SULL’OBBLIGO DELL’ANNULLAMENTO IN AUTOTUTELA DEI TITOLI ABILITATIVI EDILIZIA

di Massimo Grisanti

 

 

 

 

(Commento a Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza n. 3755 del 28 maggio 2013, depositata il 12/7/2013)

 

Il 17 giugno u.s. la rivista giuridica on-line Lexambiente ospitò un mio intervento1 in ordine all’illegittima prassi, instaurata dagli Uffici tecnici comunali con la compiacenza degli organi politici e dei segretari, di non annullare i titoli edilizi (permessi di costruire e d.i.a.) abilitanti la costruzione di opere edilizie rivelatasi, poi, in contrasto con il complesso della disciplina urbanistico-edilizia.

 

All’instaurazione di detta prassi hanno contribuito, non poco, gli avvocati amministrativisti con i loro interventi nei vari seminari ed incontri “formativi” che vengono tenuti appositamente per gli appartenenti alle pp.aa.

 

Fa piacere, oggi, poter constatare che la Sez. IV del Consiglio di Stato (Pres. Giaccardi, Est. Greco, Cons. Potenza, Migliozzi, Realfonzo), con la sentenza in commento, ha fornito nuovamente ai dirigenti comunali le direttive per il legittimo esercizio dell’attività amministrativa di vigilanza urbanistico-edilizia [su cui dovrebbe, ma non è spesso così, sovrintendere il segretario comunale quale garante della legalità dell’azione amministrativa – cfr. Cons. Stato, Sez. IV, n. 8750/2009: “(…) la questione è stata a suo tempo chiarita da questo Consiglio secondo il quale “ il segretario non è <organo dello Stato>, né dipende gerarchicamente da organi dello Stato; neppure si può dire che egli svolga, per conto dello Stato, funzioni di controllo o sorveglianza sull’Ente Locale. Al contrario quelle funzioni che l’art. 52 direttamente gli attribuisce (<sovraintende allo svolgimento delle funzioni dei dirigenti e ne coordina l’attività, cura l’attuazione dei provvedimenti, è responsabile dell’istruttoria delle deliberazioni, provvede ai relativi atti esecutivi e partecipa alle riunioni della giunta e del consiglio>) lo connotano come un soggetto che partecipa a pieno titolo all’amministrazione attiva dell’ente, tanto quanto i dirigenti e anzi in posizione sovraordinata rispetto a questi ultimi“ (Cons. St., Sez. I, 10 luglio 1991, parere n. 1620/91). Questa impostazione, del resto non dissimile dalla previgente legge comunale e provinciale (T.U. n. 383 del 1934) e non diversa dall’attuale Ordinamento (art. 17 della legge n. 127 del 1997 e, successivamente, art. 97 del d.lgs. 18 agosto 2000 n. 267) mantiene in capo a tale “funzionario” la specifica funzione ausiliaria di garante della legalità e correttezza amministrativa dell'azione dell'ente locale: infatti, anche il t.u. n. 267 del 2000 ha assegnato al segretario dell'ente locale, in linea generale, oltre agli altri compiti indicati all'art. 97 del t.u. citato, le "funzioni di collaborazione e di assistenza giuridico-amministrativa nei confronti degli organi dell'ente in ordine alla conformità dell'azione amministrativa alle leggi, allo statuto ed ai regolamenti" e quelle di "sovrintendere allo svolgimento delle funzioni dei dirigenti e di coordinarne l'attività".].

 

Il passo d’interesse è il seguente:

“Infine, va disatteso l’ultimo motivo di impugnazione, col quale la appellante reitera le proprie censure di insussistenza dei presupposti normativi per l’esercizio della potestà di autotutela da parte del Comune.

Ed invero, gli atti di annullamento dei permessi di costruire risultano congruamente e sufficientemente motivati sotto il profilo della sussistenza di un interesse pubblico attuale all’intervento demolitorio, in considerazione da un lato di quanto si è fin qui esposto in ordine ai vizi ravvisabili nei provvedimenti in questione, e dall’altro dal decisivo rilievo in ordine al carattere doveroso e sostanzialmente vincolato che assume l’esercizio dei poteri del Comune in materia di governo del territorio, sotto il profilo della repressione delle attività edificatorie non consentite dalla strumentazione urbanistica vigente.

Né, a fronte di ciò, è possibile ipotizzare in contrario un legittimo affidamento in capo alla società istante, la quale doveva ragionevolmente essere consapevole che il proprio intervento, pur concordato con l’Amministrazione comunale, restava soggetto alla disciplina generale rinveniente dalle leggi nazionali e regionali, e pertanto esposto alla possibilità di instaurazione di conflitti ai sensi dei più volte richiamati artt. 25 e segg. della l.r. nr. 1 del 2005.”.

 

Il Consiglio di Stato, quindi, ri-detta le seguenti direttive:

  1. l’annullamento d’ufficio è doveroso e vincolato allorquando l’opera realizzata si pone in contrasto con la strumentazione urbanistica vigente, risultando irrilevante la sua esecuzione in forza di un permesso di costruire rilasciato dal Comune (evidentemente illegittimo, se non illecito), in quanto l’interesse pubblico è in re ipsa nella complesso della disciplina urbanistico-edilizia;

  2. alcun legittimo affidamento può essersi ingenerato nel privato per effetto del conseguimento del permesso di costruire illegittimo, in quanto l’intervento è comunque soggetto al rispetto delle leggi (che non può non conoscere, almeno il progettista e il direttore dei lavori);

  3. seppur implicitamente, in forza della pregressa giurisprudenza del Supremo Consesso amministrativo (cfr. Ad. Plenaria n. 15/2011), alcun legittimo affidamento può essere riposto per le opere illegittime eseguite in forza di d.i.a., in quanto tale dichiarazione ha natura privata, non promanante dalla P.A.

 

Va da sé che il mutamento della strumentazione urbanistica che finisca per ammettere la realizzazione delle opere abusive è ininfluente sulla sorte della costruzione, in quanto l’art. 36 del D.P.R. n. 380/2001 (norma inserita nel T.U.E., ma avente anche dichiarate finalità di protezione della pianificazione e della programmazione) non ammette la sanatoria in assenza della c.d. doppia conformità proprio al fine di tutelare l’agere della P.A. da condizionamenti nell’azione di governo del territorio.

Si consideri che spesso, in tutta Italia, le azione di recupero urbanistico delle opere sostanzialmente abusive oppure le azioni permissive di interventi di “valorizzazione e/o rigenerazione urbana” sono spesso dettate dal malaffare e dalla necessità, di taluni, di riciclare denari di dubbia/illecita provenienza.

 

Del resto, artt. 30 e 36 T.U.E. alla mano ed a ben vedere, un’opera contrastante con il complesso della disciplina urbanistico-edilizia non è un mero abuso edilizio, bensì una lottizzazione abusiva, in quanto esorbitante le scelte compiute dai rappresentanti la comunità locale in esercizio del diritto di sovranità ed in quanto condizionante le future pianificazione e programmazione dell’Ente (interessi a cui viene accordata la tutela penale), che risulta, di fatto, costretta a fornire i servizi alle persone e alle attività insediate al di fuori del legittimamente consentito.

 

In conclusione, non solo i Dirigenti comunali sono ope legis obbligati (art. 27 T.U.E.) ad annullare i titoli abilitativi che hanno consentito, o stanno consentendo, la realizzazione di opere sostanzialmente abusive, ma addirittura, ad avviso dello scrivente, sono altresì altrettanto obbligati a contestare il reato di lottizzazione abusiva ed a disporre la confisca della res illecita, pena la commissione del reato di abuso d’ufficio.

 

Trattandosi di azione sostanzialmente vincolata, infine, non opera alcun termine per l’esercizio dell’azione di contrasto all’edificazione abusiva, tenuto conto, peraltro, dell’inesistenza del benché minimo legittimo affidamento in capo al privato per aver costruito in violazione di legge. Tutt’al più potrà richiedere la refusione dei danni a quei dirigenti che gli hanno rilasciato un titolo illegittimo, inducendolo in errore.

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Scritto il 02/08/2013

1 http://lexambiente.it/urbanistica/184-dottrina184/9436-urbanistica-il-condono-edilizio-giurisprudenziale-.html