98 dd. 18 marzo 1998 le ha precluso di dedurre nel procedimento medesimo a propria difesa elementi decisivi e tali dunque da indurre l’Amministrazione Comunale ad un diverso apprezzamento della fattispecie; né va sottaciuto che parimenti non sussiste la violazione dell’art. 7 e ss. della L. 241 del 1990 se l’interessato ha comunque avuto aliunde informazione dell’avvio del procedimento (cfr. ex multis Cons. Stato, Sez. V, 7 settembre 2011 n. 5032), come nell’ipotesi – qui, per l’appunto, sussistente – nella quale la relativa conoscenza proviene all’interessato medesimo dalla sussistenza di un contenzioso con l’amministrazione sul punto (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 28 maggio 2001 n. 2884).

Il Collegio non sottace che l’anzidetto provvedimento recante la pronuncia di decadenza della concessione si configura come provvedimento c.d. “di secondo grado”, in ordine al quale la regola generale di per sé impone l’inoltro dell’avviso dell’avvio del relativo procedimento in quanto incidente su posizioni giuridiche del suo destinatario originate da un provvedimento precedentemente adottato in suo favore (cfr. sul punto, ad es., Cons. Stato, Sez. V, 29 luglio 2003 n. 3169); ma anche in tale evenienza l’inoltro medesimo non è ritenuto necessario se risulta che l’interessato ha comunque avuto aliunde la relativa informazione (cfr. al riguardo, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. VI, 26 ottobre 2006, n. 6413; Sez. V, 18 novembre 2004,n. 7553 e 22 gennaio 2003 n. 243).

4.3. Per quanto da ultimo attiene al motivo d’appello con il quale Ste.Ros. ha riproposto la censura – già da essa dedotta nel giudizio di primo grado - di violazione dell’art. 4 della L. 10 del 1977 e di eccesso di potere per difetto d’istruttoria, carenza ed illogicità della motivazione, nonché per carenza dei presupposti, il Collegio rileva che ai fini della sussistenza dei presupposti per la decadenza del titolo edilizio di cui all’art. 4 della L. 28 gennaio 1977 n. 10 e – ora – dell’art. 15, comma 2, del T.U. approvato con D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, l’effettivo inizio dei lavori deve essere valutato non in via generale ed astratta, ma con specifico e puntuale riferimento all’entità ed alle dimensioni dell’intervento edilizio così come programmato e autorizzato, e ciò al ben evidente scopo di evitare che il termine per l’avvio dell’edificazione possa essere eluso con ricorso a lavori fittizi e simbolici, e quindi non oggettivamente significativi di un effettivo intendimento del titolare della concessione stessa di procedere alla costruzione (cfr. sul punto, ad es., Cons. Stato, Sez. V, 16 novembre 1998 n. 1615 e, ancor più recentemente, Cons. Stato, Sez. IV, 18 maggio 2012 n. 2915).

Sempre in tal senso, l’inizio dei lavori idoneo ad impedire la decadenza del titolo edilizio può ritenersi sussistente quando le opere intraprese siano tali da evidenziare l’effettiva volontà da di realizzare l’opera, non essendo a ciò sufficiente il semplice sbancamento del terreno e la predisposizione degli strumenti e materiali da costruzione (così Cons. Stato, Sez. V, 22 novembre 1993 n. 1165); ovvero, detto altrimenti, l’inizio dei lavori non è configurabile per effetto della sola esecuzione dei lavori di scavo di sbancamento e senza che sia manifestamente messa a punto l’organizzazione del cantiere e sussistendo altri indizi che dimostrino il reale proposito di proseguire i lavori sino alla loro ultimazione (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 3 ottobre 2000 n. 5242), con la conseguenza che la declaratoria di decadenza del titolo edilizio per mancato inizio dei lavori entro il termine fissato è illegittima solo se sono stati perlomeno eseguiti “lo scavo ed il riempimento in conglomerato cementizio delle fondazioni perimetrali fino alla quota del piano di campagna entro il termine di legge” (Cons. Stato, Sez. V, 15 ottobre 1992 n. 1006) o se lo sbancamento realizzato si estende un’area di vaste dimensioni (Cons. Stato, Sez. V, 13 maggio 1996 n. 535): circostanze, queste ultime, non sussistenti nel caso di specie.

Dalla lettura del verbale del sopralluogo effettuato in data 21 marzo 2002 dal personale dell’Ufficio tecnico comunale, nonché dall’esame dell’annessa documentazione fotografica, si evince incontrovertibilmente che a quella data, ossia a quattro anni dal rilascio della concessione edilizia n. 1650/98 dd. 18 marzo 1998 era stato eseguito soltanto “un modesto scavo recintato, delle dimensioni di circa due metri”.

La circostanza - allegata da Ste.Ros. - che siano stati anche abbattuti due alberi d’alto fusto per realizzare tale scavo, nonché la parimenti allegata presenza di una recinzione e di macchinari edili nell’area nulla aggiungono a tale oggettiva realtà, dalla quale pertanto inoppugnabilmente si ricava che il titolo edilizio non è stato nella sostanza fruito dal soggetto a favore del quale esso era stato rilasciato, e che pertanto la pronuncia della decadenza dallo stesso era atto dovuto per l’Amministrazione Comunale.

5. Le spese e gli onorari del presente grado di giudizio possono essere integralmente compensati tra le parti.

Va, peraltro, dichiarato irripetibile il contributo unificato di cui all’art. 9 e ss. del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 116 corrisposto per il presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Compensa integralmente tra le parti le spese e gli onorari del presente grado di giudizio.

Dichiara - altresì - irripetibile il contributo unificato di cui all’art. 9 e ss. del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 116 corrisposto per il presente grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 marzo 2013 con l’intervento dei magistrati:

Sergio De Felice, Presidente FF

Andrea Migliozzi, Consigliere

Fulvio Rocco, Consigliere, Estensore

Umberto Realfonzo, Consigliere

Giulio Veltri, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 30/09/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)