TAR Lombardia (MI) Sez. III n. 1958 del 26 ottobre 2016
Rifiuti.Recupero ed avvio al recupero

La locuzione “avvio al recupero” è diversa dalla locuzione “recupero”; tale ultima locuzione presuppone infatti il compimento di un’operazione che, in presenza delle condizioni di cui all’art. 184-ter TU ambiente, fa perdere al rifiuto trattato tale natura; diversamente la locuzione “avvio al recupero”, oltre a dover pianamente essere intesa, in applicazione del criterio di cui al noto brocardo latino in claris non fit interpretatio, nel diverso senso dell’indirizzamento ad un’attività di recupero, è utilizzata dal legislatore in senso diverso da “recupero” nel corpo dello stesso TU ambiente (fra gli altri, art. 183, lett. bb), n. 2), e art. 238, comma 10).



Pubblicato il 26/10/2016

N. 01958/2016 REG.PROV.COLL.

N. 02549/2015 REG.RIC.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2549 del 2015, proposto da Solena srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Giancarlo Tanzarella e Carlo Maria Tanzarella, con domicilio eletto presso il loro studio, in Milano, piazza Velasca, 5;

contro

la Regione Lombardia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Viviana Fidani, con domicilio eletto presso l’Avvocatura regionale, in Milano, piazza Città di Lombardia, 1;

nei confronti di

Comune di Paderno Dugnano, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Monica Modolo, con domicilio presso la Segreteria di questo Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Sede di Milano, in Milano, via Filippo Corridoni, 39;
Città metropolitana di Milano, ARPA – Agenzia regionale protezione ambiente – Lombardia, n.c.;

per l’annullamento,

previa misura cautelare,

- del decreto dirigenziale 15 settembre 2015, n. 7390, recante il riesame, si sensi dell’art. 29 octies del D. lgs. n. 152/2006, dell’AIA - autorizzazione integrata ambientale già rilasciata alla società ricorrente con d.d.s. 1 giugno 2011, n. 5029, per la realizzazione e l’esercizio dell’impianto di recupero di rifiuti sito in Paderno Dugnano, nonché del relativo allegato tecnico, nelle parti in cui contengono prescrizioni gravose a carico della società ricorrente;

- dei verbali delle riunioni istruttorie della Conferenza di servizi tenutasi nel corso del procedimento di riesame dell’AIA.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Lombardia e del Comune di Paderno Dugnano;

Visti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 19 ottobre 2016 il dott. Diego Spampinato e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

La Società ricorrente espone:

- di essere titolare di un impianto di trattamento e recupero di rifiuti sito in Comune di Paderno Dugnano, la cui realizzazione e il cui esercizio sarebbero stati assentiti con provvedimento di autorizzazione integrata ambientale rilasciato dalla Regione Lombardia nel 2011, successivamente modificato con decreto dirigenziale 3 settembre 2013, n. 7943 e da ultimo sottoposto a riesame con decreto dirigenziale 15 settembre 2015, n. 7390;

- di effettuare operazioni di messa in riserva (R13) e recupero (R5) delle scorie che residuano dagli impianti di incenerimento di rifiuti solidi urbani che consentirebbero di ricavare un materiale da utilizzare come materia prima in parziale sostituzione (sino a quote del 60%) del cemento per la produzione di calcestruzzi o conglomerati cementizi, attraverso una lavorazione che prevedrebbe un periodo di stoccaggio del materiale pre-trattato di circa 27 giorni;

- che oggetto del presente gravame è l’impugnazione del provvedimento di riesame dell’AIA nella parte in cui la Regione avrebbe elevato la fideiussione richiesta alla società ricorrente dall’originario importo di € 844.858,31, quale previsto nella prima autorizzazione, sino ad € 5.152.742,06, in dipendenza della decisione di escludere l’applicazione della norma della DGR 19 novembre 2004, n. 7/19461, che prevede la riduzione al 10% dell’importo delle garanzie finanziarie per lo svolgimento delle attività di messa in riserva di rifiuti, qualora questi ultimi “vengano avviati al recupero entro 6 mesi dall’accettazione nell’impianto”;

- che il gravame è esteso anche ad altre prescrizioni dell’AIA, con le quali l’Amministrazione avrebbe imposto alla società ricorrente una serie di obblighi di analisi sia dei rifiuti in ingresso che dei prodotti finiti, obblighi che non sarebbero previsti né dalla legge né dalla normativa tecnica, e che neppure si giustificherebbero per particolari esigenze di cautela imposte dalla natura dei materiali trattati o dalle caratteristiche del procedimento produttivo.

Affida quindi il ricorso ai seguenti motivi.

1. Violazione e falsa applicazione di norme di legge e regolamentari (art. 17.1 lett. f), della LR n. 26/2003; DGR 19 novembre 2004, n. 7/19461; art. 183.1 lett. aa), D. lgs. n. 152/2006); eccesso di potere per travisamento dei fatti, contraddittorietà, illogicità ed irragionevolezza manifeste.

1.1. Regione Lombardia avrebbe imposto alla società ricorrente di prestare nella misura massima (anziché nella misura ridotta del 10%, prevista “qualora i rifiuti vengano avviati al recupero entro 6 mesi dall’accettazione nell’impianto”) le garanzie previste dalla DGR 7/19461 per l’attività di messa in riserva; ciò erroneamente assumendo quale criterio per l’applicazione della riduzione non lo “avvio al recupero” entro il termine di sei mesi, ma quello, ben diverso, dell’integrale recupero del rifiuto entro il medesimo termine; “recupero” ed “avvio al recupero” sarebbero infatti nozioni tecniche autonomamente rilevanti sul piano del diritto, ed il pretrattamento sarebbe già un’operazione di recupero, idonea a trasformare le scorie in un bene avente caratteristiche diverse dal rifiuto in ingresso. Né il materiale pretrattato potrebbe essere giuridicamente qualificabile come rifiuto, o si potrebbe ritenere che il suo stoccaggio integri una operazione di messa in riserva.

1.2. Anche a voler accedere all’interpretazione della locuzione “avvio al recupero” fatta propria dall’Amministrazione, sarebbe in ogni caso del tutto illogico e contraddittorio applicare la garanzia finanziaria nell’importo più elevato omettendo di considerare che la società ricorrente non avrebbe completato il ciclo produttivo nei tempi di progetto per circostanze dei tutto contingenti, legate alle difficoltà di avviamento dell’impianto, traducendosi l’applicazione delle garanzie nella misura più elevata in un indebito ostacolo all’esercizio dell’impresa.

2. Violazione e falsa applicazione di principi costituzionali (artt. 97 e 41); eccesso di potere per disparità di trattamento, difetto della motivazione, violazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalità dell’azione amministrativa; indebita alterazione del corretto andamento della concorrenza nel mercato. La Regione avrebbe introdotto una serie di prescrizioni illegittime poiché non richieste dalla normativa tecnica di settore né altrimenti sorrette da un apparato motivazionale idoneo a renderne giustificazione, nessuna delle quali sarebbe stata imposta ad altre aziende del settore che svolgono lavorazioni simili a quelle della società ricorrente; si tratterebbe:

a) della verifica del rispetto del limite previsto dal DM Sanità 10 maggio 2004 per il cemento, ed in particolare dell’analisi sul cromo esavalente, che sarebbe stata richiesta perché il prodotto finito della società ricorrente sarebbe un sostitutivo del cemento, così risultando non avere alcun senso prevedere esami non richiesti dalla legge sulla materia prima;

b) del “monitoraggio della composizione merceologica” del prodotto in uscita, in relazione al quale è stato richiesto che la società ricorrente, entro un anno, trasmetta, “i valori di riferimento” dei metalli di cui al D.M. n. 186/2006 eventualmente riscontrati; in proposito, non sarebbe comprensibile la ragione di conoscere l’intervallo medio tra i valori minimi e massimi della concentrazione dei metalli nel prodotto finito anziché richiedere il rispetto dei limiti normativamente stabiliti per l’immissione del prodotto sul mercato;

c) del piano di monitoraggio dei rifiuti in ingresso, in relazione alla frequenza – asseritamente ingiustificatamente elevata, anche in relazione alla necessità di effettuarla su ciascuna nuova partita di rifiuti acquisita da nuovi fornitori – con cui sarebbe stato richiesto di effettuare la verifica circa la presenza di ammoniaca e di effettuare l’analisi mediante XRF;

d) del piano di monitoraggio dei rifiuti in ingresso, in relazione al “rispetto dei limiti minimi indicati nella tabella 83 dell’Allegato Tecnico con una tolleranza del 20%”; tale tabella sarebbe relativa alla caratterizzazione chimica dei prodotti ottenuti dalle scorie, così non potendo essere ritenuta applicabile alle materie prime in ingresso, da modificare attraverso la lavorazione da effettuare nell’impianto;

e) delle “Misure di miglioramento programmate dalla Azienda” di cui alla Tabella D2 di pag. 37 dell’Allegato tecnico al provvedimento di riesame, che da un lato non sarebbero state oggetto di trattazione nel corso dell’istruttoria, e dall’altro sarebbero inattuabili, sia perché l’impianto non sarebbe mai stato sottoposto ad alcuna “pronuncia di compatibilità ambientale” asseritamente prescrittiva della “barriera di mitigazione”, sia perché le certificazioni ai sensi dei regolamenti UE n. 715/2013 e n. 1179/2012 hanno ad oggetto, rispettivamente, i rottami di rame e i rottami di vetro, rifiuti non trattati nell’impianto della società ricorrente;

f) dell’obbligo di dare comunicazione alle competenti autorità e di provvedere alla verifica dell’origine della contaminazione ogniqualvolta emergano “superamenti dei limiti previsti dalla Tab. 2 della Parte IV dell’Allegato V al Titolo V del D.lgs. 152/06 per i parametri previsti nella tabella F9 (monitoraggio acque sotterranee)”; tale prescrizione si riferirebbe anche ai solventi, indicati nella citata Tabella F9; in proposito, sarebbe noto all’Amministrazione che la società ricorrente, in sede di analisi preliminari della qualità delle matrici ambientali effettuata prima dell’avvio dell’impianto, avrebbe riscontrato la presenza di solventi nelle acque sotterranee in concentrazioni superiori ai limiti di legge; la prescrizione di cui si tratta imporrebbe quindi alla società ricorrente uno specifico obbligo di indagare l’origine della contaminazione per sostanze la cui presenza nel sito non dipenderebbe dalla propria attività, gravando la gestione d’impresa di costi non giustificati da effettive esigenze di protezione ambientale; inoltre, la prescrizione sarebbe comunque illegittima, poiché gli obblighi di caratterizzazione e bonifica sarebbero già previsti dall’ordinamento, senza che occorra una elencazione specifica di contaminanti, che sarebbe quindi ridondante e latrice di pericolosi fraintendimenti e confusioni;

g) dell’obbligo di disciplinare anche le “procedure di miscelazione” nel protocollo di gestione dei rifiuti; tale obbligo sarebbe illogico atteso che la società ricorrente tratterebbe rifiuti omogenei, in relazione ai quali non verrebbero effettuate miscelazioni con altre tipologie di rifiuto.

Si sono costituiti la Regione Lombardia, spiegando difese nel merito, ed il Comune di Paderno Dugnano, con comparsa di mera forma.

Con ordinanza cautelare 4 dicembre 2015, n. 1614 questa Sezione III ha disposto che la regione resistente riesaminasse il provvedimento medesimo «…al fine di rideterminare l’importo della fideiussione, parametrandola agli eventuali costi da coprire nel caso la ricorrente risulti inadempiente nello svolgimento dell’attività di recupero dei rifiuti…».

L’ordinanza cautelare è stata appellata dalla Regione Lombardia ed il Consiglio di Stato, con ordinanza 1 aprile 2016, n. 1085, ritenuto «…che il ricorso originario della parte privata pare suscettibile di esame favorevole, come ha osservato il T.A.R., e comunque, a fronte di una previsione dell’esame del merito della causa in tempi brevi…», ha respinto l’appello cautelare.

Con ordinanza presidenziale 5 luglio 2016, n. 465, è stato ordinato alla Regione Lombardia di depositare, entro il 30 luglio 2016, copia dei provvedimenti adottati in esecuzione dell’ordinanza cautelare 1614/2015, nonché una sintetica relazione sui fatti di causa.

Alla data dell’udienza pubblica del 19 ottobre 2016, la regione Lombardia non risultava aver depositato la documentazione richiesta con la citata ordinanza 465/2016; la società ricorrente, con memoria non notificata depositata il 16 settembre 2016, ha confermato non essere stato dato adempimento alla citata ordinanza cautelare 1614/2015 ed ha rinunciato alla domanda di annullamento delle prescrizioni impugnate con il secondo motivo di ricorso sub a), riconfermando nel resto il proprio interesse alla decisione.

All’udienza pubblica del 19 ottobre 2016 la causa è stata trattata e trattenuta per la decisione; in tale sede, in particolare, la società ricorrente ha confermato la rinuncia già espressa con la citata memoria del 16 settembre 2016, ed il Comune di Paderno Dugnano ha precisato essere suo prioritario obiettivo quello della tutela ambientale dei luoghi ricadenti nel suo ambito territoriale; nel resto, la Regione resistente e la società ricorrente si sono sostanzialmente riportati alle proprie difese.

DIRITTO

Il ricorso è in parte fondato, secondo quanto a seguire.

Con il primo motivo la società ricorrente lamenta che la Regione Lombardia avrebbe illegittimamente ritenuto non applicabile alla vicenda la previsione della DGR 19 novembre 2004, n. 7/19461, che all’allegato C, Tabella dei criteri e dei parametri per la determinazione dell’importo minimo delle garanzie finanziarie da prestare ai sensi del D.Lgs. n. 22/97, del D.Lgs. n. 36/2003 e della L.R. n. 26/2003, nell’individuare le tariffe al metro cubo per la quantificazione delle garanzie da prestare – fra l’altro – per le attività di trattamento rifiuti, prevede che «…Per la messa in riserva si applicano le tariffe di cui sopra nella misura del 10%, qualora i rifiuti vengano avviati al recupero entro 6 mesi dall’accettazione nell’impianto, salvo specifiche prestazioni temporali previste nell’atto autorizzativi…».

Nelle proprie difese, la Regione ha fondato l’inapplicabilità di tale abbattimento sulla duplice argomentazione che negli allegati tecnici alle precedenti versioni dell’AIA (decreti n. 5029 del 1 giugno 2011 e n. 7943 del 3 settembre 2013), fosse stata inserita la prescrizione “Deve essere garantito il recupero dei rifiuti messi in riserva entro 6 mesi dall’ accettazione nell’ impianto”, e che il rifiuto pretrattato dovrebbe essere considerato a tutti gli effetti un rifiuto.

Il motivo è fondato.

La locuzione usata nel passo sopra richiamato della DGR n. 7/19461 (“avvio al recupero”) è diversa dalla locuzione “recupero”; tale ultima locuzione presuppone infatti il compimento di un’operazione che, in presenza delle condizioni di cui all’art. 184-ter TU ambiente, fa perdere al rifiuto trattato tale natura; diversamente la locuzione “avvio al recupero”, oltre a dover pianamente essere intesa, in applicazione del criterio di cui al noto brocardo latino in claris non fit interpretatio, nel diverso senso dell’indirizzamento ad un’attività di recupero, è utilizzata dal legislatore in senso diverso da “recupero” nel corpo dello stesso TU ambiente (fra gli altri, art. 183, lett. bb), n. 2), e art. 238, comma 10).

Sul punto, appare poi condivisibile l’argomentazione della società ricorrente secondo cui «…L’interpretazione letterale è coerente, del resto, con la ratio della riduzione dell’importo delle garanzie finanziarie, la quale è prevista solo allorché i rifiuti vengano stoccati per un periodo di tempo limitato, in modo tale che lo stoccaggio sia effettivamente tale e funzionale alle operazioni di recupero e non si trasformi invece, di fatto, in un deposito non regolamentato poiché non soggetto alle relative disposizioni di legge, con ogni conseguenza che ciò potrebbe comportare in termini di incremento dei rischi ambientali, per i quali le garanzie finanziarie sono appunto previste…» (ricorso, pag. 10).

Né, come esattamente rilevato dalla società ricorrente, nella versione attuale dell’AIA è presente la prescrizione, invece inserita quanto meno nella precedente versione dell’AIA di cui al decreto n. 5029 del 1 giugno 2011 (il cui allegato tecnico è stato versato in atti in allegato al ricorso sub 3, mancando invece l’allegato tecnico al decreto n. 7943 del 3 settembre 2013, decreto versato in atti in allegato al ricorso sub 5), secondo cui dovesse essere garantito il recupero dei rifiuti messi in riserva entro 6 mesi dall’accettazione nell’impianto.

La versione attuale non riproduce infatti la prescrizione di cui all’allegato tecnico al decreto AIA 5029/2011 che, a pag. 43, paragrafo E.5.2 Attività di gestione rifiuti autorizzata, al punto V, afferma: «Deve essere garantito il recupero dei rifiuti messi in riserva entro 6 mesi dall’accettazione nell’impianto».

Peraltro, deve rilevarsi che tale disposizione appare comunque contrastare con la previsione, presente nello stesso allegato tecnico al decreto 5029/2011 (pag. 46) secondo cui la tariffa viene calcolata nella misura del 10% in quanto i rifiuti «…vengono avviati al recupero entro 6 mesi dall’accettazione nell’impianto…».

Con riferimento al secondo motivo:

- la censura sub a) risulta essere oggetto di rinuncia proposta con memoria non notificata depositata il 16 settembre 2016, confermata nel corso dell’udienza pubblica del 19 ottobre 2016;

- le censure da b) compresa a d) compresa non sono fondate, atteso che le prescrizioni oggetto di tali censure non appaiono manifestamente irragionevoli, alla luce del potere dell’amministrazione, di cui all’art. 208, comma 11, TU ambiente, di imporre, in sede di autorizzazioni ambientali, le condizioni e le prescrizioni necessarie per garantire l’attuazione dei principi di cui all’art. 178 TU ambiente, potere di natura ampiamente discrezionale (sul punto, ex plurimis, TAR Lombardia –Milano, Sez. IV, 6 febbraio 2014, n. 386);

- le censure da e) compresa a g) compresa sono invece fondate: le prescrizioni oggetto di tali censure sono infatti state descritte negli atti difensivi della Regione come determinate da meri refusi cui sarebbe stato posto rimedio con la modifica dell’allegato tecnico «…come già anticipato con nota prot. reg. T1. 59706 del 24/11/15…» (memoria depositata dalla regione resistente il 30 novembre 2015, pagg. 10 e 11); al riguardo, non è stato depositato alcun documento a comprova della modifica dell’allegato tecnico in tal senso, e parte ricorrente ha dedotto, con la memoria depositata in data 16 settembre 2016 (pag. 13), il perdurare del proprio interesse all’accoglimento del ricorso sul punto.

La parziale soccombenza reciproca costituisce motivo per la compensazione integrale delle spese di lite fra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione III), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, in parte lo accoglie, in parte lo rigetta ed in parte lo dichiara estinto, secondo quanto in motivazione; per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato, limitatamente: 1) alla parte in cui quantifica in euro 5.152.742,06 l’importo della fideiussione che la società ricorrente deve prestare; 2) all'Allegato tecnico, nella parte in cui si fa riferimento alle “Misure di miglioramento programmate dalla Azienda” (pag. 37); 3) al paragrafo E.4, punto VIII, dell’Allegato tecnico (pag. 41); 4) al paragrafo E.5.2, punto XXII, dell’Allegato tecnico, nella parte in cui prevede l’obbligo di disciplinare anche le “procedure di miscelazione” dei rifiuti (pag. 45).

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 19 ottobre 2016 con l’intervento dei magistrati:

Ugo Di Benedetto, Presidente

Diego Spampinato, Primo Referendario, Estensore

Valentina Santina Mameli, Primo Referendario

         
         
L'ESTENSORE        IL PRESIDENTE
Diego Spampinato        Ugo Di Benedetto
         
         
         
         
         

IL SEGRETARIO