Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 845, del 12 febbraio 2013
Urbanistica.Ripubblicazione del piano una volta approvato con modifiche non sostanziali
Con riguardo alla pretesa di una ripubblicazione del piano una volta approvato (della approvazione, non della adozione o della riadozione, si deve intendere), costituisce principio generale, che non sussiste l'obbligo di riadozione del piano regolatore adottato dal comune (previo annullamento o revoca del precedente) nè quello di ripubblicazione, ex art. 9 l. 17 agosto 1942 n. 1150, del piano stesso, qualora le modifiche apportate dal comune d'ufficio, o su richiesta della regione, non abbiano determinato un mutamento essenziale del suo contenuto, traducendosi in un nuovo progetto di piano. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)
N. 00845/2013REG.PROV.COLL.
N. 03537/2005 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3537 del 2005, proposto da:
Seragnoli Isabella, rappresentato e difeso dagli avv. Rolando Roffi, Francesco Paolucci, con domicilio eletto presso Massimo Letizia in Roma, viale Angelico N. 103; Seragnoli Simonetta;
contro
Regione Emilia Romagna, Provincia di Bologna, rappresentati e difesi dagli avv. Maria Chiara Lista, Adriano Giuffre', Franco Mastragostino, con domicilio eletto presso Adriano Giuffrè in Roma, via dei Gracchi, 39; Giunta della Regione Emilia Romagna;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. EMILIA-ROMAGNA - BOLOGNA: SEZIONE I n. 00183/2005, resa tra le parti, concernente del piano territoriale di un parco regionale
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 gennaio 2013 il Cons. Sergio De Felice e uditi per le parti gli avvocati Francesco Paolucci, Rolando Roffi e Adriano Giuffré;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso proposto innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia-Romagna le ricorrenti Seragnoli Isabella e Simonetta, attuali appellanti, agivano per l’annullamento del Piano Territoriale del Parco Regionale dei Gessi Bolognesi e dei Calanchi dell’Abbadessa di cui alle deliberazioni 2 dicembre 1997 n.2283 della Giunta Regionale e delle deliberazioni del Consiglio Provinciale di Bologna 21 febbraio 1995 n.31 e 11 aprile 1995, n.91, nella parte in cui includevano nel perimetro del Parco il podere di proprietà con il fabbricato sovrastante, in San Lazzaro di Savena (Bo).
Veniva dedotto il vizio di violazione di legge poichè la rinnovazione a mezzo della nuova adozione del Piano territoriale del Parco era avvenuta soltanto al fine di rinnovare il termine quinquennale scaduto per le misure di salvaguardia. Nel febbraio 1990 era stato adottato un primo piano ma alla scadenza del quinquennio (13 febbraio 1995) lo strumento non era stato ancora approvato in sede regionale né tantomeno esaminato.
Dalla motivazione si legge che la vera ragione sarebbe stata dettata dalla possibile decadenza delle misure di salvaguardia, per cui si dichiarava la immediata eseguibilità dell’atto.
Con altro motivo si deduceva il difetto di motivazione perché si consentiva l’applicazione delle misure di salvaguardia per otto anni anziché per soli cinque anni; difetto di motivazione anche in relazione al sacrificio imposto ingiustamente ai privati; violazione di legge perché non chiara la sorte del precedente piano. Con motivi aggiunti si deduceva il vizio di violazione di legge in relazione alle esigenze di ripubblicazione del piano per le modifiche sostanziali.
Il primo giudice ha rigettato le censure, concludendo per la inesistenza di un obbligo di rinnovazione del procedimento, del difetto di motivazione e dell’obbligo di ripubblicazione.
Tali esiti vengono contestati con l’atto di appello, in cui (in realtà alle pagine 8 e 9) si conclude per l’erroneità delle conclusioni assunte dal primo giudice.
Si sono costituiti sia la Regione Emilia-Romagna che la Provincia di Bologna, chiedendo sia la declaratoria di inammissibilità dell’appello per genericità dei motivi che il suo rigetto perché infondato.
Alla udienza pubblica del 22 gennaio 2013 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1.In via preliminare, il Collegio osserva come non siano del tutto da considerare le eccezioni di inammissibilità per genericità dell’appello, che si limita a richiamare i motivi dedotti in prime cure riportandoli (da pagina 4 a pagina 8) per poi limitarsi (pagine 8 e 9) a richiamare generici principi in tema di sindacato del giudice amministrativo e sottolineare la chiarezza espositiva dei motivi proposti in primo grado, avendo al contrario l’appello l’onere di contestare le argomentazioni di rigetto del primo giudice.
Si fa presente che si è sostenuto come siano inammissibili per genericità i motivi di appello che si sostanziano nella mera riproduzione delle censure già dedotte dinanzi al Tribunale amministrativo regionale e da questo motivatamente disattese, atteso che l' appello ha carattere impugnatorio, con la conseguenza che le censure in esso contenute devono investire puntualmente il decisum di primo grado e, in particolare, precisare i motivi per i quali la decisione impugnata sarebbe erronea e da riformare (tra tante, Consiglio Stato sez. IV, 31 dicembre 2009, n. 9295).
Si ritiene cioè che i motivi del ricorso proposto avverso la sentenza di primo grado, per poter essere apprezzati dal giudice di appello, debbano essere precisamente indicati ed idoneamente sviluppati, non potendosi pretendere che sia il giudice di appello a dover « estrarre » dalla complessità delle articolazioni defensionali l'esistenza di una specifica causa petendi, cosa che, oltre tutto, contrasterebbe con il principio della domanda, operante nell'ambito del processo amministrativo (così, tra tante, Consiglio Stato sez. IV, 19 maggio 2008, n. 2292).
In realtà l’appello si limita a riportare la sentenza e solo alle pagine 8 e 9 richiama in generale i principi di giustizia amministrativa e, genericamente, il ricorso di primo grado.
2.Il Collegio osserva che, superando quanto osservato in precedenza, nella specie, si può prescindere dal ritenere inammissibile per genericità l’appello, in quanto, pur come proposto e riproposto (rispetto al ricorso originario), le doglianze sono in ogni caso infondate e quindi da rigettare.
In fatto la Provincia di Bologna ha rappresentato che il Piano, depositato nel dicembre 1990, sbloccato dal vizio di legittimità sollevato dal Coreco con ordinanza cautelare n.414 del 1990, modificato con controdeduzioni in nel 1992, trasmesso alla Regione nell’aprile 1993, era stato riadottato con delibera di C.P. n.31 del 24 febbraio 1995 e successivamente approvato con delibera di G.R.2283 del 1997, delibere poi impugnate.
Il primo giudice ha convincentemente considerato che, essendo sub iudice il Piano originario adottato, la Regione riteneva di non dare seguito al procedimento di approvazione, che avrebbe potuto essere vanificato a posteriori dall’annullamento della adozione precedente; questa era stata la ragione principale della riadozione del piano.
D’altra parte, al di là del richiamo al generale principio di conservazione degli atti in parte validi e dell’utile per inutile non vitiatur, nel caso della riadozione contestata, una ulteriore (e in sé sufficiente) ragione è consistita nel verificare le compatibilità del piano e la attualità del relativo interesse pubblico anche alla luce degli strumenti di pianificazionesopravvenuti, come il Piano Territoriale Infraregionale della Provincia di Bologna, come si evince dalla nota 13 febbraio 1995 dell’ufficio di Piano.
Pertanto, la ragione principale, se si vuole la motivazione dell’atto di riadozione, non consisteva nella esigenza di superare il limite di decadenza quinquennale dei vincoli imposti al privato, ma nelle su indicate e variegate ragioni di interesse pubblico, sicchè è infondata la censura di eccesso di potere per sviamento dell’interesse pubblico.
3.E’ infondata anche la censura di difetto di motivazione in relazione ai sacrifici imposti ai privati, rappresentati anche dalle osservazioni, che non avrebbero incontrato positiva valutazione.
Al di là della considerazione che, come deducono le appellate amministrazioni pubbliche, in occasione della approvazione nel 2005 della variante normativa e cartografica al Piano Territoriale del Parco, la zonizzazione interna è stata successivamente modificata in senso favorevole alla proprietà Seragnoli, portando l’immobile dalla zona Bg alla zona Bp, su cui gravano minori vincoli, ammettendo la realizzazione di interventi edilizi, quindi ora possibili, ma mai richiesti (con possibile sopravvenienza anche di difetto di interesse a ricorrere) e su ciò nulla osserva od obietta la parte appellante.
Inoltre, vale il generale principio per cui le osservazioni presentate in occasione dell'adozione di un nuovo strumento di pianificazione del territorio costituiscono un mero apporto dei privati nel procedimento di formazione dello strumento medesimo, con conseguente assenza in capo all'Amministrazione a ciò competente di un obbligo puntuale di motivazione oltre a quella evincibile dai criteri desunti dalla relazione illustrativa del piano stesso in ordine alle proprie scelte discrezionali assunte per la destinazione delle singole aree, tranne i casi di affidamenti qualificati, non ricorrenti certo nella specie (tra le tante, Consiglio di Stato sez. IV, 11 settembre 2012, n. 4806).
La presentazione di osservazioni, costituente una forma di apporto critico o collaborativo nel procedimento di formazione del Piano Regolatore, non muta l'ambito e l'estensione dell'obbligo di motivazione, né comporta l'esigenza di un'analitica confutazione con riferimento alle singole situazioni evidenziate dai privati, anche di sacrificio, essendo al contrario sufficiente che le rispettive osservazioni siano state esaminate e ritenute, sia pure succintamente e collettivamente, in contrasto con le linee guida del piano e con gli interessi pubblici che richiedano il sacrificio di tali contrapposti interessi privati coinvolti.
4.Con riguardo alla pretesa di una ripubblicazione del piano una volta approvato (della approvazione, non della adozione o della riadozione, si deve intendere), costituisce principio generale e acquisito di questo Consesso (tra le tante, Consiglio Stato sez. IV, 16 marzo 1998, n. 437) che non sussiste l'obbligo di riadozione del piano regolatore adottato dal comune (previo annullamento o revoca del precedente) nè quello di ripubblicazione, ex art. 9 l. 17 agosto 1942 n. 1150, del piano stesso, qualora le modifiche apportate dal comune d'ufficio, o su richiesta della regione, non abbiano determinato un mutamento essenziale del suo contenuto, traducendosi in un nuovo progetto di piano.
Nella specie, come deducono le resistenti amministrazioni, l’iter è proseguito sulla base di quanto previsto dalla legge regionale (nel frattempo intervenuta) applicabile ratione temporis (art. 3 l.r.n.6 del 1995) per cui la ripubblicazione del Piano regolatore modificato in sede di approvazione non si rende necessaria per le fasi successive alla presentazione di osservazioni, o allorquando il Comune prenda atto delle approvazioni regionali con modifiche al Piano stesso o in caso di modifiche di ufficio.
D’altronde, come si osserva nel parere rilasciato dall’Ufficio di Piano della Provincia di Bologna nel parere rilasciato in data 4 febbraio 1997 sulle riserve regionali, si dà atto che pur essendosi proceduto alla riadozione del piano redigendo ex novo l’intero corpo cartografico, “i criteri generali non mutano nella sostanza gli originari intendimenti ed obiettivi del Piano”, sicchè non si era in presenza di quelle modifiche sostanziali del Piano che, per giurisprudenza costante, onerano alla ripubblicazione del medesimo.
5.Per le considerazioni sopra svolte, l’appello va respinto sotto tutti i profili.
La condanna alle spese del presente grado di giudizio segue il principio della soccombenza; le spese sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, così provvede:
rigetta l’appello, confermando la impugnata sentenza. Condanna la parte appellante al pagamento delle spese del presente grado di giudizio, liquidandole in complessivi euro quattromila, di cui duemila a favore della Provincia di Bologna e duemila a favore della Regione Emila-Romagna.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 gennaio 2013 con l'intervento dei magistrati:
Anna Leoni, Presidente FF
Sergio De Felice, Consigliere, Estensore
Fabio Taormina, Consigliere
Diego Sabatino, Consigliere
Raffaele Potenza, Consigliere
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 12/02/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)